ITALO-ETIOPICA, GUERRA

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

ITALO-ETIOPICA, GUERRA

Alberto Baldini

. Le operazioni militari per la conquista dell'Impero. - L'occupazione del Tigrè settentrionale. - Le operazioni militari contro l'Etiopia hanno avuto inizio il 3 ottobre 1935 con la manovra per l'occupazione di Adua e di Adigrat (per la storia diplomatica, v. italia: Storia, App.). Obiettivo della manovra era di dare intera sicurezza alla Colonia Eritrea occupando, nel vicino Tigrè, le posizioni strategicamente necessarie alla difesa contro un'Etiopia divenuta ormai - dopo la proclamazione della mobilitazione generale - apertamente minacciosa per le colonie italiane dell'Africa Orientale.

Le truppe italiane, sotto il comando superiore del generale Emilio De Bono, erano suddivise in una massa centrale sull'altipiano e in aliquote dislocate nei bassopiani orientale e occidentale.

La massa operante, forte di due corpi d'armata nazionali e uno indigeno, veniva suddivisa in tre colonne, corrispondenti alle tre direttrici d'attacco: Senafè-Barachit-Adigrat a oriente; pianura del Hasamò-Enticciò, al centro; Adi Ugri-Adi Qualà-Adua a occidente. Al centro stava il corpo d'armata indigeni, mentre ad oriente e occidente stavano rispettivamente il primo e il secondo corpo d'armata.

All'alba del 3 ottobre le tre colonne iniziavano il movimento. Nonostante le difficoltà del terreno, nella prima giornata le colonne compivano uno sbalzo di una ventina di chilometri, e il giorno successivo il I corpo d'armata e il corpo d'armata indigeni raggiungevano i prefissati obiettivi di Adigrat ed Enticciò. Il II corpo dovette superare qualche seria resistenza presso il villaggio di Darò Taclé, e solo il giorno successivo riprendeva l'avanzata. Superate ulteriori resistenze presso l'Amba Sebat, il mattino dell'indomani occupava Adua.

Il bilancio della rapida operazione si compendiava nel possesso di tutto il Tigrè settentrionale, e in una prima notevolissima affermazione della potenza italiana, che determinò le prime sottomissioni di capi e armati etiopici, fra i quali Hailé Selassiè Gugsa, capo del Tigrè orientale. L'abuna di Axum si presentava il giorno 14 in Adua per consegnare al comandante in capo le chiavi della città santa. Il giorno dopo le truppe italiane vi entravano.

Le prime operazioni in Somalia. - Sul fronte somalo, oltre ad operazioni minori che ci davano il possesso di Dolo, nel settore occidentale, e di Gherlogubi, a circa 40 chilometri da Ual-Ual, veniva sferrata un'offensiva nel settore centrale a nord-est di Mustahil, con obiettivo l'occupazione della regione degli Sciaveli. Contro Dagnerei, chiave delle posizioni abissine, fu sferrato il 18 ottobre, dopo bombardamento aereo, un attacco di bande dubat e di irregolari al comando di Olol Dinle, sultano degli Sciaveli, che si era precedentemente sottomesso al generale Graziani, comandante delle forze italiane in Somalia. Occupata Dagnerei, dopo lotta accanita, le truppe italiane si estendevano al nord, sino a Callafo.

