SAPIENZA, Goliarda

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SAPIENZA, Goliarda

Monica Venturini

SAPIENZA, Goliarda. – Nacque a Catania il 10 maggio 1924, ma venne registrata il 19 giugno. I suoi genitori – la nota sindacalista lombarda Maria Giudice (1880-1953), prima donna divenuta segretaria della Camera del Lavoro di Torino e direttrice del settimanale Il Grido del Popolo, di cui era redattore anche Antonio Gramsci, e l’avvocato socialista Giuseppe Sapienza (1880-1949) – si conobbero vedovi, con tre figli l’uno (avuti da Lucia Musumeci) e sette l’altra (avuti con Carlo Civardi). La loro fu una relazione basata su una forte complicità sentimentale e professionale: diressero il giornale L’Unione e parteciparono attivamente alle lotte per l’espropriazione delle terre in Sicilia nel biennio 1920-22, durante il quale il figlio maggiore di Giuseppe, Goliardo, morì affogato in mare, presumibilmente ucciso dalla mafia. Il nome Goliarda le venne dato in ricordo del fratello morto tre anni prima della sua nascita.

«La sua formazione [...] s’è fatta fra le mura di una casa-oasi di luce nelle tenebre fasciste, e nei vicoli di S. Berillo a Catania» (A. Pellegrino, Postfazione alla prima edizione, in G. Sapienza, Le certezze del dubbio, a cura di A. Pellegrino, Torino 2013, p. 167). Molti dolori segnarono la sua infanzia, tra cui la morte di tre fratellastri – nel 1925 morì Josina, la prima figlia di Maria; nel 1928 Jose Civardi venne trovato impiccato in carcere; nello stesso anno perse la vita anche Goliardo Danilo all’età di due anni –, il disagio mentale della madre, la vitalità prorompente del padre sempre alla ricerca di nuove relazioni. Nel 1927 i genitori, sottoposti al confino dal regime fascista, vennero poi prosciolti grazie alla presenza dei numerosi figli. Il talento di attrice, ballerina, cantante emerse fin da bambina, quando ai ‘successi’ di enfant prodige si alternavano una salute malferma e la comparsa di malattie gravi (nel 1933 si ammalò di difterite, nel 1936-37 di tubercolosi). Nel 1941 si trasferì con la madre a Roma, dove frequentò l’Accademia di arte drammatica, allora diretta da Silvio D’Amico, grazie a una borsa di studio. Il 16, 17 e 18 giugno 1942 recitò al teatro Eliseo di Roma in Così è se vi pare di Luigi Pirandello. Sempre nel 1942, Peppino Sapienza venne arrestato a Catania con l’accusa di aver guidato un gruppo di sovversivi. L’anno successivo, uscito dal carcere, partecipò alla resistenza antifascista a Roma, organizzando la Brigata Vespri, alla quale Goliarda prese parte. In settembre, ricercata dalla polizia fascista, si rifugiò in un convento e non frequentò l’Accademia per alcuni mesi. Seguì un momento molto difficile, quando, nel 1944, soprattutto a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni mentali, la madre venne ricoverata in un ospedale psichiatrico. In autunno rientrò in Accademia, per poi interrompere definitivamente gli studi.

Nel 1945 fondò con Silverio Blasi e Mario Landi la compagnia d’avanguardia teatrale T45 che mise in scena La frontiera di Leopoldo Trieste al teatro Quirino di Roma e recitò in Gioventù malata di Ferdinand Brukner, entrambi con la regia di Mario Landi. Nel 1946 partecipò alla Compagnia del Piccolo teatro d’Arte, continuando negli anni successivi a recitare in ruoli importanti, da Profonde sono le radici (1950) di Landi a La potenza delle tenebre (1951) con la regia di Blasi a Commedia italiana (1951) diretto da Tonino Nediani. Dopo una relazione con Gerardo Guerrieri, nel 1947 incontrò un altro regista, Francesco Maselli, detto Citto, con il quale ebbe inizio un sodalizio amoroso e artistico durato oltre diciotto anni, destinato a trasformarsi poi in un’intensa amicizia. Furono anni in cui frequentò ambienti esclusivi, lavorando nel cinema oltre che con Maselli – si ricordano qui Gli sbandati (1955) e più avanti Lettera aperta a un giornale della sera (1970) – con registi come Luigi Comencini – in Persiane chiuse (1951) –, Alessandro Blasetti – in Un giorno nella vita (1946), Fabiola (1949) e La morsa (episodio di Altri tempi, 1951) – e Luchino Visconti – non accreditata in Senso (1954) e come coreuta nello spettacolo teatrale Medea (1953) –, prendendo parte al neorealismo italiano.

