AUSTRO-PRUSSIANA, GUERRA

Enciclopedia Italiana (1930)

AUSTRO-PRUSSIANA, GUERRA

Alberto Baldini

. Le cause della breve, ma sanguinosa guerra del 1866 fra l'Austria e la Prussia vanno da un lato cercate in una situazione d'antagonismo permanente, che s'era venuta formando per la politica di gabinetto, ispirata a sogni di egemonia dinastica in Germania, della casa degli Hohenzollern e della casa d'Asburgo. L'antagonismo che risaliva alla prima metà del sec. XVIII e che si era venuto accentuando con Federico II, era parso estinguersi - appunto perché politica di sovrani, non di popoli - davanti alla bufera rivoluzionaria e napoleonica; s'era ridestato dopo il congresso di Vienna, che immetteva nella Confederazione germanica i due Stati - Austria e Prussia - a parità di diritti, ma non divampava ancora, perché fino al 1848 la forte personalità del Metternich non aveva trovato nei sovrani o negli uomini di stato prussiani un rivale di pari statura. Ma dal 1815 in poi, su questo antagonismo dinastico s'era venuto innestando un antagonismo di natura ben diversa, nazionale, che non faceva questione di Hohenzollern e di Asburgo in quanto rappresentanti di interessi dinastici più o meno conciliabili con gl'interessi dei sudditi, concepiti alla vecchia maniera paternalistica; bensì un antagonismo che nasceva da due modi contrastanti di vedere la soluzione del problema nazionale tedesco. Antagonismo ideale, quindi, ma non tanto privo del senso del reale, da non vedere che una qualunque soluzione del problema doveva impostarsi sulla contrapposizione delle due forze politiche maggiori, Austria e Prussia, e sull'eliminazione dell'una o dell'altra. Conflitto d'idee, che portava all'una o all'altra parte gli aderenti per un incrociarsi di sentimenti e interessi discordanti: motivi religiosi (cattolici contro - in largo senso - protestanti), politici (liberalismo contro conservatorismo), motivi di militarismi contrastanti (prussiano e austriaco), motivi economici, ma non tutti motivi così ben definiti da schierarsi nell'uno o nell'altro campo, sì da conferire ai due avversarî una fisionomia ben distinta. E però dagli spiriti migliori la lotta fu sentita come una necessità dolorosa, ma ineluttabile, che doveva decidere se la futura Germania dovesse avere un colorito esclusivamente tedesco - anche a costo di accettare l'egemonia prussiana, spesso non benevisa nemmeno ai suoi alleati - oppure dovesse ammettere un'infusione - con l'Austria - di frammenti, che poi rappresentavano idee ed interessi eterogenei. In altre parole se la Germania doveva essere stato nazionale o - con un ritorno al passato - la Germania del Sacro romano impero, sia pure con una maggiore coscienza della sua funzione nazionale.

I moti rivoluzionarî tedeschi del 1848 (sebbene il re Federico Guglielmo III di Prussia avesse rifiutato la corona imperiale offertagli dalla Dieta di Francoforte) furono sul punto di originare una guerra fra Austria e Prussia. E fu precisamente quando l'Elettore dell'Assia-Cassel, cacciato dai suoi stati a clamore di popolo, chiese ed ottenne la protezione di Vienna, dopo che i ribelli avevano chiesta ed ottenuta quella di Berlino. Già gli eserciti del Hohenzollern e dell'Asburgo erano di fronte, già erano partite dagli avamposti le prime fucilate, allorché la Prussia - non sentendosi militarmente pronta all'arduo cimento - decise una ritirata, resa più umiliante dal ritardo; ritirata che l'Austria volle sottolineare con patti scritti. La Convenzione di Olmütz (1850) se ebbe l'apparenza di una conciliazione non poteva contenere gli elementi di una vera e durevole cordialità. L'orgoglio ferito della Prussia non poteva non anelare a una rivincita.

