MAMELI, Goffredo

Enciclopedia Italiana (1934)

MAMELI, Goffredo

Mario MENGHINI

Poeta e soldato, nato a Genova il 5 settembre 1827, morto a Roma il 6 luglio 1849. Figlio di Giorgio e di Adele Zoagli, fino dall'infanzia il M. ebbe una salute assai cagionevole, e solamente nel 1840 fu avviato agli studî nelle Scuole pie di Genova Appena tredicenne, si cimentò nell'arringo poetico con un'odicina Gian Luigi Fieschi, che forse non fu la sola che il M. compose i quegli anni. Ammesso all'università, fu dapprima assiduo scolaro ma per un alterco avuto con un suo condiscepolo, il 15 luglio 1843, fu punito con l'obbligo di prolungare di un anno il corso di filosofia, poi la pena gli fu in parte condonata. Sembra tuttavia che, in seguito, la frequenza alle lezioni andasse da parte sua diradando. La cagione va forse ricercata nel fatto che verso il 1844 egli era stato preso d'amore per una fanciulla, Geronima Ferretti, che trasvolò ad altre nozze nell'autunno del 1846. E per lei il M. scrisse versi riboccanti di passione: La vergine e l'amante, leggenda araba; Era notte e il cavaliero; Il giovine crociato; Alla poesia; L'ultimo canto, quest'ultima intonata a desolato sconforto. A ogni modo riuscì con ottimo esito agli esami di baccelliere (7 agosto 1847); e si preparava agli esami di laurea, quando gli avvenimenti politici assorbirono d'allora in poi tutta la sua attività. Già nel marzo del 1847 egli era entrato a far parte d'un'accademia, chiamata Società Entelema, dapprima letteraria, divenuta poi a mano a mano politica, formata in gran parte di giovani che si segnalarono amatori delle idee liberali. In essa il M. lesse il 14 maggio un carme in versi sciolti e un'ode A Roma, quest'ultima intonata a caldissimi sensi di libertà. Quei due componimenti non erano però i primi che il poeta avesse composti con il proposito di spronare gl'Italiani a fare grande la patria; egli già dal settembre dell'anno precedente aveva infatti scritto i versi L'Alba, recitati in un cenacolo durante l'VIII Congresso degli scienziati che si tenne in Genova; e pur nell'autunno di quell'anno il sonetto A Carlo Alberto; e di più, nei primi mesi del 1847, le cantiche La battaglia di Marengo e La buona novella, l'ode Dante e l'Italia; infine l'ode Ai fratelli Bandiera, tra le più ispirate di quelle che il M. abbia scritte. Intanto, per tutto il 1847 il M., specialmente insieme con l'animoso Nino Bixio, prese parte alle dimostrazioni patriottiche che in Genova si succedevano con molta frequenza; e nel novembre, subitamente stampato e posto in musica dal maestro Novaro, scrisse l'inno Fratelli d'Italia, che fu cantato per più giorni per le vie di Genova fra immenso entusiasmo, procurando all'autore grande popolarità. Ormai la rivoluzione italiana aveva trovato il suo poeta; in breve l'inno Fratelli d'Italia fu detto, e si disse in seguito, l'Inno di Mameli.

Poeta e soldato, a un tempo: poiché il mese dopo, celebrandosi il centunesimo anniversario (10 dicembre) della cacciata degli Austriaci da Genova, il M. fu visto afferrare il tricolore, che era allora vietato di spiegare al vento, e capeggiare la dimostrazione andata a compiere il rito della patria al mortaio di Portoria. E fu in quell'occasione che egli compose un'altra ode recitata da lui stesso fra delirî di entusiasmo, eccitando gli ascoltatori e infiammandoli a fieri propositi. Ai quali il M. li spronò sempre più nei giorni successivi: così il 30 dicembre, in un discorso improvvisato per protestare sull'opportunità che i Genovesi firmassero una supplica a Ferdinando II di Napoli, stesa da uomini politici piemontesi, primo cesare Balbo, per esortarlo alla concessione di riforme; così nella adunata del 10 gennaio 1848, perché Carlo Alberto le concedesse a sua volta; così il 29 gennaio, quando, avutasi notizia a Genova che Palermo era insorta, dopo di avere scritta l'ode: Viva Italia! Era in sette partita, in cui spronava all'armi, non esitava con i suoi giovani amici a presentarsi al governatore della città per "ottenere il permesso di radunarsi in un luogo acconcio ed ivi addestrarsi alle armi". E di queste e di altre dimostrazioni dava ragguaglio al Mazzini, del quale doveva ritenersi il più legittimo discepolo.

