GLOBALIZZAZIONE DEL DIRITTO

XXI Secolo (2009)

Globalizzazione del diritto

Sabino Cassese

Uno sviluppo rapido

Un ordine giuridico globale si è andato sviluppando con eccezionale rapidità. Tale rapidità riguarda sia il suo sviluppo quantitativo e dimensionale sia lo sviluppo degli istituti caratteristici degli ordinamenti domestici, segnatamente quelli di garanzia e quelli di partecipazione. Posti dinanzi a problemi che non possono risolvere da soli, come quello del buco nell’ozono, quello delle malattie epidemiche, quello del governo di Internet, quello dei rischi atomici e chimici, quello del terrorismo, quello dell’uso non distruttivo delle risorse ittiche, i governi nazionali si affrettano a dotarsi di strumenti comuni, che vanno oltre lo Stato. Accanto a poteri pubblici territoriali ultrastatali, tra cui specialmente l’Unione Europea, vi è un pullulare di poteri pubblici mondiali funzionali o settoriali, ognuno con un proprio compito specializzato.

Nell’analizzare questi nuovi ordinamenti occorre rispondere, in particolare, alle seguenti domande: in quale misura gli Stati sono ancora i protagonisti dell’ordine giuridico globale, che si sovrappone come un secondo livello in una gerarchia di poteri pubblici? Quali sono le conseguenze dell’assenza di un governo centrale e dell’articolazione dell’ordine giuridico globale in tanti subsistemi o sottogoverni di settore? Come operano le regolazioni globali di settore, in mancanza di un corpus di regole generali comuni ai diversi settori? Quali forme assumono gli istituti di garanzia nell’ordine giuridico globale? Si può parlare di una costituzione globale, accanto a quelle nazionali? C’è, sia pure in nuce, una democrazia cosmopolitica? A chi, infine, giova la globalizzazione giuridica?

Gli Stati e le reti globali: un ordinamento multilivello?

L’ordine giuridico globale è solitamente descritto come un livello superiore a quello degli Stati. I poteri pubblici sarebbero ‘multilivello’: all’interno, locale e nazionale; all’esterno, statale e globale. Il primo livello concorre alla formazione del secondo, allo stesso modo in cui i proprietari degli appartamenti di una casa si riuniscono in assemblea condominiale per gestire le parti comuni dell’edificio.

È corretta questa rappresentazione dello spazio giuridico globale? Consideriamo, innanzitutto, i numeri. Gli Stati sono 192, le organizzazioni internazionali circa 2000 (e le ONG – Organizzazioni Non Governative – sono 20.000; secondo una recente valutazione dell’ONU addirittura 44.000). Esistono, dunque, più condomini che proprietà.

I membri della comunità internazionale sono, poi, tutti formalmente eguali: una piccola repubblica non è meno sovrana del più potente regno. Ma più di metà dei Paesi del mondo ha meno abitanti dei 6 milioni di persone del Massachusetts e 6 delle 10 nazioni più ricche del mondo hanno meno di un milione di persone, per non parlare delle differenze in termini di potere economico e militare. Dunque, vi sono forti disomogeneità nel secondo livello. In terzo luogo, non tutte le organizzazioni internazionali sono state costituite da Stati (per es., la Codex alimentarius commission) e delle organizzazioni internazionali non fanno parte solo Stati, ma anche poteri soprastatali, come l’Unione Europea (questa fa parte della WTO – World Trade Organization – e dell’IOOC, International Olive Oil Council), altri organismi regionali, organizzazioni private (come nel caso dell’ICANN – Internet Corpo­ration for Assigned Names and Numbers) e vari tipi di ‘osservatori’. Dunque, le organizzazioni globali non possono essere tutte definite intergovernative.

Inoltre, organi statali operano frequentemente nello spazio giuridico globale in modo autonomo, costituendo apposite reti specializzate (per es., quella delle autorità antitrust, quella delle autorità di controllo della borsa, quella delle autorità di controllo delle assicurazioni). Lo Stato, dunque, non si presenta solo come un’unità, ma anche in modo disaggregato.

Infine, secondo il modello multilivello, lo Stato conserverebbe il monopolio dei rapporti con la società civile, mentre le organizzazioni internazionali avrebbero il monopolio dei rapporti con gli Stati. La società civile costituirebbe la base dello Stato, così come gli Stati costituirebbero la base degli organismi globali. Invece, questi ultimi hanno stabilito rapporti diretti e indiretti con la società civile. La Banca mondiale, per es., richiede che gli Stati da essa finanziati consultino le collettività locali relativamente a interventi ambientali e a piani di insediamento, consentendo a queste di ricorrere a un apposito organo della Banca, se le autorità domestiche non rispettano l’obbligo di ascoltarle. Da tutto ciò discende il paradosso per cui gli Stati sono, nello stesso tempo, più forti e più deboli. Sono più forti perché operano nell’arena globale sia come unità, attraverso i governi nazionali, sia attraverso singole autorità che agiscono in modo parzialmente indipendente. Sono più deboli perché condividono il loro potere nelle organizzazioni internazionali con istituzioni non statali e perché le norme prodotte dal ‘livello’ globale si impongono direttamente, senza bisogno di una mediazione statale, all’interno dell’ordinamento domestico.

