GRAVITAZIONE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

GRAVITAZIONE

Edoardo Amaldi-Massimo Testa

(XVII, p. 770)

Dal 1915-16, quando A. Einstein pubblicò i primi lavori in cui poneva le basi della relatività generale (RG), fino alla metà del secolo questa teoria è stata un campo coltivato quasi esclusivamente dai teorici. I soli tre metodi ideati ed effettivamente impiegati per verificare sperimentalmente la sua validità riguardavano: il principio di equivalenza nella sua forma debole; la deflessione subita dai raggi luminosi quando passano nel campo gravitazionale del Sole, e la precessione del perielio di un pianeta, in particolare di Mercurio. Inoltre l'accuratezza dei risultati di tutte queste osservazioni era sempre piuttosto modesta. Solo nella seconda metà del 20° secolo è diventato possibile fare le verifiche sperimentali ''classiche'' con elevata precisione. L'esempio più tipico è costituito dal principio di equivalenza nella sua forma debole.

Esso può essere enunciato dicendo che "il rapporto della massa inerziale (mi) di un corpo di prova alla sua massa gravitazionale passiva (mg) è invariante rispetto a cambiamenti della sua struttura atomica e nucleare". Una volta fissato come eguale a 1 questo rapporto per i corpi di un dato tipo (per es. quelli fatti di un elemento leggero come l'alluminio, Al: Z=13, A=27), si può esprimere un limite superiore sperimentale per le sue variazioni quando si passa a corpi costituiti da un elemento pesante (come per es. l'oro, Au: Z=79, A=197; o il platino, Pt: Z=78, A=195) assegnando il valore misurato di tale rapporto e il corrispondente errore. Nel 1964 R. H. Dicke, G. Roll e R. Krotkov di Princeton (USA) abbassarono questo limite di un fattore 102 (nel confronto Al-Au) e nel 1972 V. B. Braginski e V. I. Panov a Mosca lo abbassarono di un ulteriore fattore 10 (nel confronto Al-Pt), giungendo così al valore attualmente accettato universalmente

Ricordiamo, solo per completezza, che il principio di equivalenza nella forma forte afferma (Einstein 1907) che "in un laboratorio piccolo in caduta libera in un campo gravitazionale, tutti i fenomeni fisici sono identici a quelli che si osservano in un riferimento inerziale in assenza di campo gravitazionale".

Vedremo oltre come sia considerevolmente aumentata anche la precisione delle altre due verifiche sperimentali ''classiche'' grazie alle nuove tecniche sperimentali, e come altre verifiche, suggerite da tempo, siano diventate possibili solo recentemente, e come, infine, alcune verifiche di nuova concezione siano state esse stesse suggerite dalla disponibilità di tecnologie avanzate.

Prima di esporre tutti questi esperimenti e i loro risultati è però opportuno accennare ad alcune considerazioni generali sulle teorie della g. che sono oggi indispensabili per comprendere il significato e apprezzare la portata dei risultati degli esperimenti. Giungeremo così alla conclusione che l'insieme di tutte le verifiche sperimentali fatte finora risulta in pieno accordo con la RG senza peraltro permettere di escludere due altre teorie, che, per opportune scelte di un loro ulteriore parametro caratteristico, possono essere portate a fare previsioni indistinguibili da quella della RG per le verifiche sperimentali fatte finora. La distinzione fra la RG e queste altre teorie richiede verifiche sperimentali di altra natura. Seguirà un paragrafo in cui si discuterà la possibilità che la costante di Newton subisca una lenta variazione al passare del tempo e concluderemo con un accenno al difficile problema di riformulare la RG, in quanto teoria ''classica'' delle interazioni gravitazionali, nel quadro delle teorie quantistiche dei campi.

Le teorie della gravità. - La maggior parte dei fisici ritiene che la teoria della RG sia la teoria classica (cioè non quantistica) corretta del campo gravitazionale. I loro esperimenti riguardano tuttavia, quasi sempre, deviazioni così piccole dalla teoria newtoniana da poter essere interpretate in termini di correzioni lineari. Di questa stessa opinione sono anche gli astrofisici, che usano spesso alcuni aspetti altamente non lineari della RG nella costruzione dei loro modelli delle prime fasi dell'universo, della formazione delle galassie, dei nuclei galattici, dei quasar, pulsar e delle sorgenti compatte di raggi X.

Per migliorare la significatività delle verifiche sperimentali degli aspetti lineari e debolmente non-lineari della teoria della RG eseguiti finora è necessario disporre di teorie alternative della gravità in modo che i risultati di ogni esperimento permettano d'indicare una preferenza fra questo e quell'approccio teorico.

Le teorie relativistiche possono essere divise in due categorie: teorie metriche e teorie non metriche. Le teorie metriche sono quelle in cui lo spazio-tempo è dotato di una metrica curva e in cui tutte le leggi della fisica locali e non gravitazionali hanno la stessa forma, in ogni punto e in ogni istante, in qualunque sistema di riferimento locale lorentziano. Le teorie non metriche non soddisfano queste ipotesi.

Per decidere se la corretta teoria gravitazionale è metrica o no, è necessario fare ricorso agli esperimenti. Gli esperimenti eseguiti finora sembrano indicare che − entro gli errori di misura − la teoria corretta possa essere metrica. A questo effetto sono importanti in particolare gli esperimenti riguardanti il principio di equivalenza debole, il cui risultato [1] indica che le interazioni forti, elettromagnetiche, deboli e gravitazionali contribuiscono in egual misura alla massa inerziale e gravitazionale e pertanto la linea di universo di un corpo in caduta libera è indipendente dalla sua composizione e struttura. Ciò permette di considerare lo spazio-tempo come riempito da una serie di curve, le traiettorie del corpo di prova, che sono uniche e che permettono di associare allo spazio-tempo una metrica. In questo senso il principio di equivalenza favorisce, fra tutte le possibili teorie della gravitazione, le teorie metriche.

