Giustizia penale e letteratura

Diritto on line (2019)

Arianna Visconti

Abstract

Dopo una breve introduzione all’evoluzione storica e ai tratti generali del movimento “Law and Literature”, nella sua dimensione sia internazionale sia nazionale, il presente contributo propone una sintesi delle prospettive offerte al giurista positivo, più specificamente, da un approccio “giusletterario” al diritto penale.

Introduzione: diritto e letteratura

La nascita del moderno movimento giusletterario

Il filone di studi ed esperienze che vanno comunemente sotto il nome di “diritto e letteratura” o “Law and Literature” (per un inquadramento generale cfr., ex plurimis, Carpi, D., Diritto e letteratura, in Pólemos, 2007, 51 ss.; Forti, G., La letteratura […], in Criminalia, 2013, 39 ss.; Minda, G., Teorie postmoderne del diritto, trad. di C. Colli, Bologna, 2001, in part. 247 ss.; Mittica, M.P., Diritto e letteratura in Italia […], in Mat. storia cult. giur., 2009, 273 ss.; Ead., Cosa accade di là dall’oceano? […], in Anamorphosis, 2015, 3 ss.; Posner, R.A., Law and Literature, Cambridge-London, 2009; Sansone, A., Diritto e letteratura […], Milano, 2001; Sarat, A.-Anderson, M.-Frank, C.O., Introduction […], in Ead., eds., Law and the Humanities. An Introduction, New York, 2014, 1 ss.; Stone Peters, J., Law, Literature, and the Vanishing Real: On the Future of an Interdisciplinary Illusion, in PMLA, 2005, 442 ss.; Ward, I., Law and Literature […], Cambridge-New York, 1995) si sviluppa a partire dall’inizio del XX secolo, dapprima negli Stati Uniti (si suole infatti ricondurre la sua nascita alla pubblicazione, nel 1908, da parte di John Henry Wigmore, del saggio A List of Legal Novels, sulla Ill. L. Rev.; saggio seguito nel 1922, sulla stessa rivista, da A List of One Hundred Legal Novels) e quindi in Europa, fondamentalmente come tentativo di riallacciare un più stretto rapporto tra diritto e formazione umanistico-letteraria. Rapporto per secoli considerato naturale nell’ambito della formazione “classica” del giurista, ma che, in epoca moderna, con la fine dell’enciclopedismo e la nascita degli specialismi, e in particolare con l’affermarsi del primato di approcci di stampo giuspositivista e tecnico-giuridico, era stato pressoché totalmente abbandonato.

Se inizialmente la principale declinazione degli studi giusletterari segue l’impronta di Wigmore, sostanziandosi per lo più nella produzione di antologie commentate di testi letterari che affrontano questioni giuridiche, con finalità eminentemente pratico-formative, ben presto il movimento comincerà a differenziarsi in una serie di filoni che, seppure spesso commisti fra loro, presentano fisionomie sufficientemente distinguibili.

Dal “Law in Literature” al “Law and the Humanities”

Sul finire degli anni Sessanta del Novecento inizia una più consapevole e approfondita riflessione di carattere teorico e metodologico (per i principali riferimenti bibliografici v. supra) e gli studi giusletterari cominciano a differenziarsi in due filoni abbastanza distinti. Il primo, usualmente denominato “diritto nella letteratura” (Law in Literature), sviluppa l’approccio wigmoriano, ereditando un prevalente obiettivo di formazione umanistica del giurista positivo (in particolare di magistrati e avvocati), da perseguire attraverso l’analisi di opere letterarie che, affrontando questioni giuridiche complesse e significative, appaiano in grado di svolgere una fondamentale funzione educativa, prima di tutto sul piano etico-deontologico, degli operatori del diritto, contribuendo anche a una ricomposizione dell’avvertito distacco tra legge e realtà (v. ad es. Allen Smith, J., The Coming Renaissance in Law and Literature, in Journ. of Leg. Ed., 1979, 13 ss.; più recente e articolato, ad es., White, J.B., From Expectation to Experience: Essays on Law and Legal Education, Ann Arbor, 1999).

