GRANDI STRUTTURE SOSPESE

XXI Secolo (2010)

Grandi strutture sospese

Marco Petrangeli

In un periodo storico caratterizzato dal rapido sviluppo e dalla diffusione delle comunicazioni digitali, la mobilità fisica di merci e persone continua a rappresentare un’esigenza imprescindibile dell’uomo, sia per la specializzazione in atto nella produzione di merci sia per una intrinseca insostituibilità dei rapporti interpersonali al fine della trasmissione del sapere e dello scambio culturale tra le diverse aree geografiche. Per far fronte a questa richiesta di mobilità fisica (in contrapposizione a quella virtuale delle comunicazioni digitali) sono in corso molti progetti per la realizzazione di nuove infrastrutture stradali e ferroviarie nelle aree di recente sviluppo (Europa dell’Est, Asia, America Meridionale) e in quelle in via di sviluppo.

La costruzione delle infrastrutture per il trasporto è sempre stato un processo lento e costoso per la necessità di modellare il paesaggio, con interventi anche di grandi dimensioni. Lungo le principali reti infrastrutturali spiccano da sempre, per importanza, costi e valore architettonico, i grandi attraversamenti geografici, che sono sostanzialmente di due tipi: gli attraversamenti di catene montuose e quelli di bracci di mare (stretti) e grandi fiumi. In entrambi i casi si deve ricorrere a gallerie (tunnel) o ponti, o anche a una combinazione dei due. Lo sviluppo tecnologico nell’ambito di queste tipologie di opere ha portato, nel corso dell’ultimo decennio, alla realizzazione di collegamenti stabili molto importanti e altrettanti sono in programma per i prossimi anni.

Ponti e grandi luci

Nelle opere di architettura e ingegneria il parametro fondamentale dal punto di vista strutturale è la luce. Con tale termine si intende, in una costruzione, la distanza orizzontale tra due appoggi successivi, siano essi puntiformi o lineari. Il campo gravitazionale terrestre e il rapporto pesi/resistenze dei materiali, normalmente utilizzati nelle costruzioni, rendono infatti particolarmente oneroso superare luci appena superiori a qualche decina di metri, mentre non pone particolari problemi per strutture molto alte o comunque molto voluminose.

Questo spiega, almeno in parte, la fama di alcune costruzioni che hanno grandi luci, come il Pantheon di Roma, per quasi due millenni la cupola di luce maggiore al mondo. Questo primato delle grandi luci, appannaggio di chiese e cupole fino alla rivoluzione industriale, con l’avvento dell’acciaio è passato alle coperture e agli archi reticolari in acciaio e, dunque, ai ponti sospesi realizzati con questo materiale. Con l’introduzione dell’acciaio infatti, le massime luci, che si ottenevano con archi e volte in materiali lapidei, sono passate da alcune decine di metri ad alcune centinaia di metri fino a oltre i mille con le funi in acciaio dei grandi ponti americani d’inizio Novecento. Tutte le grandi strutture successive all’avvento dell’acciaio utilizzano questo materiale, perché ha una resistenza di circa dieci volte superiore a quella dei materiali lapidei da costruzione.

Negli ultimi anni è stato costruito un numero molto elevato di ponti di grande luce sorretti da funi. A partire dagli anni Novanta del 20° sec. sono state realizzate circa cinquanta opere con luce superiore ai 500 m a fronte di una quarantina di precedenti, a cominciare dal Brooklyn Bridge (completato nel 1883, a opera di John Augustus Röbling; 486 m di luce).

Ponti strallati, ponti sospesi, archi a via inferiore

Tra le grandi strutture portate da cavi, le due tipologie principali sono senz’altro quelle dei ponti strallati e dei ponti sospesi. La suddivisione tra le due tipologie è molto netta sia dal punto di vista formale sia da quello strutturale ed è ulteriormente rafforzata dal fatto che vi sono pochissimi esempi di casi ibridi, per la maggior parte realizzati nell’Ottocento. L’elemento di differenziazione tra ponti sospesi e ponti strallati è infatti proprio il sistema di sospensione, mentre altre componenti, quali impalcato e torri, sono simili in entrambe le strutture.

Con il termine impalcato si definisce l’elemento strutturale che realizza il piano carrabile dove transitano merci e persone. Gli impalcati da ponte possono essere realizzati con tutti i principali materiali da costruzione, sebbene per le grandi opere si ricorra esclusivamente a cemento armato e acciaio. Gli impalcati hanno una larghezza che è funzione delle necessità di trasporto: ampiezza della sede stradale e di eventuali marciapiedi o piste ciclabili, ampiezza della sede ferroviaria ovvero ampiezza di tutte queste componenti insieme, eventualmente disposte su due piani. In direzione longitudinale, in pianta e in prospetto, gli impalcati hanno andamento rettilineo o con ampi raggi di curvatura per favorire la transitabilità, soprattutto alle alte velocità.

L’altro elemento che accomuna le due tipologie di ponte sono le torri, le strutture che sostengono l’impalcato sottostante mediante il sistema dei cavi e quindi lo sovrastano costituendone un elemento architettonico e strutturale fondamentale.

Devono essere annoverate tra le grandi strutture portate da cavi anche gli archi a via inferiore. Queste opere stanno riscuotendo, insieme con i ponti strallati, un grande interesse da parte di progettisti e committenti per la loro eleganza e per la loro efficienza strutturale, soprattutto nel caso di luci inferiori ai 500 metri.

Ponti strallati

Nel ponte strallato, il sistema di sospensione è costituito da stralli. Questi collegano direttamente le torri all’impalcato in modo da trasferire direttamente il peso e i carichi portati da quest’ultimo alle torri e quindi in fondazione (fig. 1). La disposizione degli stralli può essere parallela, e si parla in questo caso di configurazione ad arpa (fig. 1, in alto a sinistra), ovvero gli stessi possono convergere verso la testa delle torri come in un ventaglio. In effetti la configurazione oggi più diffusa è quella intermedia, ossia ad arpa modificata (fig. 1, in alto a destra), che ingloba i vantaggi prestazionali della configurazione a ventaglio, cioè maggiore rigidezza strutturale e minori sollecitazioni nelle torri, con la semplificazione tecnologica derivante dal poter disporre di maggiore spazio per l’ancoraggio degli stralli sulle torri.

Dato che gli stralli hanno un’inclinazione rispetto alla verticale in funzione dell’altezza delle torri e della luce del ponte, la forza di trazione alla quale sono sollecitati ha una componente orizzontale associata a quella verticale, pari, quest’ultima, al peso che sostengono. Questa componente orizzontale di tiro è resistita, al livello dell’impalcato, dall’impalcato stesso che risulta così compresso, mentre al livello delle torri tale forza è generalmente equilibrata da altri stralli o funi. Negli schemi simmetrici, i più diffusi, gli stralli ai due lati della torre si autobilanciano; in altri schemi privi di simmetria le componenti orizzontali di tiro possono essere bilanciate da funi apposite ancorate al terreno. Per i ponti più piccoli è possibile ricorrere a contrappesi o irrobustire molto la torre in modo da conferirle la capacità di portare tutto o parte di questo sbilanciamento: l’esempio più famoso e controverso di questa possibilità è sicuramente il ponte di Alamillo (1992, progettato dall’architetto Santiago Calatrava) a Siviglia.