Altri esperimenti in favore di una teoria metrica sono: quelli che permettono di verificare l'isotropia dello spazio a mezzo di un interferometro laser (finora gli esperimenti di questo tipo non pare siano stati spinti al limite massimo raggiungibile con le tecnologie attuali); tutti gli esperimenti che mostrano come il fluire del tempo ubbidisca a una relazione di tipo metrico:

essendo dτ l'incremento del tempo proprio di ogni corpo. Fra i vari esperimenti di quest'ultimo tipo ricordiamo in particolare quello di F. J. M. Farley, E. Picasso e altri (1979), con cui è stato misurato il tempo di decadimento del leptone μ lanciato con una macchina acceleratrice a una grandissima velocità (γ=29,3; v/c=0,9994). Il risultato è che, con un errore relativo del (0,8±0,7) × 10−3, vale la relazione , essendo dt l'incremento di tempo misurato nel sistema di riferimento del laboratorio. Altri esperimenti che verificano la relazione [2] verranno illustrati successivamente.

Fra tutte le teorie metriche possibili, naturalmente, è poi necessario limitarsi a prendere in considerazione solo quelle le cui equazioni di campo sono invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz. Fra queste teorie, oltre alla RG (che è una teoria tensoriale pura), ricordiamo: la teoria scalare-tensoriale, la teoria vettoriale-tensoriale, la teoria bimetrica di Rosen, e poche altre. La difficoltà di decidere quale teoria, fra tutte quelle metriche possibili, sia quella corretta, sta nel fatto che finora è stato possibile eseguire esperimenti che mettono in evidenza soltanto piccolissime differenze dalla teoria di Newton. Il confronto fra i dati sperimentali e le teorie è reso più agevole se ci si muove nello schema del formalismo PPN (Parametrized Post Newtonian) sviluppato da K. Nordvedt e C. M. Will nel 1972. In questo schema si considerano le piccole correzioni apportate dalle varie teorie metriche alla teoria di Newton in termini di alcuni parametri che possono venir direttamente misurati con opportuni esperimenti.

Questi parametri intervengono esplicitamente nella metrica dello spaziotempo. Nel caso più generale essi sono in numero di 10. Tre di questi, indicati con α1, α2, α3, tengono conto della possibilità che esista un sistema di riferimento privilegiato. In RG tale sistema non esiste e pertanto α1, α2, α3=0. Quattro parametri (ξ1, ξ2, ξ3 e ξ4) tengono conto della validità delle leggi di conservazione. Le teorie per cui ξ1234=0, fra cui c'è la RG, vengono dette teorie metriche conservative. Un altro parametro, η, che vale zero in RG, serve a esprimere una possibile anisotropia.

Il caso più frequentemente considerato è quello con due soli parametri, β e γ. Se la simmetria è sferica, la metrica assume la forma

ove rg è il raggio di Schwarzschild del corpo di massa M che genera il campo gravitazionale:

ottenuto imponendo che l'energia di quiete mc2, di un corpo di massa m sia eguale alla sua energia potenziale (GMm/r) nel campo gravitazionale generato da M. Il parametro β dà una misura della ''non linearità'' che una data teoria mette nella componente temporale della metrica; il parametro γ dà una misura della ''curvatura dello spazio'' prodotta dal corpo di massa M nell'ambito della teoria considerata.

La difficoltà di verificare sperimentalmente la teoria della RG, e ancor più quella di discriminare una teoria metrica dall'altra, è dovuta alla piccolezza del rapporto rg/r sia alla scala del laboratorio che a quella planetaria. Su scala planetaria, per es., si ha per il valore di rg del Sole

e pertanto già sulla superficie del Sole il rapporto rg/r vale circa 2 × 10−6, che sostituita nella [3] dà la metrica di uno spazio quasi piatto. Nella scala del laboratorio il rapporto rg/r è molto più piccolo, dato che l'ordine di grandezza delle masse in gioco diminuisce con il cubo della dimensione lineare ,, ossia rg/r ∝ ,2. Soltanto nelle vicinanze di corpi di densità elevatissima, per es. stelle di neutroni, è possibile avere forti effetti di RG.

La tecnologia disponibile ai nostri giorni rende finalmente possibile misurare le piccolissime deviazioni dalla teoria di Newton.

In ciò che segue presenteremo una rapida rassegna dei più importanti esperimenti di RG eseguiti negli ultimi anni, la cui accuratezza va molto al di là di quella ottenuta con le verifiche classiche; essi sono riassunti nella tabella di p. 510. Considereremo anche il caso di una pulsar facente parte di una stella doppia, in cui vari effetti relativistici sono molto cospicui. Tutti questi risultati mostrano che la teoria della RG, nella forma sviluppata da Einstein, è finora quella che maggiormente si presenta in accordo con i risultati sperimentali.

Esperimenti di relatività generale. - In questo paragrafo prenderemo in considerazione i principali esperimenti eseguiti per verificare la teoria della RG, a partire dagli anni Sessanta, ossia da quando si sono rese disponibili tecnologie avanzate quali, per es., quelle che impiegano l'effetto Mössbauer, gli orologi atomici e le sonde spaziali.

Verifica sperimentale del principio di equivalenza debole per corpi di grande massa. - Il risultato [1] degli esperimenti eseguiti in laboratorio sul principio di equivalenza (debole) mostra con grande accuratezza che sia le forze nucleari che le forze elettromagnetiche e quelle deboli contribuiscono in egual modo alla massa gravitazionale e alla massa inerziale dei corpi (L. I. Schift 1959; M. Haugan, C. M. Will 1976). Essi però non permettono di trarre alcuna conclusione per ciò che riguarda le forze gravitazionali. Il rapporto tra energia di legame gravitazionale ed energia totale di un corpo varia come il quadrato della lunghezza caratteristica di un corpo. Per un corpo di dimensioni lineari di 1 m essa ammonta a circa una parte su 1023 della sua energia di quiete. Questo numero è 11 ordini di grandezza più piccolo del limite superiore sperimentale [1]. Così, per es., per un corpo sferico omogeneo di raggio R=1 m e massa volumica (≅5 g/cm3, si ha

Per un corpo di grande massa una qualsiasi deviazione di mi/mg dall'unità può venir posta nella forma ηΔ dove η è dato, nel formalismo PPN, per qualunque teoria metrica conservativa, dall'espressione (C. M. Will 1973)

Secondo la RG si ha η=0. Per poter determinare sperimentalmente il valore di η è necessario aumentare le dimensioni del ''corpo di prova'' alla scala planetaria. Ma allora sono necessari tre (o più) corpi di prova in quanto, nel caso di due soli corpi, una violazione del principio di equivalenza non potrebbe essere distinta da un cambiamento di scala della massa di uno dei corpi rispetto a quella dell'altro.

