Gli ordini mendicanti

Storia di Venezia (1995)

Gli ordini mendicanti

Fernanda Sorelli

Gli insediamenti

Tra i numerosi episodi riferiti da s. Bonaventura nella Leggenda maggiore, ad illustrare l'affettuosa e mirabile corrispondenza di Francesco d'Assisi con il mondo degli animali, ve n'è uno in cui il santo figura rivolgersi ad un grande stormo di uccelli, durante una sosta compiuta nel passare, con un fratello, "per paludes Venetiarum" (1). Il racconto, accolto e divulgato in ambiente veneziano (lo si ritrova nella trecentesca Cronaca estesa di Andrea Dandolo, con la significativa precisazione che il protagonista era di ritorno "de ultramare") (2) è suggestivo: ma il passaggio, che si vorrebbe avvenuto nel 1220, di Francesco tra le isole della laguna, per quanto non improbabile, appare vago ed incerto (3).

Un poco più soddisfacenti risultano le notizie intorno ad un viaggio a Venezia di Domenico di Guzmán, svoltosi, secondo alcune testimonianze al processo per la sua canonizzazione, verso la metà del 1221, per un incontro con il cardinale Ugolino d'Ostia, presente allora in città come legato apostolico (4).

Comunque né a Francesco né a Domenico è possibile fare direttamente risalire l'introduzione dei rispettivi ordini in ambito lagunare. Riguardo ai primi frati minori e predicatori attivi in tale ambito, non si conosce in verità nulla di sicuro: è solo plausibile ritenere che essi avessero trovato, particolarmente nel centro realtino, sistemazioni occasionali e "punti di riferimento" presso qualche chiesa e che, come altrove, si dedicassero all'apostolato, vivendo di elemosine ed anche, i francescani in specie, di lavoro manuale (5).

Certo entrambi i gruppi erano definitivamente stabiliti prima della fine del terzo decennio del secolo. Lo attesta una breve sequenza di testamenti, in cui - per le prime volte, a quanto finora risulta, relativamente a Venezia (6) - si indicano, quali destinatari di lasciti, i frati dei due nuovi ordini. I testatori sono Andrea Tron, di S. Giacomo dell'Orio (settembre 1227) (7), Achilia, moglie di Angelo Signolo, di S. Pantalon (novembre 1227) (8) ed il doge Pietro Ziani (settembre 1228) (9): i tre personaggi, diversi per condizioni personali, disponibilità economiche, luogo di residenza, ed anche per la scelta del notaio, destinano tutti elemosine in denaro sia ai minori che ai predicatori, citandoli in modo pressoché analogo, e senza designarne la sede o dimora. Accomunati dalla novità che rappresentavano rispetto alle tradizionali forme di vita religiosa - nonostante le reciproche distinzioni e il diverso grado di popolarità e diffusione raggiunto, a quell'epoca, a livello generale (10) - gli uni e gli altri erano dunque ormai accettati e ben riconoscibili presso la popolazione.

Fu tuttavia nel corso degli anni '30 che la loro presenza si rafforzò in modo decisivo ed assunse precise connotazioni, rilevabili da una documentazione progressivamente più esplicita e numerosa. Un momento fondamentale è segnato dall'acquisizione dei terreni sui quali le comunità mendicanti si sarebbero insediate stabilmente.

Nel marzo 1233 i minori ricevettero in dono da Giacomo Michiel, di S. Giovanni Evangelista, un'intera isola, poi detta di S. Francesco del Deserto, posta nella diocesi di Torcello, dove esisteva già almeno una chiesa dedicata a s. Francesco: davanti ad essa infatti il donatore, certo colpito dall'impronta penitenziale della nuova spiritualità, si riservava di costruire una casa, da utilizzare come personale ritiro, durante i periodi quaresimali (11). Poco dopo (ottobre 1234), l'ordine entrava in possesso, grazie ad un'altra donazione, compiuta da Giovanni Badoer, di S. Giacomo dell'Orio, di un terreno con un edificio, nella contrada di S. Tomà: a quel tempo, comunque, i frati avevano potuto sistemarsi in un'area contigua, comprendente una chiesa (12).

In tale zona risulta presto chiaramente istituito il locus di S. Maria (l'attributo "Gloriosa" sarebbe stato imposto nel 1250 dal cardinale Ottaviano degli Ubaldini, nell'avviare la costruzione di una nuova chiesa) (13). I1 nucleo originario fu ampliato in seguito più volte. Fin dal 1236 - a quanto sappiamo - i religiosi cominciarono infatti ad assicurarsi altri immobili in S. Tomà, acquistandoli tramite Daniele Foscari di S. Croce, loro procuratore: il documento relativo, del 5 luglio di quell'anno (14), costituisce altresì una dimostrazione degli adattamenti e delle trasformazioni che si andavano allora compiendo, rispetto al periodo iniziale, sia per la comunità veneziana, sia per l'intero ordine francescano (15).

Il 1234 fu decisivo anche per i domenicani: nel mese di giugno essi ottennero il terreno, fra le contrade di S. Maria Formosa e S. Marina, dove sarebbe sorto il complesso dei SS. Giovanni e Paolo. La concessione, tramandata da un atto famoso, fu fatta al priore Alberico dal doge Giacomo Tiepolo, in risposta ad un'istanza dei frati ed in considerazione della grande necessità, per i cittadini, della loro presenza a Venezia (16).

Un gesto solenne ed un pubblico riconoscimento che ai minori parrebbero essere mancati: l'avvio alla fondazione delle loro due prime sedi stabili sembra invero dovuto, stando alle fonti che è dato utilizzare, solo a private, individuali elargizioni (17). Carenze documentarie sono naturalmente plausibili; ma non si può non rilevare come anche l'autorevole cronaca del Dandolo accenni appena genericamente agli inizi di S. Maria dei Frari, facendo invece esplicito riferimento, per il locus domenicano, alla concessione ducale (18).

Il favore comunque dimostrato, proprio in tale periodo, ad entrambi gli ordini è segno della loro sicura affermazione sul piano interno e insieme riflesso della popolarità e del prestigio da essi diffusamente conseguiti, fra l'altro, grazie all'opera intensa e clamorosa, sebbene labile, di pacificazione e moralizzazione compiuta da molti frati durante il moto devozionale dell'Alleluia, esteso, nel 1233, a buona parte dell'Italia settentrionale (19). Il movimento non riguardò direttamente Venezia, ma la campagna pacificatrice che coinvolse le altre città venete, culminando nell'incontro di Paquara, non poté non interessare i Veneziani ed il loro governo, sempre più attenti alle vicende della terraferma (20).

Un preciso convergere di posizioni sembra anzi rintracciabile nella nomina a podestà di Verona del veneziano Nicolò Tonisto, per volere dello stesso grande protagonista di quegli avvenimenti, Giovanni da Vicenza (21), la cui appartenenza all'ordine domenicano può anche plausibilmente concorrere a spiegare la donazione del Tiepolo (per inciso, è presumibile che nell'affermazione dei predicatori un ruolo importante svolgesse pure fra Paolo da Venezia, nell'ordine sin dal 1219, compagno di Domenico e testimone di rilievo al processo per la sua canonizzazione, a Bologna, al quale partecipò provenendo appunto da Venezia) (22).

Le aree ottenute dai minori e dai predicatori per l'edificazione delle loro sedi nel centro realtino si trovavano in zone opposte, entrambe allora marginali, rispettivamente ad ovest e ad est del nucleo urbano, ed entrambe in via di rapida evoluzione, per le modificazioni ambientali introdotte dalle progressive bonifiche di vaste estensioni paludose o lacustri ancora in esse presenti e per il conseguente popolamento, con la relativa mobilità sociale (23).

Particolarmente vivace fu lo sviluppo del settore orientale (sestiere di Castello), in prossimità dell'Arsenale (24): oltre ai domenicani, vi si stabilirono gli eremiti agostiniani ed i francescani, con il loro secondo locus cittadino. La fondazione di quest'ultimo, che avrebbe preso in seguito il titolo di S. Francesco della Vigna, fu determinata da un lascito testamentario disposto, il 26 giugno 1253, dal figlio del doge Ziani, Marco, specialmente devoto ai minori (ma l'assegnazione definitiva all'ordine della proprietà da lui designata, comprendente una chiesa, nella contrada di S. Giustina, avvenne solo nel 1257, dopo la favorevole conclusione di una lunga controversia, nel corso della quale anche il papa Alessandro IV intervenne a sostegno dei frati) (25).

