Afghanistan, guerra in

Lessico del XXI Secolo (2012)

Afghanistan, guerra in


Afghanistan, guèrra in. – Governato dal 1996 dai talebani, saliti al potere dopo una lunga e cruenta guerra civile, l'Afghanistan si è trovato alle soglie del Duemila sempre più isolato sul piano internazionale. A fronte delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’ONU per la mancata estradizione di Osama Bin Laden, il capo di al-Qā‛ida, e per il mancato rispetto dei diritti umani, il regime ha risposto con un inasprimento dell’atteggiamento antioccidentale, culminato nel marzo 2001 con la distruzione – tra la riprovazione generale della comunità internazionale – delle statue giganti di Buddha di Bāmiyān (v.), perché considerate idolatre e contrarie alla šarī̔a. La situazione è precipitata nel settembre 2001: il nuovo rifiuto dei talebani di consegnare Bin Laden agli Stati Uniti, anche dopo gli attentati dell’11 settembre contro le Twin Towers di New York e il Pentagono, attribuiti ai seguaci del miliardario saudita, ha provocato l'immediata reazione del governo statunitense che, appoggiato da un amplissimo fronte antiterrorista, ha dato avvio a una dura campagna militare (denominata Enduring freedom) per distruggere i campi di addestramento e le installazioni militari di al-Qā‛ida e catturare Bin Laden. A partire dal 7 ottobre l’Afghanistan è stato così sottoposto a pesanti bombardamenti da parte dell’aviazione statunitense e britannica, mentre sul fronte interno riprendeva vigore l’offensiva delle forze di opposizione, coordinata e appoggiata dalle forze armate internazionali. La capitolazione di Kābul (13 novembre) e la successiva presa di Qandahār (7 dicembre) hanno segnato la sconfitta dei talebani e aperto una difficile e lunga fase di transizione verso un nuovo assetto istituzionale del Paese. In seguito agli accordi siglati a Bonn il 5 dicembre 2001 tra le varie fazioni interne, è stato istituito un governo provvisorio formato dai rappresentanti delle diverse etnie del paese (principalmente Pashtūn, Tagiki, Hazāra, Uzbeki), guidato dal pashtūn Ḥāmid Karzaī e affiancato da una forza multinazionale delle Nazioni Unite denominata International security assistance force (ISAF, dal 2003 sotto comando NATO), cui è stato affidato il compito di ripristinare le condizioni per la ripresa della vita politica e sociale. Nel giugno 2002 si è riunita la Loya Jirga, l’assemblea tradizionale dei capi dei clan, che ha confermato alla guida del governo Karzai, nominato anche presidente ad interim. Mentre i corpi speciali statunitensi proseguivano la ricerca di Bin Laden e i rastrellamenti contro i guerriglieri talebani, la transizione politica ha attraversato fasi di grande tensione. Alla fine del 2003 una nuova riunione della Loya Jirga ha sancito l’adozione di una carta costituzionale democratica, che ha introdotto un sistema di governo presidenziale e un parlamento bicamerale. Il 9 ottobre 2004 si sono svolte le prime elezioni nazionali dopo 35 anni, che hanno assegnato la vittoria a Karzaī con il 55,4% dei suffragi, confermandolo nella carica di presidente. Successive elezioni parlamentari, nel 2005, hanno completato il nuovo quadro politico. Accanto ai poteri delle nuove istituzioni, si sono presto riproposti tuttavia quelli tradizionali dei capi tribù e dei signori della guerra, che hanno continuato a finanziarsi con il traffico internazionale di droga, mentre la guerriglia talebana ha ripreso a sferrare i suoi attacchi contro il contingente internazionale rimasto a presidiare il Paese, riuscendo a stabilire basi permanenti in oltre il 70% dell'Afghānistān. Nonostante il potenziamento delle truppe NATO, l'attività terroristica è cresciuta nel 2009, in concomitanza con le elezioni presidenziali, vinte da Karzai ma viziate da gravi accuse di brogli. Nel giugno 2010 Karzai si è fatto promotore di una terza Jirga con l'intento di aprire negoziati di pace con i talebani, che hanno tuttavia disertato l'incontro, minandone anzi lo svolgimento con nuovi atti di violenza. Il piano di pace del presidente non è stato comunque abbandonato e nel corso della Conferenza internazionale svoltasi a Kabul il 20 luglio 2010 i segretari dell’ONU Ban Ki-moon e della NATO Anders Fogh Rasmussen e i ministri degli Esteri di 70 paesi donatori lo hanno ufficialmente appoggiato. Dopo l'uccisione di Osama Bin Laden, avvenuta nella notte tra il 1° e il 2 maggio 2011 nel corso di un'operazione segreta condotta dalle forze militari statunitensi penetrate nel suo rifugio ad Abbottabād, Karzai ha rilanciato la politica di riconciliazione nazionale, l'unica in grado di offrire qualche prospettiva per il rilancio della vita economica e sociale del Paese, ancora in condizioni di estrema arretratezza. L'avvio, all'inizio del 2012, per la prima volta dall'inizio della guerra, di colloqui diretti tra gli Stati Uniti e i talebani per trovare una soluzione politica al conflitto, è sembrato un concreto passo avanti in questa direzione, ma già a marzo i talebani hanno sospeso le trattative ritenendo disattese le precondizioni a un accordo di pace: l'uscita delle truppe straniere dall'Afghanistan e la scarcerazione dei terroristi imprigionati a Guantánamo. A creare ulteriore tensione e ad approfondire il sentimento antiamericano diffuso in larga parte della popolazione hanno contribuito poi il rogo accidentale di alcuni volumi del Corano nella base aerea di Bagram (febbraio) e la strage di civili (16 persone di cui nove bambini) a opera di un soldato statunitense (marzo). Mentre continuano gli attacchi dei talebani alle forze NATO, cresce la preoccupazione per il ritiro delle truppe internazionali previsto entro il 2014: invocato da una parte della popolazione, che ritiene i soldati stranieri responsabili di numerosi morti civili, il governo afgano teme che il rimpatrio delle truppe coincida con un disimpegno politico e finanziario della comunità internazionale e che la loro partenza permetta ai talebani di riguadagnare il controllo del paese.

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