L'avversione prese forma concreta durante la spedizione militare condotta in comune dall'Austria e dalla Prussia, quali esecutrici delle deliberazioni della Dieta federale germanica, contro la Danimarca per strapparle i ducati dell'Elba (1864). Questa guerra, breve e facile, la quale avrebbe dovuto, secondo le apparenze, cementare, attraverso il cameratismo militare, l'unione politica fra le due principali potenze della Confederȧzione, divenne invece il pretesto, nelle abili mani del Bismarck, per precipitare la soluzione dell'insanabile dissenso fondamentale circa l'egemonia nel mondo germanico.

Il pretesto. - Infatti, sottratti con le armi comuni dell'Austria e della Prussia i ducati elbani alla sovranità della Danimarca (1864), e affidato lo Schleswig all'amministrazione prussiana e il Holstein all'amministrazione austriaca, si manifestarono subito due punti di vista diversi circa il modo di regolare lo stato di fatto e di diritto dei territorî conquistati, volendo la Prussia - contrariamente al parere dell'Austria - cambiare l'occupazione militare in annessione. Né valse un tentativo di accordo stipulato a Gastein (14 agosto 1865), ché anzi la studiata ambiguità di alcune formule diede al Bismarck il pretesto per attaccare diplomaticamente, al principio del 1866, la Cancelleria di Vienna. E poiché le trattative inasprirono la vertenza, il 24 marzo del 1866 il Bismarck indirizzò a tutti gli stati della Confederazione una circolare, in cui proponeva la revisione del patto federale sulla base dell'esclusione dell'Austria dalla Confederazione, chiedendo che gli stati federati si pronunciassero sollecitamente, e senza ambiguità, sulla proposta.

Costretti a decidersi, gli stati minori si dichiararono in parte per Berlino, in parte per Vienna. Fra i principali partigiani della Prussia furono il Mecklenburg, il Brunswick, l'Oldenburg, e le città libere di Brema, Amburgo e Lubecca. Fra i principali partigiani dell'Austria furono i maggiori stati della Confederazione, quali la Baviera, la Sassonia, il Baden, il Württemberg, il Hannover e la città libera di Francoforte.

Ma il colpo maestro della diplomazia prebellica del Bismarck fu la stipulazione d'un trattato d'alleanza militare (8 aprile 1866) col regno d'Italia, recentemente costituito, ed anelante a liberare dall'Austria le terre italiane che questa potenza ancora deteneva. L'alleanza aveva per la Prussia un altissimo valore militare e politico: militare perché obbligava l'Austria a separare le forze fra due scacchieri di operazioni indipendenti e lontani; politica, perché garantiva di un atteggiamento non apertamente malevolo da parte di Napoleone III, il quale - impegnato da anni in una politica favorevole alla causa nazionale italiana - si sarebbe posto in contradizione con sé stesso e avrebbe perduto i frutti delle passate fatiche, qualora avesse ostacolato, attraverso atti ostili alla Prussia, la politica del gabinetto di Firenze.

Napoleone III, nell'imbarazzo, cercò una via d'uscita nella convocazione d'un Congresso internazionale che avrebbe dovuto regolare pacificamente, così la questione dei ducati dell'Elba, come quella dei territorî italiani in possesso dell'Austria. Lo stesso re di Prussia, Guglielmo I - con vivo dispetto del Bismarck - pareva accedere a una soluzione pacifica. Ma l'Austria precipitò gli eventi, ponendo come pregiudiziale ad una sua partecipazione al Congresso proposto da Napoleone III, che "nessuna potenza potesse ricevere aumenti territoriali". Ciò equivaleva ad un rifiuto del gabinetto di Vienna, e la guerra divenne inevitabile.

Ai primi di giugno del 1866, mentre l'Austria investiva della questione (ormai al suo stadio acuto) la Dieta di Francoforte, allo scopo di far dichiarare la Prussia fuori della legge federale ed ottenere l'"esecuzione" da parte delle armi federali, Berlino ordinava che le truppe prussiane occupanti il ducato elbano dello Schleswig, invadessero il finitimo ducato del Holstein occupato dalle truppe austriache. Era un atto di ostilità guerreggiata prima della formale dichiarazione di guerra.