In un sito molto periferico, nel confinium di S. Pietro, fu costruita la sede degli eremitani, S. Anna (e Caterina). La sua origine si può far coincidere con gli acquisti di terreni compiuti da frate Giacomo da Fano nel 1242 (26), prima, cioè, che avvenisse la fusione in un unico ordine - sancita dalla costituzione pontificia del 9 aprile 1256 - di varie congregazioni eremitiche, diffuse particolarmente nell'Italia centro-settentrionale, ma anche oltralpe (27). Tuttavia, sul finire del secolo, i frati si spostarono verso il centro della città (parrocchia di S. Angelo), vendendo S. Anna ad una comunità di monache e dando avvio, con il consenso del vescovo castellano Bartolomeo II Querini e del loro proprio ordine, al nuovo locus di S. Stefano Protomartire (28).

Spetta appunto agli eremiti di s. Agostino, dopo i domenicani e i francescani, la posizione più notevole, per durata e capacità di affermazione, tra i nuovi ordini presenti a Venezia nel Duecento. Un altro loro insediamento nella diocesi castellana, S. Maria di Nazareth, è pure conosciuto dalla metà del secolo circa: un atto del maggio 1249 ricorda infatti la benedizione, da parte del vescovo Pietro Pino, della prima pietra della chiesa che i frati, già abitanti nell'isola omonima, intendevano edificare, attestando nel contempo il loro riconoscimento, salvi alcuni privilegi, della giurisdizione episcopale (29).

Per un certo periodo, si può parlare anche di una terza sede, S. Erasmo di Lido; una fondazione da tempo esistente (soggetta alla chiesa matrice di S. Maria e S. Donato di Murano, diocesi di Torcello) (30), il cui legame con gli eremitani, indicato, fra l'altro, da un cenno nel testamento di Marco Ziani (31), è reso evidente da due quietanze, datate entrambe 1265: la prima rilasciata da Pietro da Padova ai priori ed ai frati dei monasteri di S. Anna e S. Erasmo insieme (6 luglio), la seconda, e più significativa, da Marino Trevisan, prete di S. Maria di Murano e vicario del pievano Andrea Gausoni, a Giacomo, priore di S. Anna, per il fitto del monastero di S. Erasmo, appunto (ultimo di dicembre)(32).

Al medesimo ordine il Corner propose, con qualche incertezza tuttavia, di attribuire anche i religiosi di S. Andrea di Lido (33), una comunità - come varie altre di quest'epoca, piuttosto interessante ma solo superficialmente nota - istituita alla fine del secolo XII ad opera del prete Domenico Franco e sicuramente soggetta alla regola agostiniana (34). Ma l'ipotesi, priva di convincenti riscontri documentari, non sembra accettabile (35).

Degli ordini duecenteschi ai quali si attribuisce la definizione di mendicanti (36), furono ancora presenti a Venezia i saccati ed i carmelitani, mentre i servi di s. Maria vi si sarebbero stabiliti solo nel secondo decennio del Trecento (37).

Una breve durata ebbero i frati della penitenza di Gesù Cristo, spesso detti saccati (38), apparsi in Provenza intorno alla metà del secolo XIII e sviluppatisi soprattutto in quella regione, ma anche altrove, fino a contare oltre un centinaio di case, dall'Inghilterra alla Palestina, infine soppressi per volontà del concilio di Lione (1274) e quindi progressivamente scomparsi negli anni successivi (39). Dei frati del convento veneziano (S. Caterina, sestiere di Cannaregio) non si sa quasi nulla (40): una certa considerazione suscitano pertanto le citazioni della comunità o i nomi di alcuni suoi componenti che affiorano talvolta da qualche testamento o ricevuta per la riscossione di un lascito, anche dopo la decretata eliminazione dell'ordine (41). Il 25 maggio 1289 Bartolomeo I Querini, vescovo di Castello, in nome del pontefice Nicolò IV vendette, secondo la procedura generalmente seguita in tali casi, la sede, ormai spopolata, al laico Giovanni Bianco, il quale poco dopo ne fece dono alla badessa Bartolotta Giustinian, che vi avrebbe installato un gruppo di monache sotto la regola agostiniana (42).

I carmelitani ebbero una diversa vicenda: riparati in Europa dalla Terrasanta, dove l'ordine si era formato, essi vi ampliarono e consolidarono la loro penetrazione nel corso del Duecento, adattando nel contempo al modello mendicante l'originaria forma di vita eremitica (43).

Quando, e in quali circostanze, fossero arrivati a Venezia non è possibile dire, ma certo alcuni frati erano presenti verso la metà degli anni '70. Se ne comincia infatti allora a trovare qualche indizio, come l'attestazione rilasciata da frate Marino "de ordine carminum" a Marchesina, vedova e commissaria di Virgilio Signolo, dopo aver ricevuto un'elemosina per vestire, da lei fattagli per l'anima del marito (10 ottobre 1276) (44).

Sul finire del secolo era fondato il convento ed avviata la costruzione della chiesa di S. Maria del Carmelo, nel sestiere di Dorsoduro. Alla nuova comunità non mancarono il favore dei fedeli e le loro elemosine, spesso destinate appunto ai lavori per la chiesa (45): a scapito, soprattutto, del clero della parrocchia di S. Margherita, con il quale i frati erano più direttamente entrati in concorrenza, suscitando quindi attriti e controversie (46).

Il quadro della presenza mendicante in ambito lagunare non è tuttavia ancora compiuto. Sono infatti da aggiungere, tra gli insediamenti sicuramente documentati, i due loci, l'uno dei francescani, l'altro dei domenicani, a Chioggia, centro episcopale e nucleo urbano allora in espansione (47).

Le notizie riguardo ai minori sono esigue e poco soddisfacenti. Per ora, fra l'asserita fondazione ad opera di s. Antonio da Padova (48), nel terzo decennio del secolo, e le tardive (ultimo ventennio) indicazioni documentarie riferite da storici più o meno recenti (49), è possibile rilevare con sicurezza - anche se, naturalmente, in modo tutt'altro che definitivo - l'esistenza di una comunità francescana almeno dagli anni intorno al 1250. A partire dai quali è abbastanza frequente trovare citazioni dei frati, come al solito, in testamenti e quietanze per elemosine: ad esempio, nella ricevuta rilasciata il 28 aprile 1253 ai commissari di Marco Nicolao da Federico Giustinian, "procuratore dei frati minori di Chioggia" (50).

Per i domenicani disponiamo invece di un preciso termine di riferimento, costituito dall'autorizzazione del capitolo generale dell'ordine, tenutosi a Bordeaux nel 1287, ad istituire nella provincia di Lombardia una casa, da situare appunto in Chioggia (51). Ma un gruppo di religiosi doveva già essere lì da qualche tempo, se il 22 ottobre 1285 Lorenzo Belli di S. Agata, dettando il suo testamento, destinava un'elemosina "ai frati predicatori di Chioggia" (52).

Alla varietà e alla frequenza di fondazioni maschili dei mendicanti, nel centro realtino e nelle isole, fa riscontro un solo convento femminile, quello di S. Maria Madre di Cristo, poi S. Chiara, delle suore minori. L'avvio della sua costruzione va fatto risalire al settembre 1236, quando - come apprendiamo da un documento del maggio seguente - Giovanni Badoer, il medesimo benefattore dei francescani, con Maria e Lavinia figlie di Pietro Badoer, donò un terreno nella contrada di S. Croce alla priora Costanza ed alle suore "dell'ordine di s. Damiano" (53). I caratteri di tale comunità non sono ben definiti per le origini, ma la successiva storia del monastero (a volte indicato anche con le denominazioni di S. Maria della Cella o "iuxta canalem prope Giratam") (54) si potrebbe tracciare abbastanza puntualmente. Qui rileveremo almeno che esso, come in genere gli altri variamente entrati a far parte del medesimo ordine, in un periodo di grande vivacità religiosa del mondo femminile, si orientò, conformemente alle direttive papali di Gregorio IX e di Innocenzo IV soprattutto, verso la scelta patrimoniale (55), estendendo via via i suoi possessi fondiari in diverse località della terraferma (56).

