BRIENNE, Gualtieri di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)

BRIENNE (Brenensis, Brennensis, Brenne, de Brena), Gualtieri di

Norbert Kamp

Discendeva (terzo di questo nome) da una famosa casata nobiliare francese che già nel sec. X, sotto gli ultimi Carolingi, aveva acquistato rango comitale. Alla fine del sec. XII i Brienne erano però considerati impoveriti, pur distinguendosi per virtù cavalleresche e grande spirito. d'iniziativa. Brienne-le-Château, il castello che dette alla famiglia il nome e la residenza principale della loro contea, si trova vicino Troyes nella Champagne (dipartimento dell'Aube).

Il B. era il figlio maggiore del conte Erardo II di Brienne e della moglie Agnese di Montbéliard. Erardo e il fratello Andrea caddero nel corso dell'assedio di Acri, l'uno nell'anno 1189, l'altro verso il 1190. Nella più stretta parentela del B. rientravano i conti di Champagne e di Fiandra. Il fratello minore Giovanni acquistò mediante matrimonio nel 1210 la dignità di re di Gerusalemme, che perdette però nel 1225 dopo il matrimonio della figlia Isabella con l'imperatore Federico II di Svevia. Sotto Onorio III e Gregorio IX dal 1227 fu rettore del Patrimonio di S. Pietro e l'anno seguente capeggiò uno degli eserciti pontifici che invasero il Regno di Sicilia. Nel 1231 fu eletto persino imperatore latino di Costantinopoli e governò fino alla morte (1327), come tutore del giovane imperatore Baldovino, l'Impero d'Oriente.

Il B., che appare nelle fonti per la prima volta nel 1177 insieme con i fratelli Guglielmo e Andrea, quando consente a una permuta effettuata dal padre con l'abbazia di St-Loup di Troyes, nacque probabilmente verso il 1165, dato che nei documenti di Erardo II degli anni tra il 1177 e il 1184 è ricordato di frequente il suo precettore Gilo, che lo preparava per la successione nella contea. Dopo la morte del padre fu investito, tra il 1190 e il 1192, della contea di Brienne e come lui si trovò a vivere e operare nella cerchia locale della Champagne. Nel 1198 si lascio convincere da Riccardo Cuor di Leone a entrare in una lega contro Filippo II Augusto; nel 1199 si fece crociato.

Il suo ingresso sulla scena politica europea fu segnato dal matrimonio con Albiria, la figlia maggiore del defunto re di Sicilia Tancredi, che Filippo di Svevia nel 1198 aveva rilasciato per intervento del papa. Che il matrimonio fosse stato combinato da Filippo II Augusto o dal papa è affermazione di tardi cronisti francesi che meritano scarsa fiducia. Più probabilmente l'iniziativa partì dalla vedova di Tancredi, la regina Sibilla, che sperava di trovare nella nobiltà francese il sostegno ai suoi piani di restaurazione nel Regno, passato agli Svevi con il matrimonio di Costanza d'Altavilla con Enrico VI di Svevia. Come marito di Albiria, che sposò tra la Pasqua del 1199 e quella del 1200, il B. rivendicò davanti al papa, reggente del Regno di Sicilia per il minorenne Federico II di Svevia, la contea di Lecce e il principato di Taranto, che Enrico VI nel 1194 aveva concesso al giovane figlio di Tancredi Guglielmo III, l'ultimo re normanno, e a sua madre Sibilla, togliendoglieli però poche settimane dopo. Insieme con Sibilla e con Albiria nella primavera - forse nell'aprile - del 1200 il B. si presentò alla Curia pontificia.

