Globalizzazione

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Termine adoperato, a partire dagli anni 1990, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo.

Economia

G. dei mercati

Fenomeno di unificazione dei mercati a livello mondiale, consentito dalla diffusione delle innovazioni tecnologiche, specie nel campo della telematica, che hanno spinto verso modelli di consumo e di produzione più uniformi e convergenti. Da un lato, si assiste, infatti, a una progressiva e irreversibile omogeneità nei bisogni e a una conseguente scomparsa delle tradizionali differenze tra i gusti dei consumatori a livello nazionale o regionale; dall’altro, le imprese sono maggiormente in grado di sfruttare rilevanti economie di scala nella produzione, distribuzione e marketing dei prodotti, specie dei beni di consumo standardizzati, e di praticare politiche di bassi prezzi per penetrare in tutti i mercati. L’impresa che opera in un mercato globale, pertanto, vende lo stesso bene in tutto il mondo e adotta strategie uniformi, a differenza dell’impresa multinazionale, il cui obiettivo è invece quello di assecondare la varietà delle condizioni presenti nei paesi in cui opera.

Il termine g. è spesso usato, come sinonimo di liberalizzazione, per indicare la progressiva riduzione, da parte di molti paesi, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci e dei capitali. Questo, tuttavia, è solo un aspetto dei fenomeni di g., che comprendono, in particolare, una tendenza al predominio sull’economia mondiale da parte di grandi imprese multinazionali, operanti secondo prospettive sempre più autonome dai singoli Stati, e una crescente influenza di tali imprese, oltre che delle istituzioni finanziarie internazionali, sulle scelte di politica economica dei governi, in un quadro caratterizzato dall’aumento progressivo dell’integrazione economica tra i diversi paesi, ma anche dalla persistenza (o addirittura dall’aggravamento) degli squilibri fra questi. Tali fenomeni scaturiscono dai processi di integrazione internazionale sviluppatisi nel 19° sec., interrotti nella prima metà del Novecento dalle guerre mondiali e dalla Grande depressione, e ripresi nella seconda metà (soprattutto dopo il 1960) con rinnovato vigore. Tra gli ultimi decenni del 20° e gli inizi del 21° sec. il progresso tecnologico, divenuto sempre più veloce, ha ridimensionato le barriere naturali agli scambi e alle comunicazioni, contribuendo alla forte crescita registrata dal commercio internazionale e dagli investimenti diretti all’estero. In particolare, la diffusione delle tecnologie informatiche ha favorito i processi di delocalizzazione delle imprese e lo sviluppo di reti di produzione e di scambio sempre meno condizionate dalle distanze geografiche, alimentando la crescita dei gruppi multinazionali e i fenomeni di concentrazione su scala mondiale; ha favorito inoltre un’espan­sione enorme della finanza internazionale, tanto che il valore delle transazioni giornaliere sui mercati valutari è divenuto ormai superiore allo stock delle riserve valutarie esistenti. Contemporaneamente, la tendenza alla riduzione degli ostacoli, di ordine tariffario, fiscale o normativo, alla libera circolazione delle merci e dei capitali si è approfondita ed estesa, coinvolgendo anche molti paesi, ex socialisti o in via di sviluppo, che in passato avevano adottato politiche assai più restrittive.

Effetti della globalizzazione

I fenomeni sopra ricordati hanno suscitato un ampio dibattito. Secondo alcuni studiosi, la g. può esercitare effetti positivi sull’economia mondiale sotto il profilo sia dell’efficienza sia dello sviluppo: in particolare, la liberalizzazione e la crescita degli scambi commerciali e finanziari potrebbero stimolare un afflusso degli investimenti verso le aree meno dotate di capitali e favorire una tendenziale riduzione del divario economico fra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Altri sostengono, invece, che, dati gli squilibri e le forti differenze (economiche, tecnologiche, culturali, politiche) esistenti tra i diversi paesi, nonché la presenza di condizioni di mercato assai lontane da quelle di concorrenza perfetta postulate dai modelli tradizionali, gli eventuali effetti positivi dei processi di g. non si distribuiscono in modo uniforme: in particolare, per i paesi in via di sviluppo tali processi possono comportare conseguenze anche molto sfavorevoli, mentre negli stessi paesi sviluppati si verifica un contrasto tra i settori sociali che traggono vantaggio dai processi di g. e quelli che invece ne sono danneggiati (per es., i lavoratori impegnati in attività produttive che vengono trasferite all’estero). Va inoltre tenuto presente che, in un quadro caratterizzato da una crescente integrazione internazionale e dalla stabilizzazione dei tassi di cambio tra le monete di diversi paesi, l’adozione, a fronte di squilibri e tensioni interne, di provvedimenti di carattere sociale o anticiclico viene resa più difficile dalla riduzione dell’autonomia dei singoli governi nella gestione della politica economica.