Al termine di questa presentazione d'insieme delle sedi tenute, in modo durevole o solo transitorio, da ciascun ordine, va pure prospettata, per quanto in via ipotetica, la possibilità che l'elenco non sia completo e che dalla vastissima documentazione veneziana emergano le attestazioni dell'esistenza di qualche altro insediamento, secondario o temporaneo (57).

Alle indicazioni reperibili nelle fonti scritte è anche affidata l'opportunità di intravedere qualche aspetto della struttura e della configurazione dei singoli complessi e delle loro eventuali variazioni nel corso del secolo, essendo infatti ben poche le tracce materiali duecentesche, a causa delle modifiche, dei rifacimenti, delle distruzioni successivamente intervenuti (58).

Ad esempio, da un passo del Liber Compostella del dotto francescano Bonaventura d'Iseo, presente a Venezia, come si ritiene, al tempo del doge Ranieri Zeno, apprendiamo che il locus della Vigna era "piccolo, ma bello ed ameno" (59); un lascito di Girardina, abitante nella contrada di S. Severo (5 ottobre 1279), segnala l'esistenza di un'infermeria degli eremitani (60); oppure, ancora, una deliberazione del maggior consiglio (24 febbraio 1294) precisa l'ampliamento dell'area occupata dai domenicani ai SS. Giovanni e Paolo (61).

I legami con la città

È facile comprendere l'interesse degli ordini mendicanti per Venezia. Il centro cittadino e l'ambiente lagunare offrivano varie possibilità di sistemazione e notevoli prospettive di accrescimento. Ma quali furono i caratteri delle relazioni che si instaurarono tra i frati e le diverse componenti, laiche ed ecclesiastiche, del mondo locale?

In primo luogo sono da considerare i rapporti con le autorità dello stato, tenuto conto della centralità e della funzionalità che esso, proprio nel corso di questo secolo, andò sviluppando, così da divenire, per chiunque, un imprescindibile termine di riferimento (62). Come generalmente avvenne nei luoghi dove si stabilirono, i mendicanti ottennero anche a Venezia la benevola attenzione dei poteri pubblici, che da un lato ne facilitarono la riuscita, andando incontro alle loro necessità, dall'altro ricorsero, in particolari circostanze, alla loro collaborazione.

Quanto al sostegno accordato ai religiosi, concretamente si trattò, per lo più (a quello che indicano alcuni provvedimenti, con la peculiare denominazione di "grazie", deliberati dal maggior consiglio) di elemosine elargite regolarmente, ogni anno, o in particolari circostanze, e di riduzioni, a volte di esoneri, nel pagamento dei dazi (63). Della concessione di grazie si parla ormai come di una consuetudine, riguardo ai minori ed ai predicatori, in una deliberazione del 19 aprile 1255: ad essi furono equiparati, il 14 marzo 1284, gli eremitani di S. Anna di Castello (la carità annuale risultava allora di 20 soldi di grossi, il versamento del dazio era limitato alla metà) (64).

La beneficenza statale non era, tuttavia, esclusivamente orientata verso i mendicanti, ma si rivolgeva, in modi simili, anche alle altre comunità religiose, nel quadro di una peculiare politica di sollecitudine per il buon andamento degli enti ecclesiastici, nel loro complesso.

Non solo, ma tale atteggiamento coesisteva con un diverso indirizzo, mirante a contenere ogni possibile espansione del clero, regolare e secolare, che comportasse prevaricazioni dell'autorità e degli interessi del comune. Indirizzo a sua volta manifestato da altre norme, approvate nel contempo dallo stesso maggior consiglio, come quella, votata il 27 giugno 1258 e successivamente ribadita e precisata più volte, che condizionava l'entrata in possesso, da parte di enti o singoli ecclesiastici, di proprietà loro in qualsiasi modo destinate all'adempimento dei medesimi obblighi fiscali previsti per i laici (65); oppure quella del 6 novembre 1296, fortemente restrittiva del ruolo di secolari e regolari nella stesura e nell'esecuzione dei testamenti (66).

Un moderato interesse i governanti veneziani dimostrarono pure nel richiedere o nell'accettare la collaborazione dei mendicanti (dei domenicani e francescani soprattutto, solo occasionalmente degli eremitani). Qualche volta si sollecitò il loro parere su particolari questioni interne (67), ma più che altro si ricorse ad essi per lo svolgimento di mediazioni ed ambascerie, specialmente presso la sede pontificia. Ad esempio, sono da ricordare le due ambasciate, composte ciascuna da due minori e due predicatori, incaricate rispettivamente, nel 1265, di portare a conoscenza della Curia romana la straordinaria conservazione di alcune reliquie dopo un forte incendio in S. Marco, avvenuto al tempo di Giacomo Tiepolo (68), e, nel 1285-86, di chiedere la revoca dell'interdetto che in quel momento colpiva Venezia (69).

Assai raramente, tuttavia, furono affidati ai religiosi compiti rilevanti per responsabilità o durata (70): ciò dipese dalla considerevole stabilità istituzionale ormai raggiunta dallo stato veneto e dalla sempre più accentuata articolazione delle sue strutture, sul piano politico, giuridico e amministrativo.

La disponibilità e le capacità, soprattutto diplomatiche, dei frati poterono del resto manifestarsi (ed essere apprezzate, come fa bene intendere il contemporaneo cronista Martin da Canal) (71) in altre forme, per quanto meno dirette, di cooperazione: dalla presenza, quali testimoni, alla stesura di trattati con città antagoniste, all'ospitalità offerta nelle proprie sedi, pure in occasione del raggiungimento di qualche accordo, all'opera pacificatrice comunque svolta, anche se in qualità di delegati della parte avversa. Gli esempi potrebbero essere numerosi: basterà segnalare l'assistenza di esponenti degli ordini domenicano e francescano, con altri ecclesiastici, a quasi tutti i passaggi attraverso i quali si conseguì, nel 1232-1233, un patto fra Venezia e Padova (72); oppure il rinnovo di una tregua con Genova, l'ultimo di dicembre del 1282 a Cremona, "in domo fratrum predicatorum"; infine la partecipazione di alcuni francescani, tra cui Bonaventura d'Iseo, alle trattative di pace con Bologna, nell'agosto 1273 (73).

Per altri aspetti, l'attività dei mendicanti destò invece nel governo veneto diffidenza ed opposizione. È nota la sua persistente contrarietà verso i frati che avrebbero dovuto esercitare anche a Venezia il loro ufficio antiereticale, secondo il nuovo sistema d'inquisizione avviato da Gregorio IX e sostenuto dai suoi successori, sistema ammesso dalle autorità cittadine, e non senza restrizioni e riserve, solo nel 1289, dopo un accordo con Nicolò IV (74) (non tanto a causa di propensioni o simpatie ereticali, come sembra evidente - sebbene di eretici ed eresie presenti nel mondo lagunare ben poco di preciso ancora si sappia (75) -, ma per la volontà di non farsi condizionare, nemmeno in questo ambito, dal potere ecclesiastico). Un riflesso della posizione ufficiale assunta a tale proposito si potrebbe cogliere, secondo O. Demus, nel programma della decorazione musiva dell'arco fra la quinta e la sesta cupola della basilica marciana, dove le immagini di s. Domenico e s. Pietro martire sarebbero "neutralizzate" da quelle dei "santi di stato" Biagio e Nicolò, dominando su tutti il personaggio della "Regina Austri", in foggia imperiale (76).

Nonostante i limiti determinati dalla politica ecclesiastica del governo, i mendicanti poterono ampiamente e solidamente affermarsi entro la società veneziana, a partire dai suoi stessi gruppi dirigenti. Di particolare significato l'esempio dei dogi - da Pietro Ziani († 1229) a Giovanni Dandolo († 1298) - e delle loro famiglie, che dimostrarono in vari modi la propria benevolenza: beneficando i frati, con lasciti testamentari soprattutto, scegliendone le chiese (quasi sempre SS. Giovanni e Paolo) come luoghi di sepoltura, ma anche impegnandosi direttamente, in vita, a loro favore. Pensiamo, fra tutti, a Ranieri Zeno († 1268): egli compare già fra i sottoscrittori, nella donazione del Tiepolo ai domenicani; come doge ricoprì, in alcune occasioni, il ruolo di procuratore dei minori, mentre nel testamento attribuì una parte cospicua dei suoi beni ai predicatori, presso i quali volle essere sepolto (77).