Intanto a Francoforte la maggioranza della Dieta federale si dichiarava per l'Austria contro la Prussia e decretava una spedizione militare punitiva, da eseguire dagli eserciti federali, contro la Prussia. Nello stesso momento in cui questa decisione veniva proclamata, il rappresentante prussiano alla Dieta abbandonava l'assemblea, dichiarando che il governo di Berlino considerava disciolta la Confederazione germanica, e si riserbava piena libertà d'azione per la tutela degl'interessi prussiani.

Gli eserciti belligeranti. - La Prussia aveva di recente, senza scalpore, radicalmente riformato le sue istituzioni militari, specialmente ammaestrata dall'esperienza del 1859, allorché, avendo desiderato di mobilitare sul Reno per arrestare i successi dei Francesi in Italia, s'era accorta che il suo apparecchio bellico non rispondeva alle esigenze d'una politica estera vigorosa. Aumentato il contingente incorporato annualmente, accresciuta la durata della ferma, raddoppiati i quadri, costituite nuove unità (32 nuovi reggimenti di fanteria e 10 di cavalleria) - il nuovo esercito prussiano si era messo in grado di mobilitare - fra esercito attivo e landwehr di primo bando - circa 600.000 combattenti. Inoltre si era ordinato l'esercito in maniera che l'ossatura fosse la medesima in pace ed in guerra, ciò che semplificava e rendeva più rapide le operazioni della mobilitazione, e consentiva alla Prussia (fatto di notevolissima importanza politica) di attendere che l'Austria, col suo ordinamento militare a più lenta mobilitazione, facesse per prima aperti preparativi di guerra, e apparisse, dinnanzi al mondo, provocatrice. L'armamento prussiano, modernissimo, era caratterizzato, per la fanteria, dal fucile Dreise a tiro rapido, per l'artiglieria da cannoni da campo leggieri, con bocca da fuoco rigata a retrocarica: solo un terzo delle batterie avevano ancora cannoni di modello meno recente. Né era mancata a Berlino la visione integrale del problema bellico, sicché di pari passo con l'incremento dell'esercito era proceduto l'assetto della pubblica economia. Inoltre, l'esistenza di una riserva d'oro per le necessità di guerra permetteva di provvedere alle gravi spese della mobilitazione senza ricorrere a prestiti.

In Austria l'esercito era ancora attaccato ai vecchi metodi tradizionali, e nel caso specifico non era in grado di sostenere una guerra contemporanea contro due potenze militari come la Prussia e l'Italia. I centri di mobilitazione, variamente costituiti e variamente funzionanti, non davano garanzia di sollecito passaggio alla formazione di guerra. Caratteristica dell'esercito austriaco di quel tempo era la mancanza dell'unità "divisione", venendo così i corpi d'armata ad essere costituiti da un certo numero di brigate (normalmente 4) miste di fanteria e di artiglieria: fanteria armata col fucile Lorenz, a tiro più lento di quello Prussiano, artiglieria con cannoni rigati, ma tuttora ad avancarica. Meno attivo che in Prussia lo stato maggiore generale. La disordinata finanza e le insufficienti spese militari aggravavano le condizioni d'inferiorità tecnica dell'esercito imperiale.

I disegni di guerra. - La Prussia iniziò la mobilitazione il 3 maggio, e tre settimane dopo i trasporti per la radunata delle forze al confine, quando ancora non era avvenuta la dichiarazione formale di guerra. Comandante supremo il re Guglielmo, capo di Stato maggiore il generale von Moltke. Il piano di guerra dello Stato maggiore prussiano - opportunamente elastico finché non fu conosciuto il dispositivo austriaco - si propose in un primo tempo uno schieramento a cordone (e perciò a tipo difensivo) lungo il confine sassone, boemo e moravo. Furono costituite tre armate (v. fig. 1): la 1ª, comandante il principe Federico Carlo di Prussia nipote del re, al centro, nella Lusazia (93.000 uomini); la 2ª, comandante il principe ereditario di Prussia, Federico Guglielmo (poi imperatore Federico III), alla sinistra, nella Bassa Slesia (115.000 uomini); la 3ª, l'armata dell'Elba, comandante il generale Herwarth von Bittenfeld, alla destra, nella Turingia (46.000 uomini). Quando si seppe a Berlino che gli Austriaci si raccoglievano in Moravia, l'atteggiamento difensivo fu abbandonato, e venne decisa la rapida invasione della Boemia con le tre armate (22 giugno), essendosi già nella precedente settimana inoltrata l'armata dell'Elba, mediante una incruenta invasione della Sassonia, fino al confine boemo-sassone.

