Gli uomini, che mascalzoni

Enciclopedia del Cinema (2004)

Gli uomini, che mascalzoni…

Claudio G. Fava

(Italia 1932, bianco e nero, 67m); regia: Mario Camerini; produzione: Emilio Cecchi per Cines-Pittaluga; soggetto: Aldo De Benedetti, Mario Camerini; sceneggiatura: Aldo De Benedetti, Mario Camerini, Mario Soldati; fotografia: Massimo Terzano, Domenico Scala; montaggio: Mario Camerini, Fernando Tropea; scenografia: Gastone Medin; musica: Cesare A. Bixio.

Bruno è un disinvolto giovanotto milanese, autista di famiglia che ha modo, grazie al suo lavoro, di guidare automobili di tutto rispetto. Per impressionare Mariuccia, figlia di un tassista e commessa in un negozio di profumeria, finge di essere il proprietario di un'auto di lusso e convince la ragazza ad accompagnarlo in una gita ai laghi. Per sua sfortuna Bruno, appena arrivato, si imbatte, non visto, nella moglie del suo datore di lavoro e, per non essere scoperto, è costretto a ritornare precipitosamente in città con la macchina, senza riuscire ad avvertire Mariuccia che lo aspetta in una trattoria. Mariuccia non ha denari con sé ed è costretta a passare la notte nel locale grazie alla comprensione della padrona; riesce poi a tornare casa aiutata dal figlio di quest'ultima. Durante il viaggio di ritorno a Milano, Bruno, che guida ovviamente alla massima velocità, ha un incidente e perciò viene scoperto e licenziato. La fuga, apparentemente immotivata, di Bruno avvelena i suoi rapporti con Mariuccia: egli la cerca al negozio per scusarsi, ma lei lo respinge. Dal canto suo il giovanotto, grazie ai piccoli annunci del giornale, trova un nuovo impiego. Per una curiosa combinazione, il nuovo 'padrone' di Bruno invita Mariuccia nella sua auto e la ragazza fa finta di flirtare con lui, finché Bruno, folle di gelosia, si licenzia. Da quel momento i due fanno il possibile per ingelosirsi reciprocamente. Tuttavia Mariuccia, sempre innamorata, senza dir nulla a Bruno lo raccomanda a un industriale e gli procura un piccolo lavoro di dimostratore: armato di un megafono invita i passanti alla Fiera di Milano, dove lei stessa lavora in uno stand di profumeria. Ma la ragazza è costretta ad accettare un invito dell'industriale al luna park. Il giovanotto, per vendicarsi, finge di far la corte a una commessa, impiegata proprio nello stand di fronte a quello di Mariuccia. Ma quando vede quest'ultima fuggire in lacrime, la falsa indifferenza di Bruno si incrina: la insegue e si fa perdonare. Entrambi salgono poi su un taxi, che è proprio(ma loro non se ne erano accorti) quello guidato da Tadino, padre di Mariuccia. Il quale, alla fine, accetta Bruno come genero.

La carriera di Mario Camerini è stata lunga, laboriosa, ricca di talento e di talenti. Iniziò alla fine degli anni Venti e terminò mezzo secolo dopo, con più di cinquanta titoli all'attivo. È facile individuare il suo periodo più fervido, intenso, felicemente ricco di allegri umori narrativi nel decennio che va dal 1931 al 1940, quando il regista diede prova di una laboriosità illuminata, soddisfatta e senza pause, dirigendo a spron battuto una ventina di film ove si mescolano generi e frequentazioni varie. Fra questi alcuni titoli fondamentali per inoltrarsi felicemente in una sorta di via cameriniana alla commedia sentimentale e alla parodia (o ricreazione) di genere. Una sequenza inaugurata proprio da Gli uomini, che mascalzoni... che in qualche modo, dopo Figaro e la sua gran giornata (1931), inizia il suo fortunato anteguerra, proseguito poi attraverso T'amerò sempre (1933), Darò un milione (1935), Il signor Max (1937), Batticuore (1939), Grandi magazzini (1939) sino a Centomila dollari (1940). Una via allegra e crepuscolare insieme, intesa a divulgare lo stato delle cose, i moti dell'animo, i trasalimenti della fantasia, i soprassalti dei sogni dell'Italia piccolo e medio borghese del tempo (con esplicite ma rispettose venature proletarie), di cui rievoca gli atteggiamenti e gli accenti, le ambizioni modeste ma intense, l'astuto garbo dei modi e dei pensieri, i sogni furbeschi ma frugali, la esteriore urbanità e civiltà di modi. Che convive, grazie a un piccolo retroterra sensualetto, con la furbizia tradizionalmente femminile e la spavalderia tradizionalmente maschile dei personaggi, in omaggio a un disciplinato gioco delle parti miracolosamente sopravvissuto alla Prima guerra mondiale e destinato, poi, in prospettiva, a essere frantumato dalla Seconda.