In varia forma e misura, le propensioni religiose di un personaggio così notevole furono condivise da molti esponenti, più o meno autorevoli, della vita pubblica. È il caso di Nicolò Tonisto, ricordato per la nomina alla podesteria veronese ai tempi dell'Alleluia e più volte segnalato, con differenti incarichi, in Italia e in Oriente, il quale pure si assunse il compito di procuratore dei francescani (78). E merita ancora richiamare Daniele Foscari, uno dei testi del citato accordo con Padova, particolarmente sollecito verso francescani e suore di s. Damiano e diretto partecipe delle loro vicende, nella fase originaria, in veste di procuratore o di testimone, per diversi atti (79).

Uno dei documenti sottoscritti appunto da Daniele Foscari è il testamento di Giovanni Bonceresio, da S. Agostino, che, ormai gravemente ammalato, destinava, fra l'altro, un'elemosina per il nuovo monastero di S. Maria Madre di Cristo (giugno 1240) (80). Il gesto, emblematico nella sua semplicità, introduce alla considerazione della rispondenza generalmente incontrata presso la popolazione dai nuovi ordini (81). Aspetto non facile da esaminare compiutamente, soprattutto per i problemi connessi alla particolare natura ed alla rilevante quantità delle fonti - i testamenti s'intende - cui è necessario rivolgersi, in modo pressoché esclusivo. La lettura di un campione abbastanza consistente di tali documenti permette comunque alcune osservazioni (82).

I frati dei cinque ordini figurano (naturalmente in misura relativa alla durata e all'importanza dei loro insediamenti: quindi francescani e domenicani anzitutto, poi agostiniani ed infine saccati e carmelitani) quasi sempre come beneficiari di lasciti, a titolo individuale, ma più spesso collettivo. Le elemosine, dapprima solo pecuniarie e senza specificazioni circa il loro impiego, si diversificano progressivamente riguardo al contenuto (oltre al denaro, vesti, libri, oggetti sacri, ma anche beni immobili o rendite dei medesimi) e alla destinazione (sepoltura del testatore, messe di suffragio, utilità di qualche frate, lavori nelle chiese e conventi): riflesso - a prescindere dalle peculiari condizioni e preferenze dei sempre più numerosi benefattori - delle variazioni nella pratica della povertà, sia da un ordine all'altro, sia in rapporto all'evoluzione interna di ciascuno.

Assai di rado, tuttavia, i mendicanti - e meno ancora una sola delle loro comunità - furono oggetto in maniera esclusiva della concreta benevolenza dei testatori veneziani: da questo punto di vista, la riuscita dei nuovi ordini fu infatti considerevolmente limitata dalla presenza dei molti monasteri, maschili e femminili, di varie obbedienze (alcuni forti del prestigio conferito da un'antica tradizione, o da una rigorosa condotta) (83), nonché del clero delle parrocchie e delle comunità canonicali (84).

Per il resto, non è tanto frequente incontrare qualche frate esplicitamente ricordato in qualità di consigliere o di padrino (spirituale, come talora si precisa), mentre paiono pressoché preclusi ai mendicanti gli incarichi di esecutore e fidecommissario, altrove da loro spesso adempiuti: ciò soprattutto, sembra, nel primo caso per l'ascendente mantenuto, nello svolgere certi ruoli, dal clero secolare (cui appartenevano normalmente gli stessi notai), nel secondo per la competenza e l'autorevolezza acquisite, proprio nel corso del secolo XIII, dall'importante ufficio dei procuratori di S. Marco, che del compimento delle disposizioni testamentarie fecero una loro attività essenziale (85).

Se la propensione, la carità, la fiducia della popolazione veneziana di ogni ceto verso i nuovi ordini sono ampiamente attestate e conoscibili dal punto di vista delle determinazioni individuali, ben poco s'intravede tuttora del rapporto laici-mendicanti a livello di quelle particolari associazioni religiose che furono le scuole di devozione e gli ordini della penitenza. Quanto alle prime abbiamo comunque l'indicazione dell'esistenza, negli ultimi decenni del secolo, di scuole legate rispettivamente ai minori ed ai predicatori (86); dei secondi sappiamo anche meno: perciò merita segnalare, oltre ai rappresentanti veneziani al capitolo bolognese dei penitenti francescani nel 1289 (87), l'isolata - e vaga - presenza di un "frate Alessandro dell'ordine dei frati della penitenza", nell'atto di dare, quale procuratore del monastero di S. Giuliano "de Buca Fluminis", la ricevuta per un lascito (11 aprile 1253) (88).

L'ultimo aspetto da esaminare - per quanto in maniera molto sommaria, come d'altronde necessariamente gli altri sinora affrontati - è quello delle relazioni fra i mendicanti ed il restante clero, secolare e regolare: relazioni piuttosto mutevoli, naturalmente, secondo i tempi, le persone, le situazioni.

Non sembra che, sul principio, l'inserimento di minori, predicatori ed agostiniani (e presumibilmente anche dei saccati) abbia provocato reazioni palesemente negative o addirittura conflittuali da parte delle autorità ecclesiastiche, del clero parrocchiale o di qualche ente monastico. Sono anzi individuabili atteggiamenti favorevoli, come quello riflesso nella raccomandazione del vescovo (castellano) di beneficare i domenicani, raccomandazione di cui rimane traccia nel testamento (febbraio 1230) di Nicolò Girardo, pievano di S. Moisè, notaio e cancelliere ducale (89). Inoltre esponenti dei primi due ordini, in particolare, si occuparono talvolta, su designazione pontificia, di dirimere questioni riguardanti la chiesa locale (è noto, ad esempio, l'incarico affidato nel 1232 da Gregorio IX al priore dei predicatori ed al ministro dei minori veneziani di interessarsi di una divergenza relativa ai monasteri cistercensi di S. Matteo di Costanziaco e S. Tommaso di Torcello) (90).

Dissidi e conflitti di varia importanza avrebbero invece coinvolto i mendicanti in seguito alla loro stessa espansione ed al concomitante sviluppo del centro realtino: da un lato, l'aumento delle prerogative e dei privilegi acquisiti, a livello sia generale che locale, dai frati, forti del sostegno pontificio, dall'altro, l'infittirsi del tessuto urbano e la riduzione degli spazi disponibili avrebbero infatti, in determinate circostanze, dato origine a contrasti, soprattutto con i secolari, i più colpiti dalla concorrenza esercitata sul piano apostolico dai nuovi ordini (91).

Già si è accennato alla controversia fra i carmelitani ed il clero della parrocchia di S. Margherita; un'altra si verificò tra i minori di S. Maria ed il capitolo della chiesa di S. Pantalon, venendo risolta comunque abbastanza rapidamente (92), negli anni 1290-1291. Più gravi vertenze, tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90, interessarono gli eremitani ed il clero delle parrocchie di S. Angelo - per la costruzione da parte dei frati di alcuni edifici in tale contrada - e di S. Bartolomeo - per un conflitto di competenze relativo alla sepoltura di un fedele -. Entrambe le questioni, che travalicarono anche i limiti della diocesi, furono caratterizzate da un'accentuata animosità fra i contendenti: in special modo la seconda, nella quale il vescovo Bartolomeo I Querini, prendendo posizione a favore dei secolari, ebbe a scagliarsi duramente contro gli agostiniani (93).

Il Querini, dettando proprio a quell'epoca il suo lungo testamento, avrebbe, in effetti, trascurato le comunità degli eremitani, mentre provvedeva a beneficare i minori, i carmelitani (presso di lui abitava un loro converso) e particolarmente i predicatori, alcuni dei quali, cioè il priore ed i frati Nicolò da Treviso - poi Benedetto XI - e Marino Querini, a titolo personale (94).

Anche a prescindere dai contatti individuali, che indicazioni del genere rendono evidenti, meritano invero una specifica attenzione i legami dei domenicani con i vertici della Chiesa veneziana: non solo per gli incarichi ricevuti e la collaborazione talvolta prestata, ma perché non pochi esponenti dell'ordine furono titolari delle diocesi di Castello e Torcello e del patriarcato di Grado (95), mentre appena in qualche caso questi, o altri simili ruoli spettarono a francescani ed eremitani (96).