Macallè, Axum, il Taccazè. - Sul fronte eritreo, i nuovi capisaldi del nostro fronte venivano fissati ad Axum, Faras Mai e Mai Uecò. Il periodo che va dal 6 ottobre al 3 novembre, veniva impiegato per il rastrellamento e la sistemazione dell'ampia regione (costruzione di nuove strade camionabili). Il 3 novembre avevano inizio i movimenti per l'ulteriore avanzata. Truppe direttamente impiegate erano il corpo d' armata indigeni (obiettivo Macallè) e il I nazionale (obiettivo Dolò), mentre nel bassopiano dancalo agiva una colonna speciale, in parte cammellata. Alla destra dello schieramento il II corpo d'armata, avanzando nella zona dello Scirè e dell'Addi Abbi, avrebbe dato la sicurezza nel Tigrè occidentale e costituito un fianco difensivo. L'avanzata si svolgeva nel periodo di sei giorni, superando ripetutamente resistenze nemiche, con il validissimo appoggio, come sempre, dell'aviazione, che spingeva le ricognizioni sino al Lago Ascianghi e a sud del Taccazè. Il giorno 8, gli obiettivi di Macallè e Dolò erano raggiunti. Le nostre truppe si spingevano ulteriormente in direzione di Scelicot, per occupare posizioni atte a proteggere la conca di Macallè e la regione di Dolò (passo Dogheà, monte Bolbalà ed i monti Sceftà). Tali posizioni costituivano un ottimo baluardo di fronte alla capitale del Tigrè meridionale. La colonna dancala, procedendo alacremente nella sua faticosissima marcia, si congiungeva con il I corpo. Sul fronte del II corpo alcune colonne raggiungevano il Taccazè (località Addi Encatò e Addi Rassi). Si iniziava allora una sosta, resa necessaria da una sistemazíone dei servizî logistici, connessi con la sistemazione delle vie di comunicazione, con l'approntamento di basi intermedie, e con la costituzione di depositi di viveri, materiali e munizioni. Nel frattempo assumeva il comando in capo il maresciallo Badoglio.

In Somalia: Gorrahei e l'alto Fafan. - Sul fronte somalo, dopo la vittoriosa azione contro Dagnerei, le truppe italiane occupavano i villaggi rivieraschi dello Uebi Scebeli e nel settore del Giuba sostenevano vittoriosamente alcuni scontri. Ai primi di novembre, il comando italiano, avendo avuto sentore che gli Etiopici stavano. compiendo forti concentramenti di truppe e materiali nella zona dì Gorrahei, sul Fafan, decideva di investire la posizione, saldamente fortificata con apprestamenti moderni. Due colonne, moventi rispettivamente da Gherlogubi e da Belet Uen, eseguirono un'avanzata convergente su Gorrahei, mentre l'aviazione eseguiva efficacissimi bombardamenti in seguito ai quali il nemico abbandonava la posizione. Nella notte sul 6 novembre elementi celeri entravano in Gorrahei, l'oltrepassavano e inseguivano il nemico in fuga. Il giorno 11 un'autocolonna prendeva nell'alta valle del Fafan contatto col nemico rinforzato da un migliaio di regolari autocarrati provenienti da Dagabur. Lo scontro - il primo che si svolgesse contro le forze etiopiche modernizzate - terminava con la piena vittoria italiana, che concludeva così la conquista di Gorrahei, caposaldo avanzato della linea difensiva Giggiga-Dagabur e principale centro militare di un vastissimo settore dell'Ogaden.

Le forze abissine. - Mentre l'attività proseguiva nel Tigrè e in Somalia con puntate offensive da parte italiana, e con vaste operazioni di rastrellamento soprattutto nel Tembien (regione aspra e montagnosa che si inseriva nello schieramento, tra il II corpo, dislocato nel Tigrè occidentale, e i due corpi d'armata del Tigrè orientale), pervenivano al comando italiano le prime notizie sullo schieramento di numerose forze abissine.

Risultava cosl che sul fronte eritreo circa 70.000 Abissini, al comando del degiac Aialeu Buriù e di ras Immirù, erano nello Uoldebbà dove costituivano la sinistra dello schieramento nemico, con le punte delle avanguardie al medio Taccazè di fronte al II corpo d'armata. Al centro, risultava la presenza intorno a Socotà di circa 15.000 uomini al comando di Ras Sejum, e alla destra abissina contro il fronte di Macallè-Dolò, risultavano forze imprecisate agli ordini di ras Cassa, le quali costituivano l'avanguardia del grosso dell'esercito imperiale che, contando in complesso circa 150.000 uomini, si stava avanzando da Antalò al comando di ras Mulughietà.