Quasi parallelamente, per altro, si sviluppa un filone (che si ritiene comunemente inaugurato dal saggio di Benjamin Nathan Cardozo, Law and Literature, pubblicato nella Yale Review nel 1925) dedicato al “diritto come letteratura” (Law as Literature: v. tra gli altri Levinson, S., Law as Literature, in Tex. L. Rev., 1982, 373 ss.; più recente e articolato ad es. Binder, J.-Weisberg, R., Literary Criticism of Law, Princeton, 2000), il quale, muovendo dall’idea che letteratura e legge siano accomunate dalla natura di testo, e che il diritto si qualifichi anche e principalmente come struttura linguistica e retorica (cui possano dunque essere applicate forme e tecniche della critica letteraria), si concentra sui profili dell’interpretazione e dell’argomentazione giuridiche.

A partire dagli anni Settanta e Ottanta, per altro, con il rafforzarsi della carica critica del movimento giusletterario, il confine tra i due filoni accennati viene per lo più progressivamente sfumandosi, con l’emergere di nuove e più complesse prospettive alimentate, tra l’altro, dall’influsso del decostruzionismo (cfr. ad es. Cornell, D.-Rosenfeld., M.-Carlson, D.G., eds., Deconstruction and the Possibility of Justice, New York-London, 1992), dall’apporto della critica letteraria femminista (v. ad es. Resnik, J.-Heilbrun, C., Convergences: Law, Literature, and Feminism, in Yale L.J., 1990, 1913 ss.), e dalla contaminazione con un più vasto ambito di scienze sociali (si veda ad es. il primo numero dello Yale Journal of Law & Humanities, pubblicato nel 1989).

Alcuni autori spostano così l’attenzione dal ragionamento all’immaginazione, e quindi anche alla creatività giuridica (v. in particolare White, J.B., The Legal Imagination. Studies in the Nature of the Legal Thought and Expression, Boston, 1973), giungendo progressivamente a sottolineare il comune denominatore culturale e sociale tra diritto e altre attività umane (cfr. ad es. White, J.B., When Words Lose Their Meaning: Constitutions and Reconstitutions of Language, Character, and Community, Chicago, 1984). Questo induce a valorizzare, in particolare nella prospettiva della cd. teoria narrativa del diritto, affermatasi a partire dagli anni Novanta, la forza critica della letteratura e dell’analisi letteraria; essa, accentuando i profili di politica del diritto, promuove un disvelamento della componente di storytelling che connoterebbe ogni testo e discorso giuridico e conseguentemente dei rapporti di forza, privilegio e pregiudizio sottostanti alle “narrative” legali dominanti (cfr. ad es. West, R., Communities, Texts, and Law: Reflections on the Law and Literature Movement, in Yale Journ. Law & Human., 1988, 129 ss.; Brooks, P.-Gewirtz, P., eds., Law’s Stories. Narrative and Rhetoric in the Law, New Haven-London, 1996).

Altri, anche in contrasto con i formalismi ravvisati nell’approccio critico-letterario al diritto, sollecitano un ricongiungimento tra movimento giusletterario e filosofia del diritto, all’insegna di un rinnovato dibattito sull’idea stessa di giustizia (cfr. ad es. Weisberg, R.H., Poetics, and Other Strategies of Law and Literature, New York, 1992), non di rado sottolineando l’importanza dell’integrazione di componenti “immaginative” e “narrative” nel discorso pubblico sulla legge (ma anche nella sua applicazione pratica) per il buon funzionamento e la stessa sopravvivenza delle istituzioni democratiche (cfr. ad es. Nussbaum, M.C., Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e vita civile, trad. di G. Bettini, Milano, 1996).