Innocenzo III rifletté a lungo sulle richieste del conte francese, che gli aprivano la prospettiva di un aiuto militare contro Marquardo di Annweiler e i capitani tedeschi che spadroneggiavano nella parte continentale del Regno, insieme con un possibile accomodamento con la famiglia di Tancredi. L'alleanza con gli eredi di Tancredi d'altro canto gli avrebbe alienato molti dei suoi partigiani nel Regno e non sarebbe riuscita certamente priva di pericoli per i diritti del suo pupillo Federico II. Posto davanti all'alternativa di accettare la spada offerta dal B. contro i Tedeschi oppure di respingerlo fra le file dei suoi avversari, il papa decise, dopo lunghe consultazioni con i cardinali e altri consiglieri, di riconoscere le rivendicazioni della moglie del B. sulla contea di Lecce e il principato di Taranto, sebbene ancora nel settembre del 1199 avesse assicurato la sua protezione a Roberto di Biccaro insediato da Enrico VI nella contea di Lecce. A quanto pare nel maggio del 1200, il B. prestò giuramento di fedeltà in un pubblico concistoro e promise solennemente alla presenza di alcuni garanti di combattere contro Marquardo di Annweiler, Dipoldo di Acerra, Oddo di Laviano e i loro aderenti, ma di non levare mai il suo braccio contro il legittimo re Federico II.

Dopo la conclusione di questi accordi il B. si diresse in Francia per costituirsi un seguito di cavalieri. Impegnò a quel che pare tutto il suo patrimonio per procurarsi i mezzi necessari alla campagna. Quando nell'aprile del 1201 si ripresentò alla Curia, il suo esercito era però così sparuto che si levarono voci di scherno. Innocenzo III sostenne il B., che anche a Roma prese denaro in prestito, con somme tratte dalle casse pontificie. Quindi sollecitò con apposite lettere conti, baroni, castellani e città del Regno a prestare aiuto al suo campione.

La decisione di Innocenzo a favore del genero di Tancredi provocò nel Regno una violenta opposizione, guidata dal cancelliere Gualtieri di Palearia, la figura dominante nella corte di Palermo. Per reagire alla politica del papa, il cancelliere si alleò con il vecchio avversario Marquardo di Annweiler e gli lasciò il governo della Sicilia per organizzare la resistenza in terraferma contro il Brienne.

All'inizio dell'estate del 1201 il B. irruppe con il suo piccolo esercito in Terra di Lavoro e con l'aiuto dell'abate Roffredo di Montecassino e dell'arcivescovo eletto di Capua Rinaldo vi ottenne i primi successi. Teano cadde nelle sue mani. La resistenza si concentrò intorno a Dipoldo di Acerra a Capua. Ma già il 10 giugno 1201 il B. mostrò il suo brillante talento militare costringendo alla fuga l'esercito di Dipoldo ben più numeroso del suo e i contingenti capuani che lo sostenevano. L'inattesa vittoria intimorì gli avversari e riportò all'obbedienza molti incerti. Presenzano, Aquino e altre terre si sottomisero. Pietro da Celano, il più potente feudatario delle province settentrionali, si dichiarò pronto ad accordarsi. Dopo avere incendiato Venafro il 23 giugno 1201, il B. proseguì nel luglio verso la Puglia, dove Melfi, Montepeloso, Matera, Otranto, Brindisi e Barletta aprirono le porte al nuovo signore, mentre Monopoli e Taranto gli resistettero per un po'. Conquistò con le armi anche il castello di Lecce. A partire dall'autunno del 1201 i documenti rilasciati a Lecce portano la data del suo comitato. Il conte precedente, Roberto di Biccaro, si asserragliò a Ostuni.

Le forze avversarie guidate da Gualtieri di Palearia e da Dipoldo si riunirono in Capitanata. Dopo i suoi successi in Puglia il B. si diresse contro di loro insieme con Roffredo, abate di Montecassino. Il 22 0 26 ott. 1201 si venne a una seconda battaglia presso Canne, dopo che un ultimo tentativo di conciliazione del legato Pietro Gallocia fallì per l'ostinata opposizione del cancelliere. Di nuovo il B. conseguì una grande vittoria contro forze preponderanti. Numerosi partigiani del cancelliere caddero nelle sue mani, fra gli altri il fratello di Dipoldo, Sigfrido, Oddo de Laviano e Pietro da Celano ritornato all'opposizione. Il cancelliere e suo fratello Manerio di Manoppello riuscirono a salvarsi a stento, rifugiandosi a Salpi, Dipoldo a Rocca Sant'Agata.