Furono dunque molte, ed aperte a vari livelli, le possibilità per i mendicanti di influire sul mondo realtino e lagunare, numerosi gli strumenti d'apostolato e d'azione, in diversi campi, di cui soprattutto i primi due ordini ebbero modo di avvalersi, come fu considerevole la rispondenza incontrata. Si trattò comunque, a quanto finora si può stabilire, di una riuscita priva di aspetti clamorosi o di accentuazioni eccessive, quali talora si manifestarono altrove, di un'affermazione sicura, ma sempre mantenuta entro i saldi contorni che imponevano la forza della tradizione religiosa locale, la concorrente presenza di antiche e recenti istituzioni ecclesiastiche, devote, assistenziali, e soprattutto la crescente incisività dello stato.

Al quale stato, nondimeno, ed alla gente da esso governata, proprio un frate, il domenicano Enrico da Rimini, avrebbe rivolto, probabilmente verso la fine del secolo, un elogio dei più fervidi: sulla via del "mito" (97).

1. Bonaventurae Legenda maior s. Francisci, in Analecta franciscana [...>, X, Legendae s. Francisci Assisiensis saeculis XIII et XIV conscriptae, Quaracchi-Firenze 1926-41, pp. 595-596.

2. Andreae Danduli Chronica per extensum descripta a. 46-1280 d.C., a cura di Ester Pastorello, in R.I.S.2, XII, 1, 1938-58, pp. 289-290.

3. Il costituirsi della relativa tradizione agiografico-storiografica è indicato da Camillo Bianchi-Francesco Ferrari, L'isola di San Francesco del Deserto. Ricerca storica e intervento di restauro, Padova [1970>, pp. 11-55 (dove si esprime una valutazione in senso affermativo dell'episodio).

4. Cf. soprattutto Marie Humbert Vicaire, Storia di san Domenico, a cura di Valerio Ferrua, Roma 19832, pp. 639-640 e le attestazioni contenute negli Acta canonizationis s. Dominici, a cura di Angelus Walz, in Monumenta ordinis fratrum praedicatorum historica, XVI, Monumenta historica sancti patris nostri Dominici, II, Romae 1935, pp. 127, 148.

5. Le "prime modalità insediative dei francescani" a Venezia sono esaminate da Luigi Pellegrini, Il Veneto, in Id., Insediamenti francescani nell'Italia del Duecento, Roma 1984, pp. 194-198 (pp. 189-221: saggio apparso, con alcune modificazioni, sotto il titolo Modalità insediative e organizzazione territoriale dei francescani in territorio veneto nel secolo XIII, in AA.VV., Storia e cultura a Padova nell'età di sant'Antonio. Convegno internazionale di studi. Padova-Monselice, 1-4 ottobre 1981, Padova 1985, pp. 153-189). Per i domenicani si può ricorrere (ma con cautela) alle indicazioni di Costanzo Albasini, San Domenico e i suoi a Venezia, Venezia 1922, pp. 33-41.

6. L'inserimento e lo sviluppo degli ordini mendicanti a Venezia non sono ancora stati studiati adeguatamente. Sebbene le fonti siano numerose, la bibliografia, soprattutto recente, alla quale rifarsi è esigua; per qualche cenno in proposito v. Fernanda Sorelli, I nuovi religiosi. Note sull'insediamento degli ordini mendicanti, in La chiesa di Venezia nei secoli XI-XIII, a cura di Franco Tonon, Venezia 1988, pp. 135-152 (anche per le indicazioni di essenziali lavori, di carattere generale o specifico, che qui non si possono richiamare). La data cronica dei documenti citati è riferita all'uso attuale; la data topica, dove non espressa, è da intendere Rialto (Venezia).

7. A.S.V., Procuratori di S. Marco, de ultra, b. 276, carte Tron Andrea, notaio Bartolomeo dei SS. Apostoli.

8. Ivi, Cancelleria inferiore, Notai, b. 30, nr. 12, notaio Domenico Caravello (exemplum dello stesso, datato settembre 1230); edizione parziale di Niccolò Spada, I frati minori a Venezia nel terzo decennio del Duecento, "Le Venezie Francescane", 1, 1932, pp. 75-76 (pp. 71-76).

9. Documento edito da Silvano Borsari, Una famiglia veneziana del Medioevo: gli Ziani, "Archivio Veneto", ser. V, 110, 1978, pp. 54-64 (pp. 27-72).

io. L'espansione dei predicatori fu dapprima assai più lenta e contenuta di quella dei minori: cf. Marie Humbert Vicaire, "Vesperus" (l'étoile du soir) ou l'image de saint Dominique pour ses frères au XIIIe siècle, in Id., Dominique et ses prêcheurs, prefazione di Marie Dominique Chenu, Fribourg (Suisse) - Paris 1977, p. 284 (pp. 280-304). Anche la canonizzazione di Domenico (luglio 1234) avvenne con notevole ritardo rispetto a quella di Francesco (luglio 1228). In merito a quest'ultima va segnalato un esemplare della bolla Sicut fiale auree (Perugia, 9 luglio 1228), inviato da Gregorio IX al patriarca di Grado ed al clero sottoposto affinché promuovessero il culto del nuovo santo: A.S.V., S. Maria Graziosa dei Frari, b. 97, nr. 1 e cf. Williell R. Thomson, Checklist of Papal Letters Relating to the Three Orders of St. Francis-Innocent III-Alexander IV, "Archivum Franciscanum Historicum", 64, 1971, p. 384, nr. 72 (pp. 367-580).

11. Per il testo del documento e la figura del Michiel v. C. Bianchi-F. Ferrari, L'isola di San Francesco, pp. 59-69. La questione delle originarie costruzioni francescane del luogo è considerata da Marcello Salvatori, S. Francesco del Deserto: osservazioni sulle fonti letterarie ed osservazioni metrologiche sui resti delle primitive costruzioni, in Esperienze minoritiche nel Veneto del Due-Trecento. Atti del convegno nazionale di studi francescani (Padova, 28-29-30 settembre 1984), "Le Venezie Francescane", n. ser., 2, 1985, pp. 97-104.

12. Cf. Flaminio Corner, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis nunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, Venetiis 1749, dd. IX-X, pp. 279 e 301-302, con le annotazioni e le aggiunte di Niccolò Spada, Le origini del convento dei Frari, "Le Venezie Francescane", 1, 1932, pp. 163-171.

13. F. Corner, Ecclesiae Venetae, dd. IX-X, p. 280.

14. Ibid., pp. 302-303.

15. Al riguardo cf. specialmente Giovanni Miccoli, La storia religiosa, in AA.VV., Storia d'Italia, II, 1, Dalla caduta dell'Impero romano al secolo XVIII, Torino 1974, pp. 734-781 (pp. 429-1079); Grado G. Merlo, Tensioni religiose agli inizi del Duecento. Il primo francescanesimo in rapporto a tradizioni eremitico-penitenziali, esperienze pauperistico-evangeliche, gruppi ereticali e istituzioni ecclesiastiche, Torre Pellice 1984 (con un'ampia bibliografia). La diffusione dei francescani a Venezia e nel Veneto è delineata da Francesco Ferrari, Il francescanesimo nel Veneto. Dalle origini ai reperti di S. Francesco del Deserto. Appunti per una storia della provincia veneta dei frati minori, Bologna 1990.

16. Il documento è pubblicato da F. Corner, Ecclesiae Venetae, d. XI, 1, pp. 278-279. Sono numerosi gli esempi del sostegno con cui i pubblici poteri promossero la creazione di sedi stabili per i mendicanti, in Italia e altrove. Ricordo solo, per un significativo confronto, il caso di Perugia, dove "nel 1234 i domenicani ricevono in forma solenne dalle autorità del comune il terreno su cui sarebbe sorto il loro grande insediamento cittadino": Anna Imelde Galletti, Insediamento e primo sviluppo dei frati minori a Perugia, in AA.VV., Francescanesimo e società cittadina: l'esempio di Perugia, Perugia 1979, p. 9 (pp. 1-44).

