CARELLI, Gonsalvo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARELLI, Gonsalvo (Consalvo)

Oreste Ferrari

Primogenito di Raffaele e Rosa Coltellini, nacque a Napoli il 29 marzo del 1818. Allievo del padre, ebbe un esordio precocissimo, e partecipò con due disegni a seppia all'Esposizione napoletana del 1830, guadagnandosi una medaglia d'argento. Fu presente anche all'Esposizione del 1833, con sedici studi e un grande acquerello: una veduta della Vicaria, animata da figurette popolaresche, che fu acquistato dalla regina madre Isabella. Nessuna di queste opere è oggi individuabile con certezza, ma è facile presumere che il C. vi si esprimesse nei modi tipici di quella congiuntura che vide giungere a maturità, ma poi presto stabilizzarsi in sigla illustrativa, le istanze romantiche del paesaggismo della scuola di Posillipo.

Non è però da escludere che qualche avviso a tentare vie diverse gli sia già allora venuto dagli esempi di Salvatore Fergola e da quelli che Gabriele Smargiassi inviava da Parigi e da Londra alle mostre napoletane dal 1827 al 1837. è significativo infatti che quando il C. poté recarsi a Roma, nel 1837, col fratello Gabriele, grazie alla munificenza del duca di Terranova, le sue affinità si dimostrassero soprattutto con i giovani pensionanti dell'Accademia di Francia, assieme ad alcuni dei quali si recò occasionalmente a dipingere dal vero nella Campagna romana.

Fatto sta che i tre anni trascorsi a Roma favorirono nell'artista una visione più consolidata: si veda in particolar modo la nota Veduta di Ponte Lucano con il sepolcro dei Plauzi, del 1839(Napoli, coll. B. d'Angelo), ove i celebri ruderi che sorgono nei pressi di villa Adriana sono ritratti con sì limpida fermezza compositiva da riecheggiare perfino la tradizione del classicismo secentesco.

Tornato a Napoli, nel 1841, vi espose con successo alcune delle opere che aveva riportato dal soggiorno romano e una ampia veduta della Solfatara dalla cimadegli Astroni, che fu subito acquistata per la collezione borbonica del palazzo di Capodimonte. In quell'anno stesso si trasferì a Parigi, portando con sé una lettera della regina-madre Isabella che lo raccomandava alla regina di Francia Maria Amelia.

A Parigi, pertanto, il C. si inserì soprattutto negli ambienti ufficiali, ottenendone commissioni di prestigio e vantaggiose, come quando ebbe l'incarico di decorare con paesaggi "italiani" un salone del Palais-Royal, o quando eseguì un album di cento disegni per Luigi Filippo, o dipinse un Miracolo di s. Michele, ambientato in una immaginaria selva calabrese, per Versailles (cfr. Napier). Ma come ricorda questo stesso autore (p. 88), l'artista seppe pure "rivendicare la sua indipendenza dal favore reale", partecipando con successo ai Salons degli anni 1842 e 1843.Non sembra però che il suo soggiorno a Parigi, che si protrasse fino agli inizi del 1844, abbia avuto effetti di rilievo nel senso di un ampliamento dell'orizzonte culturale del C., ove si escluda qualche interesse per i modi delle personalità minori della cosiddetta scuola di Barbizon: interesse però che valse piuttosto a confermare quei legami di affinità che il pittore napoletano aveva avuto già a Roma coi giovani pensionanti dell'Accademia di Francia, anzi che a suscitare propositi innovativi nel senso delle esperienze naturalistiche.

Tornato in patria, il C. riprese dunque le maniere sue consuete, sempre apprezzate dai committenti illustri: proprio nel 1845 dipinse per lo zar di Russia le due vedute di Napoli dal parco di Portici e del Convento di Camaldoli che si conservano tuttora all'Ermitage di Leningrado.

In questo periodo cominciò ad accostarsi ai circoli patriottici risorgimentali e si narra (ma la notizia manca di qualsiasi suffragio documentario) che nel 1848 egli abbia preso parte alle Cinque giornate di Milano. La sua attività professionale proseguì comunque senza scosse, negli ultimi anni della Napoli borbonica, ed anzi con rinnovati riconoscimenti che giunsero fino alla nomina a professore onorario nell'Istituto di Belle Arti (1859).