Il primo tentativo di un esperimento di questo tipo è basato secondo il suggerimento di K. Nordvedt (1968) sull'utilizzazione del sistema Luna-Terra-Sole. I riflettori ottici posti e lasciati sulla Luna dagli astronauti dell'Apollo 11 resero possibile questo esperimento.

Se η fosse positivo, si osserverebbe l'orbita lunare spostata nella direzione del Sole. Misure della distanza Terra-Luna metterebbero in evidenza un'ulteriore variazione mensile con un'ampiezza di circa 8η m. Per quanto 8 m (η=1) possano sembrare uno spostamento piuttosto grande rispetto all'incertezza (∼ 10 cm) delle misure laser della distanza fra un telescopio terrestre e un riflettore lunare, va tenuto presente che sovrapposto all'effetto cercato vi è un effetto classico, con lo stesso periodo e un'ampiezza di 110 km. Fortunatamente l'incertezza relativa all'effetto classico è di solo 1 cm, cosicché è possibile fare un'accurata determinazione di η.

Due gruppi hanno analizzato le misure laser a disposizione nel 1976 e hanno entrambi mostrato che il valore di η è insignificante rispetto all'incertezza globale da essi stessi stimata: 0,015 secondo I. I. Shapiro e altri, 0,030 secondo J. G. Williams e altri. La differenza fra le incertezze stimate dai due gruppi, che per altro si sono serviti degli stessi dati sperimentali, ha origine da diversità di valutazione degli errori sistematici.

Lo spostamento di frequenza di origine gravitazionale. - Una delle predizioni più famose della RG è l'effetto di una differenza di potenziale gravitazionale ΔΦ fra la posizione occupata da una sorgente (puntiforme) di luce e un osservatore (puntiforme), sul tempo segnato dai rispettivi orologi e sulla frequenza dei segnali elettromagnetici. Se v è la velocità relativa della sorgente S e dell'osservatore O, l'incremento del tempo proprio dτs della sorgente è legato all'incremento dt (=dτo) del tempo misurato da un orologio fisso rispetto all'osservatore (riferimento del laboratorio) dalla relazione

Passando dai tempi misurati dai due orologi alle frequenze dei segnali elettromagnetici, inviati dalla sorgente (νs) e osservati nel riferimento del laboratorio (νo), si ottiene

che, per ΔΦ=o, si riduce all'effetto Doppler relativistico, mentre per ν=0, contiene la previsione del nuovo effetto relativistico sopra citato e verificato sperimentalmente in laboratorio nel 1960 e, con maggior accuratezza, nel 1965.

Poco dopo la scoperta dell'effetto Mössbauer (1958), vari autori notarono che questo nuovo effetto aveva rivelato l'esistenza di righe gamma così sottili da permettere di osservare, e misurare con buona precisione, lo spostamento gravitazionale della frequenza di una riga gamma, dovuto alla differenza di potenziale gravitazionale ΔΦ=gz fra una sorgente S e un rivelatore O distanti l'uno dall'altro di un tratto verticale z dell'ordine di solo 20 m. Il miglior risultato è ancor oggi quello degli inglesi R. V. Pound e J. L. Snider che hanno dato (1965), come media di varie serie di misure,

dove l'errore (1,3%) comprende, in aggiunta a quello statistico, una stima dell'errore sistematico.

Confronto fra orologi. - Altre verifiche sperimentali della [8] sono state eseguite confrontando fra loro orologi trasportati da aeroplani o razzi con orologi identici tenuti a terra. Fra i molti risultati sperimentali ottenuti a partire dal 1971 in poi, qui ci limitiamo a ricordare quello ottenuto nel 1976 da R. F. C. Vessot e M. W. Levine dell'Harvard Smithsonian Center of Astrophysics. Questi autori hanno installato un maser a idrogeno atomico su un razzo Scout della NASA, il quale è salito fino a 10.000 km sulla superficie della Terra e poi è ricaduto (senza recupero) nell'Oceano Indiano. Il rapporto tra il valore misurato e quello calcolato a mezzo della [8] è risultato

1+(50±100) × 10−6 [11]

fornendo così una conferma di detta relazione entro lo 0,01%.

La deflessione dei segnali elettromagnetici. - Come abbiamo già ricordato all'inizio, la misura della deflessione subita dai raggi luminosi che passano nel campo gravitazionale del Sole costituisce la seconda delle tre verifiche sperimentali ''classiche'' della RG. Nel formalismo PPN, l'angolo di deflessione è dato dalla formula

dove γ è il parametro che figura nella [3] e d la minima distanza del cammino percorso dalla luce dal centro del Sole. La RG prevede γ=1. Le osservazioni fatte in occasione delle eclissi solari fra il 1919 e il 1952 erano molto poco precise e davano valori di γ coerenti con l'unità entro un'incertezza dell'ordine del 50%. Uno dei tentativi più recenti di osservazioni di questo tipo eseguite in occasione di un'eclissi è stato fatto nel 1974 da un gruppo delle università del Texas e di Princeton. Il loro risultato è coerente con γ=1 entro uno scarto quadratico medio di circa il 10% (E. B. Fomalont e altri, 1976).