L’ordine giuridico globale non si sovrappone, dunque, come un altro strato, a quello statale. Questi non sono due livelli, perché le disuguaglianze e la frammentazione sono forti, perché gli Stati non sono gli unici soggetti, si mescolano con altri soggetti e perdono la loro unità, perché nessun ‘livello di governo’ riesce a mantenere il monopolio delle relazioni con le parti che lo compongono.

Poteri pubblici senza governo

Al centro dei poteri pubblici domestici c’è il governo, detto anche potere esecutivo. Questo è il vertice e il motore degli Stati. Nell’ordine giuridico globale non c’è un’autorità superiore, né la gerarchia che caratterizza i poteri pubblici nazionali. Di questi manca anche – lo vedremo meglio più avanti – un corpo di regole generali, che diano un’impronta uniforme alla struttura e al suo funzionamento. In queste condizioni, come riesce a operare la macchina amministrativa globale?

La prima condizione della sua stessa esistenza e del suo funzionamento è il transnazionalismo. L’ordine giuridico globale, mentre viene descritto normalmente come costruito lungo linee verticali – dal livello nazionale a quello globale – è, invece, di fatto, costituito innanzitutto da linee orizzontali, tra autorità domestiche e agenzie globali e tra agenzie globali. In altre parole, è un ordinamento fondato largamente sulla cooperazione sia al livello interstatale sia al livello globale in senso stretto.

La cooperazione tra autorità nazionali è un elemento essenziale del sistema globale. Essa produce un sistema orizzontale piuttosto che verticale, decentrato, composto di funzionari statali prima ancora che di funzionari internazionali.

Le manifestazioni concrete di questa componente transnazionale dell’ordine giuridico globale sono i comitati consultivi e deliberativi delle organizzazioni internazionali e gli accordi di mutuo riconoscimento. Come accade nell’Unione Europea, dove, accanto alla componente strettamente comunitaria vi è quella multinazionale, nell’ordine giuridico globale sono numerosi i comitati di organizzazioni internazionali composti di rappresentanti di amministrazioni nazionali. Questi svolgono il triplice ruolo di strumento di informazione degli organi globali, di mezzo di trasmissione delle loro decisioni al livello nazionale, di mezzo per assicurare il dialogo e la trattativa tra amministrazioni nazionali.

La componente transnazionale dell’ordine giuridico globale deriva dai limiti stessi della globalizzazione giuridica. Più i mercati nazionali si aprono l’uno all’altro, più diventano evidenti asimmetrie e contrasti. Per ridurli, livellando il campo di gioco, le norme globali possono stabilire principi generali, ma non entrare in tutti i dettagli. Di qui lo spazio per i comitati transnazionali misti e gli accordi di mutuo riconoscimento. Questa componente dell’ordine giuridico globale ne riduce la verticalità, perché la superioritas delle autorità globali si fonda su una fitta rete di relazioni orizzontali di tipo contrattuale. Essa facilita il trasferimento o trapianto di istituti da un ordinamento domestico all’altro e stimola la ricerca di analogie funzionali nascoste da differenze formali dei sistemi nazionali. Infine, il transnazionalismo dell’ordine giuridico globale suggerisce cautela nel parlare di crisi dello Stato e di fuga verso il livello globale, perché la dinamica del sistema amministrativo globale è largamente dipendente dallo Stato o da suoi frammenti.

Alla componente multinazionale dell’ordine globale sono collegate due ulteriori sue caratteristiche, relative la prima al modo di funzionamento, la seconda ai modi di decisione. La prima è definita transactionalism, nel senso che il funzionamento del sistema globale è fondato su transazioni. Per es., numerosi trattati internazionali prescrivono che i conflitti tra le amministrazioni nazionali vadano risolti mediante negoziazione, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, decisione giudiziaria o altri modi pacifici di risoluzione delle dispute. Dei trattati prevedono altri modi contrattuali o semicontrattuali di soluzione dei conflitti.

Una rigida applicazione del principio transnazionale richiederebbe l’unanimità nelle decisioni globali. Ma l’unanimità, pure richiesta da alcuni trattati, è temperata in vario modo. Le norme internazionali prevedono che gli organi collegiali facciano ogni sforzo per raggiungere un accordo mediante consensus. Ove questo non possa essere raggiunto, la decisione può essere presa votando a maggioranza di due terzi dei presenti o a maggioranza semplice dei presenti.

Alle relazioni orizzontali che entrano a comporre il sistema globale si accompagnano quelle verticali. Ma anche queste non sono gerarchiche e non sono basate su una rigida separazione, quanto piuttosto sulla logica dell’azione collettiva.

Innanzitutto le relazioni verticali si stabiliscono su competenze concorrenti, che richiedono procedimenti misti. Per es., il Trattato per la cooperazione in materia di brevetti, del 1970, prevede la possibilità di un esame preliminare internazionale, fatto in contraddittorio con il richiedente. Questo si conclude con un’istruttoria che viene trasferita all’autorità domestica, che, a sua volta, decide. Il procedimento è, quindi, a metà globale, a metà nazionale. I due ‘livelli di governo’ spartiscono i loro poteri.

