GRAZIANO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GRAZIANO

Diego Quaglioni

Poche personalità nella storia del pensiero e dell'esperienza giuridica dell'età intermedia sono così avvolte dall'oscurità, e al tempo stesso così presenti alla tradizione, come G., la cui figura è indissolubilmente legata alla Concordia discordantium canonum, la compilazione dottrinale-normativa con la quale "sorse una vera scienza del diritto della Chiesa, trasformando la mole complessa di regole e tradizioni ecclesiastiche in un sistema ragionato, universale, per sé stante" (Kuttner, G., 1953, p. 17) e che in ragione della grandissima autorità di cui godette nella scuola si disse poi, più semplicemente, Decretum Gratiani.

La tradizione storiografica corrente ritiene che la raccolta di G. abbia visto la luce poco prima della metà del secolo XII, in una data fissata dallo Schulte fra il 1139 - l'anno del concilio Lateranense I - e il 1142, a compimento di un'elaborazione che nel campo del diritto canonico datava almeno dalla seconda metà del secolo XI e parallelamente al lavorio dei glossatori civilisti: non a caso G. fu accomunato a Irnerio fin dalle prime testimonianze sulla scuola bolognese, come nel Chronicon di Burcardo di Ursperg "quasi a immaginare i due al lavoro gomito a gomito nella medesima Bologna" (Cortese, p. 197). Tale elaborazione risentiva fortemente della "rinascita" seguita alla riforma gregoriana e sviluppatasi pienamente in una lettura critica delle fonti, che con il metodo di Abelardo fondò la nuova scienza teologica, dando alimento a G. e alla sua grande concordia, per la quale la teologia del XII secolo trapassa nella base ferma di un nuovo ordine etico-giuridico.

Le poche notizie biografiche su G. sono per di più ricostruite da fonti indirette non sempre attendibili.

Il Diplovatazio, raccogliendo all'inizio del secolo XVI la tradizione della scuola e sottoponendola al primo vaglio della critica umanistica, lo dice "monachus sancti Benedicti, doctor insignis, natione Etruscus, patria Clusinus", dando poi un rapido schema della genesi del Decretum, delle sue fonti e della sua partizione ormai fissata dalla scuola: "Inter cetera sue lucubrationis opera decretorum librum accuratissime collegit […]. Compilavit hoc de quodam magno volumine decretorum, in quo erant omnia concilia et canones apostolorum […]; item ex volumine decretorum Hispalensis episcopi et Brucardi Buarmaciensis episcopi et Fulgentii et Ivonis Carnotensis episcopi et Ugonis Cathalanensis episcopi. Posuit etiam alios canones et consultationes Romanorum pontificum et viginti canones apostolorum auctoritatesque sanctorum patrum, que hodie vim canonum obtinent […]; legum etiam imperatorum, iuris consultorum de voluminibus digestorum, codicis, institutionum, authenticarum novellarum Iustiniani. Quod opus divisit in tres partes" (De claris iuris consultis, pp. 7 s.).

Sempre il Diplovatazio discute lungamente della mancata sottoscrizione del Decretum da parte di G., avvertendo che "licet Gratianus non posuit nomen suum in libro decretorum, tamen constat, quod opus est suum"; notando inoltre che "est testimonium omnium doctorum iuris canonici, quod libri decretorum auctorem fuisse magistrum Gratianum"; e aggiungendo ancora che "ideo ipse non posuit nomen suum, quia actus vel stilus ipsius ita est notus, quia sine inscriptione constat de auctore, cuius nomen alii inscribendo dedixerunt ad posteros" (pp. 7 s.). Ulteriori avvertimenti dava il Diplovatazio circa la sola intenzione di G. "ut canones discordantes ad concordiam revocet" (p. 9); sul carattere privato della raccolta, la sua supposta confirmatio da parte del papa Eugenio III e la discussa autorità di molti dicta dello stesso G.; sull'origine e la paternità delle paleae inserite fra i canoni, con l'accoglimento dei primi scrupoli di natura filologica espressi da Giovanni (Nicoletti) da Imola ("aliqui tamen dicunt, quod libri antiqui non habent incorporatas paleas", p. 15); infine, ancora una volta, in merito alla figura storica di G., così come essa emerge da una tradizione di scuola: "Iste Gratianus qui composuit decretum, fuit monachus sancti Benedicti et monasterii sancti Felicis de Bononia […]. Et existens Gratianus Bononie in dicto monasterio nigrorum monachorum sancti Felicis, divinum opus predictum composuit, dum monachus ibidem fore mancipatus" (p. 16).