La g. riguarda non soltanto la produzione di merci ma anche delle idee. Le figure professionali ad alta qualificazione, in particolare ingegneri informatici, ma a basso salario presenti in alcuni paesi in via di sviluppo, soprattutto in India, hanno spinto molti colossi della produzione hi-tech a delocalizzare in questi paesi i laboratori di ricerca e sviluppo. Paesi come gli Stati Uniti, che tradizionalmente attraevano cervelli da ogni parte del pianeta, oggi vedono messo in crisi tale meccanismo dalla concorrenza di alcuni paesi in via di sviluppo.

I flussi commerciali

L’indice più comunemente usato per valutare il grado d’integrazione dell’economia mondiale è il rapporto fra esportazioni e PIL nei diversi paesi. Questo rapporto, che aveva raggiunto un minimo storico dopo la Seconda guerra mondiale, è nuovamente cresciuto, nella maggior parte dei paesi, durante la seconda metà del 20° secolo. Per quanto riguarda la partecipazione al commercio internazionale, i paesi sviluppati hanno mantenuto un peso preponderante, anche se dal finire del secolo si è manifestata una tendenza alla crescita del ruolo dei paesi in via di sviluppo. A partire dagli anni 1980 si è assistito all’espansione di aree di integrazione regionale, come l’UE o il NAFTA, che, se da un lato accentuano i processi di liberalizzazione degli scambi tra i paesi membri, dall’altro possono favorire il mantenimento di barriere commerciali nei confronti degli altri Stati. I processi di integrazione commerciale hanno in ogni caso continuato a estendersi, sia per l’adesione, comunque diffusa, alle politiche di liberalizzazione degli scambi con l’estero, sia per la riduzione dei costi delle telecomunicazioni e dei trasporti indotta dall’incremento tecnologico, sia per gli investimenti da parte di imprese dei paesi industrializzati nei paesi in via di sviluppo.

I movimenti di capitali

La libertà di movimento dei capitali raggiunta verso la fine del 20° secolo è paragonabile a quella degli anni precedenti la Prima guerra mondiale, quando si era realizzato un alto grado di integrazione dei mercati finanziari (nel 1913 i rapporti tra i flussi totali di capitali e il commercio o la produzione mondiale erano superiori a quelli degli anni 1970). Dopo le restrizioni del periodo fra le due guerre, la seconda metà del secolo ha visto una graduale liberalizzazione, mentre rilevanti modifiche si verificavano per quanto riguarda l’origine e la composizione dei flussi di capitali. Tra la Seconda guerra mondiale e gli anni 1960 ampi flussi di investimenti esteri diretti, per lo più indirizzati verso l’industria manifatturiera e il settore petrolifero, provenivano dagli Stati Uniti, divenuti in quel periodo il maggiore esportatore netto di capitali. Nel corso degli anni 1970 il Giappone assunse un ruolo di rilievo, fino a diventare nel decennio successivo una delle principali fonti mondiali sia di capitali speculativi a breve termine sia di investimenti diretti. A partire dagli anni 1980 gli Stati Uniti sono stati caratterizzati da forti deficit della bilancia commerciale e da cospicue importazioni nette di capitali (con l’accumulo quindi di un ingente debito estero). A partire dagli anni 1980, inoltre, grazie anche allo sviluppo delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni e alle politiche di liberalizzazione dei mercati finanziari, si è verificato un enorme aumento dei flussi speculativi a breve termine, che ha coinvolto gli stessi paesi in via di sviluppo, influendo pesantemente sull’andamento delle loro economie.