In Austria, il difetto accennato della lenta mobilitazione era stato aggravato dall'indecisione del governo, timoroso di prendere in tempo utile le opportune misure per non essere accusato di provocazione. In effetto agì in ritardo, senza riuscire ad evitare misure, che il gabinetto di Berlino segnalò alla diplomazia mondiale come indizio di aggressività. Poiché l'Austria doveva far fronte nel tempo stesso alla Prussia e all'Italia, lo Stato maggiore di Vienna decise di far guerra difensiva nel Veneto e di raccogliere le maggiori forze nell'armata del Nord (7 corpi d'armata, sotto il comando supremo del feldzeugmeister von Benedek) contro la Prussia. Zona di radunata quella attorno alla piazzaforte di Olmütz, in Moravia, che lo Stato maggiore di Francesco Giuseppe supponeva essere l'obiettivo dei Prussiani, e che comunque si giudicava acconcia per un'eventuale avanzata così nella Slesia come nella Boemia. In Boemia sarebbe rimasto un solo corpo d'armata (il 1°, Clam Gallas) più che altro per raccogliere gli alleati Sassoni, nell'inevitabile loro ripiegamento.

Le operazioni in Boemia. - Mentre azioni secondarie si svolgevano nel Hannover, dove dal 15 al 28 giugno i Prussiani agli ordini del generale von Falckenstein ottenevano facilmente di mettere fuori causa il piccolo stato germanico alleato dell'Austria (battaglia di Langensalza, 27 giugno), le tre principali armate prussiane si inoltravano fra i monti a nord della Boemia per invadere questa regione e dirigersi concentricamente verso il punto di Gitschin (Jičín), arrischiandosi così in una crisi di separazione di forze, che avrebbe potuto esser grave nel caso (in effetto non verificatosi) che gli Austriaci si fossero trovati in tempo utile ed in numero sufficiente in Boemia per battere separatamente le colonne prussiane sboccanti nell'alto bacino dell'Elba.

Dal confine sassone l'armata dell'Elba avanzò all'Iser dove si congiunse con elementi avanzati della 1ª armata, e dove i Sassoni in ritirata e gli Austriaci del 1° corpo d'armata tendevano essi pure a raccogliersi. A Podol (26 giugno) ebbe luogo un primo scontro, protrattosi anche durante la notte, in cui si ebbe la prima sicura affermazione della superiorità del fucile prussiano a tiro celere, ed alla fine del quale i Prussiani rimasero padroni dell'importante passaggio sull'Iser. Gli Austro-Sassoni si ritirarono in direzione d'oriente per avvicinarsi alla massa principale del Benedek, non inseguiti dalle armate prussiane (1ª e dell'Elba) ormai riunite sotto l'unico comando del principe Federico Guglielmo; il quale opinò che convenisse assicurarsi il possesso della piazza di Münchengrätz (Mnichovo Hradište), prima di procedere verso oriente.

Frattanto il grosso austriaco aveva iniziato un grande movimento di fianco per trasferirsi dalla Moravia in Boemia. Il Benedek vi si era deciso apprendendo che non v'era da temere nessuna minaccia d'invasione della Moravia dal nord, mentre pareva ormai sicuro che i Prussiani avrebbero invaso la Boemia. La tardiva mossa non era scevra di pericoli e non poteva avere rapidi sviluppi.