Il 24 novembre 1948 morì a Palermo il padre. Dagli anni Cinquanta in poi visse a Roma, in un primo periodo in via Tripoli, dividendo un piccolo appartamento con Citto Maselli e la madre, Maria Giudice. L’anno dopo riscosse un grande successo interpretando la parte di Ersilia Drei in Vestire gli ignudi di Pirandello. A questi anni risale la scoperta di Positano e della costiera amalfitana, dove passò tutte le estati per dieci anni. Il 5 febbraio 1953 morì anche la madre. L’anno successivo Goliarda e Citto si trasferirono in un attico in via Denza nel quartiere Parioli. Si intensificarono in quel periodo crisi d’angoscia ricorrenti che la accompagnarono negli anni successivi. Iniziò a scrivere poesie raccolte in Ancestrale, opera pubblicata molto tempo dopo, nel 2013, a cura di Angelo Pellegrino e con la postfazione di Anna Toscano.

Pellegrino ricorda, nell’introduzione, i numerosi tentativi di ricevere un giudizio sulla raccolta: il libro venne letto, infatti, da Cesare Garboli, Niccolò Gallo, Anna Banti, Roberto Longhi. Ma nonostante avesse riscosso giudizi nel complesso positivi – così infatti si espressero Banti, Longhi, Garboli e Attilio Bertolucci – non fu possibile in quegli anni trovare un editore disposto a pubblicare l’opera, anche a causa della forte stroncatura di Mario Alicata.

Dal 1958 iniziò a maturare la decisione di abbandonare il teatro e il cinema per dedicarsi alla scrittura: cominciò la stesura dei racconti di Destino coatto e di un romanzo poi rimasto inedito, Carluzzu. Da quel momento tornò solo episodicamente a recitare, come in Liolà con la regia di Blasi e successivamente, negli anni Ottanta, in Il dialogo nella palude di Marguerite Yourcenar e in Febbre di Pier Maria Rosso di San Secondo. Nella primavera del 1962, dopo aver tentato il suicidio, venne ricoverata in una clinica psichiatrica dove subì l’elettroshock. In seguito a questa traumatica esperienza, iniziò una terapia quotidiana con il giovane psicoanalista Ignazio Majore. Nel 1964 tentò nuovamente il suicidio e restò per giorni in coma. L’anno successivo si separò da Citto Maselli. Nel 1967 venne pubblicato il romanzo autobiografico Lettera aperta, presso Garzanti. Seguì, nel 1969, sempre per Garzanti, Il filo del mezzogiorno, altra opera a sfondo autobiografico.

Nel recensire quest’opera, Luigi Baldacci offrì un suggestivo ritratto di Goliarda Sapienza: «scrittrice di rara vocazione, aspra e impietosa come la figliastra dei Sei personaggi pirandelliani, ma raddolcita da una venatura lirica, esaltata da un senso epico della parola» (Epoca, 13 luglio 1969).

Dal 1969 al 1976 Goliarda Sapienza scrisse il libro che la renderà nota anni dopo, L’arte della gioia. Nel 1975 conobbe Angelo Pellegrino, che sposò il 5 ottobre 1979. Il 4 ottobre 1980 venne arrestata e detenuta al carcere di Rebibbia di Roma per cinque giorni per aver rubato nell’appartamento di un’amica. Da questa esperienza nacque L’università di Rebibbia pubblicato nel 1983 per Rizzoli. In un’intervista a Enzo Biagi nel 1984 raccontò i suoi giorni in carcere come un’esperienza assolutamente positiva per gli incontri e le lezioni di vita ricevute. Nel 1986 vinse il premio Minerva per la letteratura. Nel 1987 uscì Le certezze del dubbio per Pellicanolibri. Nel 1994 venne pubblicata da Stampa Alternativa la prima parte dell’Arte della gioia – integralmente nel 1998 con il sottotitolo Romanzo anticlericale e nuovamente nel 2003, sempre per i tipi di Stampa Alternativa, dopo la messa in onda del programma dal titolo Goliarda Sapienza. L’arte di una vita (2002), con la regia di Manuela Vigorita, per il ciclo Vuoti di memoria, curato da Loredana Rotondo per Rai Educational. Il libro, riscoperto da un’editrice tedesca, Waltraud Schwarze, che lo pubblicò in due volumi tra il 2005 e il 2006, venne rilanciato anche in Francia grazie a Viviane Hamy.