In secondo luogo, l’eterogeneità dei regimi, settore per settore diversi, e la complessità delle relazioni insita nello spazio globale, richiedono che si stabiliscano relazioni funzionalmente differenziate a seconda delle diverse sfere di attività (per es., a seconda che si tratti di difesa dell’ambiente o di sicurezza degli alimenti) e spesso a seconda anche della natura dei soggetti nazionali (per es., in funzione del grado di sviluppo degli Stati), nonché a seconda delle strutture esistenti a livello globale. Quest’ultima variabile è di particolare interesse, perché, contrariamente alla descrizione tradizionale, esistono numerosi e diversi tipi di amministrazioni globali. Accanto a quelle costituite formalmente come enti internazionali, con propri dipendenti, vi sono amministrazioni costituite da reti di autorità nazionali operanti collettivamente tramite funzionari nazionali, amministrazioni distribuite guidate da regolatori nazionali e fondate sulla cooperazione e su accordi di mutuo riconoscimento, amministrazioni ibride, semipubbliche, che sono fondate su strutture privatistiche, amministrazioni private che svolgono, però, funzioni regolatorie riconosciute come pubbliche.

Riassumendo, mentre l’area dei poteri pubblici domestici è caratterizzata dalla presenza di un governo unitario che ha a disposizione una panoplia generale di strumenti di azione la cui forza risiede nella sua posizione di preminenza, i poteri pubblici globali sono invece ordinati in reti, con ruoli fluidi, senza un centro di governo unico.

L’assenza di un corpo generale di regole

Negli ordinamenti domestici, alla presenza di un governo centrale si accompagna un corpo di regole generali. Questo si divide, poi, in discipline di settore. Ma tali discipline sono rette da quella parte generale, che dà coerenza e uniformità.

La situazione è diversa in sede globale. Pressoché ogni attività umana è regolata da norme globali, dalla conservazione delle foreste al controllo della pesca, alla disciplina delle acque, alla protezione dell’ambiente, al controllo delle armi, alla sicurezza alimentare, alla contabilità delle istituzioni finanziarie, al controllo di Internet, alla disciplina dei prodotti farmaceutici, alla protezione della proprietà intellettuale, alla protezione dei rifugiati, agli standard relativi al caffè e alla cioccolata, agli standard in materia di lavoro, alla regolazione antitrust, e così via. Queste discipline globali sono molto diverse tra di loro. Alcune stabiliscono solo norme quadro per le successive attività regolatorie statali. Altre dettano linee guida alle autorità nazionali. Altre impongono condotte o criteri direttamente ai privati. Alcune si avvalgono di autorità globali chiamate a svolgere l’attività di esecuzione o di verifica dell’esecuzione. Altre si appoggiano alle autorità nazionali, che assicurano l’implementazione o la controllano. Alcune dispongono di strumenti di soluzione giudiziale dei conflitti. Altre non ne dispongono e consentono di far ricorso solo alla negoziazione o a giudici nazionali.

Ma il tratto caratteristico è quello segnalato all’inizio: questi corpi normativi sono tutti settoriali; manca un insieme generale di regole (o metaregole) che operi come elemento unificante.

Agli inconvenienti di questo accentuato settorialismo l’ordine giuridico globale fa fronte in vari modi. Il primo e più diffuso è un processo di accrescimento e di accumulo, segnalato dalla prima decisione del Tribunale arbitrale stabilito dalla UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea, negoziata fra il 1973 e il 1982). Il secondo è lo stabilimento di connessioni orizzontali tra i diversi corpi normativi, che si vengono così a sovrapporre parzialmente, senza, però, ordinarsi in modo gerarchico. Per es., gli standard stabiliti dalla Codex alimentarius commission, prima del 1995 volontari, dopo quella data hanno acquisito maggiore forza giuridica, perché la WTO richiede che chi non voglia rispettarli dimostri scientificamente di poter assicurare un adeguato livello di protezione. Queste connessioni si stabiliscono di preferenza a partire e intorno ai corpi normativi globali più importanti, come, per es., quello sul commercio o quello sul diritto del mare, che esercitano, per la loro portata, una forza attrattiva sulle altre regolazioni settoriali.

Dunque, i diversi corpi regolatori sono distinti, ma non separati. Come stabilito dalla prima decisione dell’organo di appello della WTO, le norme globali sul commercio non vanno interpretate isolatamente, separandole da quelle del diritto internazionale generale. Di qui le connessioni sempre più strette tra norme sul commercio e norme di protezione ambientale, norme sul commercio e disposizioni sugli standard a tutela dei lavoratori, e così via.

Le regole prodotte dalle istituzioni globali sono, a loro volta, dirette o alle amministrazioni domestiche o direttamente alle società civili nazionali. Nel primo caso, le istituzioni globali assorbono compiti dal livello nazionale o si vedono assegnare nuovi compiti, prima non svolti nella sede nazionale, e svolgono attività di controllo – in senso ampio – delle amministrazioni nazionali. Per es., la WTO impone alle amministrazioni nazionali obblighi vari, come quello di assicurare la trasparenza, di garantire l’equivalenza, di introdurre procedure di consultazione. L’interazione tra regolazione globale e regolazione domestica pone un problema importante, perché un sistema così frammentario come quello globale fa fatica a imporsi ai sistemi nazionali, ben più organici e ordinati. L’adempimento nazionale è raggiunto o perché le amministrazioni nazionali si trovano nell’impossibilità di procedere da sole, o perché per esse l’ordine giuridico globale apre nuove opportunità.

