GRANDI, Guido

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002)

GRANDI, Guido

Ugo Baldini

Nacque a Cremona il 10 ott. 1671 da Pietro Martire, ricamatore in oro, e Caterina Legati. Battezzato con il nome di Francesco Lodovico, lo mutò in Guido quando entrò tra i camaldolesi. La famiglia, di condizione modesta, era di religiosità schietta, e i Legati avevano una tradizione culturale: nel Seicento un Domenico Legati era stato scrittore di rinomanza locale e uno zio materno del G., Lorenzo, medico e lettore di greco nello Studio di Bologna, pubblicò un inventario del Museo Cospiano. Non vi è notizia certa di altri figli.

Il G. studiò prima con il sacerdote Pietro Canneti - che, fattosi camaldolese e avanzato nell'Ordine (divenne generale), gli fu sempre vicino - poi nella scuola locale dei gesuiti. Vi studiò la retorica (mostrò poi un solido possesso della latinità) e nel 1687, studente di filosofia, vi conobbe G. Saccheri, che insegnava latino ed "ebbe la bontà d'instillarmi li primi amori a questa scienza [la filosofia] e di condurmi sin là dove io ero per allora capace d'arrivare"; il matematico gesuita, però, non fu suo docente. Del corso filosofico (privo della matematica) il G. seguì solo la logica, perché verso il Natale del 1687, forse per l'esempio del Canneti e la tendenza agli studi, entrò nel monastero camaldolese di S. Apollinare in Classe a Ravenna, dispiacendo al padre che lo voleva giureconsulto. Nel 1688 professò; dopo il noviziato completò in S. Apollinare il corso filosofico con il padre C. Galamini, ligio alla scolastica. Il G. reagì al verbalismo delle lezioni (che ancora escludevano la matematica) coltivando le lettere e studi storico-agiografici, in un gruppo animato dal Canneti. Poiché i novizi erano esclusi dalla locale Accademia dei Concordi, pure diretta dal Canneti, con alcuni condiscepoli ne fondò una, "dei Gareggianti": nel 1688 vi lesse una critica della morale senechiana, nel 1689 trattò di s. Romualdo, fondatore dei camaldolesi, e nel 1690 della povertà della poesia (una sua Academiae certantium historia è in Pisa, Biblioteca universitaria, Mss., 79; B. Tanucci scrisse che aveva fondato l'Accademia contro i Concordi, ma non vi è conferma e il legame con il Canneti pare smentirlo). Secondo il biografo G. Ortes, fuggì subito dal secentismo, avendo a modelli poetici Dante, Petrarca, Ariosto e Berni. In S. Apollinare il G. scrisse anche (1691) un'opera di teoria musicale, rivista in seguito (le due stesure sono in Pisa, Biblioteca universitaria, Mss., 80 e 81); nel 1691 terminò un Martyrologium Camaldulense. A fine 1692 fu inviato a Roma, in S. Gregorio al Celio, per il corso di teologia, ancora con il Galamini (rivale del Canneti e inviso al Grandi). Secondo Ortes fu ammesso allora in Arcadia e vi lesse egloghe mai edite, ma nelle carte dell'Accademia il G. compare solo dall'ottobre 1694, quando con Canneti e Galamini, con il nome di Dubeno Erimanzio, fondò una colonia in S. Apollinare. Una Vita di G.F. Ruota, apparsa con il nome di F. Arisi nelle Notizie istoriche degli Arcadi morti (II, Roma 1720, pp. 116-121), è in sue carte nella Biblioteca Classense di Ravenna (Misc., XIX, 18), ma l'attribuzione al G. è discussa. A Roma forse studiò il diritto canonico: Ortes gli attribuì competenze e scritti giuridici, che il successivo intervento nel dibattito sulle Pandette forse conferma. Non amò la teologia scolastica, anche se poi la insegnò, e i suoi interventi su temi religiosi furono sempre "positivi" (storici, canonistici). Nel 1693 terminò un commento alla Vita beati Romualdi di s. Pier Damiani (secondo Ortes rifuso in un'edizione veneziana della Vita: forse quella in Acta sanctorum Ordinis S. Benedicti, Venetiis 1733-38, Saeculum sextum, I, pp. 246-276).