Alle scarne notizie storiche la tradizione mescolava volentieri le leggende, suggestive di un "apparentamento" stretto di G. alle grandi figure della teologia del suo secolo. Tale è appunto la leggenda dell'origine spuria di G. e della sua fratellanza carnale e spirituale con Pietro Lombardo e con Pietro Comestore, tratta dal Supplementum chronicarum e da varie fonti, di scuola e no, fra le quali Felino Sandei, Antonino da Firenze, Giovanni Antonio da San Giorgio, Raffaele da Volterra e Domenico Bandini, unitamente a Cristoforo Landino, il commentatore di Dante (ibid., pp. 17 s.). È però ad Antonino che il Diplovatazio si affida, nella varietà e contraddizione delle opinioni, citandone alla lettera il testo, corredato dagli stessi dubbi che già avevano indotto Mariano Sozzini, secondo una notizia riferita da Giovanni Antonio da San Giorgio, a dichiarare "fabulosum" l'episodio. Questo, comunque stessero le cose, era proposto da Antonino come "esemplare", o, come oggi si potrebbe dire, volto a simboleggiare la fecondazione di una identica matrice teologico-scritturale con elementi a essa esterni, giacché "al senso medievale di simmetria simboleggiante doveva dare soddisfazione il pensiero che gli autori dei tre libri di testo più diffusi nell'insegnamento teologico, canonistico, e di storia biblica volgarizzata fossero nati dalla stessa madre" (Kuttner, G., 1953, p. 21): "Archiepiscopus Florentinus […] scribit: "Circa ista tempora fuerunt tres solemnes viri valde studiosi, qui composuerunt libros multum perutiles ecclesie Dei, scilicet Gratianus, monachus Classensis, qui composuit decretum, et magister Petrus Lombardus, episcopus Parisiensis, qui composuit librum sententiarum, et Petrus, qui dictus est Comestor, qui fecit historiam scholasticam. Et a quibusdam predicatur in populis, quod fuerunt germani ex adulterio nati, quorum mater, cum in estremis peccatum suum confiteretur et confessor redargueret crimen perpetratum adulterii, quia valde grave esset et ideo multum deberet dolere et penitentiam agere, respondit illico: Pater, scio, quod adulterium crimen magnum est, sed considerans, quantum bonum secutum, cum isti filii mei sint lumina magna in ecclesia, ego non doleo nec valeo penitere. Et confessor ad eam respondit: Quod tui filii sint notabiles viri et opera utilia fecerint ecclesie Dei, non ex te, sed ex dono Dei est, ex te autem adulterium, crimen magnum, et de hoc doleas; et si non habes illum dolorem, quantum exigit tuum peccatum, de hoc tamen doleas, quod non potes dolere"" (De claris iuris consultis, pp. 19 s.).

