PEPE, Guglielmo

Enciclopedia Italiana (1935)

PEPE, Guglielmo

Mario Menghini

Generale e patriota, fratello di Florestano (v.), nato a Squillace, in Calabria, il 13 febbraio 1783, morto presso Torino l'8 agosto 1855. Quattordicenne, fu mandato a Napoli, dove frequentò la scuola militare, e, uscitone nel 1799, s'iscrisse nella milizia della Repubblica Napoletana, combattendo agli ordini del generale Matera contro le orde del cardinale Ruffo, quindi al Ponte della Maddalena (13 giugno 1799), dove, dopo aver dato prove d'indomito coraggio, fu ferito e fatto prigioniero. Fu presente agli orrori della feroce reazione, poi, perché minorenne, liberato e cacciato in esilio. Da Marsiglia, dove sbarcò, si avviò a Digione e si arruolò nella legione italiana, la quale si unì all'esercito del Primo console, che per il San Bernardo si accingeva alla riconquista d'Italia, e, semplice soldato, combatté a Marengo (14 giugno 1800). Andato in Toscana, partecipò alla lotta contro i ribelli a Siena e ad Arezzo, quindi si portò a Milano e di là a Napoli, dove congiurò contro i Borboni, recandosi in Calabria, al fine di sollevarla. Arrestato e rinchiuso nell'orrido carcere di Maretimo, vi rimase tre ami, fino a quando (1806), impadronitisi i Francesi del regno di Napoli, fu liberato, dal re Giuseppe nominato maggiore nel nuovo esercito e inviato in Calabria agli ordini del Masséna per sedarvi l'insurrezione. Succeduto sul trono di Napoli al fratello di Napoleone I il Murat, il P. fu mandato a combattere in Spagna al comando d'un reggimento (9 novembre 1811) col grado di colonnello; e tornato a Napoli, fu promosso maresciallo di campo. Fece la campagna d'Italia col Murat contro il viceré d'Italia, segnalandosi al ponte sull'Enza e alla Secchia e in quella contro gli Austriaci, quando il Murat innalzò il vessillo dell'indipendenza italiana, conclusa tragicamente a Tolentino (16 aprile 1815). Tornati i Borboni sul trono di Napoli, il P. ottenne il comando della terza divisione militare (6 ottobre 1818). Due anni dopo (2 luglio), a Nola gli ufficiali Morelli e Silvati iniziarono la rivoluzione al grido di "viva la Costituzione", e il P. fu mandato a sedarla, ma alla notizia che il re prometteva una libera costituzione, entrò trionfalmente in Napoli alla testa delle schiere costituzionali e fu creato comandante supremo dell'esercito; ma si trovò in contrasto col Carascosa, ministro della Guerra. Sopraggiunta l'invasione austriaca (8 gennaio 1821), il P. comandò una parte dell'esercito napoletano che il vicario del regno inviò contro gli Austriaci, ma la rotta di Rieti sbandì ogni velleità da parte dei liberali e il P., costretto all'esilio (21 marzo), prese imbarco su una nave spagnola. Sceso in Inghilterra, iniziò colà il lungo esilio durato fino al 1848. A Londra ebbe onorevoli accoglienze - particolarmente ambita fu dal P. l'amicizia del Foscolo - e diede alla luce (Parigi 1822) una narrazione degli avvenimenti napoletani del 1820-21 (tradotta in francese, in spagnolo e in inglese), per cui ebbe a sostenere un duello con il Carascosa. Nel 1830 andò a Parigi sperando salute all'Italia dalla rivoluzione di luglio; e quando ebbe notizia di quella dell'Italia centrale del febbraio 1831, corse a Marsiglia, poi a Lione, dove apprese il fallimento di quel moto. Tornato a Parigi, si dedicò a studî storici, e coltivò estese conoscenze con gli esuli del '31 e con gli uomini politici francesi più in vista. Nel 1833 pubblicò una Memoria sui mezzi che menano all'italiana indipendenza, con prefazione di A. Carrel; nel 1836 l'Italia militare, con prefazione del Thibaudeau; nel 1839 l'Italia politica, e nel 1846, in due volumi, le Memorie intorno alla sua vita e ai recenti casi d'Italia. Nel marzo del 1848 le vicende italiane lo decisero a tornare in patria. Il 29 di quel mese entrò in Napoli, dove fu accolto in trionfo e dal re Ferdinando II riconfermato nel grado di generale ed ebbe affidato il comando dell'esercito spedito nel Veneto contro gli Austriaci. Partì il 3 maggio; e sbarcato ad Ancona cinque giorni dopo, vi assunse il comando delle truppe che man mano, con studiata lentezza, erano giunte o giungevano dal regno. Andato a Bologna, ebbe notizia dei tragici fatti del 15 maggio a Napoli e del richiamo delle truppe napoletane. Indotto dalle esortazioni del popolo bolognese, il 22 maggio il P. scrisse a Ferdinando II che la sua coscienza di soldato non gli permetteva di ubbidirgli; e mentre la maggior parte dell'esercito prendeva la via del ritorno, egli, alla testa di quanti avevano approvato la sua decisione, varcò il Po a Ferrara (10 giugno), e di là per Rovigo, accettato l'invito del Manin, entrò il 13 giugno in Venezia, dove il governo di quella repubblica lo nominò generale in capo dell'esercito (16 giugno). La sua azione, specialmente negli ultimi giorni della storica difesa, fu argomento di aspre critiche. Caduta la città (23 agosto 1849), il P. si avviò di nuovo in esilio. Giunto a Corfù (29 agosto), s'imbarcò per Genova (8 ottobre) e alla fine di novembre raggiunse Parigi. Colà attese a stendere le sue memorie sui Casi d'Italia negli anni 1847, '48, '49, date alla luce a Torino nel 1850, e subito dopo il colpo di stato del 2 dicembre partì per il Piemonte e a Torino trascorse gli ultimi suoi anni.

Bibl.: F. Carrano, Vita di G. P., Torino 1857; M. Mazziotto, Lettere di G. P., in Rass. stor. d. Risorg., 1916; V. Marchesi, Storia docum. di Venezia negli anni 1848-49, Venezia 1917; G. M. Monti, La difesa di Venezia nel 1848-49 e G. P., Roma 1933.