La sua produzione pittorica si mantenne intensa, sempre nel genere delle vedute di piccolo taglio, ben ordinate compositivamente e dense di luce: valgano, ad esemplificazione dei modi del C. in questi anni, le piccole tele con vedute di Amalfi e di Capri del Museo di S. Martino a Napoli, la scenetta con la Barca da pesca a riva che è nella Galleria dell'Accademia napoletana e infine l'Intorno di stalla della coll. B. d'Angelo, pure a Napoli, in cui - mediato anche da certe episodiche prove del fratello Gabriele - affiora l'influsso del calibrato naturalismo di Giuseppe Palizzi.

Nel 1860 il C. si arruolò tra i garibaldini e combatté al Volturno: ricordo di questa campagna militare sono un disegno col Ritratto di Garibaldi ed un olio raffigurante appunto Garibaldi al Volturno, entrambi nel Museo di S. Martino.

Dopo questa sua partecipazione agli eventi risorgimentali, l'artista non restò a lungo a Napoli, ma dal 1862 si trasferì a Roma, ancora una volta accolto con onori: il 15 giugno 1866 fu eletto accademico di S. Luca. Negli anni seguenti - dopo il '71 - insegnò anche pittura alla futura regina Margherita. A Napoli comunque egli fece ritorno dopo l'anno 1870, e per molti anni ancora seguitò,a dipingere paesaggi e vedute e scene di genere, fisso sui moduli già stabilitisi, piacevoli e composti, ma spaesati affatto, oramai, in un ambiente che rinnovava la sua vitalità immaginativa per altre esperienze, da quelle dei Palizzi o di Cammarano a quelle di tanti altri giovani pittori. Rispetto a queste esperienze, anzi, il C. sembrò assumere perfino atteggiamenti polemici, con i suoi scritti: segnatamente con la "lettera" intitolata Sull'arte del dipingere, pubblicata a Napoli nel 1874 e dedicata al pittore Natale Carta - che è un'anacronistica apologia del paesaggio "ideale" -, ma non meno col discorso commemorativo di Giacinto Gigante (G. Mancinelli e G. Gigante, Napoli 1877): dimostrando così quanto poco egli aveva in definitiva inteso dell'intimo lirismo del Gigante stesso e degli altri pittori della scuola di Posillipo, che pure gli erano stati più vicini nella maniera pittorica.

Un posto a parte, nel corso della carriera del C., occupa la sua folta produzione grafica, che è, in parte cospicua, conservata nel Museo di S. Martino. Battendo sì le facili vie del gusto per il "colore locale", tanti suoi fogli di soggetto popolaresco e la serie degli acquerelli dedicata alla illustrazione delle Taverne napoletane si accostano però consapevolmente al mondo rievocativo della poesia dialettale del momento: si sa per altro che il pittore si legò allora d'affettuosa amicizia con Salvatore Di Giacomo.

Morì a Napoli il 2 dic. 1900.

Giuseppe, figlio del C., nacque a Napoli il 10 marzo 1858. Le sole notizie della sua biografia ci vengono dal De Gubernatis, il quale ricorda come il pittore si fosse educato, oltre che sugli esempi forniti dall'ambiente familiare, all'Accademia napoletana: allievo di G. Mancinelli dapprima e poi di V. Marinelli, il quale ultimo, con i suoi gusti esotizzanti, lo stimolò a quanto pare ad un tipo di pittura di facile effetto illustrativo. Diplomatosi nel 1876, si recò quasi subito a Roma e vi conobbe il Podesti, il Fracassini e Natale Carta. Sempre dal De Gubernatis abbiamo notizia di alcune sue opere, eseguite per illustri committenti italiani e stranieri e raffiguranti scene e paesaggi tratti dal vero nel corso dei suoi ripetuti raggi in varie regioni d'Italia (soprattutto in Sicilia e nel Lazio). Gli stessi temi sono propri di quadretti che egli espose, dagli inizi del secolo XX, alle varie edizioni delle mostre della Promotrice napoletana. Le opere che di lui attualmente si conoscono sono piuttosto scarse (nessuna di esse figura in pubbliche raccolte) e lo rivelano come un modesto seguace della maniera descrittiva del Postiglione e soprattutto del Dalbono: basti citare la tavoletta con I pescatori al largo di Capri, della collezione Lemmerman di Roma. Egli diffuse i suoi temi illustrativi di un paesaggismo oramai convenzionale anche con incisioni all'acquaforte e con qualche litografia. Con lui, e con un Raffaele junior, del quale si conosce solo un disegno raffigurante la Chiesa di S. Flaviano a Giulianova (Napoli, Museo di S. Martino: vedi Conte-Doria, 1956, pp. 67, 71), si chiude la progenie dei Carelli pittori; morì a Portici il 23 maggio 1921.