Nel 1694 il G. divenne magister, ma gli fu negato un insegnamento, forse perché "alieno dalle formalità delle scuole" (Ortes). A.F. Caramelli, superiore di qualche apertura, lo fece però nominare lettore di filosofia nel suo monastero fiorentino, S. Maria degli Angeli, dov'era insegnata la matematica: così il nuovo lettore scoprì Euclide e presto procedette da solo, studiando Apollonio, Pappo e Archimede.

Dapprima, dunque, la sua matematica non incluse l'algebra recente, la geometria analitica e ancor più l'analisi, anche per limiti di ambiente (V. Viviani - antico discepolo di Galileo e matematico più noto a Firenze, con il quale il G. fu presto in contatto - e i suoi allievi restavano ai metodi della geometria classica e di B. Cavalieri). Con la matematica pura coltivò le applicazioni: tra 1699 e 1700 mostrò buone conoscenze in ottica, meccanica, astronomia. Presto preparò la nuova versione del trattato di armonia scritto a Ravenna, basata sull'acustica e dedotta da pochi assiomi; fu incaricato di insegnare la matematica nel monastero.

Intanto, preparando i corsi di filosofia, conobbe i Principia cartesiani, che divennero struttura portante del suo insegnamento, distinguendolo da un altro filone "moderno" nella cultura toscana: l'atomismo gassendiano, bandito ma presente in docenti di filosofia e scienze. Nel 1697, insegnando ancora la matematica, passò dalla cattedra filosofica a quella teologica. Sue lezioni di teologia sono nel ms. 59 della Biblioteca universitaria di Pisa (fu contrario al probabilismo e ai teorici del "peccato filosofico": quindi, in entrambi i casi, ai gesuiti). Tuttavia si dedicò sempre più alla matematica, anche in usi teologici: Ortes cita una digressione sulle serie in lezioni sulla visione di Dio. Nel 1699 una conversazione presso A. Magliabechi occasionò il suo primo lavoro scientifico.

Si parlò di un problema di quadratura proposto da Viviani negli Acta eruditorum del 1692, risolto da matematici europei con l'analisi mentre Viviani ne aveva dato, senza prove, una soluzione geometrica. Il G. ne fornì subito una prova parziale e poi una molto generale, che stampò (Geometrica demonstratio Vivianeorum problematumAddita etiam appendice de geometrica quadratura infinitarum partium curvae superficiei conicae…, Florentiae 1699); usò in parte considerazioni infinitesimali (in forma sintetica, non analitica) ma, soprattutto, il metodo di Cavalieri, pur con modifiche. L'opera, recensita negli Acta eruditorum (X [1701], pp. 26-28), iniziò a renderlo noto in Italia e all'estero.

Il granduca Cosimo III volle conoscerlo. Nel tardo 1699, chiamato di nuovo a Roma in S. Gregorio per leggere teologia, iniziò una delle corrispondenze più ampie, quella con Tommaso Ceva, matematico del collegio gesuitico di Milano; fu forse allora che frequentò l'Arcadia.