Le forze abissine sul fronte somalo erano cosl valutate: un corpo di 50.000 uomini al comando del degiac Nasibù concentrato nella zona Giggiga-Sassabaneh; una massa centrale, di forza alquanto minore, in lenta avanzata lungo lo Uebi Scebeli al comando del degiac Bejenè Merid; una massa di 30.000 uomini, al comando di ras Destà, concentrata a circa 80 chilometri a nord di Dolo.

Operazioni dal novembre 1935 al gennaio 1936 contro l'armata di ras Destà. - Di tutti i movimenti nemici, quest'ultimo appariva come il più pericoloso. Il 22 novembre, avanguardie dell'armata di ras Destà erano state battute dagl'Italiani a Lama Scillindi, che era stata occupata, e grossi concentramenti erano stati scoperti e bombardati dall'aviazione tra Neghelli e Filtù. Il piano di ras Destà, concepito non senza larghezza di vedute, mirava ad operare contro il settore di Dolo, per scardinare il fronte somalo e impadronirsi dei porti di Mogadiscio e Chisimaio, o quanto meno puntare contro il settore orientale, nell'Ogaden. Ras Destà aveva quindi proceduto dai suoi centri di raccolta - il paese degli Arussi e la regione dei laghi Galla - lungo le carovaniere che seguono i tre fiumi confluenti nel Giuba presso Dolo. Ai primi di gennaio, attestate le sue colonne tra il Daua Parma e il Ganale Doria, e posto il quartier generale a Galgalo, lasciò ai suoi capi libertà d' azione.

Conscio di tale situazione favorevole, il generale Graziani operò per staccare l'armata di ras Destà dai confini della colonia del Kenya, dalla quale traeva i rifornimenti. Il 12 gennaio, il generale Graziani faceva avanzare una colonna lungo il Ganale Doria, una seconda, autocarrata, sulla camionabile di Neghelli, e una terza lungo il Daua Parma. Il nemico oppose su quelle direttrici di marcia aspra e accanita resistenza, sfruttando caverne e un completo sistema difensivo (ridotte, trincee, reticolati e nidi di mitragliatrici). I combattimenti durarono con crescente ardore fino al giorno 16, quando il nemico, decisamente sopraffatto, abbandonava precipitosamente le posizioni di Bogol Magno e Galgalo, inseguito dalla colonna autocarrata, che si dirigeva verso la piana di Filtù, mentre le altre due colonne proseguivano verso i rispettivi obiettivi. Frattanto il generale Graziani con un distaccamento celere autocarrato si lanciava su Neghelli, capitale dei Galla-Borana, che raggiungeva il 20 gennaio. In pari tempo anche le altre colonne proseguivano l'avanzata, e di esse quella del Daua Pamma occupava Malca Murri. In queste azioni il nemico aveva subito perdite ingentissime.

La battaglia strategica dell'Endertà, Tembien, Scirè. - Sul fronte eritreo, forti nuclei nemici attaccavano il 15 dicembre le truppe italiane di copertura del II corpo ai guadi del Taccazè, concentrando lo sforzo a Mai Timchet, mentre un altro gruppo avversario compiva un largo movimento aggirante, guadando il fiume più a valle, per assalire da tergo le posizioni occupate dalle truppe eritree. Avendo i nuclei di copertura italiani ripiegato verso le successive posizioni di difesa, il combattimento veniva a spostarsi al passo Dembeguinà, dove si accendeva una vasta battaglia, conclusa il 17 dicembre con la piena vittoria italiana. Contemporanei attacchi nemici nel Tembien e l'avvenuta riunione delle due masse agli ordini dei ras Cassa e Sejum, dimostrarono intanto al comando italiano come gli Abissini avessero in progetto un attacco contro il fianco destro dello schieramento italiano per insinuarsi tra Macallè e Adua. Il maresciallo Badoglio decise di prevenirli attaccandoli da nord (divisione Camicie Nere "XXVIII Ottobre", rinforzata poi da due gruppi di battaglioni eritrei) e da est (corpo d'armata eritreo).