La crescita del debito e del rapporto debito/PIL nei paesi in via di sviluppo, spesso alimentata da processi cumulativi perversi (nuovo indebitamento per fare fronte ai debiti pregressi), ha inciso pesantemente sulla loro situazione economica, sociale e politica; in particolare, essi sono stati costretti a comprimere quanto più possibile la domanda interna (con gravi conseguenze sulle condizioni di vita della popolazione) nel tentativo di realizzare, malgrado l’andamento poco favorevole delle ragioni di scambio, onerosi attivi della bilancia commerciale e finanziare così il servizio del debito estero. All’inizio del nuovo millennio il problema del debito estero dei paesi in via di sviluppo rappresenta uno dei principali squilibri del processo di g. in corso.

Per quanto riguarda, infine, la Comunità Europea, a partire dal 1992 sono stati rimossi tutti i vincoli ai movimenti di capitali e si è verificata una progressiva perdita di autonomia dei governi nazionali nei campi della politica monetaria e dell’allocazione dei capitali all’interno dei paesi membri.

Il mercato del lavoro

Aumenti della disuguaglianza tra paesi e all’interno dei paesi indotti dal progresso di integrazione vengono spiegati anche attraverso i mutamenti del mercato del lavoro, che hanno comportato un allargamento dei differenziali retributivi nei paesi industrializzati (wage gap). Il progresso tecnico avrebbe infatti ridotto marcatamente la domanda di lavoro a bassa qualifica (unskilled) a favore di quello a più alto contenuto di conoscenza (skilled). Data l’inerzia dell’offerta ad adeguarsi a questa maggiore domanda, questo ha di fatto creato un eccesso di domanda di lavoro a più alto contenuto di conoscenza che si è concretizzato in un incremento salariale di questi lavoratori. Il wage gap indotto dal progresso tecnico skill biased è visto come uno dei principali responsabili degli incrementi di disuguaglianza tra paesi ricchi e poveri ma anche all’interno dei paesi maggiormente industrializzati. Tuttavia questo meccanismo ha avuto impatti diversi nei paesi con differenti istituzioni a protezione dei lavoratori. Non è un caso che gli USA registrino un forte incremento di disuguaglianza indotto dal wage gap, date le scarse protezioni sociali e sindacali dei lavoratori a bassa qualifica. Nei paesi europei maggiormente sindacalizzati, questi effetti sono stati in parte mitigati dalla rigidità salariale.

Scienze sociali

Comunicazioni e migrazioni

Sul piano culturale, tra i principali aspetti della g. figurano i fenomeni connessi con il progressivo abbattimento delle barriere spaziali fra le nazioni indotto dallo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Anche se la diffusione di tali tecnologie è estremamente squilibrata, la crescita delle reti di comunicazione è continua ed esercita effetti rilevanti sull’evoluzione dei rapporti tra i popoli. Effetti analoghi esercita il fenomeno migratorio. La presenza in numerosi Stati di comunità di immigrati che, grazie anche ai vantaggi offerti dalle nuove tecnologie, mantengono relazioni con i paesi d’origine e con i propri connazionali emigrati in altri Stati, contribuisce allo sviluppo delle interconnessioni sociali, economiche e politiche su scala mondiale. Queste comunità introducono nei luoghi di immigrazione le proprie specificità culturali, interagiscono con la popolazione locale e con le altre comunità di immigrati, contribuiscono a modificare l’identità delle nazioni in cui risiedono. Malgrado le difficoltà e le tensioni che accompagnano il fenomeno migratorio, questo sembra destinato a proseguire, sia per la spinta all’emigrazione alimentata dall’enorme divario tra i paesi poveri e i paesi ricchi e dagli stessi processi di g., sia per il ruolo sempre più rilevante che i lavoratori immigrati tendono ad assumere nell’economia dei paesi sviluppati.