Le ultime note del Diplovatazio sono per la cronologia, incerta nel collocare G. tra i primi e la metà del secolo XII, e per i versi danteschi indirettamente richiamati nella chiusa: "Adde, quod Dantes Aldigerii dicit Gratianum esse in paradiso in 3. Libro c. 10., que omnia sunt notanda" (ibid., p. 21). Risiede già qui la considerazione che fece scrivere al Calasso, in una sua pagina felice: "L'Alighieri non esitò a collocare Graziano tra gli spiriti sapienti del cielo del Sole, per rendergli merito dell'opera sua: "che l'uno e l'altro foro / aiutò sì che piace in paradiso" (Par., X, 104 s.) dove l'espressione "l'uno e l'altro foro" va spiegata non, come l'opinione corrente fra i dantisti ritiene, "il foro ecclesiastico e il civile" quasi che Graziano avesse composto l'opera sua, per dirla con le parole stesse del commento attribuito a Pietro Alighieri, "ad utrumque forum, canonicum et civile, respiciens"; bensì, come fu sostenuto più correttamente dal Brandileone e dal Ruffini, "il foro interno e il foro esterno", vale a dire il tribunale della coscienza, che giudica con la legge che Dio stesso vi ha soffiata dentro, e quello degli uomini, che giudica con la legge degli uomini: alludendo appunto all'opera di conciliazione, da Graziano felicemente tentata, fra la teologia e il diritto canonico. Conciliazione, che presupponeva però, logicamente, la distinzione e la dissociazione: ed è qui la vera originalità dell'opera del monaco camaldolese" (p. 396).

Le notizie in nostro possesso su G., depurate da ogni elemento leggendario, non vanno molto più lontano di pochi dati e tutti incerti, sia sulla data e sul luogo di nascita, che dovrebbero porsi tra Orvieto e Chiusi intorno alla fine del secolo XI, sia sulla sua appartenenza ai camaldolesi, sia sull'attività nel monastero bolognese dei Ss. Felice e Naborre, dove tra il 1130 e il 1140 avrebbe composto la sua opera e avrebbe fatto scuola, sia sulla sua scomparsa alla fine degli anni '50 del XII secolo. Le varie ipotesi affacciate dagli storici e già raccolte da Seckel, e prima di lui da Schulte, sono state oggetto di numerose revisioni (de Ghellinck, Vetulani, Fransen, Noonan jr., Mesini, Classen, Piergiovanni, Kuttner). Rimangono tuttora sub iudice la sua presenza nel monastero bolognese di S. Felice, attestata però da una parte della tradizione manoscritta del Decretum, nonché la sua stessa qualità di monaco, testimoniata peraltro a breve distanza dalla sua morte nella Summa Parisiensis (Piergiovanni, p. 243) e perfino la sua attività di magister (ma Kuttner, 1988, p. 7, ha potuto ricordare che Simone da Bisignano, poco dopo il 1170, menzionava G. come "magister noster"). I maggiori dubbi riguardano il luogo di nascita di G., che Boncompagno da Signa agli inizi del Duecento poneva in Orvieto, mentre più tardi il Chronicon di Martino di Troppau indicava in Chiusi e il cronista avignonese Giovanni Colonna, nel suo De viris illustribus, in Carrara di Ficulle fra Orvieto e Chiusi. Incerta risulta anche la sua appartenenza all'Ordine dei camaldolesi, notizia nata con la storiografia dell'Ordine e appartenente in ogni caso a una tradizione già contestata dal Savioli e che non risale oltre l'inizio del secolo XVIII. Tutto ciò induce ad ammettere (cfr. Kuttner, 1988, p. 5) che quasi tutto nella sua biografia rimane incerto come lo è stato finora, poiché la ricerca ha aggiunto nuovi interrogativi, insegnando a guardarsi dalla ripetizione dei dati convenzionali contenuti nella vecchia letteratura. Peraltro lo stesso Kuttner, in un denso ed equilibrato contributo che riesamina in profondità ogni aspetto critico della tradizione biografica e delle indagini recenti, ha offerto nuove suggestioni di ricerca, sia a proposito di un possibile, stretto rapporto di G. col vescovo Oddone di Lucca, autore di una Summa sententiarum e vicino all'ambiente di Ugo di San Vittore, sia a proposito di una coincidente testimonianza di una nota presente in una parte della tradizione manoscritta del Decretum e di un'addizione alla cronaca di Roberto di Torigny, intorno a G. "vescovo" e "vescovo di Chiusi" (ibid., pp. 8 s.).