Dal suo canto, l'armata prussiana del principe ereditario (2ª), che trovavasi più prossima alla massa principale austriaca ed era la più lontana dal punto di concentramento di Jičín, dovette gareggiare di velocità col nemico. Invero gli Austriaci avevano già il 26 giugno buona parte delle forze nella regione dell'alta Elba. Ma il Benedek non ebbe l'immediata visione dei vantaggi che poteva conseguire con una celere occupazione degli sbocchi montani e i Prussiani della 2ª armata riuscirono, dopo sanguinoso combattimento, ad uscire dalla stretta di Náchod (27 giugno). Questo successo compensò i Prussiani del risultato incerto che ebbe un contemporaneo combattimento allo sbocco di Trutnov (Trautenau). Il giorno seguente altro combattimento a Česká Skalice (Böhmisch Skalitz) favorevole ai Prussiani.

Mentre il principe ereditario riusciva così a sboccare, il Benedek era stato per tre giorni (26-28 giugno) fermo nell'idea che convenisse tenere a bada con poche forze la 2ª armata prussiana sboccante da nord, per volgersi col grosso dei suoi contro le armate al comando del principe Federico Guglielmo, provenienti, come si è visto, da ovest e già vittoriose degli Austro-Sassoni. Mutò parere troppo tardi (sera del 28 giugno), quando già la marcia concentrica di tutte le forze prussiane stava per serrarlo in una morsa. Con contrordini demoralizzanti, gli Austro-Sassoni già a contatto col nemico ed i corpi austriaci gia avviati a loro rinforzo verso ovest furono chiamati indietro, con ordine generale di concentramento nella zona Miletín-Josephstadt (Josefov).

La schematica situazione dei due avversarî la notte fra il 29 e il 30 giugno è indicata dalla fig. 2. Le due masse prussiane sono, in questo momento, tanto ravvicinate che il Benedek non ha più lo spazio necessario per gettarsi contro una di esse senza correre il rischio di trovarsi l'altra massa alle spalle, in pieno svolgimento dell'azione tattica. La difficile situazione rende perplesso il generalissimo austriaco, il quale finisce - dopo aver perduto un'altra giornata preziosa - per sfuggire alla minacciata stretta, ritirandosi a Königgrätz (oggi Hradec Králové) con l'intento di proseguire - protetto dall'Elba e dalla fortezza - la ritirata per Pardubice su Vienna. Cedendo alla demoralizzazione, il Benedek credette dover suo in quel momento, rappresentare al sovrano l'urgenza di chieder pace alla Prussia. Ma Francesco Giuseppe opinò che l'onore delle armi vietava di dichiararsi vinti prima di aver tentato una battaglia campale. L'espressione della volontà imperiale, contenuta in un semplice interrogativo telegrafico dell'imperatore ("Fu forse perduta una grande battaglia?"), fu per il Benedek come una sferzata, ed egli risolvette di attendere di pié fermo i Prussiani, dove si trovava, ad occidente di Königgrätz, con l'Elba alle spalle. Quivi avvenne il 3 luglio la sanguinosa battaglia detta appunto di Königgrätz, o, dagl'Italiani e dai Francesi, di Sadowa (oggi Sadová) e che segnò per gli Austriaci una grave disfatta.

Sottrattosi in modo rapido, ma disordinato, dal contatto coi Prussiani, il grosso degli Austriaci si avviò - come indicato loro dal comando supremo - nella direzione di Olmütz (Olomouc) in Moravia (riprova dell'ingiustificata attrazione di quella piazza), ciò che aveva il grave difetto di lasciare scarsamente difesa la via più breve per Vienna.

Il Moltke, dopo la vittoria di Sadowa, mancò per tre giorni di notizie sicure sulla direzione di ritirata del grosso nemico. Quando seppe che il Benedek si concentrava in Moravia, dispose che fosse sorvegliato con una piccola parte delle forze, e puntò col grosso dei Prussiani a sud, verso il Danubio, conseguendo in tal modo anche il vantaggio di interporsi fra la massa del Benedek e le truppe austriache che era logico supporre (ed erano infatti) in marcia dal Veneto verso lo scacchiere di guerra settentrionale, dopo la battaglia di Custoza (v.).