Quando la lunghezza dell’opera da realizzare è tale da rendere necessaria la sua suddivisione in più luci, si possono utilizzare più torri successive senza particolari complicazioni aggiuntive: i due esempi più significativi di questa configurazione sono il ponte Rion-Antirion (2004, Berdj Mikaëlianet) a Patrasso in Grecia e il viadotto di Millau (2004, Michel Virlogeux, Norman Foster) nella Francia meridionale.

Ponti sospesi

Nei ponti sospesi il sistema di sospensione è costituito da due elementi, i cavi e i pendini (fig. 2). I cavi di sospensione sono la componente principale: si tratta di grandi funi metalliche sospese sulle torri a cui è appeso l’impalcato attraverso funi verticali o subverticali, i pendini. Questi ultimi sono funi di dimensioni assai minori, spaziate con regolarità lungo l’impalcato, similmente a quanto avviene per gli stralli.

Nei grandi ponti sospesi, la componente di trazione dei cavi di sospensione è sopportata dai blocchi di ancoraggio ai due lati del ponte. Nella maggioranza dei casi questi ancoraggi sono dei grandi blocchi di calcestruzzo che si oppongono con il loro peso alle forze trasmesse dai cavi. In alcuni casi, in presenza di terreni molto solidi (roccia), è possibile ridurre le dimensioni di tali ancoraggi trasferendo le forze dei cavi direttamente alla roccia. Solo per i ponti più piccoli è possibile utilizzare l’impalcato stesso per ancorare i cavi di sospensione, similmente a quanto avviene per i ponti strallati. Tale soluzione è però sicuramente meno efficace di quella strallata, come testimoniato dai problemi emersi durante la costruzione della nuova campata est del ponte tra San Francisco e Oakland sull’omonima baia (T.Y. Lin international, Moffat & Nichol engineers), la cui inaugurazione è prevista per il 2014, dopo una gestazione di quasi vent’anni e un fortissimo incremento dei costi di costruzione rispetto all’importo preventivato.

Archi a via inferiore

L’arco a via inferiore si è negli ultimi anni notevolmente evoluto dall’arco classico dell’architettura romana. Quest’ultimo, così come tutte le applicazioni successive fino alla rivoluzione industriale, è sempre stato un arco a via superiore, vale a dire una struttura che sostiene dal basso gli elementi funzionali di cui è a servizio (piano di calpestio, copertura, acquedotto ecc.). L’introduzione dell’acciaio e delle funi ha permesso di spostare l’arco in alto appendendovi per mezzo di funi, che in questo caso chiamiamo pendini per analogia con i ponti sospesi, l’elemento funzionale che oggi, nella maggioranza dei casi, è un impalcato da ponte, ma anche una grande copertura.

L’acciaio, con la sua ottima resistenza alla trazione, permette di realizzare queste strutture a ‘spinta eliminata’, permette cioè di chiudere le spinte dell’arco con un tirante, il quale il più delle volte coincide con lo stesso elemento funzionale di cui si è detto sopra (fig. 3). L’eliminazione della spinta è una caratteristica molto desiderabile, in quanto rende la struttura immune dai problemi causati dai cedimenti delle fondazioni, cedimenti che sono la principale causa di dissesto dei tradizionali archi spingenti in muratura.

Gli impalcati da ponte

Le strutture portate da cavi permettono una grande libertà formale nella progettazione degli impalcati da ponte, poiché l’impalcato non ha una funzione statica primaria (come le funi e gli archi) ed è quindi soggetto a sollecitazioni relativamente contenute.

Nei ponti sospesi l’impalcato è praticamente privo di sollecitazioni, tanto che nelle tradizionali passerelle pedonali sospese che venivano e vengono utilizzate per l’attraversamento di valli profonde e grandi corsi d’acqua nei Paesi in via di sviluppo, lo stesso era sostituito da un calpestio in legno realizzato da elementi semplicemente giustapposti. Nei ponti strallati e negli archi a spinta eliminata l’impalcato è invece soggetto, rispettivamente, a forze di compressione e trazione. Tali sollecitazioni sono comunque assai minori di quelle flessionali tipiche del ponte a travata.

In effetti, anche i ponti portati da funi sono soggetti a sollecitazioni flessionali; queste però sono in gran parte dovute all’impegno flessionale locale, poiché le funi di sostegno, siano essi stralli o pendini, hanno un interasse piccolo, ma non trascurabile (tipicamente da qualche metro fino a un massimo di circa 50 m). Fermo restando che all’aumentare dell’interasse delle funi di sostegno crescono le sollecitazioni flessionali locali dell’impalcato, si ha nondimeno una notevole libertà di configurazione, in direzione sia longitudinale sia trasversale.

La condizione maggiormente vincolante per questo tipo di impalcati è in definitiva quella data dalla sezione stradale e/o ferroviaria che il ponte deve ospitare e dalla relativa sagoma limite. Si hanno ponti a una sola carreggiata o a due o più carreggiate. Ciascuna carreggiata ha una larghezza data dal numero di corsie per la larghezza della corsia stessa, valore quest’ultimo che oscilla tra i 3 e i 4 m, a seconda dell’importanza dell’infrastruttura. Le piattaforme dei ponti stradali possono così avere una larghezza che varia da meno di 10 a oltre 30 metri. In alcuni casi gli impalcati sono configurati su due livelli, in modo da contenere la larghezza complessiva, oppure disporre di un livello maggiormente protetto dagli agenti atmosferici dove ospitare il traffico ferroviario/metropolitano o quello di servizio/emergenza.

Nel caso di singola carreggiata, stralli e pendini possono unicamente essere posizionati ai due lati dell’impalcato. La configurazione a due carreggiate separate permette anche una configurazione con un unico piano di stralli/pendini centrale, vale a dire più piani di stralli/pendini.

Rigidezza e aerodinamica, l’evoluzione della forma

La ricerca e di conseguenza l’evoluzione dei grandi ponti a funi si è concentrata fino a oggi principalmente sugli impalcati e, specificatamente, sugli impalcati dei grandi ponti sospesi.

Le prime opere di epoca moderna (19° sec.) avevano un impalcato realizzato con una grande trave reticolare scatolare in acciaio; tipicamente questa trave aveva un’altezza pari a circa un centesimo della luce del ponte, così da pochi metri fino a quasi una decina. Questi impalcati vengono anche chiamati di prima generazione e sono stati utilizzati fino all’introduzione degli impalcati di seconda generazione, la cui prima applicazione risale al ponte sospeso Severn Bridge (1966, Freeman Fox and partners e Mott, Hay & Anderson) in Inghilterra. Già a partire dai grandi ponti americani di inizio Novecento era però noto il fatto che la rigidezza flessionale dell’impalcato aveva scarsa influenza sulla risposta alle azioni causate dal traffico veicolare. Anzi, dato che nei grandi ponti sospesi l’impalcato segue lo spostamento delle funi, minore è la sua rigidezza minori sono le sollecitazioni cui è soggetto. In altre parole, un impalcato nastriforme è meno sollecitato, e dunque più efficiente, di uno rigido nel sopportare i carichi derivanti dal passaggio di veicoli e convogli. In alcuni casi si provò quindi a eliminare queste onerose travi reticolari lasciando solamente delle travi molto più piccole e snelle. Questi tentativi furono però presto abbandonati, in quanto i ponti così realizzati mostrarono di essere soggetti a forti oscillazioni quando sottoposti a venti anche di moderata intensità.