Alla poesia - soprattutto latina - il G. restò sempre fedele. A parte i 380 esametri della Diacrisis, la Geometrica demonstratio dei problemi di Viviani è preceduta da un'egloga latina, la Quadratura da 15 distici latini a Gian Gastone de' Medici, il De infinitis da altri 84 e l'Antilunario da 2 sonetti. Due sonetti e una canzone sono in Rime degli Arcadi (VII, Roma 1717, pp. 196-205), un'ampia descrizione del sistema solare (circa 250 versi) è nella Scelta di canzoni, Venezia 1756, pp. 289-297, di Teobaldo Ceva, che aveva inserito anche un sonetto del G. nella Scelta di sonetti (Venezia 1737, p. 236). Versi inediti sono in Pisa, Biblioteca universitaria (Mss., 74) e nella Classense di Ravenna (Mss., cam. B, arm. 5, X/4, n. 5); una versione italiana del poemetto di F. Paruta La gelosia, in vernacolo siciliano, sembra perduta. Ortes e altri lodarono gli epigrammi che improvvisava (anche contro gli avversari), che non sembrano conservati.

Nel maggio 1700 il granduca, sollecitato dal Caramelli e da E. Noris, offrì al G. una lettura straordinaria di filosofia (ordinaria dal 1706) a Pisa, dove restò per sempre, rifiutando offerte delle Università di Torino e Padova e forse della Curia romana, divenendo influente e formando futuri intellettuali, funzionari e tecnici del Granducato. Sciolto, per la fiducia di Cosimo e lo stato religioso, da decreti che imponevano una sostanziale ortodossia aristotelica, il G. si riferì ancora - ma con libertà - al modello cartesiano e, soprattutto, avviò la filosofia al passaggio da studio astratto-aprioristico e, in larga parte, metafisico a uno fisico a crescente componente matematica. Inserì nei corsi meccanica, ottica, idraulica e astronomia: anche lezioni de ortu mundi e de anima et sensibus ebbero contenuti in buona parte moderni.

Il G. non promosse però il passaggio dal modello cartesiano al newtoniano. Nel 1700, discutendo tesi di Tommaso Ceva (nel De natura gravium) connesse alle idee di Newton, riluttò ad accettarle. Con Newton corrispose solo su temi matematici e i Principia mathematica (ricevuti nel 1704) destarono la sua stima ma non - pare - adesione totale. Nell'Antilunario criticò due tesi comuni all'inglese e ai galileiani, il vuoto e la discontinuità della materia; nel 1714 obiettò alle critiche di C. Galiani alla fisica cartesiana e scrisse che l'attrazione ristabiliva le qualità occulte aristoteliche; nel 1725 lo ripeté e nelle Instituzioni meccaniche, scritte prima ma pubblicate nel 1739, non trattò la dinamica newtoniana. Perciò, scrivendo che l'attrazione parve al G. "la cosa più sensata che siasi giammai detta in fisica", Ortes riportò una convinzione tarda oppure si riferì all'apparato di calcolo più che alla cosmologia sottostante; G.G. De Soria, allievo e successore del G. nell'insegnamento pisano di filosofia, sostenne di essere stato il primo a presentare dalla cattedra la fisica dell'attrazione.

Due lettere del 1711 di un ex allievo, C. Godemini, che conciliano la cosmologia cartesiana con creazionismo e finalismo cristiani (L. Spruit, Godemini,Cesare, in Diz. biogr. degli Italiani, LVII, Roma 2001, pp. 503 s.), informano sulle idee del G. forse più che altri allievi (C. Taglini, G.C. Fromond, De Soria, Ortes) che con lui studiarono solo matematica e più tardi, in un clima intellettuale mutato. Suoi corsi filosofici restano nella Biblioteca universitaria di Pisa (Mss., 48: De meteoris; 49: Istituzioni di fisica; 50: Praelectiones). Ortes insisté sull'ostilità del G. a sistemi deduttivi totalizzanti e sul suo scetticismo circa la possibilità di matematizzare la fisica. Il suo uso dello strumento scientifico non tese a esiti preilluministici in cosmologia e metafisica. I contenuti scientifici e filosofici moderni che assorbì dagli anni '90 risalivano a più di un cinquantennio prima; in seguito, da solo e con dotazioni librarie parziali, assimilò gli sviluppi della matematica, passando dai classici ellenistici all'analisi dopo Newton e Leibniz; dopo il 1700 dovette ancora seguire progressi incalzanti. Lacune e dislivelli furono quindi inevitabili, meno in matematica pura che in fisica matematica (soprattutto in meccanica celeste); i suoi interessi in astronomia e fisica sperimentale, discontinui, non produssero pubblicazioni. Per la lunghezza del periodo formativo la sua produzione va considerata in modo evolutivo, ma i suoi pronunciamenti in cosmologia e astronomia si fermano al 1723 e riguardano questioni e teorie anteriori. Da ciò incongruenze, circa la fisica newtoniana ma anche l'eliocentrismo, non spiegabili solo con la proibizione ecclesiastica (nella Diacrisis, vv. 347-352, pur in incognito, scrisse che l'eliocentrismo non era dimostrato, e in seguito evitò il tema).

