GUALTIERO DI ASCOLI

Federiciana (2005)

GUALTIERO DI ASCOLI

GGiuseppina Brunetti

Il nome del maestro G. giunge dall'unica sua opera sopravvissuta e a lui attribuita concordemente dalla tradizione manoscritta, le Derivationes. Il titolo corretto dell'opera in realtà, come recita l'intestazione, è Summa derivationum, mentre nel prologo compaiono anche i sintagmi speculum artis gramatice e declinationum breviloquium (Il prologo, 2003, p. 286); il termine Dedignomium sciolto da Haskins (1925, p. 248) in un luogo di difficile lettura nel manoscritto marciano deve essere invece scartato quale forma corrotta di declinationum (Cremascoli, 2003, p. 263).

L'opera è firmata nel prologo attraverso un noto topos di modestia dal quale però si evince la provenienza geografica dell'autore: "se qualcuno chiede chi è l'autore di questa opera, si risponda che è Dio e suo strumento è il maestro ascolano Gualtiero". Soltanto il manoscritto di Venezia presenta dopo tale sfragìs una precisazione relativa alla scrittura dell'opera, attraverso la quale siamo in grado di collocare l'inizio della composizione intorno agli anni 1228-1229, quando appunto Federico II si trovava in Terrasanta per la crociata e i clavigeri (v. Clavisignati) del papa entravano nel Regnum (Brunetti-Morpurgo, 1999, p. 248). Il fatto, inoltre, che Gualtiero cominci a scrivere a Bologna per concludere il suo lavoro a Napoli riesce anch'esso assai significativo: come indice di una probabile 'formazione' bolognese del grammatico (cosa che avvalora la più che possibile citazione del Candelabrum di Bene da Firenze nel prologo; Bene Florentini Candelabrum, 1983, p. LXV; Artifoni, 1997, p. 292) e per corroborare la tesi del suo magistero presso lo Studium di Napoli.

L'opera appare rivolta, più che ai discepoli, "ad communem litteratorie professionis utilitatem" (Il prologo, 2003, p. 286), ed è dedicata ai "socii et domini" che dovranno difenderla dai detrattori invidiosi (Lusignan, 1994; Cremascoli, 2003, p. 268). Difficile non pensare a una universitas, a quello stesso "coe-tus doctorum omnium" a cui si rivolgeva Niccolò da Rocca (v. Epistolografia e retorica). Tanto più che la lettera di Pier della Vigna per la morte di G. (posta l'identità dei soggetti) lo nomina quale "grammaticorum eximius consocius vester et confrater" (Huillard-Bréholles, 1895, p. 395) lasciando intuire dietro a G. una comunità di persone e di saperi.

L'epistola di Pier della Vigna, costruita abilmente e ricca di immagini evocative, descrive la (breve?) stagione del magistero di G.: "magister G. noviter evocatus, ab oculis nostris pertransiit velut umbra, imo evanuit" ('il maestro G., ora evocato, attraverso i nostri occhi, come un'ombra, meglio, scomparve'), e ne incide la conclusione in un sigillo di grande suggestione: "per illam syncopam a qua nullus grammaticus excusatur" ('per quella sincope dalla quale nessun grammatico si può giustificare'). Poi si rivolge ai suoi colleghi ("vos qui floretis in cathedris" 'voi che prosperate in cattedra') con una memorabile esortazione: "riflettete su quanto sia lieve e fragile la gloria, come un vapore che dura pochissimo, come l'erba del campo, che vive al mattino e a sera già si piega, inaridita" (ibid., 1895, p. 396).

L'insistenza sulla brevitas, se non è un topos, congiunta all'immagine della luna-grammatica privata di due sposi (v. Grammatica), potrebbe far pensare che la carriera di G. si concluda forse nei primissimi anni del quarto decennio del XIII sec. (ma Lusignan, 1996, p. 933, scrive, senza spiegazione, che la Summa è compiuta "after 1241"), tanto più che poi si indicherà in un maestro Martino il titolare dell'insegnamento di grammatica nell'ateneo napoletano.