Un notevole passo avanti in questa verifica sperimentale fu fatto, nel 1967, con la proposta di I. I. Shapiro di usare radioonde in luogo della luce. Con la tecnica degli interferometri radio a base molto lunga (VLBI=Very Long Baseline Interferometer) l'accuratezza angolare raggiungibile può essere molto superiore a quella che può essere ottenuta con tecniche ottiche sulla Terra. Il primo esperimento di deflessione di buona precisione basato sull'uso di un VLBI fu fatto nell'ottobre 1972 da I. I. Shapiro e altri del Massachusetts Institute of Technology (MIT) usando quattro antenne, due al National Astronomy Observatory a Green Bank (West Virginia) e due, a una distanza di 845 km, presso l'Haystack Observatory nel Massachusetts. Due radiosorgenti extragalattiche compatte, indicate come 3C279 e 3C273B, venivano osservate, ognuna da un'antenna, in ciascuna delle due stazioni. La radiosorgente 3C273B è situata a circa 10° a nord-ovest di 3C279. Questa seconda sorgente fu occultata a partire dall'8 ottobre 1972. La risoluzione raggiunta da questo interferometro, che veniva fatto funzionare alla frequenza di 8 GHz, era di circa 0″,01. Il risultato fu γ=0,98±0,06, dove l'errore non è dominato da problemi derivanti dal rapporto segnale-rumore, ma piuttosto dalla mancanza di una calibrazione appropriata.

Successivamente un esperimento più accurato fu fatto da E. B. Fomalont e R. A. Sramek, rispettivamente del Green Bank Observatory (USA) e di quello di Arecibo (Puerto Rico), facendo uso di un interferometro a base più corta e con una connessione diretta fra le due antenne (doubled connected technique). Combinando i dati raccolti in due serie di misure eseguite nel 1974 e 1975, questi autori hanno ottenuto

γ=1,01±0,02 [13]

ove l'errore è circa un terzo di quello dell'esperimento precedente.

Il ritardo dei segnali. - Nel 1964 I. I. Shapiro fece notare la possibilità di attuare una quarta verifica sperimentale della teoria della RG. Secondo questa teoria il tempo di andata e ritorno di un segnale elettromagnetico fra due punti fissi deve risultare più lungo se vi è un corpo di grande massa vicino al cammino dei segnali. Per verificare questa previsione si possono usare due pianeti come punti fissi e il Sole come corpo di grande massa. I segnali luminosi possono essere trasmessi dalla Terra verso un pianeta, il quale dà luogo a una eco. Il problema è quello di confrontare il tempo (di andata e ritorno) dei segnali con e senza il Sole nelle vicinanze del loro percorso. Nel formalismo PPN il ritardo Δt dell'eco dovuto all'effetto del potenziale gravitazionale del Sole è dato da

dove re ed rp sono le coordinate eliocentriche della Terra e del pianeta bersaglio ed R la distanza fra la Terra e il pianeta. Shapiro fece anche notare che, grazie ai progressi fatti dalla radioastronomia, i segnali luminosi possono venir sostituiti con vantaggio da impulsi radar emessi dalla Terra verso uno dei pianeti interni (Venere o Mercurio). L'espressione che figura a destra della [14] è dovuta prevalentemente alla diminuzione subita dalla velocità della luce quando passa in una regione di potenziale gravitazionale crescente. Il contributo al ritardo proveniente dalla deflessione del cammino dei raggi è del secondo ordine in (rg/c) e pertanto trascurabile. Questo tipo di risultato è generale per qualsiasi fenomeno di rifrazione in cui il cambiamento di indice di rifrazione è piccolo (I. I. Shapiro 1964). Il ritardo ha un valore massimo di 250 μs per raggi che rasentano il disco solare. Le atmosfere e le ionosfere della Terra e del pianeta alterano in maniera non significativa il ritardo. La teoria dell'esperimento fu completata da Shapiro in un lavoro del 1965, ove egli mostra come si possano stimare i parametri sconosciuti dell'orbita del pianeta partendo da misure dei tempi di ritardo fatte quando il pianeta bersaglio è vicino alla Terra (congiunzione inferiore) e come si possano usare le misure fatte quando il cammino delle onde radar passa vicino al Sole (congiunzione superiore) per distinguere l'effetto solare sul ritardo.

Qui ci limitiamo a ricordare i risultati ottenuti da I. I. Shapiro e altri nel 1977, utilizzando una notevole mole di osservazioni radar ottenute a mezzo del sistema Viking, che comprendeva: due veicoli approdanti (lander) ben piazzati sul pianeta Marte, ciascuno dei quali equipaggiato con un ''trasponditore'' funzionante nella banda di frequenza S (circa 2,2 GHz); due veicoli orbitanti (orbiter) dotati di trasponditori per inseguimento, ciascuno funzionante in due bande di frequenza: la banda di frequenza S (circa 2,2 GHz) e la banda di frequenza X (circa 8 GHz). Dall'analisi di 14 mesi di dati I. I. Shapiro e altri hanno dedotto, nel 1979,

dove l'incertezza è stata presa pari al doppio della deviazione standard, per tener conto di possibili errori sistematici.

La precessione del periastro. - Gli astronomi hanno cercato per secoli di seguire la precessione del perielio delle orbite dei pianeti. Fino alla metà del 19° secolo, i risultati erano sempre in accordo con la teoria entro le incertezze delle osservazioni e dei calcoli teorici. Questi ultimi erano limitati soprattutto dall'imprecisa conoscenza della massa di corpi perturbanti. Nel 1859 U. J. J. Le Verrier (1811-1877) fu il primo a notare una seria discrepanza fra le osservazioni e i calcoli relativi a cambiamenti degli elementi dell'orbita di Mercurio. Egli non riusciva ad assegnare questa discrepanza a un solo elemento, ma sulla base di argomenti ausiliari concludeva che la discrepanza era dovuta a un avanzamento del perielio di circa 36 secondi di arco per secolo, maggiore del previsto. Questa discrepanza fu definitivamente attribuita all'avanzamento del perielio e il suo valore fu migliorato e portato a 43 secondi di arco per secolo da S. Newcomb (1835-1909) alla fine del 19° secolo.