La seconda generazione di impalcati ha una configurazione scatolare a parete piena (impalcato a cassone) in acciaio: era ormai chiaro che, per evitare fenomeni di instabilità aerodinamica, l’impalcato avrebbe dovuto essere dotato principalmente di rigidezza torsionale. Dato che tale rigidezza è direttamente proporzionale all’area racchiusa dalla sezione dell’impalcato, mentre la rigidezza flessionale è proporzionale all’altezza, tutti gli impalcati di seconda generazione hanno una sezione scatolare piuttosto sottile con un’altezza tipicamente compresa tra un trecentesimo e un quattrocentesimo della luce. La vera rivoluzione degli impalcati di seconda generazione è consistita però nell’aver preso coscienza dell’azione determinante del vento: di conseguenza la loro progettazione iniziò a essere effettuata con l’ausilio di test nelle gallerie del vento.

Proprio a un incidente nella galleria del vento si deve peraltro la nascita di questo tipo di impalcati. Il Severn Bridge doveva infatti essere originariamente realizzato con un impalcato reticolare: il modello fu così messo nella galleria del vento, ma, essendo stato mal fissato, si sganciò e andò a frantumarsi in fondo alla galleria alla prima prova. Dato che la galleria del vento era già stata prenotata per alcuni giorni e che la realizzazione di un nuovo modello reticolare avrebbe richiesto troppo tempo, si decise di utilizzare i giorni disponibili di galleria per provare un modello a cassone, la cui realizzazione è chiaramente più veloce di quella di un modello reticolare. I risultati delle prove furono talmente soddisfacenti da far propendere per l’adozione di questa tipologia di impalcato. Tutti i ponti successivi fino ai giorni nostri sono stati realizzati in questo modo.

A partire però dall’ultimo decennio del Novecento, i progressi compiuti nello studio del comportamento aeroelastico di queste strutture ha suggerito soluzioni più efficaci che, proprio in questi ultimissimi anni, sono state implementate in alcune grandi opere di seguito richiamate e in molte altre in fase di progettazione.

La principale innovazione è quella di suddividere l’impalcato in due o più cassoni posti a qualche metro di distanza (fig. 4). La presenza di queste aperture longitudinali stabilizza molto la risposta aeroelastica del ponte; il vento che incide perpendicolarmente al ponte non trova infatti un solido continuo, ma due o più solidi/superfici separate. Le forze che esercita il vento su queste superfici sono di gran lunga minori di quelle che si avrebbero su di un’unica superficie di larghezza equivalente, e conseguentemente l’impalcato risulta essere più stabile. Questo tipo di impalcati, detti di terza generazione, sono così progettati per essere stabili sotto l’azione del vento grazie al loro comportamento aerodinamico e non solo alla loro rigidezza, in quanto quest’ultima è necessariamente ottenuta con sezioni di maggiore dimensione che utilizzano più materiale dando luogo a impalcati più costosi e pesanti. Dal momento che la ricerca è completamente orientata a ottenere strutture più leggere ed economiche con cui realizzare luci sempre maggiori, è comprensibile l’interesse per soluzioni che minimizzino i costi, ma soprattutto i pesi.

Nonostante la maggior efficienza di questi impalcati di terza generazione sia ormai consolidata grazie agli studi e alle prove sperimentali effettuate nella galleria del vento, la prima realizzazione che ha utilizzato questa tipologia di sezione è il ponte sospeso Xihoumen Bridge nelle isole di Zhoushan, a sud di Shanghai. È stato inaugurato nel 2007 e, con una luce di 1650 m, è il secondo ponte più lungo al mondo. Lo stesso tipo di sezione è stato adottato anche per il ponte strallato Stonecutters Bridge (Ove Arup & partners, 2009) costruito sul porto di Hong Kong che, con una luce di 1018 m, rappresenta anch’esso un record mondiale nel suo genere.

Il passaggio dagli impalcati di seconda a quelli di terza generazione è però piuttosto travagliato e di fatto ancora in corso. La storia e i retroscena di alcune opere recenti aiutano a comprendere come sia difficoltoso introdurre cambiamenti significativi in opere di tale grandezza e complessità per le quali le modifiche in corso d’opera sono molto difficili e soprattutto i rifacimenti economicamente proibitivi. Il primo ponte per il quale si propose la sezione di terza generazione è stato il ponte sospeso Fatih Sultan Mehmet (1988) conosciuto anche con il nome di Second Bosphorus Bridge, a Istanbul. Incaricata del progetto fu la stessa società inglese (Freeman Fox & partners) che aveva progettato il primo ponte sospeso sul Bosforo, oltre a molti altri grandi ponti sospesi inglesi realizzati negli anni del secondo dopoguerra, come quello sul Forth (1964, con Mott, Hay & Anderson), sul Severn e quindi quello sull’Humber (entrambi del 1981), che con i suoi 1410 m di luce è stato per molti anni il ponte sospeso più lungo del mondo. All’interno di questa società era dunque maturato il passaggio dagli impalcati di prima a quelli di seconda generazione; però, al momento di decidere sul passaggio alla terza generazione non si raggiunse l’accordo, e così anche il secondo ponte sul Bosforo fu realizzato con impalcato a singolo cassone di seconda generazione.

Si arriva così all’ultimo decennio dello scorso secolo con tre grandi opere in fase di progettazione: il ponte Akashi Kaikyo sullo Stretto di Akashi in Giappone, che collega le isole di Honshu e Awaji; il Tsing Ma Bridge, che collega il nuovo aeroporto di Hong Kong con la città (quartiere di Kowloon); il ponte sullo Stretto di Messina. Il ponte sospeso Akashi Kaikyo (1998, Honshu-Shikoku bridge authority) ha la campata centrale di luce pari a 1990 m, la maggiore mai realizzata al mondo. Il ponte, nonostante questo primato, è realizzato con un impalcato reticolare, configurazione molto simile a quella dei ponti di prima generazione. Il motivo di questa scelta, quasi un passo indietro rispetto alla tendenza in atto, è stato in realtà condizionato da esigenze costruttive: il ponte doveva infatti essere edificato senza occupare il canale navigabile sottostante. Ciò rendeva molto difficile la realizzazione di un impalcato a cassone, che viene solitamente costruito per conci successivi portando gli stessi su una chiatta in posizione e quindi sollevandoli nella loro posizione definitiva. L’impalcato dell’Akashi Kaikyo è stato invece costruito trasportando i diversi elementi di cui è costituita la trave reticolare sull’impalcato già realizzato da entrambi i lati e poi mettendoli in opera a sbalzo. Resta il fatto che il ponte più grande del mondo è stato realizzato con un impalcato reticolare e che tanto la costruzione quanto il successivo esercizio non hanno creato alcun problema. Si ricorda, a questo proposito, che il ponte, in fase costruttiva, ha sostenuto senza danni il terremoto di Kobe del 1995, il più violento degli ultimi decenni; a seguito di questo terremoto le due torri si sono allontanate di oltre un metro ed è stato dunque necessario apportare delle modifiche all’impalcato che si stava realizzando in officina.

