CASATI, Guglielmo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 21 (1978)

CASATI (de Casate, de Caxate), Guglielmo

Elisa Occhipinti

Figlio di Alberto, nacque nella seconda metà del sec. XIII da antica e nobile famiglia milanese.

Ardente fautore dei Visconti, il C. dovette partecipare al fallito tentativo di riportare al governo Matteo Visconti compiuto il 28 sett. 1302 dai partigiani di quest'ultimo, se insieme col padre venne compreso nella lista di proscrizione compilata dai Torriani allora al potere, e bandito dalla città. Rientrato col Visconti in Milano al seguito di Enrico VII e riacquistata l'antica posizione di preminenza, nel 1314 insieme con altri nobili milanesi - fra cui Simone Crivelli e Francesco da Garbagnate - partecipò alla spedizione contro Pavia condotta da uno dei figli di Matteo, Luchino Visconti: la città non venne attaccata, ma fu effettuata un scorreria nella Lomellina, durante la quale vennero investiti ed occupati i castelli di Ottobiano e di Alberone. Negli anni successivi anche il C. si trovò direttamente coinvolto nelle vicende della lotta politicoreligiosa che contrappose alla Chiesa il signore di Milano.

Dopo il 1313, anno della morte di Enrico VII, il papa aveva preteso che il trono imperiale rimanesse vacante sino a quando non si fosse proceduto ad una nuova elezione: in questo periodo di interregno vicario imperiale per l'intera Italia sarebbe stato il re di Napoli, Roberto d'Angiò. Contro queste decisioni, che lo privavano del più importante titolo giuridico in forza del quale si trovava al vertice delComune di Milano, era Insorto Matteo Visconti, che aveva organizzato un esercito ghibellino e riportato splendide vittorie in Liguria ed in Piemonte; aveva dovuto però scendere a compromessi con le città di Crema e di Cremona. Aveva anche dovuto fronteggiare gli armati del nuovo legato pontificio, Bertrando del Poggetto, giunto in Italia come moderatore, paciere e conservatore della Lombardia. Nel 1320 Milano venne assediata da truppe guelfe, italiane e francesi. Nell'anno successivo, poiché nonostante le minacce e le esortazioni i Visconti rifiutavano di acconciarsi alle decisioni del papa, Bertrando del Poggetto - traendo motivo anche dal fatto che aveva più volte tolto beni agli ordini religiosi e taglieggiato conventi - scomunicò Matteo ed i suoi familiari come eretici e nemici della Chiesa, e lanciò l'interdetto su Milano, la città che aveva appoggiato ed appoggiava la loro signoria (febbraio). Ad aggravare la situazione interna della città lombarda venne la bolla pontificia del 23 genn. 1322, con cui si ordinava agli inquisitori incaricati del processo contro i Visconti di estendere il procedimento anche nei confronti deisostenitori di Matteo, per accertare la posizione di ognuno di essi nei confronti della Chiesa, e stabilire le eventuali singole responsabilità. A Valenza sul Po (Alessandria) il 19 marzo 1322 si iniziarono i nuovi procedimenti contro un primo gruppo di dignitari laici ed ecclesiastici, che furono chiamati a deporre dinnanzi al tribunale ecclesiastico; un secondo gruppo venne citato il 2 aprile: tra i 203 milanesi che compaiono nella lista redatta per l'occasione, vi è anche il nome del Casati.