Nel secondo caso, quello in cui norme globali sono dirette a privati, la conformità della condotta privata agli standard globali è assicurata in vario modo. Uno è quello di utilizzare l’amministrazione nazionale come strumento di esecuzione con la forza o come organo sanzionatorio. Un altro è quello della attuazione spontanea, incentivata dal mercato (si pensi alla redazione dei conti e dei bilanci delle banche secondo gli standard fissati in sede internazionale: deviazioni sono possibili, ma a patto di ottenere un giudizio negativo dalle agenzie di rating e dai mercati finanziari).

Mancano, dunque, regole generali e il sistema regolatorio globale è costituito solo di regolazioni di settore. Ma tra queste vengono a stabilirsi relazioni che ne ampliano la portata e che consentono al corpo delle regole dettato nell’ordine giuridico globale di imporsi o alle amministrazioni domestiche o direttamente ai privati.

Un governo assoluto?

Se l’ordine giuridico globale è privo di un corpo di regole generali e comuni, ci si può tuttavia chiedere se sia sottoposto almeno ad alcuni principi primi, non imposti dall’alto ma scaturenti da essi stessi, in modo che il sistema globale di governo (la governance) possa non essere considerato un sistema di governo assoluto. In altre parole, esiste una rule of law globale?

Uno degli aspetti dell’ordine giuridico globale che colpiscono maggiormente è la rapidità con la quale in esso si sono sviluppati i principi propri dello Stato di diritto: trasparenza, obbligo di ascoltare l’interessato, obbligo di motivare i provvedimenti, riesame giurisdizionale delle decisioni.

Istituti che hanno preso decenni e talora secoli per svilupparsi negli Stati, hanno attecchito e si sono estesi, trovando talora applicazioni anche più ampie di quelle statali, fuori dello Stato. È probabile che la spiegazione di questa rapidità stia nella circostanza che gli Stati sono quasi tutti passati attraverso una fase storica caratterizzata dall’assolutismo, nella quale è prevalso il principio di autorità, rispetto a quello di libertà. Oppure che essa possa spiegarsi a causa dell’assenza della componente autoritaria nell’ordine giuridico globale: questo si interessa solo marginalmente di ordine pubblico, difesa e di altre potestà sovrane. Quindi, ha minor bisogno di far ricorso a poteri di supremazia, o esorbitanti dal diritto comune. Di conseguenza, gli istituti di garanzia tipici dello Stato di diritto trovano un campo di applicazione più facile.

Gli istituti di garanzia hanno, nell’ordine giuridico globale, un’applicazione per un verso più estesa, per altro più limitata.

Trasparenza, diritto di difesa, obbligo di motivazione, riesame giurisdizionale delle decisioni sono disposti frequentemente da norme globali. Ma è interessante osservare a carico di chi sono previsti e a beneficio di chi operano.

Norme globali regolano tali istituti per imporli alle amministrazioni nazionali, a favore di privati. Così rafforzano la portata delle analoghe disposizioni nazionali – dove esistono –, ma ne ampliano anche la portata perché ne diventano beneficiari anche cittadini di Paesi diversi da quelli dell’amministrazione interessata. Norme globali, poi, prevedono istituti di garanzia a beneficio di amministrazioni nazionali e a carico di organismi globali. In questo caso, sono le amministrazioni globali stesse che si sottopongono alle regole di diritto, a vantaggio degli Stati, che non sono solitamente beneficiari di tali regole.

Norme globali, in terzo luogo, sottopongono istituzioni globali a istituti di garanzia direttamente a favore di privati, a qualunque ordinamento nazionale essi appartengano. In questo caso, gli istituti di garanzia globali sono strutturalmente simili a quelli domestici (perché riguardano privati nei confronti di poteri pubblici), ma funzionalmente se ne differenziano (per numerosi motivi, il principale dei quali è la distanza che separa individui e imprese dalle organizzazioni globali). Più complessa l’ipotesi nella quale norme globali prevedano istituti di garanzia nei rapporti tra amministrazioni nazionali e nei rapporti tra amministrazioni globali. Si tratta di casi interamente nuovi, rispetto alle esperienze dei diritti amministrativi domestici, perché insistono su rapporti potenzialmente paritari.

Questa rapida tassonomia consente di notare la maggiore ricchezza degli istituti di garanzia nel diritto amministrativo globale, rispetto a quelli nazionali. Gli istituti di garanzia operano verticalmente, a favore di privati verso amministrazioni nazionali e verso amministrazioni globali, nonché a favore di amministrazioni nazionali verso amministrazioni globali. Essi operano anche orizzontalmente, a favore sia di amministrazioni nazionali sia di amministrazioni globali, nei confronti sia di altre amministrazioni nazionali sia di altre amministrazioni globali.