La battaglia (1ª battaglia del Tembien, v. tembien, App.), iniziatasi il 19 gennaio, si concluse il 23 con la completa rotta degli Abissini.

Basandosi su questi importanti successi, il maresciallo Badoglio risolvette di colpire il nemico nella direzione di maggior rendimento e cioè dove era la zona di sutura tra il grosso etiopico e le forze dislocate nel Tembien. Su questa direzione d'attacco stava l'Amba Aradam, imponente bastione montano, alto circa 2750 metri, lungo 8 chilometri in direzione est-ovest e largo 3 chilometri in direzione nord-sud, potentemente fortificato e munito di trincee, ricoveri, allacciamenti. Distante 16 chilometri da Macallè, costituiva il centro e il perno della difesa etiopica. Il piano d'attacco comportava un doppio aggiramento col I corpo d'armata ad est e col III ad ovest, mentre azioni combinate di artiglieria e di aviazione tenevano sotto il fuoco l'Amba Aradam.

L'attacco (battaglia dell'Endertà, v. endertà, App.) venne effettuato in due fasi; nella prima (10-12 febbraio) i due corpi d'armata raggiunsero la linea Dansà-Enda Gaber-Adi Gul Negus-Adi Mai Ciaà-Adi Serghem, che doveva servire di base di partenza per la manovra avvolgente dell'amba. Dopo due giorni di sosta, necessarî per riordinare le truppe e i servizî e spostare le artiglierie, l'attacco veniva ripreso il 15 e si concludeva nella stessa giornata con il congiungimento dei due corpi d'armata a sud dell'Amba Aradam, mentre gli Abissini ripiegavano precipitosamente verso sud e sud-ovest.

La vittoria era decisiva per le operazioni in quel settore, e il maresciallo Badoglio ne traeva immediate conseguenze nel campo strategico spingendo truppe del III corpo nella conca di Gaela (incrocio della carovaniera proveniente da Scelicot con quella che dal Tembien va a Socotà e a Dessiè) di dove procedeva senza soluzione di continuità, contro i ras Cassa e Sejum (2ª battaglia del Tembien). Attaccati il 27 febbraio da sud dal III corpo d'armata e contemporaneamente da nord dal corpo d'armata eritreo, gli Abissini, tentata invano un'ultima resistenza nella regione di Abbi Addi, il 29 erano costretti ad arrendersi; solamente pochi nuclei riuscirono a ripiegare oltre il torrente Ghevà.

Quasi contemporaneamente, e mentre il I corpo d'armata si avanzava a sud dell'Amba Aradam per Aderat fino ad Amba Alagi (28 febbraio), si sviluppava nello Scirè l'ultimo atto previsto nel piano strategico del maresciallo Badoglio. In detta regione, l'armata di ras Immirù, rinforzata, avrebbe dovuto, secondo le speranze etiopiche, superare il Mareb, e invadere il territorio eritreo. Due corpi d'armata nazionali, il II e il IV, iniziavano il giorno 29 febbraio il movimento offensivo. Il II, puntando verso il passo di Af Gagà, assaliva più volte gli armati di ras Immirù, finché la sera del 2 marzo giungeva ad occupare i monti ad ovest di Coietza. Frattanto il IV corpo si avanzava con marcia difficilissima (dovette essere rifornito di munizioni e viveri per via aerea) fino ad Az Darò, premendo sul fianco nemico che ripiegava in disordine ai guadi del Taccazè. Bombardati dall'arma aerea e inseguiti da vicino da reparti indigeni, solo in piccola parte riuscivano a rifugiarsi nello Tzellemtì.

