VELLA, Giuseppe

Enciclopedia Italiana (1937)

VELLA, Giuseppe

Carlo Alfonso Nallino

Abate maltese, che nel 1782 era cappellano addetto al monastero benedettino di San Martino delle Scale presso Palermo.

Ivi esistevano pochi manoscritti arabi ora trasferiti nella Biblioteca Nazionale di Palermo. Avendo appreso da uno schiavo la scrittura araba di tipo maghrebino e valendosi del proprio dialetto arabo-maltese, si spacciò per arabista e, scarabocchiato in modo da renderlo illeggibile uno di quei mss. contenente una vita di Maometto, lo fece credere il libro del "Consiglio di Sicilia", ossia raccolta del carteggio degli emiri di Sicilia con i loro sovrani aghlabiti e fatimiti, e ne inventò una traduzione riboccante di assurdità ma presa per buona moneta dal mecenate monsignor Alfonso Airoldi, che sostenne le spese della sua pubblicazione (Codice diplomatico di Sicilia sotto il governo degli Arabi, Palermo 1789-1792, voll. 3 in 6 tomi, in-4°). Fabbricò quindi in un arabo maltese zeppo di spropositi un "Consiglio d'Egitto" (dīwān Miṣr), raccolta di lettere scambiate tra i principi normanni di Sicilia e i sovrani fatimiti dal 1074 al 1119; e ne stampò il primo tomo (Palermo 1793, gr. in-fol.) in arabo con trad. italiana a fronte. Smascherata più tardi l'impostura, dopo mille vicende fu condannato a pena mite nel 1796. Sennonché i suoi falsi scampati al sequestro o, come sembra, continuati durante la prigionia, continuano ad affiorare: nel 1905 furono portati innanzi alla Società di storia patria di Palermo due enormi volumi manoscritti in arabo che avrebbero dovuto esser parte del Libro del Consiglio d'Egitto, e uno d'essi venne offerto in vendita nel 1908 a New York come prezioso codice autentico.

Le imposture del Vella ebbero, sotto un certo aspetto, conseguenze utili, perché provocarono il sorgere degli studî arabi in Sicilia. Per il V. fu istituita la prima cattedra universitaria d'arabo a Palermo (dispaccio del 6 agosto 1785), che il V. tenne sino al 1795 e che poi, salvo alcune interruzioni, continuò a esistere ed esiste tuttora; per il "Consiglio d'Egitto" mons. Airoldi acquistò dalla tipografia bodoniana di Parma i caratteri arabi sino allora mancanti in Sicilia; per i dubbî sorti alla lettura del Codice Diplomatico, Rosario Gregorio si accinse ai suoi studî arabo-siculi, ecc.

Bibl.: D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII, III, Palermo 1925-27, pp. 296-383 (con il racconto divertente dei processi); M. Amari, Storia dei musulmani di Sicilia, 2ª ed., I, Catania 1933, pp. 6-11; B. Lagumina, Il falso codice arabo-siculo della Biblioteca Nazionale di Palermo, illustrato e descritto, in Archivio storico siciliano, n. s., V, Palermo 1881, pp. 233-314; P. Varvaro, G. V. e i suoi falsi codici arabi con un documento inedito, in Arch. stor. sicil., n. s., XXX (1905), pp. 321-332 (con vano tentativo di trovar qualcosa di utile); R. Gottheil, Two forged antiques, B. The "Kitāb Diwān Miṣr", in Journal of the Amer. Orient. society, XXXIII (1913), pp. 308-312.

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