L'annuncio di Sadowa produsse enorme impressione in tutto l'impero austriaco, ed anche in Francia, dove si era gelosi dei successi prussiani. Napoleone III si offrì mediatore di pace; ma, per il momento, invano. Francesco Giuseppe non si credeva ancora ridotto a tal punto da dover accettare duri patti quali la Prussia pretendeva. Di più il gabinetto di Vienna sperò d'indurre l'Italia ad una pace separata e tentò infatti il gabinetto di Firenze, che però rispose con un rifiuto, ritenendo la proposta doppiamente disdicevole: per l'onore delle armi italiane (tutt'altro che vinte dopo l'insuccesso di Custoza) e per la correttezza dei rapporti con la Prussia.

Francesco Giuseppe dichiarò con un proclama al suo popolo che "l'Austria era sotto il colpo di un grave disastro, ma che non era né scoraggiata, né abbattuta". Le operazioni di guerra continuarono. Il Benedek fu sostituito nel supremo comando dell'esercito del Nord dall'arciduca Alberto, il vincitore di Custoza, richiamato in fretta dal Veneto con la maggior parte dell'esercito del Sud. Con questi rinforzi, con la chiamata dei battaglioni di complemento, coi 150.000 uomini reduci dalla Boemia, l'esercito imperiale poteva ancora contare, per le operazioni a nord di Vienna, su poco meno di 300.000 uomini.

L'arciduca Alberto corresse, con nuovi ordini, il difetto della ritirata eccentrica in Moravia prescritta dal Benedek, e dispose il concentramento generale intorno a Vienna, subito iniziato (14 luglio). Il movimento non si attuò senza molestie prussiane (combattimenti di Tobitschau [Tovačov] e Roketnice) le quali portarono molto disordine nelle colonne retrocedenti.

Dopo Sadowa, al quartier generale prussiano non si era riusciti ad avere notizie sufficientemente approssimative sulla distribuzione delle unità austriache fra la regione di Olmütz e quella di Vienna né sull'organizzazione possibile di forze di complemento. Il 18 luglio il Moltke, in via di dare gli ultimi tocchi allo schieramento di fronte al Danubio, era tuttora incerto se forzare, per un'azione risolutiva, nella direzione di Vienna o in quella di Presburgo (Bratislava). Per il 21 luglio egli aveva ordinato, per farsi un'idea chiara della situazione, che un intero corpo d'armata compisse una ricognizione offensiva contro Presburgo. E già l'attacco era in pieno corso, quando giunse ai combattenti l'annuncio del concluso armistizio; al quale la Prussia aveva aderito soltanto dopo assicurazione formale che l'Austria avrebbe accettati i capisaldi da lei stessa fissati per il trattato di pace. Cinque giorni dopo venivano firmati a Nikolsburg (Mikulov) i preliminari della pace, conclusa poi a Praga il 23 agosto. L'Austria restituiva la Venezia all'Italia; la Confederazione germanica veniva disciolta; l'impero degli Asburgo veniva escluso da qualsiasi partecipazione al futuro assetto della Germania, la quale doveva costituirsi sotto il predominio esclusivo della Prussia.

Le operazioni contro gli stati minori della Confederazione. - Si è detto che fin dai primi giorni della campagna, e prima ancora che le armate principali prussiane invadessero la Boemia, una frazione minore dell'esercito di re Guglielmo aveva iniziato operazioni per mettere fuori causa il Hannover, dichiaratosi ostile alla Prussia, interessando in sommo grado al Moltke ed al governo di Berlino di mantenere libere le comunicazioni, attraverso il territorio del piccolo stato, con le provincie renane della Prussia.