Nel formalismo PPN il contributo relativistico dell'avanzamento secolare è dato da

dove a è il semiasse maggiore, e l'eccentricità dell'orbita e

il parametro del formalismo PPN che, nel caso della RG, vale 1 (γ=1, β=1). Le osservazioni ottiche si estendono ormai su di un periodo di oltre 200 anni, e danno complessivamente un'incertezza su ·ωRG di circa 0,4 secondi di arco per secolo. Un'analisi appropriata delle caratteristiche principali dei pianeti interni, degli asteroidi e dei satelliti dei pianeti interni (I.I. Shapiro e altri, 1977 e 1979) mostrò che l'orbita di Mercurio rimane il miglior campo di prova delle previsioni della RG per ciò che riguarda la precessione del perielio. I risultati pubblicati da Shapiro nel 1972 riguardano l'analisi di cinque anni di osservazioni radar di Mercurio e Venere fatte fra il 1966 e il 1971 negli osservatori di Haystack nel Massachusetts e di Arecibo a Puerto Rico. Nell'analisi gli autori prendevano in considerazione tutte le interazioni gravitazionali potenzialmente importanti nel quadro della RG.

Nonostante che l'avanzamento non-newtoniano del perielio di Mercurio sia di gran lunga l'effetto relativistico più grande, le osservazioni radar di Venere giuocano un ruolo importante nella valutazione di λp. E ciò perché grazie al maggior avvicinamento di Venere alla Terra, molti dei ritardi delle corrispondenti eco radar sono più precisi dei dati Terra-Mercurio e permettono di determinare con maggior precisione l'orbita della Terra di quanto si potrebbe fare usando solo i dati Terra-Mercurio. Va tuttavia tenuto presente che in generale l'avanzamento relativistico del periastro è il solo effetto secolare solamente nel caso in cui le osservazioni si estendano su di un grande numero di orbite. Ma se il numero di orbite osservate non è molto grande, tutti gli elementi orbitali mostrano perturbazioni relativistiche, cosicché l'avanzamento del periastro è solo uno dei molti parametri che debbono venir determinati con programmi appropriati basati sul metodo dei minimi quadrati. Si comprende quindi come mai dall'insieme di tutti questi dati gli autori dovessero risolvere il problema di stimare λp e circa altri venti parametri, fra i quali ricordiamo: i quattro parametri orbitali nel piano dell'orbita per ciascuno dei tre pianeti più interni, le masse di Mercurio e Venere, un parametro relativo al modello del plasma interplanetario e due parametri introdotti per mettere in rilievo possibili differenze sistematiche fra le osservazioni di Mercurio e di Venere fatte da Haystack e da Arecibo.

La corona solare non presentava problemi perché i dati che determinano λp erano ottenuti prevalentemente nelle vicinanze della congiunzione inferiore, ossia in condizioni tali che i segnali radar non penetrano all'interno dell'orbita di Mercurio. Gli autori fecero anche l'ipotesi che il momento quadrupolare gravitazionale del Sole sia nullo, senza tenere conto, nella stima dell'errore sistematico su λp, della precisione delle osservazioni ottiche che giustificano questa ipotesi (H. A. Hill e R. T. Stebbins 1975). Quest'analisi ha dato

in accordo con le previsioni della RG (γ=β=1) e dove 0,02 rappresenta la combinazione incoerente dell'errore statistico standard (0,007) e del contributo probabile degli errori sistematici. Una precessione del periastro dovuta alla RG circa 35.000 volte più grande di quella di Mercurio è stata osservata nel caso della stella binaria scoperta da Hulse e Taylor. Questo risultato verrà esaminato nel paragrafo successivo congiuntamente ad altri effetti relativistici chiaramente individuati nel comportamento meccanico di questo sistema, e il cui studio richiede un approccio globale al problema.

Un primo esempio di sistema binario altamente relativistico. - In una lettera all'Astrophysical Journal, datata 18 ottobre 1974, R. A. Hulse e J. H. Taylor del dipartimento di Fisica e Astronomia dell'università del Massachusetts, Amherst, annunciavano di aver scoperto una pulsar eccezionale (PSR 1913+16) nel corso di una ricerca sistematica di nuove pulsar che essi avevano intrapreso con il radiotelescopio di 305 m di diametro dell'Osservatorio di Arecibo (Puerto Rico) funzionante a 430 MHz. Questo oggetto ha un periodo di pulsazione di circa 59 ms e mostra variazioni periodiche del periodo di pulsazione che indicano che la pulsar è un membro di un sistema binario, la cui orbita eccentrica viene percorsa con un periodo di 0,d 3230 (≃8 ore). Fin dal principio del loro lavoro, gli autori sottolineavano: "Così per la prima volta è possibile osservare la interazione gravitazionale di una pulsar con un altro corpo di elevata massa e ulteriori osservazioni debbono rendere possibile una determinazione sicura delle masse di entrambi questi corpi". Nel loro lavoro sistematico gli autori avevano rivelato 40 pulsar, 32 delle quali erano sconosciute fino ad allora. Gli autori avevano anche determinato i parametri caratteristici di 21 di queste.