Un solo episodio della vita di G. è testimoniato da un documento notarile, ed è quello che lo vede protagonista in S. Marco a Venezia, nell'agosto del 1143, insieme con il legista Gualfredo e con Mosè, già arcidiacono di Vercelli e di lì a poco arcivescovo di Ravenna, in una disputa in tema di decime ecclesiastiche al cospetto del cardinale legato di Innocenzo II (cfr. Gloria). Si trattava "di una triade di giuristi di grido che dovevano passare a Bologna per luminari, e si presentano in effetti come rappresentanti di un ambiente scientifico vivace e pronto a dibattiti teorici […]. L'ambiente frequentato da Graziano era dunque vivace e fantasioso, e il monaco, lungi dal segregarsi tra le mura del convento, partecipava alla vita giuridica del tempo" (Cortese, pp. 201, 203).

Tra i molti dati incerti, l'unico dato certo è che G. operò lungamente a Bologna dove tenne scuola, e in Bologna respirò l'atmosfera del primo moto della civilistica irneriana e postirneriana, con le vivaci dispute che percorsero tutto il primo cinquantennio del secolo XII. In questo senso "la Concordia grazianea è bolognese, ha una cittadinanza specifica" (Grossi, p. 204), corrispondente all'istanza della Chiesa postgregoriana di fissare il fondamento a future e più ambiziose costruzioni dottrinali e normative. "La Chiesa non ha un corpus giustinianeo su cui innalzare le guglie di una interpretatio, né le troppo informi collezioni precedenti possono essere utilizzate per un tale scopo. Occorre sistemare una coerente piattaforma il più possibile ridotta a organicità e occorre sorreggere il materiale con un progetto. Questo fa Graziano, anche se in modo rudimentale, con strumenti ancora malcerti come non possono non essere quelli di un pioniere" (ibid., pp. 204 s.).

Non meno aperti restano tuttavia i numerosi problemi sollevati a proposito della genesi, della struttura originaria e della redazione finale del Decretum, così come a proposito della datazione dell'elaborazione originaria, che potrebbe essere riportata indietro oltre i primi anni '30 del XII secolo, e del compimento della vulgata: questioni che, come ha posto in evidenza Kuttner (1988, p. 10), s'intrecciano tutte con quella relativa allo stesso scopo della compilazione grazianea, che potrebbe essere più complesso di quello tradizionalmente riconosciuto e forse da porre in rapporto con lo scisma del 1130, la vittoria di Innocenzo II e la genesi del Lateranense II. Altrettanto aperto resta il problema del testo del Decretum, insieme con quello di una compiuta identificazione delle sue fonti.

Nuove ricerche, con risultati di cui si attende ancora un esito conclusivo, fanno ora seguito alle indagini di Rudolf Weigand e, in particolare, a una recente investigazione di Winroth a proposito del codice del Decretum siglato "Fd", conservato presso la Biblioteca nazionale di Firenze (Conventi soppressi, A.I.402), proveniente da Camaldoli (dato che non può non ridar forza, inaspettatamente, alla più incerta e meno creduta fra le notizie biografiche vagliate dalla tradizione storiografica) e contenente una redazione più breve della compilazione grazianea, le cui caratteristiche escludono possa trattarsi di una più tarda abbreviazione.