Trasparenza, diritto di difesa, obbligo di motivazione, giustizia amministrativa stabiliscono, quindi, una varietà di legami tra i diversi ‘livelli di governo’, e tra questi e i privati. Tale varietà di posizioni reciproche tra obbligati e beneficiari, tanto diversa da quella propria dei diritti nazionali (dove obbligato è di regola il potere pubblico e beneficiario il privato) fa sorgere una grande quantità di interrogativi. Gli stessi istituti svolgono la stessa funzione in contesti tanto diversi? La circostanza che amministrazioni nazionali e privati siano, per alcuni versi, posti sullo stesso piano, modifica, direttamente o indirettamente, i rapporti relativi? Sono assimilabili i casi nei quali obbligati e beneficiari sono allo stesso livello ai casi nei quali essi sono posti su due piani diversi?

Ancor più complesso diventa il quadro quando, con il trasferimento di compiti statali a organizzazioni globali, i cittadini di alcuni ordinamenti nazionali si vedono privati di garanzie (di trasparenza, di informazione, di consultazione, di motivazione, di tutela giudiziaria) assicurate nei loro Paesi e non nell’ordinamento globale. In questo caso, possono formarsi forti resistenze nazionali, derivanti dalle asimmetrie nazionale-globale.

Quanto osservato consente di concludere che l’ordine giuridico globale non è in uno stadio primitivo di sviluppo. Esso sarebbe – secondo alcuni critici – solo un ordine negoziato, nel quale non si può ancora parlare di diritto nel senso pieno della parola. La circostanza, invece, che vi siano norme vincolanti, indirizzate a privati, un assetto istituzionale, con organizzazioni e relazioni giuridiche tra gli organi e gli enti, un insieme di soggetti sottoposti alla disciplina giuridica dettata dalle norme, un complesso di organi giudiziari e quasi giudiziari, fa comprendere che si è in presenza non soltanto di un insieme di poteri pubblici, ma anche di un ordinamento giuridico retto dalla rule of law, con un corpo essenziale di principi di trasparenza e giustizia, come affermato dall’organo di appello della WTO.

Le corti globali

Un’analisi separata va effettuata per quegli strumenti di garanzia che sono le corti istituite nell’ordine giuridico globale.

Le fasi dello sviluppo di una giustizia (amministrativa) globale sono tre, e rappresentano altrettanti strati, giustapposti nella realtà attuale. La prima è quella diadica, orizzontale, fondata sulla cooperazione delle parti, che si vale di contromisure e altri strumenti simili. La seconda è quella triadica, fondata su arbitrati e panels (un termine neutro, equivalente all’italiano gruppo: ciò sottolinea il desiderio di non prendere partito a favore di una piena giudizializzazione), che rimette la decisione a una terza parte, non è più basata sulla opzionalità (e quindi è obbligatoria), è sottoposta a un processo di ‘giuridificazione’ e ricorre a sanzioni. La terza è quella che applica e tutela diritti e obblighi che derivano da obbligazioni internazionali, e assume una rilevanza anche costituzionale.

Il numero delle corti globali è cresciuto rapidamente dal 1990. Prima di quella data, vi erano solo sei corti. Ora il numero delle corti è superiore a cento (e aumenta se si considerano i moltissimi organi quasi giurisdizionali esistenti). Prima del 1990, nell’ordine giuridico globale vi era diritto senza che vi fossero giudici. Da quell’anno, dunque, si sono sviluppati sistemi di aggiudicazione, in base ai quali una parte attrice può proporre azione o ricorso a un organo imparziale e l’altra parte non può evitare la decisione di tale organo.

La rapidità dello sviluppo dei sistemi giurisdizionali globali è esemplificata dall’esperienza di uno dei tipi più complessi, quello dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Nel 1948, alla istituzionalizzazione del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), i diplomatici esclusero i giuristi dagli organi della nuova istituzione e si opposero a forme di soluzione giurisdizionale delle controversie. Nel 1950 emerse un sistema triadico di soluzione delle dispute, nella forma dei panels, composti da tre-cinque membri, normalmente diplomatici, operanti sulla base dell’accordo tra le due parti in conflitto. Negli anni Settanta e Ottanta, il sistema subì un processo di giudizializzazione: gli Stati acquisirono sempre più il ruolo di parti litiganti; i panels cominciarono a usare il trattato come un insieme di norme vincolanti, di cui i panels potevano imporre il rispetto; la loro interpretazione delle norme divenne ‘autorevole’; giuristi e specialisti dei problemi del commercio presero il posto dei diplomatici nei panels. Il processo generò così le condizioni necessarie per l’emergenza di un sistema obbligatorio di aggiudicazione, quello ora in vigore.

Quattro aspetti delle giurisdizioni globali sono importanti. Il primo riguarda il riparto di giurisdizioni nell’ordine giuridico globale. Il secondo attiene alle parti. Il terzo si riferisce agli effetti delle decisioni. Il quarto riguarda l’esecuzione delle decisioni.

Per quanto riguarda il riparto delle giurisdizioni, l’ordine giuridico globale si presenta come un sistema ancora rudimentale. Infatti, non esistono un giudice costituzionale, uno civile, uno amministrativo. Solo i giudici penali si sono evidenziati come un insieme separato e specializzato. Gli altri giudici globali hanno giurisdizioni miste, in parte costituzionale, in parte civile, in parte amministrativa.