Le operazioni contro l'armata del negus. - A logico coronamento di queste vittorie veniva operata l'avanzata su Gondar e Socotà, mentre ancora si procedeva al rastrellamento dei campi di battaglia del Tembien e dello Scirè. Una colonna celere, al comando del luogotenente generale A. Starace, partiva il 20 marzo da Om Ager e superando difficoltà di ogni genere giungeva il 1° aprile a Gondar, poi alle rive del Lago Tana; una terza colonna, di truppe indigene e di bande irregolari, giungeva quasi contemporaneamente a Gondar, dopo aver percorso la carovaniera più orientale, da Mai Timchet per Debarech.

Ad est del Taccazè il III corpo giungeva il 28 marzo a Socotà. All'estrema sinistra, il I corpo, procedendo da Amba Alagi, raggiungeva il 17 marzo le posizioni di Mai Ceu, dove si sistemava provvisoriamente a difesa. Una colonna del bassopiano occidentale, fra il 12 e il 14 marzo, aveva occupato posizioni acconce per intercettare le comunicazioni con il Sudan. Infine, ad oriente, una colonna celere, partita da Assab, superava il deserto dancalo con il costante appoggio dell'aviazione che ne compiva i rifornimenti, e giungeva l'11 marzo a Sardò, capoluogo dell'Aussa, situato a 350 chilometri dalla costa.

Dopo la fuga precipitosa dell'esercito di Mulughietà, gli Abissini effettuarono forti concentramenti a sud del Lago Ascianghi, sotto il comando diretto del negus, con l'evidente proposito di assumere l'iniziativa dell'offesa.

Il comando italiano, al corrente delle intenzioni nemiche, spingeva avanti il I corpo d'armata e il corpo d'armata eritreo, disponendosi a sua volta a prendere l'offensiva. Il negus tuttavia preveniva le mosse avversarie e, nell'illusione di ottenere un successo di sorpresa, ordinava per il 31 marzo l'attacco della linea M. Bohorà-Passo di Mecan-M. Gobertà, sulla quale le truppe italiane si erano sistemate a difesa (battaglia del Lago Ascianghi; v. ascianghi, App.). Dopo aver resistito nei giorni 31 marzo e 1° aprile a violenti assalti avversarî, le truppe italiane passarono decise al contrattacco determinando la rotta degli Abissini che subivano perdite gravissime.

Le ultime operazioni: Addis Abeba, Harar. - L'attività della aviazione, intensissima su tutto il fronte eritreo in ogni fase delle successive battaglie, veniva contemporaneamente spiegata su larga scala anche sul fronte somalo. Le azioni furono svolte nei giorni compresi fra il 22 marzo e il 10 aprile, avendo quali compiti principali quelli di riconoscere le possibilità di ricostituzione del fronte etiopico meridionale; di fissare il nucleo centrale delle forze etiopiche nel settore del Bale, martellandole metodicamente nei centri vitali di rifornimento; e di iniziare, infine, l'opera preventiva di distruzione delle basi dell'armata del degiac Nasibù che sbarrava la via di Harar. Allo scopo di assolvere il primo compito, si ebbero azioni di ricognizione accompagnate da qualche azione di bombardamento contro nuclei nemici avvistati. Il martellamento delle forze etiopiche nel Bale venne effettuato con particolare violenza, e un rilievo speciale merita l'incursione sull'importante centro logistico di Goba i cui depositi vennero distrutti. Infine, si ebbero bombardamenti violentissimi contro Giggiga, Harar, Sassabaneh, punti nevralgici della resistenza avversaria. Gli impianti logistici, magazzini, depositi, edifici militari, e le opere di fortificazione vennero sottoposti a durissima prova dagli apparecchi italiani che svolgevano azione di massa, dirigendosi altresì contro i gruppi di armati che al loro apparire si davano alla fuga.