Esibì una cultura matematica più aggiornata la Geometrica demonstratio theorematum Hugenianorum circa logisticam (Firenze 1701), su proprietà della curva logaritmica enunciate da C. Huygens, che il G. generalizzò con metodi algebrici, espansione in serie e considerazioni infinitesimali, seppure ancora in forma sintetica. Dopo recensioni in Mémoires de Trévoux (II, 1706, p. 1051), Journal des sçavans (36, 1707, pp. 229-237) e Acta eruditorum (1706, p. 149), i suoi teoremi furono inclusi nell'edizione Amsterdam 1728 delle opere di Huygens. Dal 1700 il G. studiò l'analisi su fonti francesi e tedesche, preceduto di poco a Bologna da G. Manfredi e V.F. Stancari, con i quali corrispose; ma il suo primo edito nel settore (primo italiano), la Quadratura circoli et hyperbolae per infinitas hyperbolas et parabolas quadrabiles geometrice exhibita, apparve a Pisa nel 1703.

Secondo Ortes insegnò il nuovo calcolo dal 1702, in corsi privati, primo in Italia, anche se le lezioni note sono più tarde (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashb., 919, De calculo differentiali; Bologna, Biblioteca univ., Mss., 938, XI/1, Algebra, De calculo differentiali, De calculo integrali; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. lat., cl. VIII, 96, Algebrae, sive Analyticae elementa; Ravenna, Biblioteca Classense, Misc., XXI/5, Rationum proportionum et progressionum elementa analytice exposita; Pistoia, Biblioteca Forteguerri, Racc. A. Chiappelli, 153, Algebrae tractatus; Pisa, Biblioteca universitaria, Mss., 37, Algebra volgare; 68, Algebrae, sive Analyticae elementa). Il G. impiegò flussioni newtoniane e differenziali leibniziani, con prevalenza dei secondi. La Quadratura, prima prova sul nuovo terreno, non fu originale e Oltralpe parve scontata (nel 1705 Leibniz lo fece capire nel ringraziare l'autore per l'invio di un esemplare, pur apprezzandone le capacità; il G. l'inviò anche a Newton, che ricambiò con l'Opticks e i Principia). Tuttavia un punto del testo, il corollario 3 alla prop. VII, avviò poi un dibattito di ampiezza europea. In una prima stesura, sostenuto che una serie del tipo a-a+a-a+a-a… = ½ a, il G. aveva aggiunto che se una somma di infiniti addendi nulli (a-a = 0) è diversa da 0 ciò mostra possibile la creazione divina. Il censore alle stampe, A. Marchetti (matematico a Pisa), permise la pubblicazione senza l'aggiunta; il G. cedette, ma con risentimento. La Quadratura introdusse la versoria o versiera, curva studiata poi da M.G. Agnesi (fu detta anche "cubica dell'Agnesi" o, fraintendendo versoria, "strega dell'Agnesi"). Questo terzo lavoro lo inserì in un circuito ampio; tra i matematici, oltre a Tommaso Ceva, Manfredi, Stancari, Leibniz (cui fornì anche notizie per la storia della casa di Brunswick), corrispose con Newton, G. Ceva, E. Manfredi, Saccheri, D. Gregory, G.C. Fagnani, J. Hermann (tramite con i leibniziani), F. Bianchini, T. Dereham, P.M. Doria, C. Galiani, T. Narducci, G. Poleni, B. Zendrini. Corrispose anche con cultori