Fonti e Bibl.: Necrologio, in Emporium, XIII(1901), p. 79 (di S. Di Giacomo); G. D. R., Intorno alle più eccellenti pitture napol. esposte nell'ottobre del 1830, Napoli 1831, pp. 17, 19, 20; V. Torelli, Visite di studi di artisti nostri, G. C, in L'Omnibus pittoresco, III(1840), pp. 287 s.; E. Rocco, Un quadro di G. C., in Poliorama pittoresco, V (1840-41), p. 9; D. Ventimiglia, Lo studio dei pittori Carelli, ibid., XI(1846-47), pp. 117-119, 267 s.; F. Napier, Pittura napol. dell'Ottoc.(London 1855), a cura di S. D'Ambrosio, Napoli 1956, pp. 86-90; F. P. Bozzelli, Sulla pubblica Mostra nella primavera del 1855, Napoli 1856, pp. 172-174; P. Calà Ulloa, Pensées et souvenirs sur la littérature contemp. du Royaume de Naples, Genève 1859, II, pp. 236 s.; C. T.Dalbono, Storia della pittura in Napoli e Sicilia, dalla fine del 1600 a noi, Napoli 1859, pp. 233 s.; A. De Gubernatis, Diz. degli artisti ital. viventi, Firenze 1889, pp. 98 s. (anche per Giuseppe); S. Ortolani, La scuola di Posillipo, Bergamo 1934, pp. n.n.; S. Ortolani-F. De Filippis, Ilpaesaggio nella pittura napoletana dell'Ottocento (catal.), Napoli 1936, pp. 16 s.; A. Maresca di Serracapriola, Pittori da me conosciuti, Napoli 1936, pp. 96 s.; M. Biancale, in Mostra della pittura napol. dei secc. XVII, XVIII e XIX (catal.), Napoli 1938, pp. 254 s.; S. D'Ambrosio, I Carelli, in Atti della Accad. Pontaniana, III(1949-50), pp. 95-98, 100 s.; R. Causa, Rass. mensile di disegni delle raccolte del Museo di S. Martino (catal.), marzo 1953, pp. n.n.; M. Rotili, Achille Vianelli (catal.), Benevento-Napoli 1954, pp. 48 s., 70 s., 95 s., 109; G. Conte-G. Doria, Retrosp. dei Carelli, in VI Mostra "Maggio diBari" (cat.), Bari 1956, pp. 58, 63-66, 69-72; G. Doria-O. Ferrari, Vedute napoletane della raccolta Lemmerman (catal.), Napoli 1957, p. 43, tav. LII (per Giuseppe); E. Pogány Balás, Quatre aquarelles de Giacinto Gigante et G. C., in Bull. du Musée Hongrois des Beaux-Arts, XXV(1964), pp. 105 s.; Disegni dell'Ottocento…(catal.), Roma 1969, pp. 64 s.; La Galleria dell'Accad. di Belle Arti in Napoli, Napoli 1971, pp. 103-105, fig. 33, tavv. XXX-XXXIV; R. Cioffi, Oli e acquerelli di G. C., Caserta 1974 (catal. d. mostra a Capua); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 591 s.

CATEGORIE
TAG

Cinque giornate di milano

Salvatore di giacomo

Accademia di francia

Gabriele smargiassi

Salvatore fergola