TURRISI COLONNA, Giuseppina

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2020)

TURRISI COLONNA, Giuseppina

Gabriele Scalessa

– Nacque a Palermo il 2 aprile 1822 dal barone Mauro Turrisi e da Rosalia Colonna Romano, dei duchi di Cesarò.

Ebbe una sorella, Annetta (in seguito pittrice), e tre fratelli, Nicolò (futuro senatore del Regno d’Italia; v. la voce in questo Dizionario), Giuseppe e Antonio.

Ancora bambina scrisse brevi commedie e farse destinate alla recitazione in famiglia. Fu mandata assieme a sua sorella nell’esclusivo istituto Revillon di Palermo, dove imparò la lingua francese. Studiò poi privatamente con Giuseppe Borghi, classicista e traduttore di Pindaro, che soggiornava a Palermo dal 1835, dando lezioni presso le famiglie patrizie e insegnando eloquenza all’università. Oltre a guidarla nello studio della letteratura greca e latina, il presbitero toscano, autore di inni sacri, le ispirò (al pari della lettura di Alessandro Manzoni) la stesura di liriche di argomento religioso, come l’Inno a San Michele, in strofe di settenari, che la fanciulla compose appena quattordicenne. Nello stesso periodo lesse Johann Wolfgang von Goethe, Giacomo Leopardi e George Gordon Byron.

La corrispondenza epistolare tra Turrisi Colonna e Borghi ebbe inizio nel 1838, allorché l’uomo, inviso alla polizia borbonica, lasciò la Sicilia per recarsi in Francia. Essa fu impostata subito nei termini di una ossequiosa deferenza della fanciulla all’indirizzo di colui che chiamava maestro, appellativo spesso accompagnato alle parole veneratissimo, egregio, illustre o incomparabile. Non furono rari i momenti in cui, per non urtarne la suscettibilità, Giuseppina si sentì obbligata a rassicurare il suo mentore dicendo di non preferirgli altri insegnanti o poeti viventi. Così fece, ad esempio, nella prima epistola nota, quella del 20 giugno 1838, in cui comunicava l’assunzione in casa propria di un nuovo maestro di latino, padre Giovanni Calia, nell’ingegno del quale diceva di confidare, ma le cui poesie si affrettò a giudicare assai mediocri. Mantenendo questo atteggiamento negli anni a venire, sottopose sempre a Borghi le sue prove letterarie; così nella summenzionata lettera annunciava l’invio di alcune terzine di traduzione delle Metamorfosi di Ovidio e il 24 gennaio dell’anno successivo la stesura di una novella su Piccarda Donati (destinata a rimanere inedita), rammaricandosi sempre della lontananza dell’uomo del cui consiglio dichiarava di avere bisogno.

Per infondere speranza ai suoi concittadini prostrati dall’epidemia di colera del 1837, scrisse l’anno successivo le canzoni Ad Aldruda e In morte di Marianna Mira Castelli, principessa di Torremuzza.

La prima celebrava il coraggio della nobildonna Aldruda Frangipane, contessa di Bertinoro, che nel 1174 guidò il suo esercito alla liberazione della città di Ancona, assediata dalle truppe di Federico Barbarossa e dai veneziani; la seconda commemorava la nobildonna morta di parto prematuro, anticipando, per un’amara ironia del caso, il destino della stessa Turrisi Colonna, che sarebbe scomparsa in circostanze analoghe.

Il 25 giugno dell’anno successivo inviò a Borghi una poesia vergata per l’onomastico della madre, mentre l’11 ottobre lo rese partecipe dell’intrapresa stesura di un poemetto su Byron. La composizione di questo procedé lentamente, e il 27 febbraio 1841 la ragazza scrisse di essere ancora impegnata nell’emendazione del testo.

Raccolto un numero sufficiente di liriche, Giuseppina si risolse a pubblicare il suo primo libro, Alcune poesie, che uscì il 15 luglio 1841 presso i tipi della Stamperia di Francesco Lao di Palermo. Ma la decisione per la pubblicazione, presa senza interpellare Borghi (nel frattempo rientrato a Firenze) e annunciata a cose fatte il 7 agosto in una lettera in cui gli comunicava anche la scomparsa di suo zio Pietro, fu interpretata dal suo maestro come un affronto. L’uomo, che pure era solito lasciar trascorrere alcuni giorni prima di rispondere, questa volta ignorò per quattro mesi le epistole della poetessa. La quale, dal canto suo, mostrando di intuire la ragione del silenzio (nella lettera del 10 ottobre 1841), non cessò di scrivergli usando le consuete formule ossequiose, comunicando l’assunzione in casa sua di un nuovo precettore, Francesco Paolo Perez, del quale però – non esitò ad aggiungere – non voleva essere discepola, considerando Borghi suo unico maestro (5 novembre 1841). Il momentaneo raffreddamento dei rapporti non aveva impedito, tuttavia, che il volumetto, che comprendeva sedici componimenti in meno di settanta pagine ed era aperto da una dedica alla madre, fosse apprezzato al di fuori dei confini insulari. Fra i lettori più entusiasti furono Francesco Domenico Guerrazzi e Giovanni Battista Niccolini, concordi nel lodare, in un’autrice così giovane, non solo la spontaneità, ma anche l’eleganza dei versi, ammirata anche da Terenzio Mamiani in una lettera a Vincenzo Favara del 4 ottobre 1841. Al coro di voci positive si aggiunse quella di Tommaso Grossi, cui la poetessa fece pervenire copia del volumetto per tramite di Massimo d’Azeglio, che la famiglia Turrisi Colonna ospitò nel luglio del 1842.