di altre scienze (tra i più noti: G.M. Lancisi, F.M. Zanotti, A. Vallisnieri, G. Del Papa, A. Cocchi, G. Zambeccari, L. Bellini, G. Baglivi, L.F. Marsili, C. Taglini, W. Sherard), filosofi e poligrafi (G.G. De Soria, A. Conti, I. Facciolati, P. Giannetti), eruditi e storici (Magliabechi, A. Calogerà, G. Fontanini, A.F. Gori, G. Lami, E. Noris, A.M. Querini, Montfaucon e Muratori), religiosi (incluso P. Lambertini, il futuro Benedetto XIV). Le lettere al G., nei Mss. 83-99 della Biblioteca universitaria di Pisa, sono più di 4000 (Ferrari). Quelle sue, pur localizzate solo in parte e spesso perdute (come quasi metà di quelle a Tommaso Ceva e molte di quelle a F. Arisi, amico di gioventù e fonte sul G. privato), avvicinano il totale a 5000: Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 635/5, 636; Biblioteca dell'Osservatorio astr., caps. XXXVII; Cremona, Biblioteca civica, Mss. civ., AA.437; Modena, Biblioteca Estense, Arch. Muratori, L.67, f. 28 (vedi L.A. Muratori, Epistolario, a cura di M. Campori, Modena 1901-22, ad ind., ed Edizione nazionale del carteggio di Ludovico Antonio Muratori, IV, Carteggio con Francesco Arisi, a cura di M. Marcocchi, Firenze 1975, pp. 148-150, 154 s., 162 s. e passim, ma anche gli indici degli altri volumi); Milano, Biblioteca naz. Braidense, Mss., AF.XIII, 13/7, 1-8 (lettere del G. a T. Ceva); Camaldoli, Arch. dell'abbazia, Mss., C.M.626, p. II, cc. 39-72v, 217r-238v; C.M.624, cc. 3r-44r; Napoli, Biblioteca della Società napoletana di storia patria, Mss. Galiani, XXX.D.5, XXX.A.3; Ravenna, Biblioteca Classense, Misc., XXX, n. 31 (lettere al Canneti, G.M. Lancisi, G.B. Mittarelli e altri); Roma, Biblioteca Vallicelliana, Fondo Bianchini, U.16, nn. 439-443; Roma, Biblioteca dell'Acc. naz. dei Lincei e Corsiniana, Mss. Rossi, 1906, 44.E.17; 1922, 44.F.17; San Pietroburgo, Biblioteca Saltykov Ščedrin, 975 (102 lettere ad A. Calogerà: C. De Michelis, L'epistolario di Angelo Calogerà, in Studi veneziani, X [1968], p. 659). Per la parte scientifica la corrispondenza ha scarsi analoghi nel primo '700 italiano; è essenziale anche sulla vita intellettuale, gli ordini religiosi, i dibattiti storiografici, i rapporti di figure scientifiche con governi e uffici locali. L'entità ne ha finora impedito un'edizione completa, ma crescono quelle delle corrispondenze con singoli.

Tra 1703 e 1709 il G. seguitò ad aggiornarsi (ma nel 1712 J. Hermann scrisse a Leibniz che le sue conoscenze in analisi non erano di avanguardia); tuttavia sospese le pubblicazioni matematiche per dedicarsi ad altre storiche. Criticò la Vita s. Petri Damiani (Roma 1702) di G. Laderchi in un dialogo latino anonimo, diviso in quattro colloqui (Seiani, et Ruffini dialogus de Laderchiana historia s. Petri Damiani, Parisiis [forse Lucca] 1705; un quinto non fu pubblicato; l'opera fu recensita nel Journal des sçavans, 1708, pp. 607-609). Soprattutto, però, il G. ripercorse le origini del proprio ordine nelle quattro Dissertationes Camaldulenses (Lucca 1707).