Il ponte sospeso Tsing Ma Bridge (1997, Mott MacDonald), a servizio del nuovo aeroporto di Hong Kong, è uno dei più grandi ponti sospesi in esercizio con una luce centrale di 1377 metri. L’opera sorge in una zona dove è possibile si verifichino uragani tropicali con velocità del vento molto elevate. In fase di progettazione si riconobbe l’impossibilità di assicurare la necessaria stabilità aerodinamica utilizzando un impalcato a cassone chiuso di seconda generazione, per quanto rigido lo si facesse; fu così adottata una soluzione aerodinamica per assicurare la necessaria stabilità in condizioni di vento forte: l’impalcato presenta infatti un’apertura longitudinale estesa lungo tutta la lunghezza del ponte. Per il resto si tratta di un ibrido tra le travi reticolari di prima generazione e i cassoni di seconda generazione. All’interno dell’impalcato trovano posto i binari della navetta che collega la città di Hong Kong all’aeroporto e corsie stradali per i mezzi di emergenza. L’introduzione di questa apertura centrale sancisce però la necessità di soluzioni aerodinamiche per la stabilità dei grandi ponti futuri e come tale il ponte è da considerarsi un antesignano di quelli di terza generazione.

Il ponte sullo Stretto di Messina deve la sua impostazione progettuale a William Brown, lo stesso progettista che con Freeman Fox & partners aveva partecipato all’ideazione di tutti i grandi ponti sospesi inglesi del secondo dopoguerra e quindi di quelli turchi cui abbiamo accennato sopra. La sezione prevista (fig. 4) è l’applicazione più netta della tipologia di impalcato di terza generazione, scelta obbligata poiché, avendo il ponte una campata centrale di 3300 m di luce, sarebbe impossibile assicurarne la stabilità con la sola rigidezza dell’impalcato. Quest’ultima infatti, a parità di sezione, è inversamente proporzionale alla luce del ponte e di conseguenza, per le dimensioni del ponte sullo Stretto di Messina, si sarebbe dovuto realizzare un impalcato così grande da rendere l’opera economicamente troppo onerosa e, comunque, ai limiti della fattibilità tecnica. La soluzione individuata è invece tecnicamente ed economicamente sostenibile. Per avere un termine di confronto, si ricorda che il costo stimato di quest’opera, 5 miliardi di euro a prezzi del 2000, è pari circa al costo di realizzazione di 100 km di alta velocità ferroviaria, di cui negli stessi anni ne sono stati realizzati circa 500 (Torino-Milano, Milano-Bologna, Roma-Napoli), cioè pari a circa il 60% del costo stimato per la nuova linea Milano-Genova.

Torri e archi

Le torri e gli archi sono elementi sottoposti a sollecitazioni molto simili tra loro e pertanto si adottano per entrambi soluzioni strutturali similari.

In quanto elementi prevalentemente compressi, torri e archi si prestano a essere realizzati con materiali lapidei o cementizi, quindi economici ma di caratteristiche meccaniche modeste e comunque sprovvisti di resistenza a trazione. Le torri dei primi ponti sospesi, così come gli archi classici, sono state realizzate tipicamente con questi materiali, cioè pietra e successivamente calcestruzzo. Con l’aumentare delle luci, tali elementi sono diventati sempre più snelli al fine di contenere ingombri, pesi e costi. Al crescere della snellezza è aumentata conseguentemente la richiesta di capacità flessionale e pertanto si è passati a soluzioni in cemento armato e/o acciaio.

Nei ponti sospesi le torri vengono realizzate sia in cemento armato sia in acciaio. L’acciaio si rende necessario per le grandissime luci, anche se in cemento armato si sono realizzate molte opere recenti di grande luce quali lo Storebæltsbroen in Danimarca (1998, Dissing + Weitling) e il già citato Tsing Ma Bridge a Hong Kong. Le torri dei grandi ponti sospesi hanno una configurazione che varia molto poco essendo dettata dalla necessità di ottimizzarne il comportamento strutturale. Ciascuna torre ha infatti due fusti, uno sotto ciascuna fune, perfettamente verticali, con sezione pressoché costante di dimensione compresa tra un quindicesimo e un venticinquesimo dell’altezza. Nel caso siano realizzate in cemento armato, hanno sezione sostanzialmente piena, tranne che per i cunicoli di accesso e ispezione; nel caso siano realizzate in acciaio, le sezioni sono ovviamente scatolari. In entrambi i casi comunque la sezione ha forma il più simile possibile all’ottimo geometrico, vale a dire l’ellisse. Ecco quindi che si possono avere sezioni ellittiche, esagonali, ottagonali o tutt’al più rettangolari.

I due fusti sono collegati tra loro con trasversi che presentano diverse configurazioni, ma il cui scopo è comunque quello di irrigidire e irrobustire il comportamento trasversale delle torri. È necessario sottolineare infatti che, mentre in direzione longitudinale le torri sono vincolate in sommità dalle funi stesse, in direzione trasversale devono fare affidamento sulla propria rigidezza e resistenza ed è per questo motivo che i due fusti sono collegati in modo da realizzare un telaio. Sulla sommità delle torri sono disposte le selle, ovvero elementi metallici sui quali si posano le funi, che sopportano tutto il peso del ponte e lo ripartiscono sulle torri sottostanti. Funi e selle non sono vincolate, in quanto è sufficiente la reazione delle funi e l’attrito tra queste e le selle per fare in modo che non si abbia relativo scorrimento.

Nei ponti strallati la soluzione maggiormente adottata è l’uso del cemento armato nella parte bassa delle torri e dell’acciaio in quella alta, dove si attaccano gli stralli. Questa scelta è suggerita da un serie di ragioni e opportunità differenti, legate principalmente alla necessità di ancorare gli stralli. Contrariamente ai ponti sospesi, nella maggior parte dei ponti strallati gli stralli si interrompono sulle torri dove presentano degli ancoraggi. Ecco così che nei grandi ponti strallati la parte alta delle torri, anche detta antenna, si realizza spesso con una scatola metallica accessibile e ispezionabile al suo interno, da dove è possibile operare sugli ancoraggi degli stralli, anche per le operazioni di tesatura e ritesatura necessarie in fase costruttiva o durante la vita utile dell’opera.

Contrariamente ai ponti sospesi, nei ponti strallati la configurazione delle torri ha almeno due varianti. La prima è quella di avere le torri realizzate con due fusti separati, ciascuno dei quali sostiene un piano di stralli. Questa configurazione, adottata per es. nell’Öresund Bridge (2000, Georg Rotne, O. Arup) lungo l’omonimo collegamento tra Danimarca e Svezia, è senz’altro la più razionale, ma non si adatta ai ponti con un solo piano centrale di stralli. Quest’ultima tipologia infatti si adatta unicamente a luci non troppo elevate e utilizza di norma una torre a singolo fusto, ovvero una conformazione delle torri ad ‘A’ con due fusti inclinati, in mezzo ai quali passa l’impalcato, che si uniscono in sommità in un’antenna centrale sulla quale sono ancorati gli stralli. Essendo tale soluzione molto elegante dal punto di vista architettonico, si utilizza anche per i ponti di grande luce con due piani di stralli che convergono appunto nell’unica antenna centrale, come, per es., nel Ponte de Normandie (1995, M. Virlogeux e Bertrand Deroubaix), il primo grande ponte strallato contemporaneo con il quale ci si è avvicinati ai 1000 m di luce.

