VALLETTA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VALLETTA, Giuseppe

Girolamo Imbruglia

Nacque il 6 ottobre 1636 a Napoli da Onofrio, sarto, e da Caterina di Clauso. Un suo fratello si fece monaco.

Di famiglia assai modesta, si iscrisse alla facoltà di diritto e, laureatosi nel 1656, iniziò una fortunata carriera di avvocato. Di lì a poco si sposò con Vittoria Vadiglia, che per la peste del 1656 era rimasta vedova di Aniello Vernazza, di una famiglia facoltosa di origine genovese, poi nobilitata con il titolo ducale di Castri di Lecce. Ebbe sei figli; la moglie morì nel 1702; gli sopravvissero due figlie, monache, e il figlio Diego. Il matrimonio gli fece fare un salto «dalla bassa plebe Napolitana al popolo Civile» (D. Confuorto, Notizie di alcune famiglie popolari della Città (1693), in Comparato, 1970, p. 23): era entrato nel gruppo sociale costituito da nobili e professori, letterati ed ecclesiastici, professionisti. Si arricchì grandemente, curando gli interessi di mercanti, a esempio di Pier Andrea Andreini e del duca Luigi Strozzi, e allacciando proficue relazioni con gli ambienti commerciali della città. Tale successo economico e sociale suscitò molte critiche, non di rado feroci, che deridevano l’origine e quella che parve la dissipazione del suo patrimonio.

Di questa attività recano testimonianza le sei Disceptationes (circa 1675-85) ben analizzate da Vittor Ivo Comparato (1970). Vi si coglie l’andamento stesso della sua riflessione, che lo portò, dall’adesione alla storia culta francese del diritto e dalla conseguente considerazione del diritto sulla base delle specifiche tradizioni nazionali, al giusnaturalismo groziano. Accanto al diritto naturale pose il diritto delle genti, basato sul consensus gentium, ricostruito seguendo Francesco Bacone in modo sperimentale e induttivo. Entrambe le visioni rintracciavano norme vere e universali, che dovevano valere anche nel foro. Impossibile riconoscere validità alle tradizioni che andassero contro lo ius naturae et gentium. Valletta con Francesco d’Andrea fu il fondatore della nuova scienza giuridica napoletana, di cui accentuò il lato sistematico del giusnaturalismo; fu loro comune convinzione che, poiché la radice del diritto stava nella ragione, la scienza del diritto aveva ampiezza filosofica universale, capacità di farsi insegnamento critico di vita civile ed era strumento di decifrazione della legittimità dell’autorità politica. Questo punto di vista aveva animato il cosiddetto Trattato sulle monete napoletane, redatto intorno al 1675, indirettamente richiestogli dalla ‘città’ di Napoli, ossia dai cinque seggi della nobiltà e da quello popolare. Valletta si batté contro l’ipotesi della svalutazione della moneta e contro l’adozione a Napoli di una politica monetaria di tipo spagnolo. Le leggi dello scambio commerciale, il quale si reggeva sulla moneta, avevano un’origine che non era civile, ma naturale, e andavano quindi regolate non secondo l’arbitrio del sovrano, ma secondo l’interesse della pubblica utilità, che discendeva dalla legge razionale dello ius gentium.

Tale diritto non poteva essere manomesso dal potere sovrano, di cui anzi costituiva il contenimento e il principio. La sovranità, pensata sulla scia di Jean Bodin, aveva al proprio interno la legge incancellabile del diritto delle genti. Attraverso l’erudizione, arsenale di fatti criticamente accertati e strumento critico della loro comprensione, la teoria giuridica razionalistica era unita con la storia delle società. Pur se il rapporto tra diritto di natura e diritto positivo non fu pensato da Valletta con originalità, l’incontro di filologia e filosofia, il problema maggiore della cultura europea di quei decenni, cominciò a essere discusso a Napoli con Valletta.

L’attività forense procurò a Valletta grande nomea, al punto che il viceré marchese de los Velez (1675-83) lo nominò giudice alla Corte della Vicaria: posto che Valletta rifiutò, così come poi rifiutò la nomina a senatore del Granducato di Toscana e a socio della Royal Academy. Intorno al 1685 si ritirò dall’attività professionale e si dedicò alla filosofia. Partecipò all’Accademia degli Investiganti al tempo di Andrea Concublet, poi all’Accademia di Medinaceli (1698-1701) dove recitò dieci lezioni, e all’Arcadia (1710). Redasse il trattato De nihilo, definito «pronto» da Niccolò Toppi (Biblioteca napoletana, Napoli 1678, p. 175) e oggi perduto. Fu coinvolto nel clamoroso processo che il tribunale dell’Inquisizione aprì contro gli intellettuali napoletani nel 1690. Accusando la filosofia moderna di eresia, la Chiesa affermò il proprio diritto a negare la libertà di coscienza. I seggi cittadini crearono una deputazione contro il S. Uffizio, la quale nel 1691 chiese una memoria difensiva a Serafino Biscardi e a Valletta. Questi redasse Al nostro SS.mo Padre Innocenzo XII, intorno al procedimento ordinario, e canonico, nelle Cause che si trattano nel Tribunale del S. Ufficio nella città e Regno di Napoli nel 1693 poi rielaborata fino alla fine del secolo.