17. Cf. N. Spada, Le origini del convento, pp. 163-169. Non sono attualmente individuabili riscontri documentari ad altre ricostruzioni delle origini di S. Maria dei Frari, come ad esempio quella proposta da Gioan Carlo Sivos (nato nel 1557), secondo il quale, considerando il doge "la bontà di essi fratti, et non parendoli convenienti a loro quelle stantie ove habitavano, le fu provisto per la Signoria de darle una habitatione, et così le fu concesso uno certo terreno vacuo dietro a S. Stino" (Vite de' dosi di Venetia, I, c. 75: Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. Cr 1338, prov. Correr, c. 410).

18. A. Danduli Chronica, rispettivamente pp. 295 e 294.

19. Cf. André Vauchez, Una campagna di pacificazione in Lombardia verso il 1233. L'azione politica degli ordini mendicanti nella riforma degli statuti comunali e gli accordi di pace, in Id., Ordini mendicanti e società italiana XIII-XV secolo, Milano 1990, pp. 119-161.

20. Per la politica veneziana nei confronti delle città di terraferma in tale periodo v. Roberto Cessi, Venezia nel Duecento: tra Oriente e Occidente, Venezia 1985 (ma risalente agli anni '60), pp. 109-111; Giorgio Cracco, Società e stato nel medioevo veneziano (secoli XII-XIV), Firenze 1967, pp. 126-131.

21. Carl Sutter, Johann von Vicenza und die italienische Friedensbewegung im jahre 1233, Freiburg i. B. 1891, p. 141; Giorgio Cracco, Da comune di famiglie a città satellite (1183-1311), in Storia di Vicenza, II, L'età medievale, a cura di Id., Vicenza 1988, pp. 97-99 (pp. 73-138).

22. Cf. H. Vicaire, Storia di san Domenico, pp. 487, 576, 642; Acta canonizationis, pp. 160-164.

23. Cf. Francesca Cavazzana Romanelli, Storia e restauri, in AA.VV., Studi veneziani. Ricerche di archivio e di laboratorio, "Bollettino d'Arte", suppl. 5, 1983, pp. 14, 27 (pp. 13-32); Piera Garbellotto, Il complesso domenicano dei Santi Giovanni e Paolo. Secoli XIII-XV, tesi di laurea, Università di Venezia, IUAV, a.a. 1985-86, pp. 20-25. Inoltre, per una presentazione d'insieme, v. Elisabeth Crouzet-Pavan, "Sopra le acque salse". Espaces, pouvoir et société à Venise à la fin du Moyen Âge, prefazione di Pierre Toubert, I, Roma 1992, pp. 97-116.

24. Per tale struttura e le zone limitrofe v. specialmente Ennio Concina, L'Arsenale della Repubblica di Venezia, Milano 1984, pp. 9-24.

25. La vicenda è molto nota: cf. F. Corner, Ecclesiae Venetae, d. XI, 2, pp. 10-13, 40-46, da integrare con le precisazioni di Alberto Limentani, Approssimazioni alla biografia di un cronista duecentesco: Martino da Canal e gli Ziani, in AA.VV., Studi in onore di Italo Siciliano, II, Firenze 1966, pp. 664-665 (pp. 657-675); v. inoltre Irmgard Fees, Reichtum und Macht im mittelalterlichen Venedig. Die Familie Ziani, Tübingen 1988, pp. 218-220. Il testamento di Marco è pubblicato da S. Borsari, Una famiglia veneziana, pp. 64-72.

26. I relativi documenti sono editi da F. Corner, Ecclesiae Venetae, d. VI, pp. 261-264. Quanto all'originaria appartenenza religiosa di Giacomo da Fano, si pensa alla congregazione brettinese, così chiamata dalla località di Brettino, nei pressi di Fano, appunto. Suscita tuttavia qualche perplessità l'espressione "de ordine heremitarum de Bramis", con cui il frate è designato nei primi due atti che lo riguardano: cf. Maria Pia Pedani, Monasteri di Agostiniane a Venezia, "Archivio Veneto", ser. V, 125, 1985, p. 40 (pp. 35-78).

27. Per la formazione e lo sviluppo di tale ordine v. soprattutto: Kaspar Elm, Italienische Eremitengemeinschaften des 12. und 13. Jahrhunderts. Studien zur Vorgeschichte des Augustiner-Eremitenordens, in AA.VV., L'eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII. Atti della seconda settimana internazionale di studio. Mendola, 30 agosto - 6 settembre 1962, Milano 1965, pp. 491-559; Benigno van Luijk, Gli eremiti neri nel Dugento con particolare riguardo al territorio pisano e toscano. Origine, sviluppo ed unione, Pisa 1968; David Gutiérrez, Die Augustiner im Mittelalter 1256-1356, Würzburg 1985.

28. Cf. F. Corner, Ecclesiae Venetae, d. VI, pp. 254, 265-266; dd. XIV-XV-XVI, 1, pp. 305-307, 313 ed il documento di ratifica accordato dal vicario e dai definitori del capitolo generale dell'ordine (il 2 giugno 1298, presso il convento degli eremitani di Milano), essendo vacante la carica di priore generale (A.S.V., S. Anna di Castello, b. 1 Pergamene).

29. F. Corner, Ecclesiae Venetae, d. XII, pp. 298-300, 304-306.

30. In merito sono reperibili poche notizie: v. soprattutto Id., Ecclesiae Torcellanae antiquis monumentis nunc etiam primum editis illustratae, II, Venetiis 1749, pp. 139-140.

31. Lo Ziani lascia 50 lire ciascuno "Sancto Herasmo, Sancte Mafie de Nazareth et Sancte Anne, fratribus heremitanis" (S. Borsari, Una famiglia veneziana, p. 67); v. anche I. Fees, Reichtum und Macht, p. 220 n. 145, dove è segnalata un'altra attestazione, relativa al 1256.

32. I due atti si trovano all'A.S.V., S. Anna di Castello, b. 1 Pergamene (notai rispettivamente Antonio di S. Sofia e Donato Pantaleo). Gli eremitani dovettero aver lasciato tale sede entro l'estate 1288: infatti in un documento del 30 settembre di quell'anno le terre di S. Erasmo risultano locate, insieme con la chiesa, da Andrea Gausoni e dal clero di S. Maria di Murano a Nicolò Minio di S. Angelo, sin dall'agosto precedente (Padova, Archivio di Stato, Pergamene diverse, mazzo 16, nr. 340, notaio Gerardo Massaruto). All'individuazione di questi e di vari altri documenti qui utilizzati sono giunta attraverso lo spoglio dei regesti dattiloscritti della raccolta curata da Luigi Lanfranchi (presso la Soprintendenza archivistica per le Venezie).

33. F. Corner, Ecclesiae Venetae, d. XII, pp. 135-139; Id., Supplementa ad Ecclesias Venetas et Torcellanas antiquis documentis nunc etiam primum editis illustratas, Venetiis 1749, p. 372.

34. La denominazione "monasterium Sancti Andree de Litore ordinis sancti Augustini" compare ad esempio in un documento papale riportato in una sentenza emessa dal vescovo castellano il 19 gennaio 1239 (notaio Antolino Pagano: A.S.V., Procuratori di S. Marco, de ultra, b. 116, commissaria Darpo Ranieri).

35. Sulla presenza degli eremiti agostiniani a Venezia cf. pure Francis Roth, Cardinal Richard Annibaldi First Protector of the Augustinian Order, Appendix 1-2, The Houses of the Augustinian Order before the Great Union, "Augustiniana", 3, 1953, pp. 307, 313 (pp. 283-313), dove si registrano rispettivamente S. Maria di Nazareth per i giambonini e S. Anna per i brettinesi.

36. Cf. ad esempio Franco Andrea Dal Pino, L'evoluzione dell'idea di mendicità nel Duecento, in Esperienze minoritiche nel Veneto del Due-Trecento. Atti del convegno nazionale di studi francescani (Padova, 28-29-30 settembre 1984), "Le Venezie Francescane", n. ser., 2, 1985, pp. 11-36.

37. Antonio M. Vicentini, S. Maria de' Servi in Venezia, Treviglio 1920, p. 4.

38. Su quest'ordine v. Richard W. Emery, The Friars of the Sack, "Speculum", 18, 1943, pp. 323-334; Id., A Note on the Friars of the Sack, "Speculum", 35, 1960, pp. 591-595; Gabriele M. Giacomozzi, L'ordine della penitenza di Gesù Cristo. Contributo alla storia della spiritualità del sec. XIII, Roma 1962 (già negli "Studi Storici dell'Ordine dei Servi di Maria", 8, 1957-58, pp. 3-60 e 10, 1960, pp. 42-99); Robert I. Burns - Kaspar Elm, Penitenza di Gesù Cristo, frati della, in Dizionario degli istituti di perfezione, VI, Roma 1980, coll. 1398-1404.