Il C. non si presentò subito dinnanzi al tribunale: per il tramite di Ambrogio di Abbiate, che giunse a Valenza il 2 maggio, fece sapere che lui, insieme con altri, undici notabili milanesi - tra cui Guglielmo Pusterla, Francesco Visconti, Francesco da Garbagnate, Stefano da Vimercate, Ottorino Borri -, era disposto a ritornare alla devozione verso la Santa Chiesa; desiderava solo avere il tempo per poter discutere con gli inquisitori le modalità e le condizioni del suo distacco "ab oboedientia, fautoria et adhesione" all'eretico Matteo Visconti. Il C. si presentò effettivamente, insieme con i suoi undici colleghi, dinnanzi agli inquisitori in Valenza il 10 maggio successivo, ma per chiedere una nuova dilazione. Confermò nel contempo la sua devozione nei confronti della Chiesa; dichiarò di essere dispostissimo a fare tutto il possibile per indurre i suoi concittadini a staccarsi da Matteo Visconti ed accettare la volontà del pontefice; ma sostenne che, per poter mandare avanti trattative così delicate, aveva bisogno di tempo. Il cardinal legato, ritenendo di essere vicino alla soluzione dello spinoso problema milanese, accolse le richieste del C. e dei suoi colleghi, che rientrarono in Milano. Dal Manipulus florum di Galvano Fiamma risulta che scopo dei C. non sarebbe stato tanto quello di avviare trattative per liberare la sua città dal dominio visconteo, ma di far guadagnare tempo a Matteo Visconti e ai suoi collaboratori. Che la missione del C. avesse un carattere ufficiale e l'approvazione del signore stesso di Milano sembra del resto confermato dai documenti del Comune, che registrano al 12 aprile 1322 l'invio di dodici "ex nobilibus et prudentibus nostre civitatis pro bono pacis et tranquillitate". Ed in effetti, mentre il C., giuocando sulla difficile situazione interna di Milano e sul desiderio del cardinal legato di indurre i Milanesi, grazie ai maneggi dei dodici nobili, a sbarazzarsi dei Visconti, mandava per le lunghe le sue trattative con gli inquisitori, Matteo si accordava con Federico d'Asburgo, dal quale ottenne la conferma del titolo di vicario imperiale in Milano, rafforzando così la sua posizione e quella del suo partito nei confronti dei suoi avversari interni ed esterni. La morte di Matteo Visconti (24 giugno 1322) e l'irrigidimento su posizioni di intransigenza del di lui figlio e successore Galeazzo, sostenuto da Federico d'Asburgo, fecero tuttavia precipitare la situazione: il 6 ottobre gli inquisitori lanciarono la scomunica contro i milanesi contumaci, i loro figli e i loro nipoti, lasciando a chiunque la facoltà di catturarli come "felloni". Tra i colpiti vi era anche il Casati. Il 31 ottobre da Piacenza, nel frattempo caduta nelle sue mani, il cardinal legato dava pubblica lettura degli atti del processo contro Matteo Visconti e bandiva la crociata contro Galeazzo e i suoi fratelli. L'annuncio fece esplodere le rivalità esistenti all'interno del partito filovisconteo, e provocò disordini nella stessa Milano: Galeazzo, abbandonato da molti dei collaboratori di suo padre e da uno dei suoi cugini, Lodrisio, che gli si era messo apertamente contro, si indusse a trattare. Il compito di abboccarsi col legato fu ancora una volta affidato al C. ed ai suoi undici collaboratori. I tempi erano mutati, e le trattative furono condotte rapidamente a termine; a quali condizioni, non sappiamo. Ma quando il C., una volta concluso l'accordo, volle tornare a Milano, si vide ostacolato l'ingresso nel territorio del Comune, il che lascia intendere che il nuovo signore di Milano aveva voluto semplicemente prendere tempo. Sfruttando il malcontento della popolazione e il risentimento dei mercenari tedeschi, cui da tempo non veniva pagato il soldo, il C. ed i suoi colleghi costrinsero Galeazzo ad abbandonare Milano (8 novembre). Rimasti padroni della città, il C. ed i suoi collaboratori, ormai definitivamente guadagnati alla causa pontificia, dettero esecuzione alle clausole dell'accordo stipulato col cardinal legato, affidando il governo a Giovanni di Châtillon, vicario di Federico d'Asburgo, che si era posto al servizio del legato dopo la sconfitta del suo signore, ed invitando Bertrando del Poggetto a venire a Milano. Tuttavia i loro concittadini tornarono poco dopo a rivolgersi a Galeazzo Visconti perché rientrasse a Milano per ristabilirvi l'ordine pubblico sconvolto dallo spadroneggiare dei mercenari tedeschi e dalle prevaricazioni degli armati di Lodrisio Visconti, che intendeva impadronirsi del potere: l'11 dicembre Galeazzo fece il suo solenne ingresso nella città, e venne acclamato signore. Fuggito da Milano per sottrarsi alle vendette di Galeazzo, il C. riparò a Piacenza, dove Bertrando del Poggetto stava organizzando la crociata contro i Visconti, alla quale avevano inviato contingenti tutte le città guelfe della Lombardia e della Toscana, il patriarca di Aquileia, Raimondo della Torre e gli altri capi della sua famiglia. Fu proprio la presenza dei Torriani e dei loro armati fra i crociati a provocare dissensi e contrarietà tra i nobili milanesi che, come il C., avevano preferito rimanere fedeli alla Chiesa e avevano trovato rifugio presso il cardinal legato: non pochi di essi - e fra questi lo stesso figlio di Simone Crivelli - preferirono tornare a Milano fidando nella clemenza di Galeazzo, piuttosto che rimanere al fianco degli irriducibili nemici dei Visconti. Il C., invece, rimase e partecipò - a quello che sembra - alle operazioni della crociata.

Dopo queste notizie, le fonti a noi note non ci dicono più nulla del C. sino al 1341, quando, insieme con Leone Dugnano e Marino Sansone Acanione, si recò presso il pontefice Benedetto XII per chiedere a nome di Luchino Visconti l'assoluzione di Milano da tutte le censure ecclesiastiche in cui era incorsa sotto il pontificato di Giovanni XXII. Ignoriamo la data esatta della sua morte, che dovette avvenire poco tempo dopo tale legazione. Aveva avuto quattro figlioli: Ramengo, che fu imprigionato nei "forni" di Monza nel 1333 per ordine di Azzone Visconti; Aliprando, Alpinolo - che fu ambasciatore visconteo a Ferrara - e Alberto.

Fonti e Bibl.: Milano, Bibl. Ambrosiana, R. Fagnani, Familiarum Commenta (ms. del sec. XVIII), IV, f. 100r; Galvaneus Fiamma, Manipulus florum..., in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XI, Mediolani 1727, coll. 727 s.; Famiglie nobili di Milano, Fam. Casati, Milano 1634, inserto 81, p. 10; G. Giulini, Mem. spettanti alla storia, al governo ed alla descriz. della città e campagna di Milano nei secoli bassi, Milano 1854-1857, IV, p. 818; B. Corio, Storia di Milano, Milano 1856, II, pp. 62-63; F. Calvi, Famiglie notabili milanesi, IV, Milano 1885, s. v. Casati, tav. IV; A. Cappellini, Mem. stor. di Casatenovo, Casatenovo 1954, p. 43; F. Cognasso, L'unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, Milano 1954, pp. 98, 158 s., 162 ss., 166 s., 171 s.; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare ital., II, p. 349.

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