Quanto alle parti, la situazione è lontana dall’essere uniforme. Autorità nazionali possono essere parti dinanzi all’ITLOS (International Tribunal for the Law of the Sea). Privati e la Banca mondiale possono essere parti della procedura che si svolge davanti all’Inspection panel della Banca mondiale. Parti private e autorità nazionali possono apparire dinanzi all’Article 1904 NAFTA Binational panel. Solo parti private possono apparire dinanzi all’Administrative panel della WIPO (World Intellectual Property Organ­­ization) Arbitration and mediation centre, anche se, poi, le sue decisioni producono effetti sul registrar nazionale. Lo Stato parte dell’accordo e privati appartenenti ad altri Paesi contraenti possono essere parti di giudizi che si svolgono dinanzi all’ICSID (International Centre for the Settlement of Investment Disputes) Arbitral tribunal.

Questi pochi esempi mostrano che le controversie dinanzi a organi giudiziari o quasi giudiziari globali non riguardano solo il livello interstatale, ma raggiungono anche le società civili, all’interno degli Stati; che esse, tuttavia, non vedono un ordine fisso di soggetti come parti (non si finirà mai di raccomandare di non trattare l’ordine giuridico globale come quelli interni, che sono tendenzialmente unitari, mentre il primo è fondamentalmente differenziato); che, infine, esse sono, più frequentemente delle controversie giudiziarie domestiche, policentriche.

Le decisioni degli organi giudiziari e quasi giudiziari nazionali sono dotate, di regola, di effetti diretti, nel senso che non hanno bisogno di altre decisioni per produrre effetti. Un buon esempio è quello dell’ITLOS, che impone obblighi alle autorità nazionali. Altre volte le decisioni richiedono adempimenti ulteriori. Si prenda il caso dell’Appellate body della WTO, le cui decisioni debbono essere adottate dal Dispute settlement body (quest’ultimo organo è il Consiglio generale della WTO, in altra veste).

Gli organi giudiziari e quasi-giudiziari globali non hanno, di regola, poteri di esecuzione e sanzionatori, per cui debbono avvalersi, per tale attività, di organi statali. Essi possono anche ricorrere, però, a ulteriori meccanismi, il principale dei quali è quello adoperato dall’Organizzazione mondiale del commercio, per sanzionare il comportamento di autorità nazionali, quando non conforme alle norme sul commercio. Non potendo sanzionare dall’alto, gli organi giudiziari possono imporre compensazioni e consentire ritorsioni da parte di altri Stati. Si ricorre così alla ‘giustizia privata’. Ma gli Stati, se possono ‘farsi giustizia da sé’, debbono, tuttavia, sottostare a precise e dettagliate norme – sottoposte a controllo dei giudici – relative ai motivi della ritorsione, alla sua proporzionalità, ai metodi di calcolo di quest’ultima.

La rapida giudizializzazione dell’ordine giuridico globale non deve far ritenere che questo comporti un sistema giudiziario perfettamente sviluppato. Infatti, in primo luogo, molte delle forme di giustizia amministrativa globale sono ancora in uno stadio rudimentale di sviluppo, in una fase che può essere paragonata a quella della giustizia amministrativa francese precedente al 1872. In secondo luogo, vi è una forte continuità tra il nuovo modo di soluzione giurisdizionale o quasi giurisdizionale delle controversie e il tradizionale sistema di negoziazione attraverso i canali diplomatici. In terzo luogo, il processo di giudizializzazione è complicato dalla concorrenza tra sistemi giurisdizionali che si viene a produrre (ma tale situazione può essere attenuata stabilendo raccordi tra le diverse procedure) e dall’interazione tra sistemi giudiziari domestici e sistemi giudiziari globali (questi possono configurarsi come complementari, concorrenti o ordinati in sistemi gerarchici).

La costituzione globale

Se l’ordine giuridico globale ha suoi poteri pubblici, hanno questi anche una costituzione? Il processo costituzionale, in altre parole, è limitato ai diritti domestici, oppure si estende all’arena globale?

Per rispondere a queste domande, bisogna esaminare se nel potere pubblico globale si presentano i tre poteri noti nell’arena nazionale, quello normativo, quello esecutivo e quello giudiziario.

Un potere normativo si è ormai sviluppato nell’ordine giuridico globale, anche se a esso ci si riferisce correntemente con un’espressione negativa, ossia come normazione ‘non convenzionale’ (non-contractual, ovvero non-conventional, ovvero non-treaty law-making). Il diritto dei trattati internazionali costituisce solo un primo livello di diritto internazionale, accanto a quello consuetudinario. Al di sotto, c’è un secondo livello, costituito da norme che non derivano da accordi, prodotte da poteri pubblici dotati dai trattati di competenze normative. Queste norme non sono dirette soltanto agli Stati e ai poteri pubblici statali, ma anche alla società civile all’interno degli Stati, individui privati, imprese e loro associazioni, altre organizzazioni non governative.

Il potere esecutivo presenta nell’ordine giuridico globale caratteristiche ancor più peculiari. Infatti, un’autorità centrale simile a quella che chiamiamo governo è assente, anche se vi sono apparati settoriali di governo e loro esecutivi. Come già notato, insomma, nell’ordine giuridico globale vi sono tanti governi settoriali, con compiti anche minutamente esecutivi, non un governo centrale.