Nel loro primo lavoro sulla pulsar PSR 1913+16 Hulse e Taylor riferiscono di aver osservato questo straordinario oggetto per la prima volta nel luglio 1974 e di aver subito notato la variazione del periodo e di aver compreso che questa era dovuta all'effetto Doppler determinato dal moto orbitale della pulsar attorno al suo compagno. Prima della fine di settembre essi avevano già ottenuto un diagramma piuttosto preciso della velocità della pulsar in funzione della fase. Dall'analisi di questo diagramma essi dedussero due gruppi di dati fondamentali: il primo comprende i valori dell'ascensione retta α, della declinazione δ, del periodo P, della derivata rispetto al tempo del periodo, , la misura della dispersione DM (cioè l'integrale della densità elettronica lungo la linea binariaantenna [cm−3·pC]), il valore medio della densità di flusso a 430 MHz e un limite superiore per la larghezza effettiva dell'impulso. Il secondo gruppo di dati riguarda gli elementi dell'orbita e precisamente: la semiampiezza della variazione della velocità radiale della pulsar rispetto al centro di massa, il periodo dell'orbita della binaria corretto per il moto dell'osservatore Pb, l'eccentricità dell'orbita e, la longitudine del periastro ω, il tempo del passaggio del periastro T, la proiezione del semiasse maggiore dell'orbita della pulsar a·sin i, dove i è l'angolo d'inclinazione fra l'orbita e il piano del cielo, e la funzione di massa

Dalla discussione dei valori delle masse M1 ed M2 e degli elementi dell'orbita, Hulse e Taylor concludono che "il compagno deve essere un oggetto ad alta densità, probabilmente una stella di neutroni o un buco nero. Una nana bianca non può essere esclusa ma sembra poco probabile in base ad argomenti evolutivi". Essi notano anche che "la configurazione a binaria costituisce una specie di laboratorio ideale per lo studio della relatività, dotato di un orologio di precisione che si muove ad alta velocità su di una orbita fortemente eccentrica entro un forte campo gravitazionale. Si noti, per esempio, che le variazioni sia di v2/c2 che di GM/c2r lungo l'orbita sono sufficientemente grandi da generare cambiamenti del periodo osservato di varie unità su 106. Pertanto sia lo spostamento Doppler relativistico che lo spostamento gravitazionale debbono essere facilmente misurabili". L'annuncio di questa scoperta diede immediatamente luogo a numerosi lavori teorici di vari altri autori riguardanti la natura della pulsar-binaria (A. R. Masters e D. H. Roberts 1975), l'avanzamento relativistico del periastro (C. M. Will 1975), alcune altre correzioni relativistiche (T. Demon e R. Ruffini 1974; R. M. Bakker e R. F. O'Connell 1975), la verifica di un'emissione di onde gravitazionali (R. V. Wagoner 1975) e la determinazione delle masse delle due stelle componenti (R. Blandford e S.A. Teukolsky 1975). Nel lavoro apparso su Astrophysical Journal del 1982 J. H. Taylor e J. M. Weisberg riferiscono sui risultati dedotti da misure raccolte in oltre 6 anni di osservazione. I parametri d'interesse per la RG sono ·ω, γ', a sin i e b. La precessione del periastro

è in accordo con il valore calcolato dalla RG se si adottano per le masse delle due stelle i valori

dedotti dalla loro stessa analisi. Il parametro

ha le dimensioni di un tempo e misura la parte variabile del ritardo dovuta all'effetto Doppler trasversale e allo spostamento gravitazionale. Il parametro sin i è misurabile perché esso influenza sia il ritardo dovuto al campo gravitazionale sia la correzione postnewtoniana dell'orbita ellittica. Il valore dedotto dall'analisi dei dati γ′=(0,00438±0,0004) s è in accordo con il valore dedotto da [21] e

Pb=27906,98161±0,00001. [23]

La derivata b del periodo orbitale della binaria

b=(−2,30±0,22) × 10−12 s/s [24]

è in accordo con il valore calcolato per l'emissione di onde gravitazionali a mezzo della formula derivata da Einstein per la radiazione di quadrupolo gravitazionale

b=−2,40 × 10−12 s/s [25]

L'ipotesi che il valore di b sia dovuto solo e completamente a questo fenomeno è giustificata dal fatto che altri contributi provenienti dalla rotazione galattica, dalla dissipazione mareale o da perdita di massa paiono trascurabili.

Un confronto fra il valore misurato di b con quelli calcolati dalle varie altre teorie mostrano un accordo (entro un errore stimato del 10%) con la RG mentre tutte le altre teorie sembrano escluse a eccezione della teoria scalaretensoriale di Brans e Dicke. Quest'ultima teoria può essere portata ad accordarsi con il valore osservato scegliendo per l'uno o l'altro dei due parametri caratteristici di questa teoria (ῶ e G̃) un valore estremo; o si assume per la costante di accoppiamento ῶ un valore molto alto, oppure si ammette che le strutture interne delle due stelle siano quasi identiche cosicché G̃2 ≤ 10−4. Taylor e Weisberg concludono la loro discussione del valore di b osservando che "delle due teorie rimanenti − la RG e la teoria di Brans e Dicke − solo la Relatività Generale predice per la derivata temporale del periodo della binaria un valore molto vicino a quello osservato senza dover invocare ulteriori ipotesi ad hoc".

Conclusioni complessive deducibili dal quadro sperimentale attuale. - Dall'insieme dei dati esposti nei paragrafi precedenti appare evidente che tutte le verifiche sperimentali fatte finora sono in accordo con buona precisione con la RG, mentre sembrano escludere tutte le altre teorie a eccezione della teoria di Rosen e di quella di Brans e Dicke.

Lo studio della PSR 1913+16 ha portato a risultati in accordo con la RG. In particolare il valore di b fornisce un argomento molto forte a favore di tale teoria nell'ipotesi che esso sia dovuto tutto e solo all'irraggiamento di onde gravitazionali. Se questa è la corretta interpretazione, rimane esclusa anche la teoria di Rosen, mentre quella di Brans e Dicke può essere presa ancora in considerazione solo a condizione di assegnare al parametro ῶ un valore sufficientemente elevato.