Gli sviluppi del movimento giusletterario in Italia

La tensione verso un recupero del rapporto tra il diritto e un più ampio campo umanistico si manifesta precocemente anche in Italia (per i principali riferimenti bibliografici v. supra; cfr. in particolare Sansone, A., Diritto e letteratura, cit.), talora – e specialmente in ambito penalistico – con curiose commistioni tra scientismo positivista dominante all’inizio del XX secolo e nostalgia per i classici (cfr. ad es. Levi, A., Delitto e pena nel pensiero dei Greci, Torino, 1903). Con approccio sostanzialmente non lontano da quello di Wigmore (v. supra, § 1.1), alcuni autori valorizzano la letteratura come un repertorio di situazioni e vicende umane, significative per le loro implicazioni giuridiche, molto più vasto e più approfondito psicologicamente di ciò cui solitamente il giurista di professione è in grado di accedere, e dunque essenziale per una sua migliore formazione (cfr. ad es. Vacca, R., Il diritto sperimentale, Torino, 1923); altri, già a partire dalla fine degli anni Venti, tendono a integrare un approccio lato sensu sociologico (così ad es., prevalentemente, e seppure con nette influenze idealistiche, D’Amato, A., La letteratura e la vita del diritto, Milano, 1936) con un’attenzione agli elementi di filosofia del diritto rinvenibili nelle opere letterarie (cfr. ad es. Pergolesi, F., Il diritto nella letteratura, in Arch. giur., 1927, 3 ss.; Id., Diritto e giustizia nella letteratura moderna narrativa e teatrale, Bologna, 1949).

Gli studi giusletterari segnano poi nel nostro Paese una battuta d’arresto nel secondo dopoguerra, cui segue una significativa ripresa di interesse per la materia (per altro con decisa prevalenza di un approccio focalizzato eminentemente sul diritto nella letteratura) a partire soprattutto dagli anni Novanta (v. ad. es. Cattaneo, M.A., Suggestioni penalistiche in testi letterari, Milano, 1992; Rebuffa, G., Il trionfo del Codice Civile nella testimonianza di Honoré de Balzac, in Mat. storia cult. giur., 1992, 65 ss.), anche con la più recente costituzione di ben due associazioni di studiosi del tema (AIDEL, Associazione Italiana di Diritto e Letteratura, e ISLL-SIDL, Società Italiana di Diritto e Letteratura, entrambe fondate nel 2008). Questi sviluppi non appaiono però aver ancora raggiunto quel livello di integrazione con la formazione degli operatori del diritto, sia di base sia professionale, che si riscontra ormai da tempo negli Stati Uniti, dove corsi istituzionali di Law & Literature (ancora relativamente rari in Italia) compaiono frequentemente nei curricula universitari, particolarmente nelle law schools. Del resto, per lungo tempo il contesto italiano (ed europeo in generale) ha segnalato una minore apertura interdisciplinare rispetto a quello anglosassone, con una netta prevalenza di filosofi, sociologi e storici del diritto e (in minor misura) studiosi di diritto positivo, un più lento attivarsi dell’interesse per questo filone di ricerca tra gli studiosi di letteratura e scienze umane, e soprattutto perduranti difficoltà allo stabilirsi di un dialogo tra questi due versanti.

Nel nuovo millennio, tuttavia, cominciano a emergere anche nel nostro Paese più mature esperienze interdisciplinari e nuovi sforzi di elaborazione anche teorico-metodologica della materia, grazie in primo luogo all’impegno congiunto di comparatisti della letteratura e del diritto (si veda ad es. la ricerca interdisciplinare in tema di equità nel diritto e nella letteratura che, confluita nel volume The Concept of Equity: An Interdisciplinary Assessment, a cura di D. Carpi, Heidelberg, 2007, ha dato impulso alla fondazione della citata AIDEL). A questo si aggiunge la creazione e promozione di network interdisciplinari e internazionali stabili all’origine di numerosi convegni e pubblicazioni (v. ad es. Faralli, C.-Mittica, M.P., Diritto e letteratura: prospettive di ricerca. Atti del I convegno nazionale della Società Italiana di Diritto e Letteratura, Roma, 2010; Mittica, M.P., Diritto e narrazioni. Temi di diritto, letteratura e altre arti. Atti del II convegno nazionale dell’Italian Society for Law and Literature, Milano, 2011; Amato Mangiameli, A.C.-Faralli, C.-Mittica, M.P., Arte e limite. La misura del diritto. Atti del III convegno nazionale della Società Italiana di Diritto e Letteratura, Roma, 2012; Casucci, F.-Mittica, M.P., Il contributo di Law and Humanities nella formazione del giurista. Atti del IV convegno della Italian Society for Law and Literature, in ISLL Papers, 2013; Faralli, C.-Gigliotti, V.-Heritier, P.-Mittica, M.P., Il diritto tra testo e immagine. Rappresentazione ed evoluzione delle fonti. Atti del V convegno della Italian Society for Law and Literature, Milano, 2014; Alfieri, L.-Mittica, M.P., La vita nelle forme. Il diritto e le altre arti. Atti del VI convegno della Italian Society for Law and Literature, in ISLL Papers, 2015).

