FACCIOTTO, Guglielmo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

FACCIOTTO (Facciotti, Faciotti, Faciotto), Guglielmo

Massimo Ceresa

Tipografo nativo, intorno al 1560, di Gattinara, nei pressi di Vercelli; il padre Gerolamo viene definito sempre nei documenti "da Gattinara". Il F. usò indifferentemente nelle sue edizioni i cognomi Facciotto e Facciotti, con leggera prevalenza del primo; in alcune edizioni la forma del cognome è Faciotto o Faciotti.

La sua cospicua ed intensa attività si svolse a Roma, coprendo un arco di tempo che va dal 1592, anno della prima edizione che porta il suo nome, al 1632, anno di morte. Una sua edizione del 1594 attesta in quel periodo la localizzazione della sua officina nel rione Borgo. Dall'Archivio del Vicariato di Roma (Stati d'anime 1590-1623. S. Cecilia di Montegiordano) risulta che dal 1598 al 1601 il F. abitò con la moglie Maria Zannetti una casa situata nei pressi di via di Monte Giordano, che divideva con l'incisore Francesco Villamena; inoltre è citato come suo coabitatore e garzone Manelfo Manelfi, che in seguito (1625) collaborò con gli Zannetti e stampò poi in proprio negli anni 1641-1649, ed il fratello Pietro Manelfi, che fu anch'egli stampatore negli anni 1608-1609.

Da un'altra fonte (Arch. di Stato di Roma, Stato civile. Appendice III, fasc. 8, S. Maria in Aquiro, Stato delle anime) si apprende che il F. prima di morire aveva abitato e tenuto bottega, probabilmente a lungo, nel vicolo "che dalla Maddalena va a piazza Capranica"; i quattro anni pervenutici di tali stati di anime (1630-1634) danno l'idea della composizione della famiglia e probabilmente dell'officina negli ultimi anni di attività del F.: insieme con la moglie Maria Zannetti e col nipote Giacomo, di una ventina d'anni, figlio di Francesco Facciotti, che forse era un fratello del F., dopo la morte di quest'ultimo vengono indicati come coabitatori Pietro Antonio, altro nipote del F. e figlio di Antonio Facciotti, oltre ad alcuni Zannetti nipoti di Maria: Agnese, che sposerà Giacomo, Francesco e Giannetto; nella stessa via, in un'abitazione contigua, s'incontra di nuovo il nome di Manelfo Manelfi, che vi abitava con la famiglia e che doveva essere particolarmente legato ai Facciotti. Ma la presenza nella zona dell'officina tipografica facente capo ai Facciotti risale a parecchi anni prima, come risulta dal Liber mortuorum di S. Maria in Aquiro (Stato civile, App. III, fasc. 8): ivi s'incontrano tracce che risalgono al 1620, in occasione della morte di un figlio di un Girolamo Facciotti "impressor", morto nel 1627 all'età di circa 30 anni, con il nome del quale peraltro non si conosce alcun prodotto tipografico. Nello stesso Liber mortuorum si possono rintracciare sino al 1621 notizie di Manelfo Manelfi.

Il F. insieme coi vari componenti della famiglia Zannetti o Zanetti, con Stefano Paolini, con Lodovico Grignani, e Andrea Fei, è uno dei rappresentanti più attivi e significativi della tipografia romana del primo Seicento. Anche se la sua produzione ebbe inizio alla fine del secolo precedente, la sua attività rispecchia quel momento di svolta nella storia della tipografia in cui quest'ultima ad una produzione prevalentemente di lusso, che l'aveva caratterizzata per gran parte del secolo precedente, affianca un'intensa attività di carattere essenzialmente commerciale legata ad immediati interessi di mercato. Già nei primi anni dell'attività del F. è evidente, accanto ad alcuni esemplari di grande impegno tipografico, l'esecuzione di numerose opere, per lo più devozionali, di formato minimo e di pochissime pagine. Nella produzione del F., accanto alla sostenuta produzione di volumi di carattere religioso e letterario, si riflette in modo massiccio l'interesse per la cultura figurativa tipico dell'ambiente romano del primo Seicento; in misura minore trovano riscontro quegli elementi di svago, di intrattenimento e di cosmopolitismo che caratterizzavano in quel periodo la vita culturale della città.