Il valore politico di questi successi, che assicurarono al B. il predominio militare sulle province di terraferma, fu diminuito però agli occhi del papa dalla notizia che Marquardo di Annweiler aveva conquistato quasi contemporaneamente Palermo e si era impadronito della persona del giovane re, cosicché una campagna siciliana appariva ormai inevitabile. Innocenzo III, che nel 1202 aveva elevato il B. insieme con il proprio cugino, il conte Giacomo di Andria, gran giustiziere di Puglia e Terra di Lavoro, alle più alte cariche cioè di questa parte del Regno, sollecitò con insistenza l'esecuzione dell'impresa. Il B. mostrò però poco entusiasmo di perseguire questi programmi, tanto che il papa fu costretto ad ammonirlo energicamente. Verosimilmente il tentativo pontificio di dividere il comando politico e militare della spedizione siciliana per tenere il B. sotto controllo, e il progetto di un matrimonio aragonese per Federico di Svevia, che introdusse nel gioco una nuova potenza a danno evidente del B., intiepidirono il suo zelo. Quando nel settembre del 1202 morì Marquardo di Annweiler i preparativi erano ancora in corso e il progetto finì con l'essere abbandonato.

Nella stessa terraferma i capitani tedeschi non erano stati ancora completamente eliminati. Persino nei territori soggetti al diretto dominio del B. la pace era ritornata solo temporaneamente. Quando nell'autunno del 1203 il B. corse insieme con Giacomo di Andria ad Anagni al capezzale del papa malato, mentre si spargevano le prime voci della sua morte, sotto la guida dei loro vescovi e prelati Brindisi, Otranto, Gallipoli, Matera, Barletta e altre città si sollevarono contro la sua signoria. Rinnovarono però nello stesso tempo il giuramento di fedeltà al reggente pontificio, cosicché la ribellione parve rivolta inequivocabilmente solo contro il dominio, giudicato oppressivo, del conte francese. Negli anni seguenti il B., malgrado alcuni successi, fu come Giacomo di Andria poco capace di dominare la situazione.

Nel 1204 il B. preferì spostare il suo raggio d'azione verso la Campania, dove molestò con tanta insistenza i Tedeschi da costringerli a restare asserragliati nei loro castelli. Nell'autunno di quell'anno occupò il castello di Salerno, la roccaforte di Dipoldo, ma vi fu assediato subito dopo dallo stesso Dipoldo con i suoi aderenti. Per liberarlo dovettero intervenire i conti Giacomo di Tricarico e Ruggiero di Chieti. Una freccia nemica gli portò via un occhio. Nel 1205 il B. assediò a sua volta Dipoldo a Sarno, ma la sorprendente catena dei suoi successi militari l'aveva anche insuperbito: nella convinzione che i Tedeschi l'avrebbero temuto anche disarmato, tralasciò di garantirsi la sicurezza personale. Un colpo di mano di Dipoldo sul suo campo indifeso, che ricordò al cronista di Ceccano per la sua perfidia il tradimento di Gano verso Orlando, lo sorprese sotto la tenda che gli crollò addosso. Gravemente ferito, cadde prigioniero l'11 giugno e morì tre giorni dopo, il 14 giugno 1205. Fu seppellito nella chiesa di S. Maria della Foce presso Sarno, dove nel 1937 furono ritrovate le ossa. L'iscrizione sepolcrale riscoperta in quell'occasione attribuisce al B. il titolo di imperatore, ma non deve essere contemporanea.

La sua sposa Albiria partorì nel 1205, dopo la sua morte, il figlio dello stesso nome, Gualtieri IV, che nel 1221 divenne conte di Brienne e come conte di Giaffa morì nelle prigioni egiziane dopo il 1247. In seconde nozze, probabilmente già nel 1205, Albiria sposò Giacomo di Tricarico e, dopo la morte di costui, nel 1213 il conte palatino di Tuscia Tegrimo di Modigliana. Visse con lui, dopo la restaurazione di Roberto di Biccaro in Lecce, a partire dal 1215 circa in Tuscia, dove morì dopo il 1231.

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