La formazione di una società civile internazionale

Negli ultimi decenni del 20° sec. all’intensificarsi dei processi di g. ha fatto riscontro, nel seno della società civile di numerosi paesi, lo sviluppo di una molteplicità di soggetti e di iniziative ispirati a principi di solidarietà e partecipazione. Associazioni per la difesa dei diritti umani, gruppi di volontariato, comunità religiose, organizzazioni sindacali e professionali, associazioni contadine, movimenti femministi, gruppi ambientalisti, associazioni per la tutela dei consumatori ecc., spesso riconosciuti come Organizzazioni non governative (ONG) anche in sede internazionale, hanno dato vita a una rete sempre più diffusa di rapporti di scambio e collaborazione reciproca. Alle iniziative delle ONG e delle altre associazioni fiorite nel seno della società civile si sono accompagnati lo sviluppo e la diffusione di punti di vista critici nei confronti del processo di globalizzazione. Alcune caratteristiche di quest’ultimo (come la crescita delle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza mondiale, il peso assunto dalle grandi imprese multinazionali nell’economia globale e l’influenza da queste esercitata sulle decisioni degli Stati, il ruolo svolto nel contesto internazionale da riunioni informali, quali il G7 e il G8, tra i governi dei paesi più ricchi e potenti del mondo, l’onere che il servizio del debito estero rappresenta per la popolazione dei paesi poveri e le misure restrittive imposte a tali paesi dai creditori internazionali, l’affermazione sul piano mondiale delle dottrine neoliberiste e gli effetti sociali e ambientali delle politiche a queste ispirate) hanno suscitato un crescente dissenso. Con la fine del secolo tale dissenso si è tradotto in un ampio movimento di contestazione: grandi manifestazioni di protesta si sono verificate in numerose città del mondo, in concomitanza con importanti riunioni di governi e organizzazioni internazionali. In alcuni casi le proteste sono state accompagnate da incidenti (particolarmente gravi quelli verificatisi a Genova nel luglio del 2001).

Tra le caratteristiche del movimento, cui partecipano importanti associazioni contadine, vi è un notevole interesse per le tematiche connesse con l’agricoltura: in particolare, esso sostiene la difesa dei contadini dal potere delle grandi imprese multinazionali, la tutela e la valorizzazione dei prodotti tipici locali rispetto alla produzione alimentare standardizzata, il rifiuto delle tecniche di manipolazione genetica delle varietà coltivate, lo sviluppo della cosiddetta agricoltura biologica. Qualificato correntemente come no global, il movimento di contestazione è esso stesso un fatto ‘globale’ e presenta aspetti tipici dei processi di g. in corso, come l’utilizzo delle nuove tecnologie o l’adozione di forme organizzative di tipo reticolare. Comprendente al proprio interno istanze molteplici, volte sia a conseguire obiettivi immediati (come l’annullamento del debito estero dei paesi in via di sviluppo o l’introduzione di una tassazione sulle transazioni valutarie che mira a colpire la compravendita di valute a fini speculativi), sia a contrastare le politiche neoliberiste dominanti, sia a perseguire una trasformazione complessiva dell’assetto mondiale, esso ha influito sull’opinione pubblica di numerosi paesi e ha indotto gli stessi governi, organismi internazionali e grandi gruppi economici contestati a tenere conto delle sue elaborazioni critiche.

Pedagogia e psicologia

Il termine g. fu introdotto da O. Decroly per designare la ‘funzione’ psicologica (chiamata da E. Claparède «percezione sincretica») per cui nella psiche del bambino la realtà esterna inizialmente viene assunta sincreticamente, ossia non nei suoi particolari, bensì tutta insieme e in modo generico, e solo in un secondo momento analizzata e discriminata nei suoi elementi. Essendo questo il processo naturale d’acquisizione del bambino, vi va adattato il metodo didattico, sostiene Decroly, che non sarà quello tradizionale dello studio analitico delle parti (sillabe e suoni), bensì quello che muoverà dalla frase e dalla parola, che sole hanno un significato concreto per il bambino (metodo globale o globalismo), per passare in un secondo tempo alla loro scomposizione analitica.

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