La tradizione della Summa derivationum è composta da cinque testimoni manoscritti tutti databili entro il XIII sec.: Laon, Bibliothèque Municipale, 449; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 1500; Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, 4140; Montpellier, Bibliothèque de la Faculté de Médecine, 325; Bologna, Biblioteca Universitaria, 2832 (Brunetti-Morpurgo, 1999, pp. 247-248; Il prologo, 2003, pp. 272-276). Quest'ultimo relatore è importante perché, più che bolognese (Il prologo, 2003, p. 274), potrebbe risultare di origine napoletana, come già suppose Haskins (1925, p. 247) e come sembra confermare una lettera appuntata da una mano (antica) sull'ultima carta, inviata da uno studente ai genitori: "cupio fieri manifestum quod Neapoli divina gratia [...] vivo et insisto scientie litterarum" ('vorrei che sapeste che vivo a Napoli e vi studio le lettere', c. 158r). Anche il ms. di Laon potrebbe essere di origine meridionale (Brunetti-Morpurgo, 1999, p. 249). I codici sembrano peraltro aver avuto un'utilizzazione concreta, come si evince dalle liste di verbi, dai paradigmi o dalle declinazioni appuntati sui margini (nel codice bolognese alla c. 131v è accostato anche un distico di Ovidio).

G., usando un noto passo evangelico ma forse anche con un'allusione velata a Bene, dice che la sua opera sarà come una lampada, un candelabro posto a illuminare chi cammina nel buio dell'ignoranza; e sarà grande come un cedro del Libano, come un cipresso sul monte di Sion (un'allusione a Boncompagno e al suo Cedrus?). Alcune metafore avviano poi l'affermazione di una concezione paolina del sapere: la conoscenza deve essere diffusa, quanto più lo sarà tanto più splenderà e si rafforzerà; qui il rimando è all'Anticlaudianus di Alano di Lilla, citato alla lettera (Cremascoli, 2003, p. 264), al quale si accosta l'immagine dell'acqua nelle cisterne e delle sue fonti (fortunata poi anche nell'epistolografia) e quella del ferro che, nascosto, arrugginisce. Anche questa immagine tornerà, ancora a proposito dell'eccellenza della lingua nelle parole di Pier della Vigna (Huillard-Bréholles, 1895, p. 377, lettera a Niccolò da Rocca).

G. infine rivendica, con grande consapevolezza, la qualità dell'opera che ha tratto dalla propria fucina (ex proprie officina Minerve) e confezionata con le sue mani (manibus propriis), per quanto certo che sia difficile comporre qualcosa di veramente nuovo (e qui cita ad litteram l'Ars poetica di Orazio: "nil intemptatum nostri liquere poetae"): dice inoltre, con immagini peraltro inusitate, che fra la sua Summa e ogni trattazione scritta sin ad allora passa la differenza che corre tra l'olio e la feccia, la mandragora e il nardo selvatico, l'alloro e il mirto, lo smeraldo e l'ametista.

Così come vengono in aiuto di chi cammina nel silenzio e nell'ignoranza dei misteri della natura rispettivamente l'"eloquenza" del trivio e la "sapienza" del quadrivio, così in suo ausilio il maestro convoca nel prologo numerose autorità: oltre a Uguccione da Pisa e Isidoro, Orazio, Seneca, Prisciano, Ovidio, l'Anticlaudianus di Alano di Lilla, Gregorio Magno (in Montfaucon, 1739, p. 106 si rintracciano nell'opera anche Plauto, Terenzio, Virgilio, Marziale, Quintiliano, Stazio). Quando infine G. dovrà alludere al livor edax dei detrattori citerà appropriatamente il passo degli Amores di Ovidio (I, 15, 1). Chiude il prologo un'ultima, intricatissima, metafora: il ragno ordisce una tela con perfetta geometria di linee che si intersecano secondo gli schemi dettati dai numeri uno e tre; i suoi lettori si comportino con altrettanta armonia ma non ordiscano contro G. la tela, ché altrimenti lui finirebbe come il ragno, sventrato (filando exenterat) dal suo stesso lavoro.