Infine, nell’ordine giuridico globale si è sviluppato – come già notato – un notevole numero di tribunali, il ricorso ai quali non dipende dalla concorde volontà delle parti. Questi tribunali costituiscono ciascuno un sistema separato. Si potrebbe pensare che da ciò discendano frequenti dissensi. Invece, spesso un tribunale invoca i precedenti di un altro tribunale, mostrando un’inclinazione a stabilire un dialogo costruttivo che, attraverso un reciproco arricchimento, conduce al progresso del diritto.

Il processo di costituzionalizzazione è evidente non solo nella presenza dei tre poteri essenziali di ogni struttura pubblica, ma anche nel rafforzamento di una società civile nella dimensione globale, nello sviluppo di una sfera pubblica globale e nel numero crescente di reti transnazionali. La società civile nella dimensione globale si sviluppa sia a misura che si presentano problemi che possono trovare una soluzione solo in termini globali – basti pensare al riscaldamento dell’atmosfera – sia a misura che i mezzi di comunicazione fanno diventare globali problemi che sono nazionali. Si aggiunga, inoltre, che gli stessi movimenti antiglobalizzazione non fanno che rafforzare la globalizzazione, nella misura in cui creano un’opinione pubblica globale. La richiesta di interventi pubblici di dimensione ultranazionale, da parte di un’opinione pubblica divenuta mondiale, a sua volta, produce la formazione di aree governate da poteri pubblici e differenziate dalla società civile e dall’economia. Infine, apparati esecutivi di settore, corti di settore, organi nazionali, stabiliscono raccordi e costituiscono reti che arricchiscono il panorama dei poteri pubblici globali.

La globalizzazione della democrazia

C’è o dovrebbe esserci una legittimazione democratica diretta o indiretta dei poteri pubblici globali? Sono o dovrebbero essere gli organi e le reti globali accountable a una collettività o a un organo rappresentativo di essa?

Queste domande sollevano la questione della democrazia globale, che, a sua volta, si articola in due modi diversi. Da un lato, c’è il problema della legittimazione democratica dei poteri pubblici globali. Dall’altro, c’è la questione dei poteri pubblici globali come veicolo della democratizzazione dei poteri pubblici nazionali. Anche sotto questo profilo, insomma, non si può isolare un ‘livello globale’, staccandolo dai poteri pubblici nazionali.

Quanto al primo profilo, quello della democrazia globale, la risposta tradizionale alla domanda circa le fonti della legittimazione dei poteri pubblici globali (se vi sia un demos, e quale sia, che dà legittimità a essi) era la seguente: sono gli stessi Stati, che istituiscono le organizzazioni internazionali e le regolano, a prestare a esse la propria legittimazione. Dunque, la legittimazione dei poteri pubblici globali è di tipo indiretto. Tuttavia, a misura che i poteri pubblici globali si rendono sempre più autonomi rispetto agli Stati e stabiliscono legami diretti con la società civile, questa legittimazione appare insufficiente. Come si può ritenere indirettamente legittimata dagli Stati una organizzazione globale che non sia istituita da Stati, ma da altre organizzazioni internazionali? D’altra parte, se i poteri pubblici globali hanno stabilito legami diretti con cittadini e imprese di singoli Stati, o di gruppi di Stati, o di tutti gli Stati, imponendo loro obblighi, controllandone le attività, consentendo loro di rivolgersi direttamente a organi giudiziari o quasi giudiziari non nazionali, non dovrebbero essi rispondere della loro attività direttamente a tali cittadini, assicurando a loro beneficio trasparenza, partecipazione e rappresentanti politici che fungano da tramite tra loro e i gruppi o le collettività?

Sotto questo profilo, l’autentico ‘deficit di democrazia’ dei poteri pubblici globali va considerato alla luce di tre elementi. In primo luogo, la ‘democrazia cosmopolitica’ non ha le sue radici in tradizioni autoritarie o assolutistiche, come la maggior parte degli Stati. Dunque, vi è minor bisogno di democrazia, perché questa, nella tradizione statale, ha le sue origini nel bisogno di contrastare il potere degli esecutivi. I parlamenti nacquero per tenere sotto controllo i governi, oltre e prima che per dare una voce al popolo. In secondo luogo, i poteri globali, mentre possono, in taluni casi determinati, dare ordini, imponendo obblighi, operano, nella maggior parte dei casi, determinando standard, incentivando comportamenti, creando le condizioni perché vengano seguite condotte predeterminate. Dunque, i loro poteri autoritativi sono limitati. Vi è, allora, minor bisogno di strumenti di democrazia, diretti a tenere sotto controllo l’esercizio autoritativo del potere. In terzo luogo, proprio per le difficoltà di istituire un parlamento globale o altri istituti democratici di scala così vasta, i poteri pubblici globali stanno sperimentando un’ampia gamma di meccanismi di accountability, sulla scia del modello della democrazia detta deliberativa. Ciò è facilitato dallo sviluppo dei poteri pubblici globali in una fase recente. Questo rende possibile l’utilizzazione, da parte loro, di mezzi ancora in fase sperimentale nell’esperienza statale. L’ultimo arrivato si avvantaggia delle esperienze compiute da chi è giunto prima.