L'accennata rapida sconfitta del Hannover impedì alle truppe federali degli stati minori parteggianti per l'Austria, di accorrere in soccorso dei Hannoveresi. Erano queste truppe (a parte i Sassoni che dovevano, come s'è visto, operare in Boemia in intima unione con gli Austriaci) costituite dai contingenti della Baviera, del Baden, del Württemberg, dell'Assia e del Nassau. Se n'erano formati 4 corpi d'armata, due dei quali costituiti interamente da Bavaresi (che furono anche i primi ad esser pronti) e gli altri due (che furono meno omogenei e di più lenta preparazione) costituiti dalle truppe degli altri stati suddetti. In totale 100.000 uomini circa, dei quali assunse il supremo comando il principe Carlo di Baviera.

Vittorioso dei Hannoveresi, il generale prussiano von Falckenstein, che disponeva di circa 50.000 uomini (armata del Meno) si gettò prontamente fra i contingenti federali ancora dispersi, raggiunse i Bavaresi a Hünfeld e Dermbach e con un vittorioso attacco (4 luglio) li costrinse ad indietreggiare dietro la Saale di Franconia (v. fig. 3). Demoralizzati, gli altri contingenti si ritirarono velocemente fino a Francoforte, sottraendosi facilmente al contatto col nemico, tanto più che il generale von Falckenstein si propose di perseguire i Bavaresi per tentare di metterli completamente fuori causa. Con la battaglia di Kissingen (10 luglio) i Prussiani obbligarono il principe Carlo di Baviera a ripassare il Meno a Schweinfurth. Ciò ottenuto, il grosso dell'armata prussiana del Meno si gettò contro i federali rifugiatisi attorno a Francoforte, li batté ad Aschaffenburg (14 luglio). I federali ripiegarono dietro la Tauber per cercare di congiungersi coi Bavaresi.

In questo momento il Falckenstein fu chiamato dal M0ltke alla carica di governatore dell'occupata Boemia (v.). Lo sostituì il Manteuffel, uno dei divisionarî dell'armata del Meno, il quale proseguì brillantemente le operazioni col medesimo spirito offensivo, valendosi anche del concorso d'una piccola armata prussiana di riserva (30.000 uomini) comandata dal principe del Mecklemburg, ché nello scacchiere del Meno le operazioni dovevano proseguire nonostante l'armistizio, concluso, come si è detto, il 21 luglio, essendosi deliberatamente esclusi da quel patto gli stati minori della Confederazione.

I Württemberghesi, vivamente premuti, furono costretti a ritirarsi senza più poter dar corso alla sperata congiunzione coi Bavaresi, i quali intanto furono di nuovo battuti (combattimenti di Helmstadt e Rossbrunn, 26 luglio).

Il 27 luglio, firmati a Nikolsburg i preliminari di pace, le operazioni di guerra cessarono anche nello scacchiere del Meno, proprio quando Bavaresi e Württemberghesi stavano per essere accerchiati dal Manteuffel.

La campagna dal punto di vista dell'arte militare. - Le operazioni della campagna del 1866 in Germania furono oggetto di approfondito studio da parte dei cultori delle scienze militari, in cerca delle cause che avevano determinata una così decisiva ed inattesa superiorità prussiana.

Nel campo della preparazione fu constatato come la Prussia avesse predisposto un organismo bene equilibrato nelle sue parti saggiamente snodato e di facile maneggevolezza; come l'addestramento fosse stato curato con diligenza massima in tutti i gradi della gerarchia; come si fosse conferito allo Stato maggiore dignità adeguata agli alti suoi compiti e si fossero allenati i quadri all'esercizio dell'iniziativa e al coraggio della responsabilità.

Nel campo della tattica, la celerità del tiro, così del fucile come del cannone, insieme con ordini di combattimento meglio adattabili al terreno, furono le ragioni principali della superiorità prussiana.