In quest’ampia saga familiare, grazie alla protagonista Modesta, donna indomita e ribelle, si ripercorre la storia dell’Italia nei primi cinquant’anni del Novecento, tramite questioni centrali in quegli anni come la libertà sessuale, l’amore fisico, la politica, il femminismo: «L’arte della gioia è uno di questi tentativi di divorare e digerire il secolo in una volta sola, e col secolo la propria vita trasformata in sistema di parole. [...] Questo libro formicola d’interferenze tra la finzione romanzesca e la cronaca reale dei fatti di famiglia» (D. Scarpa, Senza alterare niente, in G. Sapienza, L’arte della gioia, prefazione di A. Pellegrino, Torino 2014, p. 519).

Il romanzo venne inviato a Enzo Siciliano e a Sergio Pautasso, affidato a Erich Linder e di fatto elogiato, anche se definito ‘un romanzone’ come era accaduto per La Storia di Elsa Morante – e si potrebbero citare qui, come è stato opportunamente fatto, anche Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo e, ancor prima, Il Gattopardo: si veda a questo proposito il noto articolo di Adele Cambria dal titolo Dopo l’Orca arriva la Gattoparda, uscito sul Giorno il 6 settembre 1979 – restando a lungo, nonostante tutto, senza un’adeguata collocazione editoriale. Solo dopo il successo di diverse edizioni estere venne finalmente pubblicato da Einaudi, nel 2008, con grande riscontro di critica e di pubblico. Postumi saranno pubblicati anche i racconti Destino coatto (2002), il romanzo Io, Jean Gabin (2010), e una raccolta dei suoi taccuini, Il vizio di parlare a me stessa. Taccuini 1976-1989 (2011) che raccoglie anche frammenti di Lettera aperta III, a cura di Angelo Pellegrino. Nel 2012 vennero pubblicati i versi dialettali nella raccolta Siciliane, poi confluiti in Ancestrale (2013) e, sempre nel 2013, La mia parte di gioia. Taccuini 1989-1992. L’anno successivo furono pubblicati Elogio del bar e Tre pièces e adattamenti cinematografici e, nel 2015, Appuntamento a Positano.

Come scrive Angelo Pellegrino nella prefazione a La mia parte di gioia, Sapienza fu «scrittrice di ampie stesure», caratteristica che emerge anche nel progetto del romanzo Amore sotto il fascismo, dedicato alla figura materna, «una vasta narrazione di impianto generazionale» (Prefazione, in G. Sapienza, La mia parte di gioia. Taccuini 1989-1992, a cura di G. Rispoli, Torino 2013, p. V) che resta purtroppo incompiuta. In suo onore fu istituito il premio letterario Goliarda Sapienza. Racconti dal carcere.

Trascorse gli ultimi anni tra Roma e Gaeta, dove venne trovata morta il 30 agosto 1996. Oggi è riconosciuta tra le scrittrici italiane più significative del secondo Novecento.

Fonti e Bibl.: Per il profilo biografico si vedano i volumi di G. Providenti, La porta è aperta. Vita di G. S., Catania 2010, 2014; Quel sogno d’essere di G. S. Percorsi critici su una delle maggiori autrici del Novecento italiano, Roma 2012; G. S. La porta della gioia, Roma 2016. Si vedano anche M. Farnetti, G. S. e l’arte della gioia, in Ead., Tutte signore di mio gusto. Profili di scrittrici contemporanee, Milano 2008; S. Asaro, G. S. La lingua modesta dell’arte della gioia, Roma 2010; Appassionata S., a cura di M. Farnetti, Milano 2011 (con saggi di M. Vigorita, L. Rotondo, L. Cardone, E. Gobbato, A. Pellegrino, M. Farnetti, L. Fortini, M. Fraire, C. Barbarulli, G. Ortu); F.G. Le Piane, La meraviglia è nemica della prudenza. Invito alla lettura deL’arte della gioia’, Comiso 2012; A. Toscano - A. Trevisan - F. Michieli, Voce di donna, voce di G. S., Milano 2016; A. Trevisan, G. S.: una voce intertestuale (1996-2006), Milano 2016; Dell’ambivalenza: dinamiche della narrazione in Elena Ferrante, Julie Otsuka e G. S., a cura di A.M. Crispino - M. Vitale, Roma 2016. Si segnala anche G. Sapienza - A. Pellegrino, Cronistoria di alcuni rifiuti editoriali dell’Arte della gioia, Roma 2016.

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