Tali ricerche hanno indotto Viejo-Ximénez e soprattutto Larrainzar a scrivere, a proposito del codice fiorentino, di una "redacción original" della Concordia discordantium canonum, o almeno del codice originale dal quale deriva la redazione di una più ampia concordia (Larrainzar, pp. 424 s.). L'identificazione di una mano G, "que claramente no es un copista" (ibid., p. 448) e che si aggiunge a quelle di sei diversi scrittori, nel decennio 1142-52, per introdurre auctoritates e dicta, per emendare errori e operare modifiche alla lettera del testo, per rifondere insieme tutti gli elementi dell'opera mediante un sistema di connessioni e rimandi interni con un'autorevolezza che solo l'autore poteva avere, ha convinto Larrainzar a ipotizzare che il manoscritto fiorentino fu quello di cui G. si servì per costituire, su di una prima redazione originale, il testo definitivo della sua Concordia, in un lasso di tempo che va dal 1148 al 1160. La conclusione, sia pure in forma interrogativa, riapre interamente la discussione sui dati più controversi della tradizione storiografica corrente, ad alcuni dei quali le singolari caratteristiche del codice sembrano restituire credibilità e verosimiglianza.

Comunque stiano le cose, e con tutta la prudenza già sollecitata da Kuttner di fronte alle istanze di revisionismo storiografico intorno a G. e alla sua Concordia (Kuttner, 1982, pp. 321 s.), il monumento grazianeo resta un'opera che nella temperie spirituale del XII secolo sembra doversi rileggere e reinterpretare non solo come rinnovazione della tradizione benedettina e gregoriana, ma come restituzione al suo tempo della forza dell'exemplum e come parte importante della riflessione teologico-politica all'indomani del concilio Lateranense II, giacché la presenza costante dei canoni di questo sinodo generale si rivela "ostacolo insormontabile a qualsiasi anticipo di datazione" (Piergiovanni, p. 244), contestualmente al rinnovarsi, tra gli anni '40 e '50, della tensione fra sacerdotium e imperium. Il Decretum Gratiani, anche quando si escluda la forte retrodatazione proposta in diverse occasioni dal Vetulani, tra gli anni 1105 e 1120, e la sua origine "in ambiente romano ed in collegamento con Pasquale II" (ibid.), appare perciò come un manifesto del dualismo fondamentale tra il sacro e il secolare, nell'età in cui quel dualismo si palesa come la nervatura della costituzione nascente dell'Europa cristiana.

Quand'anche non si cedesse alla tentazione di interpretare l'intero DecretumGratiani come reazione all'ascesa di un autonomo diritto secolare in contrapposizione allo ius divinum e alla tradizione normativa della Chiesa, sarebbe certamente difficile sottrarre la compilazione normativa a intenti politico-religiosi. Passa infatti dalla compilazione grazianea il rifiuto di ridurre l'ordine giuridico alla monodimensionalità di un ordine normativo coattivo; il secolo XII è, in questo senso, il secolo della fondazione del diritto comune, il secolo della costruzione giuridica medievale come interpretazione di un ordine soggiacente: "Un ordo iuris che […] non può non scandire il diritto positivo, i vari diritti positivi, secondo gradi ascendenti di manifestazioni giuridiche che dalle regole transeunti e contingenti della vita quotidiana salgono senza cesure, in spontanea e semplice continuità, al livello supremo del diritto naturale e del diritto divino con tutta la loro ricchezza di principi normativi eterni e immutabili perché voce della Divinità stessa" (Grossi, p. 14).

Testo di spartiacque, forse un work in progress originato da una lunga attività scolastica, il Decretum, così come l'omonima opera di Ivo di Chartres, assomma in sé il vecchio ma si proietta nel nuovo e incarna il "tentativo di armonizzare le discordantiae, cioè le antinomie, che la vita secolare della società ecclesiale aveva ammucchiato a seconda dei tempi, dei luoghi, delle circostanze diversi e che ora si mostrano pastoralmente scandalose e inammissibili" (ibid., p. 117). Consonanza dei canoni dunque, concordia, composizione armonica che nasce non solo dalle dissonanze, ma per le dissonanze, unità che non aspira alla monotonia di un ordine nel quale le particolarità si dissolvono, ma che delle particolarità è comprensione e ragione.

