GOFFREDO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GOFFREDO

Hubert Houben

Terzo di questo nome, signore di Lecce, Ostuni e Carovigno, e successivamente conte di Montescaglioso (Matera), fu figlio di Mabilia e di Accardo (II), attestato tra il 1120 e il 1137, e nipote di Goffredo (II), attestato tra il 1092 e il 1116; nacque intorno al secondo decennio del XII secolo.

G. non ci ha lasciato documenti direttamente da lui emanati, se si prescinde da una carta del dicembre 1146, tramandata soltanto in una copia del sec. XVI, conservata in un fascicolo relativo a una lite giurisdizionale tra il vescovo di Lecce e il priore del convento dei celestini di S. Croce di Lecce. Il documento, edito recentemente da G. Vallone, è però con ogni probabilità un falso, come risulta non soltanto dall'intitolazione di G. come "Dei gratia Litii dux" e dalla strana sottoscrizione di G. come "Litii gratia Dei et officiandus Hostuni dominus", ma anche dalla notizia in esso riportata, e non confermata da nessun'altra fonte, che il padre di G., Accardo, sarebbe stato mandato in esilio da re Ruggero II e sarebbe morto a Gerusalemme. Non è comunque escluso che il falsario si sia basato su un documento autentico, andato poi perduto.

In due documenti, emanati da Accardo nel maggio 1133 e nel marzo 1137 in favore del monastero benedettino di S. Giovanni Evangelista di Lecce (cfr. ed. Pastore), G. firma con il "signum manus" in qualità di figlio. Dal primo di questi documenti risulta il nome della madre di G., Mabilia. Le prime badesse del monastero, Agnese, attestata nel 1133, e Guimarca, attestata tra il 1137 e il 1142, erano figlie di Goffredo (II) e quindi zie di G., mentre la terza badessa, Emma, attestata tra il 1151 e il 1193, era sorella di Goffredo.

In un'epigrafe in versi leonini, che porta la data 1148 ("Anno milleno centumque quater duodeno", cfr. Antonucci, p. 456), G., indicato semplicemente come "Gosfridus Litii", è ricordato quale committente della costruzione del castello di Ostuni. In un'epigrafe ricordante la consacrazione della chiesa di S. Spirito di Caltanissetta, celebrata il 14 giugno 1153 dall'arcivescovo di Bari su invito di G., egli viene correttamente indicato come "Gosfridus Licii" conte di Montescaglioso (cfr. Garufi, p. 366; Antonucci, p. 457). Tale carica compare anche nel cosiddetto Catalogus baronum, redatto intorno al 1150 e, per la parte relativa a Lecce, aggiornato nel 1168-69, dove G. risulta essere il titolare della contea di Montescaglioso nonché signore di Lecce, Carovigno e Ostuni. G. ottenne la contea di Montescaglioso probabilmente tra il maggio 1152 e il giugno 1153, quando risiedeva già in Sicilia.

Contrariamente a una lunga tradizione erudita locale G. quindi, allo stesso modo di suo padre e di suo nonno, non era conte ma signore (dominus) di Lecce. Infatti, la contea di Lecce fu istituita soltanto negli anni Sessanta del sec. XII per il nipote di G., Tancredi, che ne prese possesso nel 1169 (e che sarebbe diventato nel 1190 re di Sicilia). Tancredi era figlio di una sorella di G., il nome della quale non è stato tramandato, e di Ruggero, figlio primogenito di re Ruggero II di Sicilia. Il titolo di conte di Lecce, attribuito ai predecessori di G., si trova soltanto in documenti di dubbia autenticità, anche se non è escluso che, almeno per quanto riguarda il sec. XI, qualcuno dei signori di Lecce possa aver "usurpato" il titolo comitale vista la disinvoltura con cui i Normanni si attribuivano, una volta in Italia, questo titolo. Dopo l'istituzione della monarchia (1130) il titolo di conte non poté più essere assunto senza il consenso del re, e dopo il 1140 Ruggero II istituì un nuovo tipo di contea, dipendente direttamente dal re, i cui titolari erano normalmente legati al sovrano attraverso legami di parentela.

Nulla sappiamo di preciso sulle circostanze del trasferimento di G. da Lecce in Sicilia. Sembra lecito presumere che tale trasferimento fosse connesso con la morte, avvenuta nel maggio del 1149, del primogenito di Ruggero II, il duca Ruggero, in seguito alla quale i due figli illegittimi di questo, nati verso il 1138-39 dall'unione con una sorella di G., ossia Tancredi (m. 1194) e Guglielmo (m. 1161), furono chiamati alla corte del re per esservi educati e, forse, anche meglio controllati. Fu G. probabilmente ad accompagnare i suoi nipoti minorenni alla corte di Ruggero II e decise poi di fermarsi lì, ottenendo in seguito la titolarità della contea di Montescaglioso.

Con questa carica G. è ricordato nella Historia del cosiddetto Ugo Falcando, dove si legge che G. aveva ottenuto, inoltre, il dominio sulle città di Noto, Sclafani e Caltanissetta; lo stesso Falcando descrive le indubbie doti di G.: generosità, intelligenza e abilità nelle armi, ma ne sottolinea altresì il carattere instabile e poco affidabile ("sed mobilis erat ingenii, fidei vacillantis, novitates rerum semper exoptans", p. 15).

Secondo Falcando, Maione di Bari, il più alto funzionario della curia di Guglielmo I, al fine di far aderire G. a una rivolta contro il re convinse il sovrano a togliergli il castello di Noto, da lui prediletto. Il piano sarebbe riuscito perché G., risentito per la decisione del sovrano, avrebbe partecipato alla rivolta del 1155-56 diventandone uno dei protagonisti. La rivolta però fallì e, nell'aprile del 1156, G., asserragliatosi con i suoi compagni a Butera, si arrese con la condizione di poter lasciare incolume il Regno. Egli si recò quindi a Messina preparandosi ad attraversare lo stretto per recarsi in Puglia, ma quando il re, poco tempo dopo, giunse con il suo esercito in Puglia per cacciarne i Bizantini che l'avevano invasa e per soffocare la ribellione di alcune città, vietò a G. di lasciare l'isola, temendo ovviamente che questi potesse allearsi con i suoi nemici. Sembra però che G. tentò di contravvenire a questo ordine: non si spiega altrimenti il fatto che, mentre il re combatteva in Puglia, egli fu incarcerato e accecato. Secondo Falcando, sarebbe stato lo stesso Maione di Bari a suggerire al sovrano la punizione di Goffredo.

Lo sfortunato G. fu probabilmente rinchiuso nelle carceri regie di Palermo, perché è nella cattedrale palermitana che fu collocata un'epigrafe che ricorda la sua morte, avvenuta l'8 apr. 1174. In quest'epigrafe gli è attribuito il titolo di "comes Licii" (ed. Garufi, pp. 339 s.), e così anche in una nota commemorativo-obituaria del martirologio del monastero dei Ss. Niccolò e Cataldo di Lecce, fondato da suo nipote Tancredi nel 1179 (cfr. ed. De Leo). Ma in entrambi i casi si tratta di un titolo anacronistico, perché ricalcato su quello dello stesso Tancredi.

Non sappiamo se G. fosse stato sposato; egli comunque non lasciò discendenti diretti. Dopo il suo tentativo di ribellione, la contea di Montescaglioso fu affidata, intorno al 1166-67, a Enrico di Navarra, fratello della regina Margherita.

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