I capisaldi di questa memoria furono due. L’analisi della storia della Chiesa, che mostrava la sua trasformazione in mera macchina di potere, che aveva tradito l’iniziale autentica ispirazione religiosa del cristianesimo. Le crudeli procedure inquisitoriali contrarie ai principi e alle procedure del diritto rappresentavano bene questa degenerazione. La critica a tali procedure, in secondo luogo, era svolta secondo la teoria giusnaturalista del diritto e della politica elaborata nelle opere precedenti. Il diritto naturale, che appartiene a ogni uomo, è un principio che non può essere soffocato dal diritto positivo, anche se ecclesiastico. Il diritto civile napoletano, pur se imperfetto, rispettava il diritto delle genti e dunque non poteva tollerare nessuna delle due procedure del S. Uffizio, sia spagnola sia romana. Chiesa e Stato erano società costituite da diversi fini e mezzi. Spettava alla prima indirizzare alla salvezza eterna e quindi doveva far ricorso alla sola fraterna correzione; al secondo la salvaguardia dell’ordine terreno e dunque di rispettare le forme della giustizia.

In questo scritto compare un inserto che difese la filosofia moderna e negò che questa fosse eretica: è il Discorso filosofico in materia d’Inquisizione e intorno al correggimento della Filosofia di Aristotele, redatto nel 1695-96. Questo tema, ampliato in difesa della libertà filosofica è al centro della Historia filosofica, composta a partire dal 1696. Proprio in quegli anni la Chiesa, in particolare con le Lettere apologetiche (1694) del non sprovveduto gesuita Giovan Battista de Benedictis, aveva violentemente attaccato la cultura napoletana, in particolare la nuova filosofia e l’erudizione. Tra il Discorso e l’Historia c’è però discontinuità.

La Historia va da Talete al Rinascimento. Valletta sostenne che l’origine dell’eresia stava in Aristotele e nell’aristotelismo. Le opposte tradizioni, come la filosofia pitagorica ed eleatica, di Democrito e di Epicuro, il platonismo, l’originaria filosofia italica e il corpuscolarismo cartesiano, soprattutto l’atomismo di Pierre Gassendi (ma lesse anche Robert Boyle), l’eredità dell’Accademia degli Investiganti di Tommaso Cornelio e Lionardo di Capua, Ralph Cudworth e i platonici di Cambridge erano tutti aspetti variamente connessi che ruotando intorno all’atomismo permettevano di cogliere le strutture del reale e ravvisarvi la creazione divina. Era perciò legittimo separare teologia e filosofia. Valletta sostenne la fecondità della teoria cosmogonica del cartesianismo, unito a una visione filosofica che, senza essere scettica, poggiò su una teoria del probabile, a lui arrivata più che da John Locke, da Antoine Arnauld. Ma forse, la fonte più profonda della storiografia filosofica di Valletta fu il Dictionnaire di Pierre Bayle, probabilmente ricevuto nel 1693 (Totaro, 1996, p. 236), dove apprese la tensione tra ars critica filologica e critica come comprensione filosofica della cultura (La storia..., in Garin, 1970, p. 261).

Oltre che a queste opere, Valletta soprattutto si dedicò alla formazione della biblioteca e del museo, in un edificio, con un rinomato giardino, alle spalle del palazzo Orsini di Gravina. Questa fu allora la ragione della sua fama, ma è invece nell’intreccio dei tre aspetti della sua attività, storico del diritto e filosofo, creatore di una biblioteca e di un museo, che sta la sua grandezza. Il Giornale de’ letterati lo definì «il comun padre delle lettere in Napoli e la sua casa come un pubblico tempio sacrato a Pallade» (Elogio..., XVII (1714), p. 413). L’espressione «museum ambulans, et bibliotheca quaedam viva», che Jean Mabillon riprese per Antonio Magliabechi (Correspondance..., 1846, p. XLV), vale per Valletta. Comprò sul mercato italiano ed europeo attraverso una fitta rete di relazioni. Valletta leggeva inglese (cosa a Napoli rara), spagnolo e francese; imparò il greco con Antonio Messere, e per questi istituì all’università la cattedra di greco. La biblioteca, di cui Vico fece l’inventario per la sua vendita, superò i 16.000 volumi e fu un centro di aggregazione culturale di straordinaria importanza nella vita cittadina, frequentato da intellettuali locali e forestieri. Fu visitata nel 1685 da Gilbert Burnet, da Mabillon, da Michel Germain (Nicolini, 1929), nel 1712-13 da Shaftesbury. Congiunto alla biblioteca fu il museo, notevole per un’originalissima raccolta di vasi italioti, cui Valletta dedicò una dissertazione che è perduta (Berti, 1727, p. 51), oltre che per la raccolta di statue, medaglie, sculture, iscrizioni, monete, ritratti disegnati e incisi, quadri d’età classica e moderna, in parte descritti da Bernardo De Dominici e del quale si conosce un inventario del 1710. Loro trascrizioni e riproduzioni furono fatte circolare con liberalità. Valletta curò con attenzione pure l’allestimento del suo museo, realizzato secondo la moda romana della fine del Seicento, con il ricorso a gallerie e specchiere, sull’esempio di palazzo Borghese (Lorizzo, 2015, p. 92).