I caratteri della tipografia del primo Seicento che conseguono da questa nuova situazione e che s'incontrano, in larga parte, nella cospicua produzione del Facciotto - la quale raggiunge le 400 edizioni circa - sono innanzitutto una maggiore attenzione alla illustrazione rispetto al contenuto, che si evidenzia nell'abbondanza e ricchezza dei frontespizi architettonici incisi, spesso in rosso e in nero, usati a volte per più di un'opera e a volte eccessivamente ampollosi, tranne in casi nei quali la novità della materia li rende, pur nella loro ridondanza, interessanti; quindi, nell'arricchimento di tali frontespizi per mezzo di cornici, stemmi, ritratti, vignette, mentre iniziali xilografiche ornate, fregi, frontoni e finali decorano il testo. Meno curata, soprattutto nelle opere non eccessivamente impegnative, la parte riguardante il testo vero e proprio.

La produzione del F. si eleva di tono sotto il pontificato di Urbano VIII, durante il quale il tipografo eseguì uno dei volumi più importanti della sua produzione, la Roma sotterranea di A. Bosio. Il F. eseguì comunque le opere più varie, alternando volumi notevoli per l'apparato illustrativo ad una produzione di consumo che rifletteva il suddetto progressivo processo di commercializzazione della stampa, consistente in brevi operette di poesia, devozionali, alcuni pronostici astrologici per l'anno, oltre a qualche breve descrizione di apparati relativi a feste religiose. Le nuove esigenze editoriali, le spinte che muovevano gli autori e le nuove richieste del pubblico portavano a volte il tipografo ad impegnarsi a stampare nella forma più rapida possibile opere di polemica e di ossequio, in una parola, di attualità, a detrimento dell'eleganza della veste tipografica. Ad esempio, intorno al 1606 la produzione del P., sostenutissima, era tutta rivolta ad un argomento di grande attualità, che per l'importanza che rivestiva in quel momento coinvolse altri tipografi romani, tra i quali gli eredi Zannetti: l'interdetto di Paolo V contro la Repubblica veneta, a proposito del quale il tipografo stampò in quell'anno e nel successivo una ventina di libretti di vari autori, soprattutto del Bellarmino, che sostenevano le ragioni papali sull'argomento, rispondendo a libelli avversi all'interdetto. Si ha notizia anche di avvisi a stampa usciti dalla sua officina tipografica. Occasionalmente il F., come anche altri tipografi a lui contemporanei, effettuava ristampe di opere già stampate da lui o da altri mutando frontespizio, seguendo evidentemente motivi di richieste di mercato suggeritegli da librai o forse da lui stesso intuite.

Tra i prodotti tipografici di maggiore importanza eseguiti dal F. conviene segnalare un'opera del primo anno conosciuto di attività del tipografo, il 1592, i Dialoghi intorno alle medaglie, inscrittioni et altre antichità di Antonio Agustin, arcivescovo di Tarragona, ricca di incisioni raffiguranti le varie medaglie; traduttore e curatore dell'opera fu Dionigi Ottaviano Sada, che nella dedica dichiara di essersi giovato della collaborazione, tra gli altri, di Fulvio Orsini e di Alfonso Chacón, e si ripromette di completare l'opera e ristamparla; in effetti l'opera ebbe una ristampa nel 1625 con un nuovo frontespizio, eseguita da Andrea Fei ma del tutto simile a quella eseguita dal Facciotto.