Sono nate altresì riviste specializzate (si segnala in particolare Pólemos. Journal of Law, Literature and Culture, pubblicata in lingua inglese a partire dal 2012, già avviata nel 2007 in lingua italiana) e si sperimenta in modo innovativo un dialogo sempre più stretto tra letterati (critici letterari e cinematografici, autori, registi, storici, ecc.) e giuristi nel confronto attorno a opere letterarie, cinematografiche, musicali (v. ad es. Forti G.-Mazzucato, C.-Visconti, A., a cura di, Giustizia e letteratura I, Milano, 2012; Ead., Giustizia e letteratura II, Milano, 2014; Ead., Giustizia e letteratura III, Milano, 2016; Forti, G.-Provera, A., a cura di, La Grande Guerra. Storie e parole di giustizia, Milano, 2018; Ead., Mito e narrazioni della giustizia nel mondo greco, Milano, 2019).

L’approccio giusletterario al diritto penale

La “narratività” come categoria di riferimento

Che il diritto penale sia da subito risultato, esplicitamente o implicitamente, al centro di molti studi di diritto e letteratura non stupisce, ove si consideri la presenza di vicende e questioni lato sensu “criminali” in tante opere letterarie, dalla tragedia classica alla proliferazione di novelle poliziesche e giudiziarie iniziata almeno dal XVII sec. (cfr. ex plurimis De Romanis, R.-Loretelli, R., Il delitto narrato al popolo. Immagini di giustizia e stereotipi di criminalità moderna, Palermo, 1999, 11 ss.; Sertoli, G., Defoe, la letteratura criminale […], in Giustizia e letteratura I, cit., 44 ss.; Stern, S., Law and Literature, in Dubber, M.D.-Hörnle, T., eds., The Oxford Handbook of Criminal Law, Oxford, 2014, 111 ss.).

Al fondo di tale centralità, per altro, si pongono complesse questioni legate non solo alla indubbia dimensione “drammatica” del delitto, quale frattura dell’ordine e “crisi” per eccellenza, indispensabile propulsore di ogni percorso narrativo (cfr. ex plurimis Gottschall, J., L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, trad. di G. Olivero, Torino, 2014, 63 ss.), ma anche e in primo luogo alla carica simbolica particolarmente potente connessa al tratto qualificante del diritto penale, ovvero la sua sanzione, non a caso definita un «fatto sociale totale» (Garland, D., Pena e società moderna. Uno studio di teoria sociale, trad. di A. Ceretti-F. Gibellini, Milano, 1999, 317).