Morì a Napoli il 7 maggio 1714.

Con lui l’erudizione superò lo stretto orizzonte della filologia storico-testuale e divenne antiquaria. Il Giornale de’ letterati (1714, pp. 410, 418) lo paragonò infatti al grande antiquario provenzale Nicolas-Claude de Peiresc. Nell’antiquaria secentesca la storia critica del testo si allargò a riflessione critica sulla storia dei saperi e della cultura; incrociò le testimonianze artistiche e si spinse fino ad affrontare le scienze naturali, in particolare geologia e botanica. Fu la nuova strada per pensare la storia culturale del passato. A questo orizzonte appartenne, per primo a Napoli, Valletta.

Opere. Napoli, Biblioteca Oratoriana, XXVIII. 2.43, cc. 225-261: Risposta ad Amico sopra le ragioni della Città di Napoli per l’Assistenze domandate alla Fabbrica della Nuova Moneta (detto anche Trattato sulle monete napoletane); Al nostro SS.mo Padre Innocenzo XII, intorno al procedimento ordinario, e canonico, nelle Cause che si trattano nel Tribunale del S. Ufficio nella Città e Regno di Napoli, 1693-1700: numerose copie manoscritte a Napoli, Biblioteca Oratoriana, Biblioteca nazionale, Biblioteca della Società di storia patria, Biblioteca dell’Istituto Croce; Deplorando l’infelicità dei letterati, ms. a Napoli, Biblioteca Oratoriana (cfr. Mandarini, 1897, p. 93); Causarumque patronus disceptationes forenses, s.l. e a. (contiene sei dissertazioni: Adversus institutam in P. Aemilium Guaschi accusationem exceptio, pp. 1-71; Jus pro Josepho Frassone, pp. 72-110; Juris responsum pro [...] creditoribus illustris Ducis Acheruntiae, pp. 111-128; Per l’Ill.mo Signor Duca Luigi Strozzi contro al signor Duca don Francesco Moles, pp. 1-54; Difesa per Santolo Spina accusato di furto di carlini novantacinque nella Regia Zecca alla R. Camera della Sommaria, pp. 55-97; Ragioni dell’autore per l’onorario dovutogli dagli Illustri Signori Duca e Marchese Strozzi, pp. 98-162); Discorso filosofico in materia d’Inquisizione, et intorno al correggimento della Filosofia di Aristotele, in forma di lettera al papa Innocenzo XII: ne esistono dieci copie manoscritte; poi con il titolo Lettera del Signor Giuseppe Valletta in difesa della moderna filosofia e de’ coltivatori di essa, indirizzata alla santità di Clemente XI. Aggiuntavi in fine un’osservazione sopra la medesima, a cura di G. Tartarotti, Rovereto 1732; ora in Opere filosofiche, a cura di M. Rak, Firenze 1975, pp. 76-215 (alle pp. 390-403: G. Tartarotti, Osservazione); Historia filosofica, s.l. s.d.: ne esistono cinque copie a stampa, ora in Opere filosofiche, cit., pp. 221-386; Relazione sull’eruzione del Vesuvio (10 settembre 1712), il ms. a Londra, Royal Society, ora in Opere filosofiche, cit., pp. 404-406; Presentazione di N.P. Giannettasio S.J., Historia Neapolitana, Napoli 1713, ibid., pp. 407-409; Lezioni dell’Accademia di Palazzo del duca di Medinaceli, a cura di M. Rak et all., Napoli 2000-2005 (in partic. Dell’imperio de’ Persiani, I, pp. 166-215; Sopra la vita dell’imperatore Galba, e Del Della vita dell’imperador Pertinace, II, pp. 42-75 e 326-334; Del duello, III, pp. 198-208; Dell’origine della nobiltà, IV, pp. 91-100).