Gli avvenimenti politici nei quali il M. a Genova era sempre uno dei più ardenti incitatori, incalzando ognor più, parvero persuadere il poeta a una sosta, e fargli preferire l'uomo d'azione. Non appena (19 marzo 1848) corse in Genova la notizia che Milano era insorta, egli, al comando di trecento giovani, prende il giorno dopo la via del Ticino; il 22 giugno giunge a Gravellona, entra il 24 trionfalmente in Milano, quindi, andato a Treviglio, s'inscrive nella legione del Torres col grado di capitano, e di là prosegue per Crema, Montichiari, Volta Mantovana, dove il Torres lo incarica di ricercare il punto più acconcio per il passaggio del Ticino. Pochi giorni dopo, sciolta la legione del Torres, il M. con la compagnia da lui intitolata Mazzini si congiunge con la colonna mantovana del Longoni, della quale segue le sorti fino alla conclusione della prima guerra dell'indipendenza italiana. Il 23 aprile fece una breve apparizione a Milano per conoscervi di persona il Mazzini; e vi tornò il 7 maggio e ancor dopo, approfittando dei lunghi giorni d'inazione ai quali la colonna mantovana era costretta. Giunse però in tempo a partecipare a un'audacissima ricognizione insieme con Narciso Bronzetti. Il M., dopo l'insuccesso della guerra, seguì nella ritirata su Parma la sua legione che, unita al corpo d'esercito del La Marmora, per la via di Stradella rientrò in Piemonte; e tornato a Genova, dove trovò gli animi fortemente concitati per il modo come si erano condotte le operazioni militari, riprese la sua attività di tribuno; colà, sia pure tentando di calmare le eccessive effervescenze dei più scalmanati, decisi financo a proporre il distacco di Genova dal Piemonte, proposta che il M. decisamente avversò, stese nondimeno un'audace protesta (16 agosto) contro l'armistizio. E fu in quei giorni che pubblicò l'Inno militare, che aveva composto un mese prima per ispirazione del Mazzini e che fu musicato da G. Verdi. Quando Garibaldi giunse a Genova (26 settembre 1848) il M. fu d'allora in poi uno dei suoi più fervidi seguaci, e nel Diario del Popolo, periodico genovese, nel quale aveva tanta parte, infiammò i giovani a inscriversi nel corpo dei volontarî che Garibaldi avrebbe dovuto guidare nella futura lotta per la liberazione della patria. Quando il condottiero, partito da Genova per andare a capo di quel nucleo di ardimentosi che fu poi la Legione italiana, il M., insieme con i residui della colonna mantovana, lo raggiunse a Ravenna (20 novembre), donde, avuta notizia della fuga di Pio IX a Gaeta, partì per Roma; dove, appena giunto (primi di dicembre), fu attivissimo fautore nei comizî al Circolo popolare e in articoli nella Pallade di una costituente italiana. A Roma compose pure l'ultima sua ode per la patria (la penultima era stata quella scritta nel settembre precedente intitolata Milano e Venezia) nella quale così si rivolgeva al popolo dopo la fuga del pontefice "Al Campidoglio il Popolo, Dica la gran parola"; di là, quando il 9 febbraio 1849 fu proclamata la repubblica, inviò al Mazzini il famoso invito: "Roma, Repubblica, Venite". Probabilmente con l'apostolo dell'unità s'incontrò a Firenze verso il 20 febbraio, quando si recò alcuni giorni a Genova per spronarla a insorgere; al quale proposito pubblicò un ardente proclama nel Pensiero italiano del 15 marzo 1849; tornò a Genova nell'aprile, insieme Con Nino Bixio, per incarico del Triumvirato, ma vi giunse dopo che era stato domato il moto insurrezianale. Riprese la via di Roma, ove arrivò nel momento in cui i Francesi, sbarcati a Civitavecchia, si disponevano a cingere d'assedio la città. Diventato aiutante di Garibaldi, combatté il 30 aprile, poi a Palestrina, a Velletri (19 maggio), al Gianicolo (3 giugno), dove rimase ferito a una gamba. La ferita non era molto grave; trasportato all'ospedale della Trinità dei Pellegrini, fu però malamente curato, per modo che sopravvenne ben prestò un'infezione cancrenosa. Vano fu il tentativo di amputargli la gamba, poiché, dopo più di un mese di atroci sofferenze, narrate in un diario di A. Bertani che lo ebbe in cura, il M. si spense.

Le poesie del M. furono per prima volta riunite dall'amico Canale, con una prefazione di G. Mazzini (Genova 1850) e quell'edizione ebbie successive ristampe (Tortona 1859, Genova 1878, Milano 1880, Roma 1891). A. G. Barrili provvíde a un'edizione più razionale, e alle poesie unì buon numero di prose, il tutto corredato da note storiche e da una biografia del poeta (Scritti editi e inediti di G. M., Genova 1902). In occasione del centenario della nascita, A. Codignola diede alla luce un'edizione definitiva degli scritti, con una vita del poeta (G. M., la vita e gli scritti, Venezia 1927, in due volumi). Aggiunte di una poesia e di prose furono fatte da M. Menghini, G. M. e T. Mamiani con scritti dispersi del poeta (in Studi e documenti su G. M. e la Repubblica Romana, Imola 1927).

Bibl.: Fu elencata dal Codignola, nel vol. II, pp. 435-442; da aggiungere il vol.: G. M. e i suoi tempi, Venezia 1927, con scritti di E. Broccardi, A. Colombo, A. Custodero, R. V. Foà, G. Gentile, E. Michel ed E. Passamonti.