Nel 1593 il F. stampò la Gerusalemme conquistata del Tasso, dedicata a Cinzio Aldobrandini dall'editore, Angelo Ingegneri; in tale dedica quest'ultimo, vantando di essere stato editore della prima edizione della Gerusalemme liberata, si sofferma diffusamente sulle vicende che avevano portato il Tasso a rivederne il testo; dello stesso Ingegneri, originario del Monferrato, il F. stampò nel 1594 Del buon segretario; quindi, tra le opere di maggior rilievo si possono ancora segnalare Delle relazioni universali, di G. Botero (1595); il Dictionarium ciceronianum di F. Priscianese, privo delle indicazioni tipografiche ma certamente stampato dal F.; Le antichità dell'alma città di Roma, di A. Palladio (1596, 1599, 1600, 1629) e Le cose meravigliose dell'alma città di Roma (1595, edizione ricca di incisioni xilografiche, e 1599), sorta di guide tascabili della città, a volte con l'indicazione delle principali stazioni di posta italiane, che il F. stampò anche in traduzione francese (1625, 1628) e spagnola (1627, 1628) senza l'indicazione dell'autore; Commissionum ac rescripiorum utriusque Signaturae S.D.N. Papae praxis, di G. B. Marchesani (1615), opera per la quale al tipografo vennero concessi privilegi da Luigi XII di Francia e da Filippo III di Spagna, Dell'istoria della Sacra Religione et ill.ma militia di S. Giovanni Gerosolimitano di G. Bosio (nel 1602 solo la parte terza, nel 1621 la parte prima e la seconda parte nel 1630), ed infine l'opera di maggior valore stampata dal tipografo poco prima della morte, un'edizione della Roma sotterranea di A. Bosio (1632), curata da Giovanni Severani da San Severino, oratoriano, opera di rilievo sulle catacombe e sugli usi funerari della prima Chiesa. Nel 1611 il tipografo aveva eseguito una ristampa del Dialogo della fede fra il catecumeno et il padre catechizante, di F. Fioghi, lettore di lingua ebraica al collegio dei neofiti di Roma, nella quale le citazioni bibliche sono riportate in caratteri ebraici ai quali segue la traduzione.

Il F. stampò inoltre numerose opere di Angelo Rocca, il quale raccolse il nucleo principale dei libri dai quali nacque la Biblioteca romana che in seguito portò il suo nome, l'Angelica (tra le quali opere conviene segnalare De sacrosancto Christi corpore romanis Pontificis conficientibus praeferendo..., del 1599, ricca di incisioni nel frontespizio e nel testo, alcune delle quali raffiguranti il viaggio di Clemente VIII a Ferrara in occasione del quale il Rocca aveva compilato l'opera); il De campanis commentarius, 1612, ricco di incisioni raffiguranti campane, ed un trattato contro i giochi delle carte e dei dadi (del 1617); il F. eseguì inoltre opere del Baronio, del Bellarmino (di quest'ultimo, soprattutto i già citati libretti relativi alla polemica concernente l'interdetto di Paolo V contro la Repubblica veneta, stampati nel 1606); opere di Paolo Beni, Giacomo Castiglione e Domenico Mora sull'inondazione del Tevere, stampate pochi anni dopo la disastrosa inondazione del dicembre del 1598, e ancora nel 1609 un'opera di Cesare Domenichi sullo stesso argomento; un'opera sul ballo di Fabrizio Caroso di Sermoneta, uno dei più noti maestri di ballo dell'epoca; opere sull'astronomia di Andrea Argoli da Tagliacozzo; alcune opere mediche, tra le quali una sul legno santo di Demetrio Canevari, medico e bibliofilo genovese (De ligno sancto commentarium, del 1602), ed altre di Paolo Zacchia e di altri, oltre a numerosi volumi di poesie, di teologia, alcune commedie o drammi e i sinodi diocesani di Cassino (1592), Ferentino (1602), Benevento (1605), Genova (1605), Potenza (1606). Il F. stampò inoltre nel 1627 alcune opere musicali contenenti pezzi di musica, intavolature e metodi per apprendere a suonare la chitarra di Pietro Milioni, chitarrista contemporaneo di talento.

Numerosi libri stampati dal F. durante il pontificato di Clemente VIII portano nel frontespizio stemmi e cappelli cardinalizi e nel testo dediche facenti riferimento agli Aldobrandini, in particolare, oltre al papa medesimo, ai cardinali Pietro e Cinzio.

Con il passare degli anni il F. tendeva sempre più a partecipare all'assetto editoriale dei volumi da lui stampati; s'incontrano così sue dedicatorie (C. Phreislebius, Ex imperatoris Iustinianiinstitutionibus Erotemata, 1612; D. Alvarez, Commentariorum inIsaiam prophetam, 1615); privilegi a lui intestati, che indicano il F. come effettivo proprietario dì alcune edizioni (D. Alvarez, De incarnatione Divini Verbi, 1613) ed opere a sue spese (L. Castellini, Elucidarium theologicum, 1628; G. Manelfi, Urbanae disputationes in primam problematum Aristotelis sectionem, 1630). A volte al privilegio papale faceva seguito quello di un regnante, in particolare del re Cattolico, nel caso Filippo III di Spagna, e di Luigi XIII di Francia, reggente Maria de' Medici, in un periodo nel quale la Francia era su posizioni rigorose di cattolicesimo antiriformista. Occasionalmente, il privilegio non era concesso al tipografo, ma al libraio editore (Giovanni Manelfi, per l'opera di O. De Amicis, De iure emphyteutico repetitio..., stampata dal F. nel 1622).