Al Laderchi imputò 77 errori di lingua e 100 storici; Muratori approvò, pur dissentendo dal tono. Le Dissertationes, frutto di ricerche ampie, destarono però reazioni soprattutto in rapporto a fatti di grande valenza devozionale. Oltre a punti di fatto, spiacque ai confratelli il dubbio sulla "visione della scala", evento fondante nell'agiografia dell'Ordine; si cercò di impedire la stampa della dissertazione che ne trattava e al G. fu vietato l'accesso all'archivio di Camaldoli; fu anche privato del governo di S. Michele e, secondo A.M. Bandini, "extra familiam eiectus". Per tutelarlo, nello stesso 1707 Cosimo III (che aveva incoraggiato la stampa delle Dissertationes) lo nominò suo matematico, poi anche suo teologo; nel 1715, poi, lo fece nominare da Clemente XI abate della provincia toscana (sino ad allora dipese da S. Apollinare). Infine, nel 1717, il papa lo fece abate di S. Michele a vita per premiarne le consulenze in materia fluviale allo Stato pontificio. Tra gli storici il suo primo critico fu A. Zeno (Giornale de' letterati d'Italia, 1712, n. 9, pp. 320-444; 1712, n. 12, pp. 166-202). Fu contestata l'associazione dell'eremo di Fonte Avellana a Camaldoli, mentre la filiazione di quello di Vallombrosa dalla Congregazione camaldolese fu respinta dal vallombrosano F. Soldani nelle Questioni istoriche cronologiche vallombrosane (Lucca 1731). Il G. rispose con il nome di un confratello (Risposta del p. d. Vitale Marzi da Faenza… alle Questioni vallombrosane…, Faenza 1732) e Soldani ribatté con la Seconda parte delle questioni… vallombrosane… in replicaalla risposta del padre d. G. G. … (Firenze 1733), cui seguì un'altra replica a nome del Marzi (Lettere apologetiche… in difesa della sua risposta già data alle Qq. vallombrosane…, Faenza 1733). Una nuova risposta del Soldani non ebbe il permesso di stampa, secondo G. Lami e il Bandini per pressioni del G.; Ortes lo negò, ma un intervento indiretto tramite il Bottari e il card. A. Salviati sembra provato. Un esame complessivo delle tesi del G. venne poi negli Annales Camaldulenses di G.B. Mittarelli e A. Costadoni, Venezia 1755-73 (luoghi in Tenca, G. G. matematico cremonese, p. 507). Tuttavia nella sostanza le Dissertationes estesero la metodologia critica a un intero comparto della storia monastica; Muratori le apprezzò e circolarono ampiamente (la diss. IV, De s. Petro Damiani et Avellanitarum instituto Camaldulensi, anche in una ristampa nell'edizione Bassano 1783 degli Opera omnia del Damiani, I, pp. XXV-XCVI).

Altri lavori storici restano inediti o in frammenti. Una Series abbatum monasterii S. Michaelis in burgo Pisarum è in Firenze, Biblioteca Moreniana, Mss., 198, IV, 2, cc. 12r-24v; l'Universitaria di Pisa conserva frammenti e documenti (Mss., 53-55), vite di santi camaldolesi (72), il Martyrologium Camaldulense (76) e un Sanctuarium Camaldulense (77). Ortes cita un frammento di annali dell'Ordine (poi realizzati dal Mittarelli) dal 907 al 962 e altri minori; a documenti raccolti per quest'opera il G. si riferì nel 1727 in una lettera sulle origini della lingua italiana al padre V. Valsecchi, suo collega nell'università, inclusa dal Muratori nelle Antiquitates Italicae Medii Aevi (II, Mediolani 1739, coll. 1031-1034).