Ricerca di una variazione temporale della costante gravitazionale di Newton G. - In un lavoro apparso nel 1938 P. A. M. Dirac fece notare che, a differenza di ciò che accade per la maggior parte degli altri numeri adimensionali che vengono usati nella fisica, i quali differiscono dall'unità per meno di quattro ordini di grandezza, ve ne sono due che sono entrambi dell'ordine di 1040. Il primo è il rapporto fra le forze (elettrostatica e gravitazionale) che si esercitano fra un elettrone e un protone,

il secondo esprime in unità atomiche l'età dell'Universo

Dirac suggerì che non sia casuale il fatto che questi due numeri siano così vicini fra loro, ma che, per ragioni a noi sconosciute, il loro rapporto sia costante al variare del tempo. In questa ipotesi, dal fatto che l'età dell'Universo non è costante, segue che anche il valore di una delle grandezze che figurano nelle [26] dovrebbe variare con il tempo. E poiché e2, me ed mp sembrano essere costanti più fondamentali, suggerì che la costante G decresca con il passare del tempo. Per dar concretezza alla discussione supponiamo che si abbia

dove G0 è il valore della costante gravitazionale a un'epoca relativamente recente t0 che non è necessario precisare.

In un primo lavoro del 1970, I. I. Shapiro e altri presentarono i risultati del confronto di misure fatte con orologi atomici del periodo orbitale di un pianeta. Il confronto era basato sul tempo A.1 conservato al Naval Observatory degli Stati Uniti (Washington, D.C.) e su serie di misure dei ritardi delle eco radar interplanetarie fatte agli osservatori di Haystack e di Millstone Hill del MIT su un periodo di 6 anni. Un risultato molto più accurato è stato ottenuto da una collaborazione fra il Jet Propulsion Laboratory (P. J. Adams, R. W. Hellings e altri) e il NASA Goddard Institute for Space Study (V. M. Canuto e altri) che, in una serie di pubblicazioni, apparse fra il 1981 e il 1983, ha presentato i risultati dell'analisi globale dei seguenti dati astronomici relativi al sistema solare: 1136 misure di distanza dei veicoli Viking approdanti (Lander) su Marte (luglio 1976-luglio 1982); 845 misure di distanza del veicolo spaziale Mariner 9 in orbita attorno a Marte (novembre 1971-ottobre 1972); 1305 misure di echi radar dalla superficie di Mercurio e di Venere (1964-77); 2954 misure di distanze fatte con laser (1969-80); 44.755 misure ottiche della posizione, ascensione retta e declinazione, del Sole e dei pianeti (1971-79). Fra i parametri che figurano nei modelli impiegati da questi autori e che vengono determinati con il metodo dei minimi quadrati rispetto ai dati osservati sopra elencati, ricordiamo: gli elementi orbitali iniziali della Luna e dei pianeti; le masse di Venere, della Terra e dei pianeti esterni; le masse dei tre asteroidi (Cerere, Pallade e Vesta) che influenzano maggiormente l'orbita di Marte; la densità media dei rimanenti asteroidi, divisi in due gruppi a seconda dei loro tipi di composizione (gruppo C: tipi C, F, P e D; gruppo S: tipi S, M ed R); i parametri Ġ0 e ·ξ (vedi oltre); altri parametri che rappresentano correzioni varie per effetti che si sa che esistono in particolari insiemi di dati e parametri unici specifici per ciascun insieme di dati. Questi autori, infatti, considerano due possibili origini, concettualmente diverse, di una (eventuale) variazione secolare dei periodi orbitali dei pianeti misurati per confronto con orologi atomici. La prima possibilità è quella considerata originariamente da Dirac, basata sull'ipotesi che la costante gravitazionale vari al passare del tempo. Questo punto di vista porta a scrivere la [28] e il parametro che caratterizza il fenomeno è Ġ0/G0. Un diverso punto di vista può essere quello d'ipotizzare l'esistenza di un'influenza cosmica (campo di forza) che agisce sulla fisica atomica mentre le equazioni del campo gravitazionale rimangono invariate. In questa seconda ipotesi fra l'intervallo di tempo registrato dagli orologi atomici dt e l'intervallo di tempo inerente la dinamica relativistica (tempo di Einstein: dtE) si può supporre che passi la relazione

e il parametro che caratterizza il fenomeno è ·ξ. Come risultato di quest'analisi, gli autori danno

dove gli errori sono molto maggiori delle corrispondenti ''deviazioni standard'' e rappresentano incertezze derivanti dalla nostra limitata conoscenza delle masse degli asteroidi.

Per giungere a scrivere le [30] e [31] gli autori sono partiti da oltre 100 soluzioni del metodo dei minimi quadrati, una frazione (consistente) delle quali riguarda la determinazione di Ġ0/G0, un'altra la determinazione di ·ξ, e una terza la determinazione contemporanea di Ġ0/G0 e ·ξ. I risultati dedotti dall'insieme di questa terza classe di soluzioni sono coerenti con valori nulli di entrambi questi parametri, ma le incertezze corrispondenti sono fra 4 e 5 volte maggiori di quelle indicate nelle [30] e [31]. Ciò significa che nessuna delle due ipotesi alternative su di una possibile influenza cosmica sulla fisica locale è preferibile rispetto all'altra. I valori [30] e [31] sono quelli ottenuti dalle due prime classi di soluzioni, riguardanti rispettivamente la determinazione solo Ġ0/G0 e solo di ·ξ.

In ciascuna classe vi sono soluzioni ottenute trattando la densità ϱc degli asteroidi del gruppo C come un parametro libero da determinare (soluzioni A); il valore così trattato è però troppo alto (3,5÷3,1 g/cm3) rispetto a quanto già sappiamo (2 g/cm3). Fissando il valore di tale densità a ϱc=2 g/cm3, gli autori ottengono quelle che chiamano le soluzioni B. I valori [30] e [31] rappresentano le medie aritmetiche fra i valori dedotti dalle soluzioni A e B. Le incertezze date nelle stesse [30] e [31] derivano invece dalle cosiddette soluzioni estreme: Cc=1,5 g/cm3) e Dc=3,5 g/cm3). Come ulteriore risultato gli autori hanno studiato l'effetto dell'aggiunta di 2000 asteroidi non inclusi nei due gruppi C ed S sopra considerati: l'effetto di tale aggiunta è trascurabile.