Il F. fece uso di varie marche tipografiche, tra cui quella aldina; la più frequente, attestata in numerose sue edizioni, rappresenta la Speranza, seduta su pietre e volta di profilo, che regge con la mano destra un'ancora snodata.

Emergono, dalle dediche, dai privilegi e dalle note tipografiche incluse nei volumi stampati dal F., i suoi contatti e le sue collaborazioni con altri tipografi romani: Luigi Zannetti, Stefano Paolini, specializzato in alfabeti orientali, e Giacomo Mascardi. Nel caso del F., tali relazioni si esplicavano anche con parentele acquisite, dato che sia lui sia il nipote Giacomo sposarono delle Zannetti facenti parte della nota famiglia di tipografi, a conferma della tendenza tipica del mestiere di accasarsi con figlie o vedove di colleghi, spesso per acquisirne l'officina. Nel 1595 il F. stampava, mantenendo la vignetta nel frontespizio ed il corredo tipografico, il secondo volume dell'opera Paralleli militari di F. Patrizi, della quale Luigi Zannetti aveva stampato l'anno precedente la prima parte. Nel 1609 il F. stampava insieme con Stefano Paolini un'opera di G. B. Del Tufò, Historia della religione de' Padri cherici regolari, che porta aggiunto un supplemento, di eguale formato e frontespizio, recante l'indicazione tipografica "Appresso Giacomo Mascardi, 1616"; ancora col Paolini il F. stampava un'opera di A. Canale, Vite de' fondatori delle religioni. Nel 1622 il F. stampava il primo e terzo volume dell'opera di P. Marziani Apologeticus liber, mentre il secondo era opera di Ludovico Grignani e Lorenzo Lupis e porta come luogo di stampa Ronciglione.

Esistono poi casi di opere stampate dal F. e nello stesso anno altrove da un altro tipografo: nel 1601, L. Surio, Martirio di un Santo Putto., martirizato crudelmente nel giorno di Venerdì Santo da empii Hebrei..., stampata nello stesso anno anche a Napoli da Antonio Pace; R. Bellarmino, Risposta alle oppositioni di fra Paolo Servita..., del 1606, stampata anche a Ferrara da Vittorio Baldini, stampatore camerale; e, sempre del Bellarmino, Risposta a due libretti..., stampata nel 1606 dal F. in varie copie differenti, alcune delle quali portano l'indicazione di una ristampa contemporanea a Ferrara nella Stamperia camerale e a Napoli per Giovanni Giacomo Carlino e per Giovanni Battista Sottile.

Sono da rilevare anche i rapporti che il F. aveva con il mondo editoriale romano del tempo. La maggior parte del commercio librario gravitava su piazza Navona e i suoi dintorni; tra gli editori, librai e committenti che si affidarono alla sua officina ricorrono i nomi di Giorgio Ferrari, che gestiva la Stamperia del Popolo Romano, per conto del quale il F. stampò le Relazioni universali di G. Botero; Giovanni Martinelli, libraio, editore e stampatore che all'inizio del '600 aveva bottega a via del Pellegrino; Giovanni Angelo Ruffinelli, Paolino Arnolfini e Giovanni Orlandi, "stampatore di figure in rame a Pasquino", che si occupava anche della vendita dei libri o degli opuscoli; la collaborazione del F. con quest'ultimo è significativa del già menzionato impegno, comune nella tipografia romana di inizio Seicento, nella cura dell'illustrazione degli stampati, di cui il F. è uno degli esempi più evidenti; inoltre, dal 1625 in poi, Ottavio Ingrillani, libraio all'insegna della Luna, a piazza Pasquino. Quindi Bartolomeo Grassi, Giovanni Antonio Di (o De) Paoli, libraio prima alla Pace, a Tor Millina, e poi alla Sapienza, Vincenzo Castellano, Francesco Corbo, libraio in Parione all'insegna dell'Europa, Francesco De Rossi, libraio all'insegna della Salamandra, Giovanni Mancesi, libraio a piazza Navona, Alessandro Lancia, Giovanni Dini, libraio all'insegna della gatta a piazza Navona, da solo e nel 1628 insieme con Francesco Penetri ed infine Hermann Scheus, editore e libraio all'insegna della Regina. Un buon numero di edizioni, prevalentemente di consumo, portano l'indicazione "si vendono in Piazza Navona, all'insegna della Lupa d'oro", che corrispondeva alla libreria di Giovanni Senese, che commissionò parecchie opere al Facciotto. Spesso venivano promosse da tali editori, e realizzate dal F. e da altri tipografi, riedizioni di opere che, a giudizio di tali editori, potevano incontrare un buon successo di vendita per la richiesta che ne veniva manifestata.