Il secondo aspetto della democrazia globale riguarda i poteri pubblici globali come facilitatori dell’esportazione della democrazia da un ordinamento nazionale a un altro. Le domande – e ci si limita solamente alle seguenti – sono: può la globalizzazione favorire la diffusione della democrazia, facilitando il trapianto o lo sviluppo di istituzioni democratiche in ordinamenti nazionali dove tali istituzioni sono inesistenti o deboli? Può la democrazia essere imposta dall’esterno, ed eventualmente con la forza? Quale tipo di democrazia, comunque, può essere così trapiantato in ordinamenti nazionali?

Cui prodest?

Chi trae profitto maggiormente dalla globalizzazione? L’ordine giuridico globale – descritto nei suoi tratti ‘amministrativistici’ – produce forse un ulteriore privilegio per gli Stati sviluppati, a danno degli ‘Stati-paria’. Oppure rafforza la posizione imperialistica dei soli Stati Uniti, come maggiore potenza mondiale, facilitando l’esportazione del diritto americano? O, all’opposto, è un fattore di civilizzazione, nel senso che diffonde anche in Paesi in via di sviluppo istituti e procedure sperimentati negli ordinamenti nazionali avanzati? Oppure ancora è un fattore addizionale di garanzia, in quanto prevede a tutela dei privati istituti e procedure aggiuntivi a quelli assicurati dagli ordinamenti nazionali?

A queste domande non si può dare una risposta netta. La globalizzazione giuridica è piena di ambiguità e probabilmente tutte le risposte sono, allo stesso tempo, valide. Si consideri solo la seconda domanda, quella relativa al ruolo degli Stati Uniti, alla luce delle due seguenti considerazioni. Da un lato, gli Stati Uniti godono di una posizione di vantaggio iniziale in molte materie, specialmente quelle relative alla introduzione di nuove tecnologie. Basti citare la circostanza che l’ICANN, che ha il controllo globale del sistema dei nomi a dominio, è una società americana, incorporata in California, sotto l’influenza dominante del Depart-ment of commerce statunitense.

Dall’altro lato, le regole globali, dettate per tenere altri Paesi sotto controllo, diventano successivamente un vincolo per coloro che ne promossero l’adozione. Norme globali di cui gli Stati Uniti sono stati paladini, per promuovere gli investimenti esteri delle loro imprese, sono ora usate per ottenere il rispetto di standard ambientali e sanitari da parte delle imprese americane stesse. Gli Stati Uniti, se vogliono proteggere i loro investimenti all’estero, devono accettare che le loro decisioni domestiche siano sottoposte a corti globali; se vogliono che siano protette le specie in via di estinzione nel mondo, debbono permettere che giudici globali controllino le loro politiche domestiche in materia. In altre parole, la forza del diritto globale sta nella circostanza che l’applicazione selettiva di norme è difficile, perché si scontra con il principio di reciprocità. Il diritto globale è una strada a due sensi par excellence.

Da queste ambiguità discende il comportamento contraddittorio degli Stati che dominano la scena mondiale. Questi cercano di utilizzare a loro vantaggio il diritto internazionale, applicandolo in modi che riflettono la loro superiorità di fatto. Tuttavia, poiché debbono essi stessi sottostare alle norme globali, cercano di sottrarsi al loro imperio, limitandone l’applicazione. Questo spiega anche l’ambiguità della Corte suprema degli Stati Uniti, che fa difficoltà al riconoscimento del diritto straniero, ma che è pronta a riconoscere il diritto americano imposto agli ordinamenti stranieri.

Da ultimo, non va sottovalutata la circostanza che, attraverso la regolazione globale, si diffondono alcuni modi prevalenti in alcune culture. Un esempio è costituito dalla diffusione della cultura centrata sui giudici, di tipo ‘rimediale’. Un altro esempio è costituito dalla tendenza dell’adversarial legalism (la cultura anglosassone che dà agli avvocati un ruolo molto importante nella raccolta delle prove, nella formulazione degli argomenti e nella formazione delle decisioni giudiziarie, ai giudici un posto centrale in un sistema di governo connotato dalla frammentazione, con risultati efficaci per la difesa dei cittadini, ma costosi e imprevedibili) a prevalere sulle forme assunte dalle culture giuridiche di altri Paesi.

Bibliografia

M. Shapiro, Globalization of law, «Indiana journal of global legal studies», 1993, 1, pp. 37-64.

M.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna 2000.

S. Cassese, La crisi dello Stato, Roma-Bari 2002.

J.-B. Auby, La globalisation, le droit e l’état, Paris 2003.

S. Cassese, Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari 2003.

B. Kingsbury, R.B. Stewart, N. Krisch, The emergence of global administrative law, «Law and contemporary problems», 2005, 68, 3-4, pp. 15-61.

S. Cassese, Oltre lo Stato, Roma-Bari 2006.

Si vedano, inoltre, i quattro Symposia dedicati al tema, pubblicati in «Administrative law review», 2002, 54, 1; «Law and contemporary problems», 2005, 68, 3-4; «New York university journal of international law and politics», 2005, 37, 4; «European journal of international law», 2006, 17, 1.

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