39. Cf. Micheline De Fontette, Les mendiantes supprimés au 2e concile de Lyon (1274). Frères sachets et frères pies, in AA.VV., Les mendiants en pays d'Oc au XIIIe siècle, Toulouse-Fanjeaux 1973, pp. 193-213 (pp. 193-216).

40. Per le scarse notizie finora disponibili v. F. Corner, Ecclesiae Venetae, dd. XIV-XV-XVI, 1, pp. 201-203; G.M. Giacomozzi, L'ordine della penitenza, p. 40.

41. Ad esempio, si può segnalare l'elemosina "fratribus de saccis", prevista da Virgilio Signolo di S. Cassiano nel suo testamento del primo maggio 1271 (notaio Giovanni di S. Giovanni Confessore: A.S.V., Procuratori di S. Marco, de ultra, b. 262) e, fra le ultime attestazioni, il lascito di Uberto Zanasi, di S. Martino, nel testamento del 19 ottobre 1287: trascrizione di Francesca Arbitrio, Aspetti della società veneziana del XIII secolo (sulla base di 37 testamenti trascritti e pubblicati), tesi di laurea, Università di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1979-80, p. 42.

42. La relativa documentazione si legge in F. Corner, Ecclesiae Venetae, dd. XIV-XV-XVI, 1, pp. 208-216; cf. anche pp. 203-206.

43. Cf. Franco Andrea Dal Pino, I frati servi di s. Maria dalle origini all'approvazione (1233 ca.-1304), I, 2, Storiografia-Fonti-Storia, Louvain 1972, pp. 622-632, e la voce Carmelitani, in Dizionario degli istituti di perfezione, II, Roma 1975, per i contributi di Ludovico Saggi, coll. 460-462 (coll. 460-476) e di Otger Steggink, coll. 476-479 (coll. 476-501).

44. A.S.V., Procuratori di S. Marco, de ultra, b. 262, notaio Arceto di S. Bartolomeo. Nel testamento di Virgilio Signolo (v. n. 41) si stabilisce una somma per vestire poveri religiosi, senza tuttavia far menzione dei carmelitani: si potrebbe dunque supporre che l'arrivo di costoro fosse avvenuto dopo il maggio 1271 (o almeno intorno a quell'epoca).

45. Vi pensò anche, oltre ad altri meno illustri personaggi, il vescovo Bartolomeo I Querini (testamento del 15 febbraio 1291: trascrizione di F. Arbitrio, Aspetti della società, p. 97).

46. Cf. F. Corner, Ecclesiae Venetae, dd. IX-X, pp. 252-260.

47. Cf. Richard J. Goy, Chioggia and the Villages of the Venetian Lagoon. Studies in Urban History, Cambridge 1985, pp. 16-26.

48. A questa tradizionale attribuzione accenna L. Pellegrini, Il Veneto, pp. 191-193.

49. Per esempio, cf. Antonio Sartori, Archivio Sartori. Documenti di storia e arte francescana, II, 1, La provincia del Santo dei frati minori conventuali, a cura di Giovanni Luisetto, Padova 1986, p. 469.

50. A.S.V., Cancelleria inferiore, Notai, b. 65, nr. 2, notaio Donato di S. Stefano Confessore.

51. Acta capitulorum generalium ordinis praedicatorum, I, Ab anno 1220 usque ad annum 1303, a cura di Benedictus Maria Reichert, Romae-Stuttgardiae 1898, p. 240.

52. Cito dalla trascrizione di Maria Cristina Bellato, Aspetti di vita veneziana del XIII secolo (sulla base di 26 testamenti trascritti e pubblicati), tesi di laurea, Università di Padova, Facoltà di Magistero, a.a. 1976-77, p. 363.

53. Cf. Niccolò Spada, Le origini del monastero di S. Chiara in Venezia, "Le Venezie Francescane", 2, 1933, pp. 92-103, oltre a F. Corner, Ecclesiae Venetae, dd. IX-X, pp. 140-143 e 160 (per il testo del documento, che qui figura con l'errata datazione al mese di marzo, corretta dallo Spada, p. 93).

54. Per esempio, nei documenti pubblicati da F. Corner, Ecclesiae Venetae, dd. IX-X, rispettivamente pp. 168 e 162.

55. Al riguardo v., tra l'altro, Roberto Rusconi, L'espansione del francescanesimo femminile nel secolo XIII, in AA.VV., Movimento religioso femminile e francescanesimo nel secolo XIII. Atti del VII convegno internazionale. Assisi, 11-13 ottobre 1979, Assisi 1980, pp. 263-313 (specialmente pp. 285-290). Per la comunità veneziana, in particolare, va ricordata la bolla di Innocenzo IV, Religiosam vitam eligentibus, del 18 maggio 1247 (pubblicata da F. Corner, Ecclesiae Venetae, dd. IX-X, pp. 162-164).

56. Una buona documentazione in merito è all'A.S.V., S. Chiara, bb. 1 e 2 Pergamene. Per la storia del convento cf. anche F. Ferrari, Il francescanesimo nel Veneto, pp. 223-227.

57. Ad esempio A. Sartori (Archivio Sartori, II, 2, pp. 1741, 2063, 2066) accenna ad ulteriori sedi francescane, ma le sue indicazioni attendono, almenc per il Duecento, esaurienti prove documentarie.

58. Per le informazioni essenziali al riguardo cf. Umberto Franzoi - Dina Di Stefano, Le chiese d Venezia, s.l. 1976, alle voci opportune e Giandomenico Romanelli, Architettura sacra e spazi urbani, in La chiesa di Venezia tra Medioevo ed età moderna, a cura di Giovanni Vian, Venezia 1989, pp. 217-233; per Chioggia, cf. Ennio Concina, Chioggia. Saggio di storia urbanistica dalla formazione al 1870, Treviso 1977, p. 228.

59. Cf. Athanasius Lopez, Descriptio codicum franciscanorum Bibliothecae Riccardianae Florentianae, "Archivum Franciscanum Historicum", 1, 1908, pp. 116-117 (pp. 116-125) e Cesare Vasoli, Bonaventura d'Iseo, in Dizionario Biografico degli Italiani, XI, Roma 1969, pp. 635-636.

60. A.S.V., S. Stefano, b. 3 Pergamene, notaio Leonardo Deodato; nel testamento non è precisato il titolo del locus.

61. Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di Roberto Cessi, II-III, Bologna 1931-34: III, p. 355, nr. 142.

62. Sull'articolarsi dell'organizzazione statale a quest'epoca v. R. Cessi, Venezia nel Duecento, pp. 1-18 e 241-242: Giorgio Zordan, L'ordinamento giuridico veneziano. Lezioni di storia del diritto veneziano con una nota bibliografica, Padova 1980, pp. 68-90.

63. Per ulteriori indicazioni cf. Fernanda Sorelli, L'atteggiamento del governo veneziano verso gli ordini mendicanti. Dalle Deliberazioni del Maggior Consiglio (secoli XIII-XIV), in Esperienze minoritiche nel Veneto del Due-Trecento. Atti del convegno nazionale di studi francescani (Padova, 28-29-30 settembre 1984), "Le Venezie Francescane", n. ser., 2, 1985, pp. 37-47.

64. Per i rispettivi testi v. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 23, nr. 15 e III, p. 62, nr. 6.

65. Ibid., II, p. 50, nr. 29. Fra le successive deliberazioni riguardanti il medesimo provvedimento si veda, per esempio, quella del 28 agosto 1283, che stabilisce severe sanzioni contro i notai responsabili della redazione di atti non conformi alla norma (ibid., III, pp. 45-46, nr. 145).

66. Ibid., III, p. 411, nr. 79.

67. Cf. ibid., II, pp. 231-232, nr. 13 (15 settembre 1265).

68. La vicenda è documentata da una serie di lettere del doge Ranieri Zeno, pubblicate nell'Appendice 1 ad A. Danduli Chronica, pp. 393-396.

69. Cf. Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, II, Venezia 19733, pp. 227-228 e F. Sorelli, L'atteggiamento del governo, p. 39.