Esistono inoltre contratti del F. con Andrea Brogiotti, libraio, editore e stampatore camerale, dai quali risulta che il F. si impegnava a stampare alcune opere per conto del Brogiotti ponendo come indicazione tipografica "Ex tipografia Camerali". In particolare il 10 dic. 1629 il F. firmava un contratto col Brogiotti impegnandosi a stampare 3.000 copie dell'ordinario per dir l'offizio, con l'impegno di finire il lavoro il 15 febbr. 1630.

Il F. morì a Roma il 21 ott. 1632 e fu sepolto nella chiesa di S. Gregorio, come aveva chiesto nel testamento.

L'officina continuò l'attività per opera della moglie, Maria Zannetti, e dei nipoti Giacomo, Giovanni Pietro e Pietro Antonio, con alcune decine di edizioni e con varie diciture, tra cui quella "eredi di Guglielmo Facciotto" attestata nel 1634 e quella del solo Giacomo, che usava la stessa marca del F., tra il 1635 ed il 1637; le più numerose, dal 1636 al 1638, portano il solo nome di Pietro Antonio, tra le quali si distinguono soprattutto opere di G. B. Ferrari, gesuita: le Orationes nel 1635, l'edizione italiana della Flora nel 1638 ed un'opera, curiosa e interessante per lo studio dei costumi domestici dell'epoca, di A. Adamo, che era stato "maestro di casa" presso i prelati più importanti di Roma, Ilnovitiato del maestro di casa, del 1636. Alcune delle opere stampate da Pietro Antonio portano l'indicazione "a istanza di Maurizio Bona, al Murion d'oro in Navona". Pietro, Antonio, peraltro, già nel 1627 aveva firmato la dedica di un'opera stampata dal F., (Las cosas maravillosas de la sancta ciudad de Roma) e in seguito ristampò un'opera già stampata dal F. nel 1625 (di G. B. Montalbani, De moribus Turcarum, nel 1636). Giacomo, che nel 1633 aveva sposato un'altra Zannetti, Agnese, nipote della moglie del F., il 20 maggio 1638 cedette con un compromesso al cognato Francesco Zannetti tutti i materiali della stamperia ereditata dallo zio, ponendo a pretesto della cessione anche il non buono stato di salute, e prese in gestione una stamperia a Tivoli, che mantenne fino al 1643; peraltro, non è dato conoscere sinora alcun prodotto dell'eventuale attività successiva di Francesco Zannetti.

Bibl.: A. Bertolotti, Artisti subalpini in Roma nei secoli XV, XVI, XVII, Mantova 1884, p. 237; F. Barberi, Libri e stampatori nella Roma dei papi, in Studi romani, XIII (1965), pp. 440, 447; M. Petrocchi, Roma nel Seicento, Bologna 1970, pp. 68, 205; V. Romani, Notizie su Andrea Brogiotti, libraio, editore e stampatore camerale, in Accademie e Biblioteche d'Italia, n. s., II, (1973), pp. 72-87; F. Barberi, Per una storia del libro. Profili. Note. Ricerche, Roma 1981, p. 24; E. Vaccaro, Le marche dei tipografi ed editori italiani del secolo XVI nella Biblioteca Angelica di Roma, Firenze 1983, p. 188; F. Petrucci Nardelli, Torchi, famiglie, libri nella Roma del Seicento, in La Bibliofilia, LXXXVI (1984), pp. 159-167. L'autore di questa voce ha in corso di preparazione gli Annali tipografici deiFacciotto.

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