Per quanto riguarda le luci medio-basse le configurazioni possibili si ampliano ulteriormente, in quanto la tecnica raggiunta nella lavorazione dell’acciaio permette di realizzare strutture notevolmente complesse con oneri relativamente contenuti. Maestro di queste soluzioni è l’architetto spagnolo S. Calatrava, tra le cui realizzazioni si deve ricordare quella dell’attraversamento della Autostrada A1 (2007), a Reggio nell’Emilia, che comprende due ponti strallati con torri ad arco e un grande arco a spinta eliminata. La bellezza e l’ingegnosità dei due ponti strallati è tale che la stessa configurazione è in corso di realizzazione, da parte dello stesso architetto, su una luce maggiore (circa 200 m) per il Margaret Hunt Hill Bridge a Dallas.

Anche nei grandi ponti ad arco, l’adozione dell’acciaio per gli archi è preferita per la maggiore robustezza e per la facilità di realizzare sezioni cave ispezionabili dove allocare gli ancoraggi dei pendini. La soluzione in acciaio è resa ulteriormente conveniente per la facilità di costruzione rispetto a quella in cemento armato, che richiede il getto in quota con una serie di opere provvisorie molto complesse e onerose. Il sistema più utilizzato per costruire grandi archi è in pratica quello di realizzare una strallatura provvisoria che sorregga la costruzione dell’arco stesso, il quale, contrariamente ai ponti sospesi e strallati, è in grado di autosostenersi solo a lavori ultimati.

Funi e cavi

Le prime funi in acciaio a essere state realizzate sono state le spiroidali, composte da fili di acciaio avvolti (intrecciati) in diverse maniere a seconda dell’uso cui erano destinate. Le funi di acciaio sono un prodotto molto diffuso fin dall’Ottocento e si utilizzano per gli impieghi più disparati, specie nel settore marittimo. Con le funi si possono realizzare sia gli stralli dei ponti strallati sia i pendini dei ponti sospesi e dei grandi archi; esse vengono prodotte in stabilimento e trasportate in opera già complete degli attacchi (capocorda). Le funi spiroidali sono oggi sostituite in molte applicazioni da cavi composti da trefoli. Questi sono un prodotto largamente utilizzato sia nelle strutture portate da funi sia in altri settori delle costruzioni (principalmente nelle strutture in cemento armato precompresso). Il trefolo è una piccola fune di diametro compreso tra 0,4 e 0,7 pollici, composta da 7 fili avvolti a spirale. Un cavo è realizzato disponendo più trefoli (fino a diverse decine) parallelamente all’interno di una guaina, generalmente in polietilene ad alta densità (HDPE, High Density PolyEthylene); l’assemblaggio degli elementi avviene in situ a partire da trefoli, e poi nell’ordine guaine e ancoraggi. Con cavi di questo tipo è stata realizzata la maggior parte dei ponti strallati (stralli), oltre ai pendini di ponti sospesi e agli archi.

Le funi a fili paralleli sono elementi realizzati appositamente per i grandi ponti sospesi e si ottengono ponendo in opera parallelamente un grande numero di fili semplici rettilinei. Ci sono due sistemi per mettere in opera questo tipo di funi: l’aerial spinning e il prefabricated parallel wire strand method.

Nel primo sistema un numero pari di fili (generalmente da 2 a 8) è tessuto con l’ausilio di un’attrezzatura costituita da pulegge mobili che si muovono trainate da un sistema di funi-guida. In questo caso il filo arriva in cantiere avvolto sulle bobine e viene posto in opera come un filo continuo, giuntandolo tra una bobina e l’altra. Nel secondo sistema i cavi sono assemblati a partire da funi a fili paralleli prefabbricate già a lunghezza esatta, che sono messe in opera mediante trascinamento su pulegge poste lungo le passerelle di servizio (catwalk). Tra i due metodi quello che si sta affermando è il secondo, in quanto permette di porre in opera oltre 100 fili alla volta.

Fili di acciaio

Tutte le tipologie di cavi e funi menzionate utilizzano di base il filo di acciaio che è prodotto per trafilatura di un filo laminato a caldo (vergella) di diametro generalmente variabile tra i 5,5 e i 16 millimetri. La struttura fisica e le proprietà meccaniche della vergella dipendono dal suo contenuto in carbonio, ma anche dalla velocità di raffreddamento dopo la laminazione; similmente ad altri prodotti in acciaio, la vergella contiene anche piccole quantità di manganese, cromo, vanadio e molibdeno. La trafilatura consiste in una strizione meccanica a freddo, effettuata in un determinato numero di passi, che riduce il diametro della vergella a quello del filo finito, ottenendo così un forte aumento della resistenza a trazione. La resistenza del filo è inversamente proporzionale alla sua grandezza (diametro): fili sottili 0,1 mm arrivano a una resistenza di oltre 4000 MPa (40.000 kg per cm2), mentre fili del diametro usuale di 5 mm ottengono resistenze pari a circa 2000 MPa.

Corrosione

La protezione dalla corrosione delle strutture in acciaio rappresenta uno dei principali problemi del settore civile e lo è ancor di più per le tensostrutture, in quanto l’acciaio sottoposto a stati tensionali elevati e permanenti (come quello delle funi) è maggiormente aggredibile dalla corrosione di quanto non lo sia lo stesso materiale scarico.

Altri due aspetti che rendono la protezione contro la corrosione fondamentale nel settore delle grandi tensostrutture sono quelli legati alla vita utile attesa di tali opere e alla loro esposizione agli agenti atmosferici. Contrariamente infatti alle opere minori di edilizia e agli edifici in ambito urbano in genere, è economicamente opportuno che queste opere abbiano una vita utile pari almeno a 100 anni, nonostante siano in molti casi esposte agli agenti atmosferici spesso in ambiente marino. La protezione contro la corrosione per cavi e funi di piccolo diametro, cioè per pendini e stralli, è realizzata con uno o più trattamenti di zincatura, verniciatura, rivestimento con guaine e tubi in materiali plastici, poliuretanici o metallici. La guaina che riveste la fune o il cavo a trefoli può essere così riempita con grasso, cera o anche cemento; nei moderni cavi a trefoli, la massima protezione si ottiene quindi zincando il trefolo e rivestendolo con una guaina plastica (vipla) che all’interno è saturata in cera. I trefoli sono così posizionati all’interno di un tubo in HDPE, il quale può essere a sua volta saturato con cemento; in alternativa si possono lasciare liberi i trefoli al suo interno per una possibile loro ritesatura o sostituzione.