Nel maggio 1708, in una lettera a L. Magalotti, il G. spiegò la teoria musicale esposta da N. Marsh nel n. 156 delle Philosophical Transactions della Royal Society. Inviò la spiegazione alla stessa Royal Society, presieduta dal Newton, che la stampò nelle Transactions (Disquisitio geometrica in systema sonorum d. Narcisi Marsh Arch. Armacani, 1709, n. 319, p. 270; rist. in [T. Dereham], Saggio delle transazioni filosofiche della Società regia dall'anno 1700 fino al 1720, II, Napoli 1731, pp. 35-45, e nella Raccolta di opuscoli scientifici e filologici di A. Calogerà, 25, Venezia 1741, pp. 209-239). Nel maggio 1709 Newton fece associare il G. alla Royal Society, che così si aggiunse alle accademie cui apparteneva: l'Arcadia, l'Etrusca di Cortona, quella milanese dei Vigilanti di Clelia Del Grillo Borromeo, i Fisiocritici di Siena. Inviò testi anche all'Istituto delle scienze di Bologna e tenne lezioni nella Crusca e nell'Accademia fiorentina; Ortes informa che lesse versi in cenacoli letterari. Hanno forse origine accademica la lezione An "voglie" ex maternae imaginationis vi procreentur (Ravenna, Biblioteca Classense, Misc., XXI, 6) e le Riflessioni sopra li scrittid'architettura civile del sig. B. Vanni (Firenze, Accademia di belle arti, Mss., E.2.1.30), prova di un interesse per l'architettura confermato da Ortes e da considerazioni sulla geometria del ponte dell'Ammannati a Firenze. Non fu però tentato dalla mondanità: le fonti parlano di vita ritirata, di una piccola cerchia di amici e poca cura di apparire (per Ortes ebbe "portamento materiale, e disadatto; a tal, che dall'esterna sembianza non si sarebbe creduto che ricettasse sì grand'ingegno"). La convinzione della superiorità della matematica tra le attività intellettuali, mai celata, gli creò ostilità. Anche allievi, pur riconoscendo doti e meriti, lo criticarono o se ne allontanarono, come mostrano anche un necrologio e Memorie sul G. pubblicati anonimi dal Lami nel 1742. Una biografia del confratello A. Costadoni (conservata a Camaldoli) fu più favorevole ma nel 1744, forse per motivi di competenza scientifica, fu sostituita dalla Vita di Ortes, la più notevole e simpatetica di quelle di contemporanei. Per contrastarla Lami convinse A.M. Bandini a scriverne una molto più chiaroscurale, che fu di spessore nettamente inferiore. Anche il Fromond, confratello e collaboratore, accreditò poi alcune accuse e il De Soria, pur allievo fedele, lasciò sul G. uno schizzo così breve e neutro da apparire reticente.

Allo scritto sulle idee del Marsh seguirono altri lavori scientifici, talora collegati a polemiche.