70. Per un esempio di quanto poté verificarsi altrove, cf. l'intervento di minori e predicatori nelle "Riformagioni" degli statuti comunali bolognesi (1284): lo segnala Sandra Farina, I conventi mendicanti nel tessuto urbanistico di Bologna, "Storia della Città", 9, 1978, pp. 58, 60 (pp. 56-61).

71. Martin da Canal, Les estoires de Venise. Cronaca veneziana in lingua francese dalle origini al 1275, a cura di Alberto Limentani, Firenze 1972, pp. 192-193, 332-333 (dove si parla della pace fra Venezia e Bologna del 1273, di cui diremo fra breve), 352-353, ma soprattutto 334-335 (dove, commentando uno scambio di prigionieri fra Genova e Venezia, ottenuto da francescani e domenicani, l'autore afferma tra l'altro: "Di tali opere che i frati minori e predicatori promossero e realizzarono, tutti devono lodarli ed esser loro grati").

72. Cf. la documentazione pubblicata da Melchiorre Roberti, Studi e documenti di storia veneziana, II, I trattati fra Venezia e Padova anteriori al dominio ezzeliniano, "Nuovo Archivio Veneto" n. ser., 16, 1908, pp. 56-61 (pp. 5-61).

73. A.S.V., Pacta, reg. 4, rispettivamente cc. 21vb, 24ra e 69ra-70vb (numerazione recente).

74. Cf. Ilarino da Milano, L'istituzione dell'inquisizione monastico-papale a Venezia nel secolo XIII, "Collectanea Franciscana", 5, 1935, pp. 177-212, ristampato in Id., Eresie medievali. Scritti minori, con una Introduzione di Stanislao da Campagnola, Rimini 1983, pp. 449-482.

75. Per qualche indicazione v. Paolo Marangon, Aspetti dottrinali dell'eresia nella Marca trevigiana e a Venezia nel secolo XIII e nella prima metà del XIV, in Id., Il pensiero ereticale nella Marca trevigiana e a Venezia dal 1200 al 1350, Abano Terme (Padova) 1984, pp. 10, 30 (pp. 7-65).

76. Otto Demus, The Mosaics of San Marco in Venice, II, The Thirteenth Century, 1, Text, con un contributo di Kurt Weitzmann, Chicago-London 1984, p. 102.

77. Cf. rispettivamente F. Corner, Ecclesiae Venetae, d. XI, 1, p. 279; ibid., dd. IX-X, pp. 303-305; Andrea Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 19602 (riprod. anast. Firenze 1977), pp. 87-90 (pp. 78-94 per tutti i dogi di questo periodo).

78. Cf. sopra, n. 21; Raimondo Morozzo della Rocca - Antonino Lombardo, Documenti del commercio veneziano nei secoli XI-XIII, II, Torino 1940, p. 175; Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di Roberto Cessi, I, Bologna 1950, p. 213, nr. 144; A. Danduli Chronica, p. 292; R. Cessi, Venezia nel Duecento, p. 143; A.S.V., Procuratori di S. Marco, de ultra, b. 129, commissaria Fontana (dalla) Palma, nr. 39 (settembre 1242, notaio Donato di S. Stefano Confessore). Dovrebbe trattarsi sempre della stessa persona, per quanto il rischio di qualche omonimia non vada - al solito - trascurato.

79. M. Roberti, Studi e documenti, p. 60; F. Corner, Ecclesiae Venetae, dd. IX-X, pp. 302 e 160.

80. R. Morozzo della Rocca - A. Lombardo, Documenti del commercio, II, pp. 258-259.

81. In proposito v. anche le osservazioni di Giorgio Cracco, Mercanti in crisi: realtà economiche e riflessi emotivi nella Venezia del tardo Duecento, in AA.VV., Studi sul Medioevo veneto, Torino 1981, pp. 14-16 (pp. 7-24).

82. Solo una piccola parte dei testamenti duecenteschi conservati presso 1'A.S.V. (in diversi fondi, ma soprattutto in quelli della Cancelleria infèriore e dei Procuratori di S. Marco) è stata finora pubblicata: v., in particolare, le tesi di laurea citate alle nn. 41 e 52.

83. Cf. Monasteri benedettini nella laguna veneziana. Catalogo di mostra, a cura di Gabriele Mazzucco, Venezia 1983; Giovanni Spinelli, I monasteri benedettini fra il l000 ed il 1300, in La chiesa di Venezia nei secoli XI-XIII, a cura di Franco Tonon, Venezia 1988, pp. 109-133; M.P. Pedani, Monasteri di Agostiniane, pp. 35-41.

84. Ancora in La chiesa di Venezia nei secoli XI-XIII, cf. Daniela Rando, Aspetti dell'organizzazione della cura d'anime a Venezia nei secoli XI-XII, pp. 53-72 e Antonio Fabris, Esperienze di vita comunitaria: i canonici regolari, pp. 73-107.

85. Reinhold C. Mueller, The Procuratori di San Marco and the Venetian Credit Market, New York 1977, pp. 35-58.

86. Una scuola di S. Maria (della Misericordia) e di S. Francesco si dice fondata, nella relativa matricola, nel 1261 ai Frari: cf. Bartolomeo Cecchetti, Dei primordi della lingua italiana e del dialetto in Venezia, con Documenti in dialetto veneziano (1223-1401), raccolti e decifrati da Luigi Pasini, "Atti delle Adunanze dell'Istituto Regio Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", ser. III, 15, 1869-70, p. 1599 (pp. 1585-1626). Ad una scuola dei frati predicatori è fatto cenno nel testamento di Filippa Semitecolo, di S. Vito, del 16 giugno 1270 (trascrizione di M.C. Bellato, Aspetti di vita, p. 251). Ma per tale argomento, e per gli orientamenti religiosi dei laici, cf. in questo volume il contributo di Giuseppina De Sandre Gasparini.

87. Gilles Gérard Meersseman, Dossier de l'Ordre de la pénitence au XIIIe siècle, Fribourg (Suisse) 19822, pp. 172-173.

88. A.S.V., Cancelleria inferiore, Notai, b. 65, nr. 5, notaio Pietro Dente.

89. Nicolaus Coleti, Monumenta ecclesiae Venetae Sancti Moysis [...>, Venetiis 1758, pp. 80-84. Ringrazio Giuseppina De Sandre per avermi segnalato il documento.

90. Cf. San Maffio di Mazzorbo e Santa Margherita di Tortello, a cura di Lina Frizziero, Firenze 1965, p. 25.

91. Sull'argomento, in generale, v. Luigi Pellegrini, Mendicanti e parroci: coesistenza e conflitti di due strutture organizzative della "cura animarum", in Francescanesimo e vita religiosa dei laici nel '200. Atti dell' VIII convegno internazionale. Assisi, 16-18 ottobre 1980, Assisi 1981, pp. 129-167. Per un quadro della vita religiosa del tempo cf. anche Robert Brentano, Due chiese: Italia e Inghilterra nel XIII secolo, Bologna 1972.

92. Cf. N. Spada, Le origini del convento, pp. 164-167 e 170-171.

93. Vari documenti relativi a tali questioni si trovano all'A.S.V., S. Stefano, bb. 3 e 4 Pergamene.

94. Trascrizione del testamento di F. Arbitrio, Aspetti della società, pp. 83-109.

95. Cf. Antonio Rigon, I vescovi veneziani nella svolta pastorale dei secoli XII e XIII, in La chiesa di Venezia nei secoli XI-XIII, a cura di Franco Tonon, Venezia 1988, pp. 37-40 (pp. 31-51).

96. V., rispettivamente, le segnalazioni di Girolamo Vianelli, Nuova serie de' vescovi di Malamocco e di Chioggia [...>, I, Venezia 1790, pp. 164-179 e di A. Rigon, I vescovi veneziani, p. 49 n. 53.

97. Per il testo di Enrico da Rimini v. David Robey - John Law, The Venetian Myth and the "De republica Veneta" of Pier Paolo Vergerio, "Rinascimento", ser. II, 15, 1975, pp. 52-56 e 8-13 (pp. 3-59); per la sua datazione, Angelo Ventura, Scrittori politici e scritture di governo, in AA.VV., Storia della cultura veneta, 3/III, Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, Vicenza 1981, p. 534 (pp. 513-563).