Per tutti i cavi e le funi di piccolo diametro, la zincatura, anche nella recente variante con aggiunta di alluminio, resta pertanto la protezione più diffusa in quanto è di tipo attivo, visto che lo zinco si lascia ossidare al posto dell’acciaio a cui si lega superficialmente. La protezione non è perpetua, anche se con l’alluminio si è riusciti a raddoppiarne la durata. La zincatura ha come controindicazione un leggero scadimento delle proprietà meccaniche dell’acciaio, in quanto la si applica a caldo alterando l’incrudimento meccanico ottenuto con la trafilatura. Per quanto riguarda i cavi principali dei grandi ponti sospesi, i metodi di protezione sono invece differenti. Tradizionalmente, una volta stesi tutti i fili di cui si compone il cavo, si provvedeva a compattare i cavi in modo da ridurre i vuoti e quindi si avvolgevano uno o più strati di protezione esterna (generalmente del filo metallico) che venivano successivamente verniciati. Recentemente è stato messo a punto un sistema di protezione attivo che sta rapidamente soppiantando il precedente (di tipo passivo): i cavi sono contenuti in un tubo stagno lungo il quale si pompa aria calda e secca che evita l’instaurarsi dei fenomeni di corrosione.

Nella scelta del sistema di protezione da adottare è necessario infine considerare che per le piccole luci, e comunque per gli elementi secondari (pendini), il peso della protezione non è un aspetto dirimente e di conseguenza si possono scegliere sistemi molto sicuri, anche se pesanti, ovvero sistemi leggeri ma che prevedano la sostituzione dell’elemento durante la vita utile dell’opera. Per le grandi luci è invece necessario contenere il peso del sistema di protezione, che impiega una percentuale non trascurabile della resistenza del cavo; d’altro canto, la sostituzione non è praticabile a meno di non demolire e ricostruire l’opera.

Tendenze future

Le luci massime che possono essere oggi portate da sistemi di cavi sono funzione sia della configurazione geometrica del cavo stesso sia soprattutto del suo peso e della sua resistenza a trazione. Se ne deduce che per aumentare le luci massime è necessario diminuire i pesi (sia quelli del cavo sia quelli portati dell’impalcato), oppure aumentare la resistenza a trazione del cavo stesso.

A oggi si è in grado di produrre filo con diametro di 5 mm con una resistenza pari a circa 2000 MPa; nei prossimi anni tale valore potrebbe essere incrementato, anche riducendo il diametro del filo, fino a oltre 2500 MPa. Ragionevolmente non c’è però da aspettarsi valori di resistenza superiori ai 3000 MPa, anche perché diametri troppo piccoli presentano chiaramente delle controindicazioni di tipo sia costruttivo – più fili e così più lavorazioni a parità di sezione resistente da ottenere – sia corrosivo. Questo limite intrinseco delle leghe del ferro potrà essere superato adottando per le funi fibre sintetiche ad alta resistenza. Tra queste le più promettenti sono quelle in materiale aramidico e quelle in carbonio: con le prime si raggiungono resistenze pari a 3000 MPa, con le seconde si oltrepassano i 4500 MPa. Entrambe hanno un peso specifico inferiore a 2, ovvero circa un quarto di quello dell’acciaio. Queste fibre tuttavia, anche perché contenute in una matrice plastica, presentano alcune criticità che ne stanno ritardando l’applicazione su grande scala: la matrice plastica è soggetta a cricche per fatica; gli ancoraggi sono più complessi di quelli per i cavi in acciaio per via del loro modesto comportamento meccanico in direzione perpendicolare all’asse delle fibre; matrice e fibre sono soggette a deterioramento per radiazioni UV; la fune presenta un comportamento viscoso, ovvero l’allungamento sotto sforzo prosegue nel tempo; la risposta è generalmente molto fragile con rottura improvvisa senza allungamento plastico, come nel caso dell’acciaio; il loro costo, inoltre, è molto elevato.

Molte delle predette criticità sono in fase di risoluzione, soprattutto quelle relative agli aspetti tecnologici e prestazionali; ma, affinché questi materiali possano costituire un’alternativa all’uso dei fili d’acciaio, è necessario che si instauri un processo virtuoso di aumento della produzione e dell’impiego, con la contestuale riduzione dei prezzi. Ciò non avverrà nel breve periodo, anche perché l’acciaio resta competitivo per le luci medio-basse, le stesse dove è necessario applicare queste fibre sintetiche prima di poter immaginare un loro impiego nelle grandissime luci. Certo è che l’applicazione di questi materiali fibro-rinforzati è in continua crescita e non potrà non interessare le grandi tensostrutture.

Forma e funzione

Le forze di trazione nelle funi di un ponte sospeso, ovvero quelle di compressione in un arco, sono funzione del peso della struttura, della luce e della freccia. La freccia (f) in un ponte sospeso e in un arco è indicata nelle figg. 2 e 3; per similitudine, in un ponte strallato si può chiamare freccia la differenza di quota tra il punto più alto dell’attacco degli stralli sulle torri e quello sull’impalcato. Nei grandi archi a spinta eliminata, la freccia è compresa generalmente tra 1/3 e 1/5 della luce; analogo rapporto si trova per i ponti strallati, dove lo strallo più lungo ha un’inclinazione sull’orizzontale pari a circa 25°. Per i ponti sospesi, invece, la freccia è molto inferiore, attestandosi generalmente su un valore compreso tra 1/9 e 1/12 della luce. A parità di luce e di peso portato, all’aumentare della freccia si riducono le sollecitazioni negli elementi principali (arco, stralli, funi). Nei ponti sospesi la freccia si riesce a tenere entro valori molto contenuti, in quanto questa ha influenza solo sulla forza di trazione nelle funi di acciaio.

Come si è visto in precedenza, questi elementi sono molto efficienti, in quanto relativamente economici e in grado di lavorare a tensioni molto elevate (fino a 1000 MPa, ovvero 10.000 kg/cm2). La riduzione della freccia comporta per altro torri più basse e minori oneri costruttivi per questi elementi che sono soggetti a forze di compressione funzione del peso del ponte, ma sostanzialmente indipendenti dalla freccia.

Nei ponti strallati, gli stralli sono soggetti a forze di trazione, ma l’impalcato è sollecitato da una forza di compressione crescente dalla mezzeria del ponte verso le torri, in quanto ciascuno strallo immette nell’impalcato una parte di questa forza. Considerato che gli elementi strutturali compressi non sono in grado di lavorare agli stessi tassi di lavoro degli elementi tesi, per i ponti strallati si utilizzano frecce maggiori e quindi a parità di luce, torri più alte. La medesima necessità di contenere le compressioni massime si hanno per gli archi; anche qui, dunque, il rapporto di freccia è superiore a quello di un ponte sospeso e la struttura è, a parità di luce, molto più alta e ingombrante di una sospesa.

In definitiva, da un punto di vista prettamente strutturale, la differenza tra le tre tipologie strutturali è dovuta al diverso comportamento meccanico degli elementi tesi e compressi. Questi ultimi sono infatti soggetti a fenomeni di instabilità locale e globale che ne limitano il tasso massimo di lavoro al quale possono essere assoggettati: nel caso di elementi in acciaio, a circa 200 MPa (2000 kg/cm2). Se poi si considera che per gli elementi tesi vale esattamente il contrario, cioè questi sono tanto più stabili e rigidi quanto maggiore è la loro tensione, si spiega come per i ponti sospesi, il cui elemento resistente è teso, si possano ottenere luci maggiori rispetto ai ponti ad arco, il cui elemento resistente è invece compresso. I ponti strallati sono in qualche modo intermedi, in quanto gli elementi resistenti sono in parte tesi (stralli) e in parte compressi (impalcato). Tutto ciò spiega così l’attuale campo di applicazione di queste strutture. Gli archi sono attualmente utilizzati fino a 300-400 m; tale misura sale a 700-800 m per i ponti strallati e a oltre i 1000 m per i ponti sospesi.

