GREGORIO X papa

Enciclopedia Italiana (1933)

GREGORIO X papa

Eugenio Dupré Theseider

Il conclave che seguì alla morte di Clemente IV durava ormai da tre anni in Viterbo, arenato nella lotta fra partito francese e italiano, quando il popolo viterbese ricorse al rimedio estremo di rinchiudere i cardinali nel palazzo episcopale, razionandone per di più il vitto. Raggiunse lo scopo: i cardinali delegarono sei di essi per l'elezione del papa, che fu scelto fuori della curia, nella persona di Tebaldo Visconti da Piacenza arcidiacono di Liegi. Era persona ben vista per rettitudine di carattere e mitezza d'animo; non si era specialmente distinto in alcun campo, ma aveva molto viaggiato. Con il card. Pecorara era stato a Lione, poi, con il cardinale Fieschi, a Londra: colà aveva stretto amicizia con Edoardo principe di Galles, al quale si era poi accompagnato in un pellegrinaggio in Terrasanta. La notizia dell'elezione lo raggiunse a S. Giovanni d'Acri; partitone subito, giunse a Viterbo il 10 febbraio 1272, venne ordinato prete il 13 marzo, e incoronato in Roma il 27. Già quattro giorni dopo egli lanciava alla cristianità l'appello per un concilio generale, che si sarebbe aperto il 10 maggio 1274 in città da destinarsi, e ne specificava fin da allora il programma: l'unione della chiesa greca con Roma, la liberazione di Terrasanta, la riforma dei costumi del clero e del laicato. Il concilio (XIV nella serie degli ecumenici) si tenne a Lione, con l'intervento di 15 cardinali, un re (Giacomo I d'Aragona), i patriarchi latini di Costantinopoli e Antiochia, 1600 prelati tra cui 500 vescovi. G. non conseguì tutti gli scopi che si proponeva; ottenne tuttavia aiuti pecuniarî per la crociata (le decime su tutte le entrate ecclesiastiche durante 6 anni), e la promessa di prendere la croce da parte di varî principi: il re di Francia, Edoardo re d'Inghilterra, il re d'Aragona, l'imperatore Rodolfo d'Asburgo. Il papa stesso proclamò la sua ferma intenzione di muovere con le truppe alla conquista del Santo Sepolcro; ma quella che avrebbe dovuto essere l'VIII crociata, e che pareva resa più facile dalla tregua decennale stretta fra Ugo re di Cipro e il sultano Baibars, non ebbe attuazione. La grande idea aveva perduto la sua forza viva.

Doveva invece riuscire G., seppur solo temporaneamente, nella rappacificazione della Chiesa orientale, problema che era da tempo abbinato con l'impresa di Terrasanta, e che anche G. aveva considerato come uno stadio preparatorio ad essa. Ma l'unione si attuò per ragioni politiche, non religiose. Michele Paleologo, vedendo con preoccupazione che Carlo d'Angiò, conquistata la corona d'Albania, passato all'acquisto dell'Acaia, alleato per di più con Balduino di Fiandra, mirava palesemente a Bisanzio, si accostò al papa, sapendolo ormai in grado di condurre una politica indipendente dall'Angioino, dopo che era scomparso il pericolo svevo. Vinte le forti resistenze del clero greco, mandò a Lione un'ambasceria, che cantò la messa con l'aggiunta Filioque, secondo il rito latino, accettando di poi il "simbolo" (in precedenza mandato a Bisanzio) e riconoscendo il primato di Roma, ma ottenne anche di conservare, per il resto, le caratteristiche liturgiche della chiesa orientale. Si trattò nel concilio anche della riforma del clero e del laicato, ma non si raggiunse nulla di concreto. Le principali disposizioni vennero pubblicate posteriormente al concilio e riguardarono le modalità dell'interdetto, la proibizione di praticare l'usura, il divieto di fondare nuovi ordini religiosi. Venne disciplinato anche, per il futuro, il conclave, prescrivendo che si dovesse adunare non oltre una settimana dalla morte del papa, e durasse non più di un certo numero di giorni, passati i quali si doveva sollecitare la decisione del Sacro Collegio, riducendone progressivamente il vitto: in sostanza l'espediente dei Viterbesi. Fu decisa allora anche la cessione del contado Venassino alla Chiesa.

Fautore della pace (gli si attribuiscono le famose parole: "ghibellinus est, at christianus, at civis"), G. tentò di far cessare le lotte di parte in Firenze, quando vi fu di passaggio nel 1273 per recarsi al concilio, ma, non essendovi riuscito, colpì la città d'interdetto. Alla morte di Riccardo di Cornovaglia, brigavano per la corona imperiale Alfonso di Castiglia e Filippo III di Francia, ma il pontefice, non volendo né rendere definitiva la preponderanza francese, né favorire le aspirazioni spagnole, già preoccupanti per la Sicilia, pose un termine perentorio ai grandi elettori dell'impero, che prescelsero Rodolfo d'Asburgo (29 settembre 1273). Questi promise a Gregorio X di prender la croce e di tutelare nella più ampia misura i diritti della Chiesa. In compenso il papa decise d'incoronarlo egli stesso in Roma nel febbraio del 1276, ma già il 10 gennaio moriva, in Arezzo, mentre tornava dal concilio. Senza aver conseguito risultati duraturi, Gregorio X (che il popolo chiamò beato), alieno dagl'intrighi, ascoltato arbitro di sovrani, resta nella storia una bella figura d'idealista. Il suo pontificato rappresenta una breve parentesi di pace nell'inquieto sec. XIII.

Bibl.: J. Guiraud, Les régistres de Grégoire X, Parigi 1892-93; Hefele, Hist. des conciles, VI, i, Parigi 1914, pp. 152-228; v. inoltre la bibl. citata in Realencykl. für prot. Theol. u. Kirche, s. v.; Dict. de Théol. cath., s. v.