Incoraggiata da Borghi (che aveva ricominciato a scriverle sul finire del 1841), Giuseppina si era nel frattempo impegnata in una libera versione in terzine del Lavacro di Pallade di Callimaco e in un volgarizzamento del Canto funebre in morte di Bione, all’epoca attribuito a Mosco, che dichiarò concluso in una lettera del 2 agosto del 1843. Compose poi, sempre nel 1843, le terzine per il matrimonio di sua sorella Annetta con Pietro Settimo, principe di Fitalia, e vide inserite due sue poesie, Giuditta (in strofe di decasillabi manzoniani) e Alle donne siciliane (una canzone in endecasillabi e settenari), nel secondo volume del Parnaso italiano, che includeva poeti contemporanei «maggiori e minori», edito a Parigi da Baudry.

Se il primo testo innestava il motivo patriottico nell’episodio biblico, tanto da assumere l’aspetto di una vera e propria ode politica (cui certo contribuiva anche il tipo di verso utilizzato), il secondo, esempio di poesia civile, era un invito alle donne della Sicilia a rinnovellare il passato eroico della loro terra.

Nel 1845, mentre cominciava a redigere le terzine ispirate alla vicenda della poetessa Carlotta Sofia Willhoft, pianificò un viaggio di due mesi a Firenze assieme alla madre e ai fratelli. Motivo dello spostamento era la pubblicazione di un volume di poesie per i tipi di Le Monnier che Borghi le aveva fatto ottenere in virtù dei buoni rapporti con l’editore toscano. Così nel maggio del 1846, a due mesi di distanza dalla cooptazione nell’accademia aretina (avvenuta il 1° marzo su invito del segretario Antonio Guadagnoli), l’allora ventiquattrenne poetessa lasciò la Sicilia insieme alla madre e al fratello Nicolò. Giunse a Napoli il 14 maggio, soggiornandovi circa due settimane, durante le quali visitò le tombe di Giacomo Leopardi e di Virgilio. Di qui il gruppo, cui il 30 maggio si aggregò il fratello Giuseppe, raggiunse Livorno e poi Firenze, dove Giuseppina si trattenne alcune settimane e incontrò gli esponenti di quel milieu letterario che tanto ammirava. Vi conobbe, fra gli altri, Gino Capponi, traendone un sentimento di pena per le condizioni di salute dell’uomo, ormai ridotto alla cecità (lettera ad Annetta del 20 giugno 1846), e Niccolini, al quale dichiarò la propria stima (lettera dell’11 luglio).

Il volume di Liriche fu finito di stampare nel luglio del 1846: conteneva cinquantasei poesie di argomento familiare, religioso, storico-civile, sentimentale e intimo, sui cui aleggiavano i modelli poetici assimilati negli anni (Manzoni, Leopardi e Byron su tutti). Essendo ancora a Firenze, Giuseppina poté prendere personalmente le copie del volume e donarle ai suoi amici. Giuseppe Giusti, che ricevette la prima, le indirizzò il 21 luglio una lettera in cui giudicava di buona fattura e pieni d’affetto i versi, ammonendo però l’autrice a meditare sui classici e a non mescolarsi con le mode letterarie del tempo.

Lasciata a malincuore Firenze e rientrata in Sicilia il 26 agosto 1846 Turrisi Colonna dovette fare i conti con un ulteriore silenzio epistolare di Borghi, che pure aveva rivisto durante i giorni toscani. Ella stessa, d’altro canto, diradò le sue epistole, essendo impegnata nella preparazione del suo matrimonio con Giuseppe De Spuches, principe di Galati e duca di Caccamo, già autore di apprezzate traduzioni dal greco. Grazie anche all’interessamento del cognato Pietro Settimo, l’unione fu celebrata il 29 aprile 1847. E, a onta dell’estrazione aristocratica di entrambi, fu unione d’amore più che di convenienza, come pure lascia supporre il fatto che la ragazza avesse rifiutato diverse proposte di matrimonio nel corso degli anni. Ma durò undici mesi soltanto: colpita da aneurisma a seguito del parto, Turrisi Colonna, che aveva ereditato il titolo di principessa di Galati, morì, non ancora ventiseienne, a Palermo, il 17 febbraio 1848. Tre giorni prima anche sua sorella Annetta moriva non lontano, a Castelbuono.

Una raccolta di Poesie edite e inedite, che raccoglieva le liriche pubblicate in vita e quelle rare o mai date alle stampe, uscì postuma per volontà di De Spuches, con un elogio di Melchior Galeotti, presso la Stamperia e legatoria Ruffino (Palermo 1854). Solo alcuni anni più tardi videro la luce A mia madre presso Montaina (1878) e i Volgarizzamenti, a cura di Francesco Guardione, presso la Tipografia editrice Tempo (1887).

Fonti e Bibl.: F. Sesti, Cenno biografico..., Palermo 1865; G. Zanella, Scritti vari, Firenze 1877, pp. 294-321; F. Guardione, G. T.C., Palermo 1882; Lettere di illustri italiani a G. T.C., a cura di F. Guardione, Palermo 1884; A. Conti, Letteratura e patria, Firenze 1892, pp. 236-266; O. Biscioni, G. T.C., Macerata 1910; Lettere alla sorella Annetta, in F. Guardione, Il pensiero civile di G. T.C., Torino 1922, pp. 77-120; G. D’Anna, Un carteggio inedito di G. T.C. con G. Borghi, in Atti della Accademia di scienze lettere e arti di Palermo, XXII (1961-1962), 2, pp. 5-90; A. Sargenti, Da Nord a Sud..., in Italies, VI (2002), pp. 81-86, http://journals.openedition.org/italies/1552 (17 febbraio 2020); M.T. Mori, Figlie d’Italia. Poetesse patriote nel Risorgimento (1821-1861), Roma 2011, pp. 40-43.

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