Le azioni

Le strutture civili, oltre a dover sopportare l’azione gravitazionale terrestre, sono anche soggette a una serie di altre azioni di natura ambientale e antropica che non devono pregiudicarne la funzionalità, la stabilità e la durata. Anche in questo caso le grandi strutture portate da cavi si differenziano notevolmente dalle altre strutture civili.

L’azione principale in un ponte, anche per frequenza di accadimento, è quella impressa dal transito dei veicoli. Questa azione, determinante per tutti i ponti di luce medio-bassa, diventa secondaria nel caso delle grandi strutture portate da cavi: il peso dei veicoli o dei treni è infatti largamente trascurabile rispetto a quello dell’opera. Ma non è stato sempre così, anzi nel passato è stato forse vero il contrario. I primi ponti sospesi di piccole dimensioni dovevano infatti essere dotati di un minimo di rigidezza e resistenza nell’impalcato, non perché lo stesso ne avesse bisogno per portare il suo peso, ma per rendere maggiormente agevole la transitabilità del ponte.

Con l’introduzione dell’elaboratore elettronico e dei moderni programmi di calcolo si è oggi in grado di comprendere e quantificare con esattezza il ruolo giocato dalle funi e dall’impalcato nel sopportare i pesi propri e le azioni accidentali dei veicoli. Si è capito che più l’impalcato è flessibile, migliore diventa il suo comportamento nell’assecondare i movimenti delle funi, che sono gli elementi resistenti primari; si è compreso anche che sotto un certo valore di rigidezza dell’impalcato si possono avere problemi di comfort per l’utente, ma che questo limite inferiore è significativo solo per le piccole opere e che invece nelle grandi opere è sempre soddisfatto.

Altre azioni accidentali eccezionali da considerare, ma che in genere non costituiscono un rischio significativo per queste strutture, sono l’azione sismica e quella dovuta a eventuali sabotaggi.

L’azione sismica è particolarmente dannosa per strutture che, come gli edifici per abitazione civile, abbiano frequenze di vibrazione proprie confrontabili con quelle del sisma, quindi fino a un secondo. Le grandi strutture sospese hanno invece frequenze di diversi secondi e quindi vengono scarsamente sollecitate dall’azione sismica. Per quanto riguarda le azioni di sabotaggio, il parametro di confronto è invece quello della massa e della resistenza strutturale rispetto alla forza e all’energia dell’azione stessa. Quest’ultima, a meno di esplosioni di potenza molto elevata, è generalmente trascurabile rispetto alla resistenza di queste strutture. In definitiva, il sabotaggio delle grandi strutture portate da cavi non è particolarmente appetibile, in quanto, a parità di energia e di complessità dell’azione, sono altre le strutture e le infrastrutture con le quali è possibile ottenere effetti molto più eclatanti e distruttivi.

Vento

L’azione più gravosa per le grandi tensostrutture è invece quella del vento, perché può comportare molteplici effetti in grado di pregiudicarne la stabilità, la funzionalità e la durabilità.

L’effetto più eclatante del vento sulle grandi tensostrutture è quello di generare oscillazioni innescate dal distacco dei vortici. Nel caso in cui le frequenze di distacco dei vortici sono prossime a quelle delle vibrazioni proprie della struttura, possono insorgere fenomeni di amplificazione della risposta tali da arrivare a compromettere la stabilità stessa dell’opera. Gli strumenti di analisi numerica e sperimentale (gallerie del vento) disponibili per la progettazione hanno ormai scongiurato questo pericolo (per la soluzione del problema della stabilità aerodinamica dei grandi ponti portati da funi, v. sopra).

Se la stabilità dell’opera non è più in discussione, il distacco dei vortici continua a creare diversi problemi di funzionalità e durabilità, in quanto può indurre vibrazioni non solo nell’impalcato ma anche nelle torri e soprattutto negli stralli e nei pendini. Qualunque elemento soggetto a vibrazioni tende infatti ad avere una vita utile ridotta ma anche un basso livello di funzionalità. La vibrazione di stralli e pendini può causare fenomeni di fatica negli ancoraggi ovvero minore durabilità per l’infiltrazione di agenti atmosferici. La vibrazione dell’impalcato può ridurre il comfort dell’utenza, ma anche provocare l’allentamento delle giunzioni bullonate come è accaduto in alcuni ponti strallati con impalcato metallico. La scienza e la tecnologia moderna sanno ormai come ridurre ed eliminare completamente questi fenomeni, ma permangono alcune incertezze circa la loro esatta previsione. A tale proposito valga per tutti l’esempio del Millennium Bridge (2000, Arup, Foster & partners, Anthony Caro), la passerella pedonale situata davanti alla nuova sede della Tate Modern a Londra, che è stato necessario modificare dopo la sua messa in esercizio proprio al fine di ridurre le vibrazioni dovute al vento e al transito pedonale.

È necessario infatti prendere in considerazione il fatto che l’azione del vento può essere molto frequente e persistente, contrariamente, per es., al traffico veicolare, i cui valori massimi usati nella progettazione (ingorgo con elevata percentuale di traffico pesante) hanno una frequenza praticamene trascurabile. Infatti, nel caso in cui l’opera sia situata in un’area soggetta ad azioni eoliche intense e frequenti, l’eventuale disturbo arrecato all’utenza ne può compromettere seriamente la funzionalità. La possibilità che l’opera sia costruita in zone ventose è del resto abbastanza concreta, in quanto l’azione eolica risulta molto più intensa e persistente con l’aumento della quota dal livello del suolo e in spazi aperti – come, per es., sul mare – rispetto a quella che si riscontra in ambito urbano o comunque alla quota del terreno.

L’utenza dei grandi ponti strallati e sospesi su stretti, istmi o grandi fiumi deve dunque generalmente confrontarsi con condizioni climatiche molto più esasperate di quelle che si incontrano altrove nel trasporto terrestre. Queste opere devono quindi essere pensate per assicurare un comfort e una sicurezza adeguati anche nei giorni molto ventosi, senza dover arrivare alla chiusura al traffico del collegamento. Il sistema di mobilità e scambio di merci attualmente non consente infatti interruzioni che non siano estremamente limitate nel tempo. Interruzioni del servizio anche di sole poche ore consecutive possono infatti causare danni insostenibili all’economia gravitante sull’opera stessa. D’altro canto, la realizzazione di un’opera stabile di attraversamento ha una sua forte giustificazione economica anche in quanto consente di eliminare sistemi alternativi di trasporto, spesso lenti e onerosi (come i traghetti), e di non dover ricorrere a percorsi più lunghi e tortuosi.

Aspetti costruttivi

Per le grandi strutture la fase più delicata è sempre quella della costruzione. Una volta che l’opera è terminata, le sollecitazioni che la struttura deve sopportare sono generalmente minori di quelle che si incontrano durante la realizzazione, quando la stessa, nonostante sia soggetta solo al proprio peso, deve portarlo in una configurazione che non è quella ottimale dello schema statico definitivo. Questo è evidente per gli archi, sia quelli spingenti, prima che siano chiusi in chiave, sia per quelli a spinta eliminata, prima che tale spinta sia chiusa dal tirante inferiore. Situazioni analoghe si hanno però anche per i ponti strallati e sospesi, dove soltanto il completamento dell’impalcato conferisce alla struttura l’equilibrio voluto e la rigidezza necessaria a sopportare le azioni esterne, quali, per es., quelle del vento.