A conclusione di questo paragrafo desideriamo sottolineare che i problemi in esso sollevati costituiscono a tutt'oggi gli unici esempi d'investigazione sperimentale sulla validità e la portata del concetto stesso di costante universale sia pur limitatamente al caso particolare della costante di Newton, e di eventuali deviazioni fra la scala dei tempi einsteniani e quella degli orologi atomici.

Gravitazione quantistica. - Dal punto di vista quantistico la gravità sfugge a tutt'oggi a una trattazione completamente coerente. Ci limiteremo a delineare, nel seguito, i tre approcci maggiormente esplorati: l'approccio perturbativo; l'approccio non perturbativo; la teoria della superstringa.

L'approccio perturbativo, il più tradizionale, tratta la g. alla stregua dei campi che descrivono la materia, trascurandone così gli aspetti geometrici che, pure, rappresentano il fondamentale punto di partenza della teoria classica (relatività generale).

Si parte dal tensore metrico, gμν e se ne considera la deviazione dalla metrica lorentziana (piatta)

Nell'approssimazione linearizzata le equazioni di campo per hμν descrivono le cosiddette onde gravitazionali. Per la meccanica quantistica hμν descrive quanti di massa nulla dotati di due stati indipendenti di polarizzazione chiamati gravitoni. È possibile a questo punto utilizzare la teoria delle perturbazioni per studiare le correzioni quantistiche alla teoria classica. Come accade anche per teorie di campo considerate soddisfacenti, come per es. l'elettrodinamica quantistica, le correzioni quantistiche risultano, in generale, infinite. A differenza, però, da tali teorie, nella gravità quantistica, questi infiniti non possono essere assorbiti in una ridefinizione (rinormalizzazione) delle costanti di accoppiamento. Ci troviamo in presenza, cioè, di una teoria non rinormalizzabile. Sui motivi fisici alla base di questa insoddisfacente situazione non c'è una posizione unanimemente accettata. Una delle critiche più immediate a tale trattamento riguarda la cosiddetta condizione di microcausalità. Si tratta di un requisito fondamentale di una teoria di campo relativistica locale che richiede la commutatività di una coppia di osservabili locali, A(x) e B(y), quando essi si riferiscano a due punti dello spazio-tempo, x e y, con separazione di tipo spazio. Nell'approccio perturbativo tale commutatività è verificata quando i due punti hanno una separazione di genere spazio calcolata, però, nella metrica piatta gμν, invece che con la metrica fisica . Questo fatto potrebbe minare alla base ogni considerazione di carattere perturbativo per sistemi in cui gli effetti quantistici della g. svolgano un ruolo rilevante e ha portato, come conseguenza, allo studio di schemi non perturbativi che ridiano alla g. il ruolo fondamentale di determinare la geometria dello spazio-tempo.

Nella formulazione non perturbativa, l'universo viene descritto mediante una funzione d'onda ψ(g), che rappresenta l'ampiezza di probabilità di trovare il sistema in una geometria (tridimensionale) descritta dalla metrica gij.

La funzione d'onda ψ(g) soddisfa quattro equazioni. Tre di queste dicono che la funzione d'onda non dipende dalla particolare forma della metrica, ma solo dalla geometria intrinseca che essa descrive; la quarta, la cosiddetta equazione di Wheeler-De Witt, descrive gli aspetti dinamici veri e propri della gravitazione. Queste equazioni sono altamente non lineari e non è noto alcun metodo per ottenerne la soluzione generale. Recentemente A. Ashtekar ha trovato una descrizione del campo gravitazionale in termini di quantità con carattere spinoriale. Espresse in termini di queste variabili, le equazioni della g. acquistano forma polinominale ed è addirittura possibile trovare per esse una classe di soluzioni esatte. Il significato di tali soluzioni e la loro rilevanza non sono, tuttavia, ancora chiari.

Un interessante problema, sollevato da ogni approccio globale alla g. quantistica, riguarda l'interpretazione stessa della meccanica quantistica quando viene applicata all'intero universo. In tal caso, infatti, non ha senso la separazione tra osservatore e sistema osservato che è alla base del formalismo quantistico, dovendo essere anche l'osservatore, in quanto parte dell'universo, descritto dalla funzione d'onda ψ. In particolare non è più applicabile il cosiddetto postulato della riduzione della funzione d'onda che è alla base della teoria quantistica della misura. È stata formulata, a questo proposito, da H. Everett, una nuova interpretazione della meccanica quantistica che ne riproduce tutti i risultati osservabili, senza però introdurre alcuna dinamica estranea all'equazione di Schrödinger. Tale interpretazione non è comunque esente da critiche, per cui non si può considerare definitivamente risolto neppure questo aspetto del problema.

È stata recentemente avanzata una proposta per descrivere gli aspetti quantistici della g. in termini della cosiddetta teoria delle superstringhe. Si parte dallo studio di una stringa chiusa, essenzialmente un elastico relativistico, la cui azione è pari alla superficie bidimensionale spazzata dalla stringa nello spazio-tempo. Le particelle elementari, gravitoni inclusi, sono descritte come modi di oscillazione della stringa stessa.

La complessità matematica della teoria è notevole: in essa intervengono, in maniera naturale, la teoria generale delle superfici di Riemann e molti altri concetti più o meno sofisticati della geometria algebrica. Teorie di questo tipo sono in grado di evitare l'apparizione degli infiniti tipici delle teorie di campo e potrebbero, in linea di principio, contenere una descrizione totale delle interazioni delle particelle elementari arrivando addirittura a spiegare la quadridimensionalità dello spazio-tempo. Occorre precisare, però, che, al momento, non esiste alcun fenomeno fisico osservato che indichi nella teoria delle stringhe qualcosa più di una teoria matematicamente elegante.

Bibl.: S. Weinberg, Gravitation and cosmology: principles and applications of the general theory of relativity, New York 1972; C.W. Misner, K.S. Thorne, J.A. Wheeler, Gravitation, San Francisco 1973.

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