In questo senso Gli uomini, che mascalzoni... è esemplare, anche per la sua brevità. Decisiva la presenza di Vittorio De Sica, qui alla sua prima parte importante di protagonista al cinema (diventerà la star maschile degli anni Trenta), già consacrato però attor brillante per eccellenza di un teatro leggero e laborioso. Ma è fondamentale anche l'apporto di deuteragonisti e caratteristi privi di grandi qualità ma abituati a fornire presenze costruttive e volonterose (la stessa Lya ‒ a volte Lia ‒ Franca, garbata ma impersonale, è sorretta da una sorta di attonita bonarietà beneaugurante da romanzo di Luciana Peverelli; del resto questo fu il suo quarto e ultimo film, si sposò ed abbandonò il cinema). Infine, il film è esemplare anche per il felice contribuito di altre due personalità ricchissime di capacità e di intuizioni poetiche: gli sceneggiatori Aldo De Benedetti, dotato di un talento teatrale forse superficiale ma fervido di una sua poetica furbizia di mestiere, e Mario Soldati, uno degli scrittori più intelligenti che si siano mai occupati in Italia di far cinema (come sceneggiatore e ancor più come regista). Tutti insieme hanno creato una favoletta amorosa e ironica che resta tuttora paradigmatica e che è assolutamente indispensabile per evocare e tracciare una storia del cinema italiano d'epoca e di genere.

Alla Cines, racconta Camerini, fu il prezioso Emilio Cecchi a permettergli, scelta decisiva, di girare il film invece che in studio in esterni alla Fiera di Milano, allora considerata città modello. Uno dei motivi del successo del film, egli ricorda, fu sicuramente la canzone Parlami d'amore Mariù, cantata da De Sica e scritta da Cesare Andrea Bixio per la sua futura moglie, Mary Bacigalupi Bixio. Nel 1953 Glauco Pellegrini girò un remake del film, con Walter Chiari, Antonella Lualdi e Miriam Bru. Ma i tempi erano cambiati...

Interpreti e personaggi: Vittorio De Sica (Bruno), Lya Franca (Mariuccia), Cesare Zoppetti (Tadino), Aldo Moschino (conte Piazzi), Pia Lotti (Gina), Gemma Schirato (vedova), Anna D'Adria (Letizia), Tino Erler (Mario Castelli), Maria Montesano (donna delle caramelle), Didaco Chellini (ingegnere), Maria Denis (ragazza al ballo).

Bibliografia

M. Gromo, Gli uomini, che mascalzoni, in "La Stampa", 16 ottobre 1932, poi in Davanti allo schermo, Torino 1992.

E. Roma, Gli uomini, che mascalzoni, in "Cinema illustrazione", n. 42, 19 ottobre 1932.

F. Montesanti, Gli uomini, che mascalzoni, in "Bianco e nero", n. 7-8, luglio-agosto 1952.

Mario Camerini, a cura di A. Farassino, Crisnée 1992.

C. Celly, The legacy of Mario Camerini in Vittorio De Sica's 'The Bicycle Thief', in "Cinema journal", n. 4, Summer 2001.

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