Quel legame tra “fatti culturali” che sempre avvince diritto e letteratura, entrambi prodotti di “comunità narrative” che non possono prescindere dall’uno per la piena comprensione dell’altro (cfr. per tutti Mittica, M.P., Diritto e costruzione narrativa. La connessione tra diritto e letteratura: spunti per una riflessione, in Tigor, 2010, 14 ss.), sembra farsi quindi ancora più stretto in rapporto al diritto penale (cfr. ex plurimis Marra, R., Introduzione […], in Diritto e castigo […], a cura di Id., Bologna, 2013, 7 ss.). Ambito giuridico che notoriamente «costituisce l’arena principale per l’esplicazione della funzione espressiva della legge» (Sunstein, C.R., On the Expressive Function of Law, in U.Pa.L.Rev., 1996, 2024), data la sua fortissima carica simbolica e assiologica (cfr. ex plurimis Visconti, A., A “Narrative” of the Individual-Community Relationship through the “Lenses” of Criminal Law: Three Sketches of Mystification, in Pólemos, 2017, 299 ss.). Ambito che si pone dunque inevitabilmente al centro, nelle sue trasposizioni mitologiche e letterarie, della genesi stessa del nostro «immaginario giuridico» (cfr. Ost, F., Mosè, Eschilo, Sofocle. All’origine dell’immaginario giuridico, trad. di G. Viano Marogna, Bologna, 2007).

Una carica assiologica e simbolica per altro rinforzata dall’essere questa branca del diritto la vera e incontrastata depositaria del monopolio statuale della violenza legittima, con tutte le immaginabili implicazioni sia sul piano etico-deontologico – piano, fin dagli albori degli studi giusletterari, centrale anche nel filone Law in Literature – sia su quello, vieppiù sviluppatosi all’interno del movimento col passare dei decenni, di un’analisi e discussione critica dei rapporti sociali di forza, oppressione e disconoscimento e delle strutture culturali in cui questi trovano espressione.

Molteplici sono le vie giusletterarie al diritto penale aperte da questa prospettiva critica. Per necessaria sintesi, ci si soffermerà qui essenzialmente su quelle nascenti dal confronto con i concetti di “narrazione” e “narratività”, pur non potendosi ignorare, nel panorama italiano contemporaneo, le attenzioni dedicate dagli studiosi, ad es., a un confronto tra normatività giuridica e normatività del testo letterario (cfr. ad es. Bartoli, R., Poesia e legge, in Arte e limite, cit., 135 ss.). Concetti che offrono spunti di riflessione utili ad approcci di tipo sia educativo-deontologico (più tradizionale), sia più strettamente metodologico. Da essi può venire altresì un contributo significativo, come si cercherà di esemplificare brevemente, alla rimeditazione di profili di politica del diritto e, specificamente, di politica criminale, con i relativi addentellati di teoria della pena (v. infra, § 2.4); ma la loro fecondità si estende anche alla discussione di profili di pertinenza criminologica (in senso ampio), dogmatico-giuridica (v. infra, § 2.2) e applicativa, con i relativi risvolti processuali (v. infra, § 2.3).

Rilevanti soprattutto sotto il profilo deontologico e per gli orizzonti politico-giuridici, e specialmente politico-criminali, sono il recupero dell’idea di «immaginazione narrativa» (capacità di “pensiero posizionale” che è alla base della creazione narrativa e al tempo stesso dipende dalla frequentazione di narrazioni di qualità “letteraria”) e la valorizzazione di questa per la «razionalità pubblica» degli ordinamenti democratici (Nussbaum, M.C., Il giudizio del poeta, cit., 15 ss.; v. anche Ead., Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, trad. di R. Falcioni, Bologna, 2011, 111 ss.), vieppiù in un contesto, come quello penale, dove istanze “genetiche” di difesa sociale possono facilmente generare derive autoritarie, populiste, “segregazioniste” (cfr. ad es. Visconti, A., Memoria e comprensione dell’‘altro’ tra difesa sociale e garanzie individuali: la prospettiva giusletteraria per un diritto penale democratico, in Jus, 2017, 35 ss.; Forti, G., La cura delle norme. Oltre la corruzione delle regole e dei saperi, Milano, 2018, 69 ss.).