In quanto alla condotta della guerra si volle scorgere una predilezione del Moltke per la manovra così detta per linee esterne (v. guerra, arte della) e cioè per uno schieramento iniziale su largo fronte, e successiva avanzata con movimento convergente verso il punto della battaglia decisiva. Però questo modo di presentare i principî strategici del Moltke è costruzione a posteriori, basata anche su alcune analogie fra la campagna del 1866 in Boemia e la campagna del 1870 in Alsazia (v. franco-prussiana, guerra 1870-71). Ma non sembra se ne possa concludere che il capo dello Stato maggiore prussiano si proponesse di seguire ad ogni costo una preconcetta formula strategica. Si nota infatti che, nel secondo periodo della stessa campagna del 1866 dopo Sadowa, il Moltke operò per linee interne interponendosi fra le masse separate degli Austriaci; e che per linee interne operarono anche i due generali prussiani succedutisi al comando dell'armata del Meno. Sicché, in sostanza, più che a concludere sulla superiorità di un tipo di manovra strategica, le vittorie prussiane del 1866 ci portano a constatare la superiorità di un comando più illuminato e più energico. Infatti il Benedek avrebbe potuto, in principio della campagna, con mosse rapide, occupare una posizione centrale in Boemia contro le colonne prussiane sboccanti separatamente. E si possono confrontare le perniciose dubbiezze del Benedek con la pronta manovra dell'armata del Meno, che in una situazione analoga di fronte ai federali del principe Carlo di Baviera seppe assalire e battere le frazioni separate del nemico, sommanti nel complesso a forze doppie.

Se è da escludere, come si è detto, che il Moltke seguisse nella condotta della guerra un preconcetto strategico di manovra per linee esterne, a maggior ragione si deve escludere ch'egli si proponesse la riunione delle forze (avanzanti in modo concentrico) sul campo di battaglia e non prima. Se ciò accadde a Sadowa, fu perché il nemico andò egli medesimo a collocarsi là dove le armate prussiane convergevano. Sono perciò da ritenere prive di reale consistenza tutte le discussioni fatte a proposito della campagna di Boemia su pretesi principî di strategia in contrasto con l'altro principio del concentramento delle forze prima della battaglia.

Infine, la guerra del 1866 in Germania ci mostra la cavalleria prussiana ancora impreparata al compito della scoperta strategica, tanto che il Moltke fu sempre informato tardi delle mosse austriache. Lo Stato maggiore prussiano cercherà di trarre da queste prove utili insegnamenti, nel periodo dal 1866 al 1870.

Bibl.: Stato maggiore tedesco (ufficio storico), Der Feldzug von 1866 in Deutschland, Berlino 1868; Stato maggiore austriaco (ufficio storico), Österreichs Kämpfe im Jahre 1866 nach Feld-acten, voll. 5, Vienna 1867-69; Stato maggiore sassone, Der Anteil des K. Sächsichen Armee-Korps am Feldzuge 1866, Dresda 1869; O. Kanngiesser, Geschichte des Krieges von 1866, Basilea 1892; H. K. B. von Moltke, Militärische Korrespondenz, II, Aus den Dientschriften des Krieges 1866, Berlino 1896; O. v. Lettow-Vorbeck, Geschichte des Krieges von 1866, voll. 3, Berlino 1896-1902; I. Verdy du Vernois, Im Hauptquartier der zweiten Armee, Berlino 1900; E. Barone, La campagna del 1866 in Boemia, Torino 1900; C. de Renémont, Campagne de 1866, étude militaire, voll. 2, Parigi 1900-01; H. Bonnal, Sadowa, Parigi 1901; Hozier, The Seven Weeks' War, 2ª ed., Londra 1906; F. Regensberg, 1866, voll. 3, Berlino 1907-09. F. v. der Wengen, Geschichte der Kriegsereignisse zwischen Preussen und Hannover, Gotha 1885-86.

Tutti i trattati di storia ed arte militare moderna hanno descrizioni e note critiche sulla campagna del 1866 in Boemia. Particolare interesse hanno le considerazioni dell'allora colonnello F. Foch: Principes de la guerre, Parigi 1903 e De la conduite de la guerre, Parigi 1904. Vi è inoltre su questa campagna una ricca bibliografia a carattere monografico, riguardante cioè singole battaglie o singoli territorî o le singole armi (fanteria, artiglieria, cavalleria) considerate dal punto di vista del loro impiego specifico.

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