Ferma restando la complessità costruttiva di queste opere, non sarebbe però corretto affermare che la loro realizzazione comporti difficoltà proporzionalmente maggiori rispetto ad altre opere civili. È vero invece il contrario: le tensostrutture, e in special modo i ponti strallati e sospesi, vengono impiegate proprio quando la realizzazione di altre tipologie strutturali risulterebbe tecnicamente proibitiva. Il motivo di questa relativa semplicità di realizzazione dipende sostanzialmente dal fatto che il montaggio di funi e stralli, elementi leggeri e flessibili, è un’operazione che non richiede mezzi d’opera impegnativi. Nei ponti sospesi si tessono quindi le funi principali e poi vi si appende l’impalcato per conci; nei ponti strallati la costruzione avviene a sbalzo simmetricamente dai due lati, montando un concio di impalcato e i relativi stralli. In entrambi i casi, il sistema portante di funi che il ponte utilizza nello schema definitivo sorregge anche l’impalcato nelle fasi costruttive, rendendo la costruzione comparativamente semplice ed economica.

Un altro momento delicato nella costruzione delle grandi tensostrutture e dei ponti in genere è costituito dalla realizzazione delle fondazioni. Queste opere richiedono infatti operazioni sottoterra o anche sott’acqua, con tutte le difficoltà e i pericoli a esse associate. Anche in questo caso si tratta di difficoltà proporzionalmente minori per le grandi tensostrutture rispetto a quanto non lo siano per altre opere, in quanto le grandi strutture portate da funi, e quindi le grandi luci, sono spesso adottate proprio per evitare di porre le fondazioni in posizioni che ne rendano difficile la realizzazione. Così per molti ponti si sceglie una luce sufficientemente ampia in modo da poter disporre le pile fuori dall’acqua oppure a profondità contenute, in mare o in un fiume, o in terreni che presentano migliori caratteristiche meccaniche o di più facile accessibilità.

Se poi si mettono a confronto le difficoltà e le incognite costruttive delle grandi tensostrutture rispetto alle gallerie la differenza risulta ancora più marcata. In fase di costruzione, le prime presentano rischi e incognite decisamente minori rispetto a quelle che si possono incontrare nella realizzazione delle seconde; questo vantaggio ha tutt’oggi un peso non indifferente nella scelta tra le due soluzioni, laddove siano entrambe tecnicamente fattibili.

Nuovi attraversamenti geografici

Lo sviluppo rapidissimo del continente asiatico è stato e resterà per i prossimi anni il motore principale della messa in opera delle grandi strutture portate da funi. Per il solo attraversamento dello Yangtze Kiang (Fiume Giallo) sono stati realizzati, nel corso dell’ultimo decennio, una decina tra ponti strallati e sospesi con luci pari o superiori ai 500 metri.

Un’altra caratteristica geografica del continente asiatico che ha richiesto la costruzione di grandi tensostrutture è la presenza di arcipelaghi e isole molto ravvicinati. I primi collegamenti stabili sono stati realizzati nelle aree con maggiori disponibilità economiche, come il sistema dell’Honshu Shikoku nel sud del Giappone, terminato nel 1998, e i ponti sul canale di Ma Wan a Hong Kong. Vi sono però moltissimi altri stretti, sia in Asia sia in altre parti del mondo, per cui già sussistono, o si concretizzeranno a breve, le condizioni economiche e tecniche per la costruzione di un collegamento stabile.

Sicuramente alla portata della tecnologia odierna è l’attraversamento dello stretto dei Dardanelli, che collega il Mar di Marmara all’Egeo, e che, con lo stretto del Bosforo, fa da confine fra Europa e Asia. La larghezza minima dello stretto è pari a 1250 m e già esistono studi avanzati per realizzarvi un ponte sospeso con una luce comunque inferiore ai 1500 m: tale opera ridurrebbe notevolmente il percorso che dall’Europa balcanica conduce verso la Mesopotamia. Un altro ponte turco in fase avanzata di pianificazione è quello sulla Baia di Izmit, profonda incisione vicino alla capitale turca che oggi richiede un lungo periplo (85 km) al traffico merci diretto verso il sud del Paese.

Un attraversamento molto suggestivo, e la cui realizzazione avrebbe delle enormi implicazioni socioeconomiche, è quello di Bab al-Mandab (la Porta delle lacrime), che congiunge il Mar Rosso con l’Oceano Indiano. Nel punto più stretto, che separa lo Yemen da Gibuti, è largo 30 km circa. Nello stretto si trova l’isola di Perim, che divide il canale in due. Il canale più piccolo, quello orientale, è detto Bab Iskandar (la Porta di Alessandro) ed è largo 3 km circa e profondo 30 m al massimo. Il canale occidentale, chiamato Daqqat al-Mayyun, è largo 20 km e profondo 310 m. L’attraversamento di quest’ultimo braccio di mare è attualmente la ‘frontiera’ per questo tipo di opere, in quanto la profondità elevata e il traffico merci sostenuto richiedono l’utilizzo di una grandissima luce. Altrettanto affascinante è il progetto per un collegamento stabile tra Asia e America attraverso lo Stretto di Bering che ha una larghezza di circa 85 km, con una profondità compresa tra 30 e 50 m.

Molti altri sono gli attraversamenti che si potranno realizzare nei prossimi decenni; per alcuni c’è bisogno che maturino le condizioni economiche, per altri che si raggiunga la necessaria confidenza tecnologica. Spesso questi due aspetti sono strettamente interconnessi, in quanto la loro fattibilità si concretizza solo quando la necessità economica spinge l’uomo a intraprendere la realizzazione di opere che sono alla ‘frontiera’ della tecnologia esistente. D’altronde, per le grandi strutture sospese non è possibile realizzare prototipi e di conseguenza, come tutte le opere prime, l’impresa non può mai essere scevra da rischi. Molti attraversamenti potranno essere realizzati anche con tunnel, anzi questa soluzione risulta essere in molti casi l’unica proponibile: lo è stata nel caso dell’attraversamento della Manica e lo sarà con ogni probabilità per lo Stretto di Gibilterra.

In altri casi la scelta tra tunnel e ponte è ancora aperta e dipenderà dalla tecnologia disponibile al momento della progettazione definitiva, per quanto riguarda sia gli aspetti costruttivi appena discussi sia quelli inerenti il trasporto. Infatti, a meno di un radicale mutamento dei mezzi di trasporto, i tunnel presentano il grande inconveniente di non poter essere utilizzati liberamente dall’utenza, perché problemi di ventilazione e di sicurezza contro gli incendi non lo permettono. La totale sostituzione dei motori a scoppio delle vetture con altri sistemi propulsivi potrà senz’altro migliorare la situazione; resta tuttavia da considerare che i tunnel sono ambienti artificiali con condizioni ambientali piuttosto difficili. Diversamente, i grandi ponti portati da funi non presentano simili inconvenienti: l’utenza ha piena libertà di esercizio, e quest’ultima ha sempre rappresentato una delle caratteristiche fondamentali della domanda di mobilità individuale dell’uomo.

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