Quanto al concetto di “narratività”, esso è strettamente associato all’essenza dell’umano, dal momento che la stessa esistenza delle persone si configura come una «struttura narrativa» che, in particolare, nel corso del suo svolgimento come pure nella prospettiva interna dell’individuo, si presenta come esperienza di «sviluppo progressivo». Dunque, «la considerazione della natura umana come svolgimento narrativo ne evidenzia il carattere di ‘imprevedibilità non indeterminata’: come per una storia, ci sono una serie di vincoli di coerenza interna quanto ai modi in cui lo svolgimento può proseguire, ma il modo di presentarsi di questi vincoli e lo spazio che all’interno di essi si apre creano le condizioni per innumerevoli sviluppi» (cfr. Cattaneo, F., Etica e narrazione. Il contributo del narrativismo contemporaneo, Milano, 2011, 220 s.). In questa prospettiva (che vale anche a riempire di contenuto il concetto stesso di dignità umana: cfr. diffusamente Visconti, A., Narratività, narrazione, narrazioni […], in Giustizia e letteratura III, cit., 2 ss.), ciascun individuo si rivela al contempo unico e dotato di una coerenza narrativa specifica – unicità che riflette quella della sua “storia” – ma anche, e sia pure all’interno di una serie di vincoli di coerenza, aperto a infiniti possibili sviluppi. Tale apertura al “possibile” si connota, dunque, tanto come universale umano, quanto come universale della letteratura (Forti, G., La letteratura e il “buongoverno” dell’immaginazione giuridica, cit., 45 ss.), e vale a sollecitare un modello relazionale e normativo, anche e prima di tutto sul piano penale, incompatibile con ogni forma di reificazione, esclusione ed etichettamento stigmatizzante.

Infine, strettamente legata alla «comprensione narrativa» della persona e delle sue vicende, è anche quella particolare forma di razionalità, definita appunto «razionalità narrativa», che favorisce un almeno parziale superamento della rigidità e formalità dei meccanismi sussuntivi del caso concreto sotto la fattispecie astratta, incentivando e rendendo possibili nuove connessioni tra «astratto e concreto, universale e particolare», e permettendo così di cogliere il «loro collegamento senza ridurlo a mera esplicitazione deduttiva», col «mettere in campo altri fattori di intelligibilità, producendo effetti di senso caratteristici» (Cattaneo, F., Etica e narrazione, cit., 226 ss.): generativa, dunque, di un’attenzione riflessiva e paziente alle peculiarità uniche di ciascuna vicenda umana (cfr. anche Forti, G., Letteratura, educazione ‘morale’ dell’attenzione […], in Giustizia e letteratura III, cit., 127 ss.), capace però anche di sottrarsi a ogni relativismo “post-moderno”, ingovernabile e incompatibile coi principi e la tenuta dello Stato di diritto e della rule of law.

Prospettive criminologiche e dogmatiche

All’enorme bacino di “storie criminali” della letteratura non hanno potuto fare a meno di attingere, fin dagli esordi del movimento giusletterario, anche la riflessione e l’analisi sociologica e criminologica (v. supra, § 1). La fecondità di un ricorso alle narrazioni – letterarie, cinematografiche, televisive, musicali, ecc. – per l’esplorazione della realtà empirica del fenomeno criminale e la sua prevenzione e repressione si conferma negli anni più recenti (cfr. ad es. Francia, A., Manzoni criminalista […], in Diritto e castigo, cit., 77 ss.), ma per lo più, anche in questo ambito, con una più accentuata carica critica (cfr. ad es. Ceretti, A.-Natali, L., Violenza, dominio e cambiamenti del sé […], in Giustizia e letteratura I, cit., 400 ss.; Ceretti, A., Oliver Twist e lo sguardo del criminologo, in Giustizia e letteratura III, cit., 374 ss.). Quest’ultima si manifesta tra l’altro in un significativo filone di studi interessati specificamente alla rappresentazione mediatica e letteraria del crimine e ai suoi effetti sulla percezione, e conseguente reazione, sociale (cfr. ad es. Verde, A., «Tua è la colpa!» […], in Giustizia e letteratura I, cit., 548 ss., e ivi anche Bertolino, M., Giustizia narrata o giustizia tradita?, 610 ss., e Paliero, C.E., Verità e distorsioni nel racconto ‘mediatico’ della giustizia […], 667 ss.; Sarzotti, C.-Siniscalchi, G., Il carcere e la dis-misura della pena […], in Arte e limite, cit., 345 ss.).