Mentre così si preparava la battaglia finale in Somalia, il maresciallo Badoglio riprendeva dal nord l'avanzata sulla direttrice di Addis Abeba. Il giorno 15 aprile, il corpo d'armata eritreo, muovendo da Quoram, occupava Dessiè dove veniva a stabilirsi il comando superiore delle truppe, e da dove si iniziava dopo pochi giorni la marcia decisiva sulla capitale. Una colonna di eritrei muoveva il 21 aprile lungo la carovaniera di Uorra Ilù, mentre alla sua destra si avanzava una colonna autocarrata della quale facevano parte rappresentanze di tutte le armi e corpi che erano stati impegnati nelle operazioni. La colonna di destra - eritrea - puntò direttamente sulla capitale per la carovaniera di Uorra Ilù, località che poté occupare il 23 aprile. Nei giorni successivi, senza incontrare resistenze, si arrestava nei pressi di Egersà. La colonna di sinistra, composta di eritrei appiedati e di nazionali montati su automezzi, mosse tra il 24 e il 26 di aprile sulla cosiddetta strada imperiale - in realtà pista mediocrissima - che fiancheggiava ad oriente la nominata carovaniera. La colonna, superando gli ostacoli del terreno, aggravati dalle disposizioni del nemico che aveva effettuato numerose distruzioni stradali che richiesero gravosi lavori di riattamento, poté nello spazio di pochi giormi operare il congiungimento con gli eritrei procedenti sull'altro itinerario. Il maresciallo Badoglio, assunto personalmente il diretto comando delle colonne, poteva il 5 maggio fare ingresso in Addis Abeba da dove il negus era fuggito già da tre giorni.

Frattanto, al sud, si svolgeva l'ultimo atto della guerra. Dopo l'efficace preparazione aerea, il generale Graziani disponeva il 15 aprile l'avanzata nell'alto Ogaden. La marcia si effettuava lungo tre direttrici: quella occidentale, da Danane per Gianagobò, Bircut, Segag, Dagamedò; la centrale, da Gabredarre, per Uarandab e Sassabaneh; e l'orientale, da Gherlogubi, Biat-Dida, Curati. Vinte le prime resistenze nemiche a Gianagobò in una caratteristica battaglia d'incontro, che si protrasse dal 15 al 17 aprile, il comando italiano lanciava decisamente tutte le colonne verso il raggiungimento degli obiettivi assegnati. Risultava dalle informazioni raccolte che il degiac Nasibù aveva concentrate le sue forze nel quadrilatero, saldamente organizzato a difesa, di Hamanlei-Bullale-Sassabaneh-Guna Gadu. Il giorno 24 l'azione entrava nella sua fase decisiva, procedendosi all'investimento del campo trincerato di Sassabaneh, mentre venivano occupate Hamanlei e Guna Gadu. L'imperversare del maltempo causava alle forze italiane notevoli difficoltà cui si aggiunse l'accanita resistenza del nemico, ma le colonne italiane, riuscite finalmente a superare le difese di Sassabaneh, poterono concentrarsi il 30 aprile a Dagabur, aprendosi così la via su Giggiga ed Harar, abbandonate ormai dal nemico che volgeva in rotta precipitosa. La sera del 5 elementi autocarrati occupavano Giggiga, mentre altri reparti puntavano su Harar, dove il generale Graziani entrava l'8 maggio. Subito dopo una colonna si spingeva su Dire Daua, prendendone possesso il 9 e congiungendosi con un reparto di fanteria proveniente da Addis Abeba per mezzo della ferrovia di Gibuti. In tal modo, le estreme avanguardie degli eserciti del nord e del sud venivano a contatto, realizzando il congiungimento dei due fronti.

All'atto del suo ingresso in Harar, il generale Graziani veniva promosso maresciallo d'Italia.

Il 9 maggio 1936 il Capo del governo italiano proclamava, dal balcone di Piazza Venezia, l'Impero.

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