In quel processo, ordine morale e ordine giuridico non si integrano perfettamente e, anzi, ogni tentativo di costituire una perfetta integrazione tra le due sfere è destinata a fallire e a dar vita, col suo fallimento, alla temperie moderna. Nell'ultima testimonianza di Fransen raccolta da Domenico Maffei, il diritto romano, secondo una visione debitrice della riflessione di Gabriel Lebras, appare come la base principale del nuovo potere pontificio e del nuovo diritto pontificio: "Anche se i testi di diritto romano inseriti nella sua collezione sono relativamente pochi Graziano ingloba il diritto romano nel suo insieme in quanto conforme alla legge di Dio e alle norme della Chiesa e getta le fondamenta per l'edificazione del diritto comune romano-canonico che si sforzeranno di realizzare i giuristi dei secoli seguenti […]. Senza tener conto dell'apporto del diritto romano […] la sua opera sarebbe incomprensibile" (Prodi, p. 66).

Opera. Per il testo della Concordia discordantium canonum si deve ancora ricorrere all'edizione a cura di E. Friedberg: Corpus iuris canonici, I, Decretum magistri Gratiani, Leipzig 1879 (rist. Graz 1959); importante sussidio per la ricerca sono i cinque volumi della Wortkonkordanz zum Decretum Gratiani, a cura di T. Reuter - G. Silagi, in Mon. Germ. Hist., Hilfsmittel, X, München 1990. Sempre indispensabili le vecchie sintesi di J.F. von Schulte, Geschichte der Quellen und Literatur des Canonischen Rechts, I, Stuttgart 1875 e di A. Van Hove, Prolegomena. Commentarium Lovaniense in Codicem iuris canonici, Mechliniae-Romae 1945. Per la tradizione grazianea e postgrazianea resta fondamentale S. Kuttner, Repertorium der Kanonistik (1140-1234).Prodromus Corporis glossarum, I, Città del Vaticano 1937.

Fonti e Bibl.: Martinus Oppaviensis, Chronicon pontificum et imperatorum, a cura di L. Weiland, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXII, Hannoverae 1872, p. 469; Burchardus Urspergensis, Chronicon, a cura di O. Abel - L. Weiland, ibid., XXIII, ibid. 1874, p. 342; G. Colonna, De viris illustribus, in G.B. Mittarelli - A. Costadoni, Annales Camaldulenses, III, Venetiis 1758, p. 324; Codice diplomatico padovano dall'anno 1101 alla pace di Costanza, a cura di A. Gloria, I, Venezia 1879, p. 313 n. 419; Boncompagno da Signa, Rhetorica novissima, a cura di A. Gaudenzi, in Scripta anecdota glossatorum, II, Bologna 1901, p. 249; L. Savioli, Annali bolognesi, I, 1, Bassano 1784, pp. 262 s.; M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus, a cura di C. Albicini - C. Malagola, I, Bononiae 1882, pp. 331-333 (per la più tarda sistemazione della tradizione); T. Diplovatazio, Liber de claris iuris consultis, pars posterior, a cura di F. Schulz - H. Kantorowicz - G. Rabotti, in Studia Gratiana, X, Bononiae 1968, pp. 7-21 (per la più antica tradizione biografica di ambiente giuridico).

Per la moderna ricerca biografica e per i problemi di interpretazione in sede storica della genesi e dello sviluppo della tradizione grazianea e postgrazianea si vedano: E. Seckel, Über neuere Editionen juristischer Schriften aus dem Mittelalter, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Romanistische Abteilung, XXI (1900), pp. 212-338; P. Fournier, Un tournant de l'histoire du droit, 1060-1140, in Nouvelle Revue historique du droit français et étranger, XLI (1917), pp. 129-180; W. Plöchl, Das Eherecht des Magisters Gratianus, Wien 1930; P. Fournier - G. Le Bras, Histoire des collections canoniques en Occident…, Paris 1931-32; S. Kuttner, Zur Frage der theologischen Vorlagen Gratians, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung, XXIII (1934), pp. 243-268 (rist. in Id., Gratian and the schools of law, 1140-1234, London 1983, n. III); A. 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