Della concretezza e del pluralismo esperienziale offerti dalla letteratura si alimenta, in parte, anche quel filone di indagine che si interroga sul potenziale contributo di un approccio giusletterario alla ricostruzione dogmatica e interpretativa di primari istituti del diritto penale sostanziale, talora con una particolare valorizzazione del possibile apporto di immaginazione e comprensione narrative sopra richiamato (§ 2.1). Tra i temi maggiormente dissodati in questo ambito si possono segnalare, esemplificativamente, quello della giustificazione del comportamento penalmente rilevante, dei fondamenti della colpevolezza e della responsabilità penali, dell’offensività ed extrema ratio quali cardini del sistema penale, della proporzione e ragionevolezza, della legalità in generale e della determinatezza in particolare (si vedano, in generale, per tutti e con gli ulteriori riferimenti, i saggi in Giustizia e letteratura I, II e III, cit.).

Prospettive applicative

Un primo possibile apporto dell’approccio giusletterario all’applicazione del diritto penale si localizza nel nevralgico punto di congiunzione – già sopra richiamato (§ 2.1) – tra unicità e concretezza del caso e generalità e astrattezza della norma, con tutte le complesse questioni ermeneutiche che vi si connettono (cfr. anche Ost, F., «Retour aux humanités» […], in Giustizia e letteratura III, cit., 50 ss.). A questi profili fanno riferimento anche molti degli studi che, conformemente a una tradizione ormai radicata nel movimento Law & Literature (v. supra, § 1.2), mettono in luce la trama di diseguaglianze e pregiudizi incidenti, oltre che sulla configurazione delle norme sostanziali, sulla correttezza di quella articolata serie di valutazioni da parte delle “agenzie di controllo” (in sede processuale ed extraprocessuale) che danno luogo alla cd. criminalizzazione in concreto di fatti e persone (cfr. ad es. Cattaneo, A., Shakespeare alla sbarra […], in Giustizia e letteratura I, cit., 4 ss., e ivi anche D’Alessandro, La discriminazione su base razziale nell’opera di Shakespeare […], 32 ss.; Visconti, A., Streghe, avvelenatrici, assassine […], in Giustizia e letteratura II, cit., 387 ss.).

Questo snodo si intreccia strettamente con un altro profilo tradizionalmente al centro degli studi giusletterari di ambito penalistico, ovvero quello del giudizio (v., per ampi riferimenti, Farmer, L., Trials, in Law and the Humanities, cit., 455 ss.), con le sue formalità, le sue procedure, i suoi ruoli preordinati. In effetti, l’esperienza del processo, e in particolare del processo penale, figura prepotentemente nella rappresentazione letteraria (in senso ampio), specie coi suoi esempi di fallibilità della giustizia umana (cfr. per una sintesi, sia pure settoriale, Visconti, A., Giudici ‘di carta’ e giudici ‘di ferro’. L’immagine della giustizia amministrata nella letteratura ottocentesca, in Giustizia e letteratura III, cit., 228 ss.).

Essa esprime così un potenziale euristico che è stato sfruttato, in ambito giusletterario, per esplorare temi centrali alla riflessione sulla concreta amministrazione della giustizia, quali il conflitto fra verità fattuale e verità processuale, il confronto tra modello inquisitorio e modello accusatorio, il ruolo della dialettica dibattimentale e del principio di libero convincimento, la centralità degli standard probatori adottati, ecc. (tra gli innumerevoli riferimenti bibliografici, anche nel solo ambito italiano, si vedano, esemplificativamente e in generale, la parte III di Rifrazioni anomale dell’idea di giustizia, a cura di G. Rossi, D. Velo Dalbrenta, C. Pedrazza Gorlero, Napoli, 2017, 119 ss., e – per questioni più strettamente attinenti all’ambito penale – i saggi in Giustizia e letteratura I, II e III, citati).