L'opera si presenta come un dizionario di parole, ordinato alfabeticamente ma con all'interno derivazioni, famiglie semantiche: complessivamente ottocentoventi voci, la maggior parte delle quali sono costituite da verbi, secondo il principio del primato verbale formulato nel prologo e secondo il postulato della prevalenza in grammatica della morfologia; un certo numero di voci inoltre sono costituite da parole greche, qualcuna è in ebraico (Lusignan, 1994, p. 36). Una cura speciale è prevista per i problemi di prosodia e per l'accento (di modo che nullus peccare poterit in legendo), con l'impegno (in realtà più negli intendimenti che verificabile nella realizzazione) di indicare sempre la quantità della prima sillaba dei verbi (Cremascoli, 2003, p. 266).

Il postulato più importante (legato peraltro all'idea della filiazione fra lingue sapienziali) è però quello secondo il quale le parole del latino deriverebbero da un numero limitato di parole-radice. Il legame fra cosa e voce, fra realtà e linguaggio appare centrale e spiega talune etimologie che possono sembrare quanto meno bizzarre (il clericus, per esempio, viene da lego perché è 'colui che legge'). Altre derivazioni parrebbero invece maggiormente orientate: per esempio, G. afferma come rex abbia la stessa radice di lex, come da rex derivi regula. Egli anticipa in tal modo la formula impiegata da Marino da Caramanico (v.) per introdurre le Constitutiones: "Quid enim aliud est lex quam rex?", 'cosa altro è la legge se non il re?' (Morpurgo, 2000, p. 40).

Fonti e Bibl.: B. de Montfaucon, Bibliotheca bibliothecarum manuscriptorum, Parisiis 1739; J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, ministre de l'Empereur Frédéric II, ivi 1895; Bene Florentini Candelabrum, a cura di G.C. Alessio, Patavii 1983; Il prologo del lessico di Gualtiero d'Ascoli. Edizione e studio del testo, a cura di V. Lunardini, in Microcosmi medievali. Atti del Convegno (Ascoli Piceno, 15-16 febbraio 2002), a cura di E. Menestò, Spoleto 2003, pp. 272-291. Ch.H. Haskins, Magister Gualterius Esculanus, in Mélanges d'histoire du Moyen Âge offerts à M.F. Lot par ses amis et ses élèves, Paris 1925, pp. 245-257; S. Lusignan, Grammatica, lingua e società, in Federico II e le scienze, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 27-42; E. Artifoni, Sapientia Salomonis. Une forme de présentation du savoir rhétorique chez lesdictatores italiens (première moitié du XIIIe siècle), in La parole du prédicateur. Ve-XVe siècles, a cura di R.M. Dessì-M. Lauwers, Nice 1997, pp. 291-310; G. Brunetti-P. Morpurgo, Frammenti inediti in volgare meridionale in un manoscritto delleDerivationesdi Gualtiero da Ascoli, "Medioevo Romanzo", 23, 1999, nr. 2, pp. 247-276; P. Morpurgo, L'armonia della natura e l'ordine dei governi (secoli XII-XIV), Firenze 2000; G. Cremascoli, Sul prologo del lessico di Gualtiero d'Ascoli, in Microcosmi medievali. Atti del Convegno (Ascoli Piceno, 15-16 febbraio 2002), a cura di E. Menestò, Spoleto 2003, pp. 257-271; S. Lusignan, Walter of Ascoli, in Lexicon Grammaticorum. Who's Who in the History of World Linguistics, Tübingen 1996, p. 933.

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