Epistolario. Non esiste un’edizione della vastissima corrispondenza di Valletta; tra i principali suoi corrispondenti: Antonio Magliabechi (in Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi, a cura di A. Quondam - M. Rak, II, Napoli 1978, pp. 1052-1099), Robert Cunningham, Christian Goez, Johann George Graeve, Lorenzo Magalotti, Gilles Ménage, Bernard de Montfaucon, Francesco Redi, Jakob Tollius, Jean Alphonse Turrettini, Antonio Vallisneri, Jan de Witt.

Fonti e Bibl.: C. Celano, Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli per i signori forastieri, divise in dieci giornate, giornata terza, Napoli 1692, pp. 12 s.; Elogio del signor G. V., napoletano, in Giornale de’ letterati d’Italia, XVII (1714), pp. 49-105; A.P. Berti, Vita di G. V. (detto Bibliofilo Atteo), in G.M. Crescimbeni, Vite degli Arcadi illustri, Roma 1727, pp. 39-76; B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1742), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, II, Napoli 2017, pp. 454-500, 578 s., 1077-1081; Correspondance inédite de Mabillon et Montfaucon avec l’Italie, a cura di M. Valéry, Paris 1846, ad ind.; A. Borzelli, Accuse in G. V., Napoli 1891; E. Mandarini, I codici manoscritti della Biblioteca Oratoriana di Napoli, Napoli-Roma 1897, ad ind.; G. Consoli Fiego, Il Museo Valletta, in Napoli Nobilissima, n.s., III (1923), pp. 105-110, 172-175; B. Croce, Storia del regno di Napoli (1923-1924) Milano 1992, pp. 212-217; Id., Shaftesbury in Italia (1924), in Id.,Uomini e cose della vecchia Italia, Bari 1949, pp. 276-311; F. Nicolini, Sulla vita civile, letteraria e religiosa napoletana alla fine del Seicento, in Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche, XLII (1929), pp. 175-256; Id., La giovinezza di G.B. Vico, Bari 1932, pp. 85 s., 93, 100; B. Croce, La letteratura italiana del Settecento, Bari 1949, pp. 297-316; L. Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli, Bari 1950, pp. 20 s., 55 s.; V.I. Comparato, G. V. e le sue opere, in Archivio storico delle province napoletane, s. 3, LXXXI (1962), pp. 109-131; S. Mastellone, Note sulla cultura napoletana al tempo di Francesco D’Andrea e G. V., in Critica storica, I (1962), pp. 598-625; Id., Il ‘libertinismo’ erudito a Napoli nella seconda metà del Seicento, ibid., II (1963), pp. 451-463; R. Ajello, Il preilluminismo giuridico, II, Napoli 1965, ad ind.; L. Marini, Per uno studio della civiltà politica meridionale nel secondo ’600, in Archivio storico delle province napoletane, s. 4, LXXXIII (1965), pp. 347-386; B. De Giovanni, Cultura e vita civile in G. V., in Saggi e ricerche sul Settecento italiano, Napoli 1968, pp. 1-48; F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 358 s.; V.I. Comparato, G. V. Un intellettuale napoletano della fine del Seicento, Napoli 1970; E. Garin, Dal Rinascimento all’Illuminismo. Studi e ricerche, Pisa 1970 (in partic. G. V. storico della filosofia, pp. 207-222; La storia ‘critica’ della filosofia nel Settecento, pp. 241-284); M. Rak, La parte istorica. Storia della filosofia e del libertinismo erudito, Napoli 1971, pp. 109-181 passim; G. Rubsamen, Orsini Inventories, Getty Museum 1980, pp. 68-75 (inventario dei beni Valletta circa 1710, fatto da Paolo de Matteis); L. Giansiracusa, La giustificazione storica del corpuscolarismo nella “istoria filosofica” di G. V., in Rivista di storia della filosofia, XLIII (1988), pp. 181-191; G. Totaro, La fortuna del Dictionnaire in Italia in una lettera di Antonio Magliabechi, in Pierre Bayle e l’Italia, a cura di L. Bianchi, Napoli 1996, pp. 227-239; E. Lojacono, Immagini di Descartes a Napoli: da V. a Costantino Grimaldi, in Nouvelles de la République des Lettres, II (1999), pp. 63-92, III (2000), pp. 45-66; M.E. Masci, La collezione di vasi antichi figurati riunita da G. V.: identificazione parziale dei pezzi raccolti e ricostruzione della dispersione, in Annali della Scuola Normale superiore di Pisa. Classe di lettere e filosofia, s. 4, IV (1999), pp. 555-594; M. Iasiello, Il collezionismo di antichità nella Napoli dei Viceré, Napoli 2003, pp. 201-208, 251-254 (inventario dei beni Valletta); M.L. Lorizzo, La collezione dell’avvocato G. V. (1636-1714) tra le carte dell’archivio Orsini, in Bollettino d’arte, s. 7, XXVIII (2015), pp. 87-96.

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