. Prospettive penologiche e politico-criminali

La già ricordata carica critica assunta dall’approccio giusletterario, quanto meno nei decenni più recenti, nel suo confronto con la natura fortemente simbolica e assiologica del diritto penale (v. supra, § 2.1), spiega l’attenzione, talora preponderante e comunque significativa nell’ambito delle prospettive precedentemente illustrate (v. supra, §§ 2.2 e 2.3), per profili di politica criminale che chiamano in causa la vasta riflessione teorica sul “senso” e la funzione della pena.

La valorizzazione di una “via” narrativa al diritto penale può valere di volta in volta a suggerire una maggiore e più ponderata considerazione legislativa della concretezza delle situazioni umane nella confezione delle fattispecie incriminatrici e degli effetti a lungo termine, anche culturali, delle scelte normative adottate (cfr. ad es. Forti, G., Uno sguardo dal ‘ponte’ […], in Giustizia e letteratura I, cit., 212 ss.; Id., L’ansia disumana del «raggiungimento», in Giustizia e letteratura II, cit., 794 ss.). Un profilo che si lega strettamente all’esplorazione di possibili meccanismi di “flessibilizzazione” del sistema penale, ad esempio con letture innovative del principio di proporzione; la costruzione di strategie di prevenzione situazionale e di regolamentazione responsiva (cfr. ad es. Visconti, A., «Stupidità del male» e «intelligenza delle emozioni» […], in Giustizia e letteratura I, cit., 368 ss.); una più spiccata creatività nell’individuazione di bilanciamenti, sempre più complessi e urgenti col costante crescere della complessità sociale, tra posizioni individuali e interessi collettivi estremamente variegati e in rapida evoluzione (cfr. ad es. Forti, G., La letteratura, cit., 47 ss.); una maggiore “immedesimazione narrativa” nei bisogni e nelle aspettative dei diversi gruppi sociali e una correlata maggiore attenzione per le istanze di riconoscimento di individui e gruppi emarginati (cfr. ad es. Forti, G., Franz Kafka e l’impazienza del diritto, in Giustizia e letteratura II, cit., 286 ss., e ivi anche Spricigo, B., La narrazione delle donne come via di (ri)composizione […], 777 ss.), anche in vista di un confronto costruttivo con le sfide poste dal multiculturalismo (cfr. ad es. Provera, A., Giustizia e ‘territorio’ […], in Giustizia e letteratura III, cit., 277 ss.).

La riflessione sui significati e le funzioni della pena, esplorati in ambito giusletterario per lo più in prospettiva di riforma e con un’attenzione alla “comprensione narrativa” del “peso” normativo della sanzione (cfr. da ultimo in part. Forti, G., Una prospettiva «diabolicamente umana» sul rapporto tra norma e sanzione nell’ordinamento penale, in La pena, ancora. Fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, I, a cura di C.E. Paliero et al., Milano, 2018, 187 ss.), ha dato nuovo impulso, ad esempio, alle posizioni del minimalismo penale (cfr. ad es. Bartoli, R., Nella colonia penale di Frank Kafka: “Dann ist das Gericht zu Ende”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 1590 ss.), a una prudente considerazione critica delle istanze di difesa sociale e di riprovazione istituzionalizzata (cfr. ad es. Frare, P., La via stretta […], in Giustizia e letteratura II, cit., 38 ss.; Palazzo, F., Victor Hugo, «I miserabili», la giustizia penale, in Giustizia e letteratura III, cit., 342 ss.), e financo alla promozione di modelli innovativi di giustizia penale, improntati alla valorizzazione dell’esemplarità del precetto e alla costruzione di percorsi positivi di riparazione, alternativi al tradizionale modello afflittivo-incapacitativo (cfr. ad es. Mazzucato, C., La ‘poesia della verità’ nella ricerca della giustizia […], in Giustizia e letteratura I, cit., 507 ss.; Eusebi, L., «I promessi sposi»: quasi un codice della giustizia riparativa, in Giustizia e letteratura II, cit., 55 ss.).

Bibliografia essenziale

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