Il G. era ormai il maggior matematico del Granducato, ma a Pisa insegnava Marchetti, noto traduttore di Lucrezio, epigono galileiano e capofila antiaristotelico nell'ateneo. Se il G. riteneva solo esteriore la sua brillantezza, Marchetti non gradiva la sua fama e criticò in pubblico la Quadratura; il monaco allora la ripubblicò (Pisa 1710) con l'aggiunta espunta nel 1703. Attribuì la censura all'intento di scalfire la sua reputazione, sminuì i lavori matematici del rivale e adombrò che si opponeva alla sua tesi perché essa, smentendo il lucreziano "ex nihilo nihil, in nihilum nil posse reverti", dava supporto conoscitivo alla fede e ne smentiva il contrasto con la scienza. Nella Lettera nella quale si ribattono l'ingiuste accuse, date dal p. d. G. G. nella seconda edizione… della Quadratura… (Lucca 1711) Marchetti accusò il G. di aver mutato la giunta al corollario, negò l'irreligiosità e difese i propri lavori scientifici. Il G. rispose con Dialoghi… circa la controversia eccitatagli contro dal sig. dottore Alessandro Marchetti (Lucca 1712). Il dialogo era in realtà uno perché, su spinta delle autorità accademiche, rinunciò a pubblicarne tre altri, ora nel ms. 43 della Biblioteca universitaria di Pisa, che però rifuse in una Risposta apologetica… alle opposizioni fattegli dal signor dottore A. Marchetti… (Lucca 1712), ancora sugli errori scientifici dell'avversario, in particolare nel De resistentia solidorum del 1669. Poi, avendo Marchetti, con lo pseudonimo di P.L. Ricci, pubblicato a scopo di lucro Predizioni astrologiche (Lucca 1711), sebbene il galileismo negasse senso all'astrologia, il G., con lo pseudonimo di Nicolò Ripardieri e ostentando di ignorare l'identità dell'autore, gli contestò 200 errori cronologico-astronomici e ne deplorò le idee atomistiche (Antilunario in cui con CC note sagre, astronomiche, e varie, si scuoprono… alcuni sbagli occorsi nel Lunario stampato in Lucca quest'anno 1711…, Dublino [ma Lucca] 1711). Marchetti tacque sulle Predizioni, replicando alla Risposta: la Lettera scritta a… il sig. Bernardo Trevisano… (Pisa 1713) annunciò una risposta ampia, che fu il Discorso… dedicato al… signor Bernardo Trevisano… (Lucca 1714). In questo, difeso il De resistentia, aggiunse che Viviani ne aveva ostacolato la pubblicazione per precederlo con un proprio lavoro sul tema, ma aveva rinunciato dopo aver letto il suo. A questo il G. volle rispondere anche dopo la morte del contendente (perché, si disse, i figli del Marchetti insistevano nella polemica): nel 1718 incluse nelle Opere di Galileo l'inedito di Viviani, mostrandolo originale e superiore al De resistentia.

Anche questo scontro ebbe echi (Giornale de' letterati d'Italia, 1710, n. 3, p. 525; 1711, n. 8, pp. 437 s.; 1713, n. 13, p. 473; n. 14, pp. 407-409, 427-429; n. 15, pp. 227-246; 1714, n. 17, pp. 60-75; Acta eruditorum, 1713, gennaio, pp. 26-32; novembre, pp. 511-519; Supplementa, VI [1717], pp. 26-29). Il dibattito sulla serie a-a+a-a… coinvolse i grandi matematici del tempo: con il G. furono Leibniz (Acta eruditorum, Supplementa, V [1713], pp. 260-270), Jakob, Daniel e Nicolas Bernoulli e - con distinzioni - Euler e Lagrange; gli furono contro G. Verzaglia, Johann Bernoulli, Hermann, Varignon. La questione passò al grande pubblico in scritti come il diffuso De charlataneria eruditorum di J.B. Mencken (vedi ad es. l'ed. IV, Amsterdam 1727, p. 203 n.). L'asprezza del G. si spiega anche con l'urto tra due linee del galileismo. Nel "laico" Marchetti antiaristotelismo e sperimentalismo si univano a una cosmologia atomistica non apertamente agnostica, ma che spezzava la continuità tra scienza e teologia che il G. voleva difendere, seppure in modi non tradizionali (nel 1729, forse riflettendone le idee, l'agostiniano C. Rabbi pubblicò a Faenza un De mathematicarum disciplinarum ad theologiam utilitate, dedicato a lui). Questa difesa gli fu cara quanto la posizione antiaristotelica e antiscolastica poi assunta nella polemica con il Ceva e M. Della Briga; perciò si può accostarlo a istanze preilluministiche solo per l'apertura scientifica e l'accettazione del metodo critico.

Con la De infinitis infinitorum, et infinite parvorum ordinibus disquisitio geometrica (Pisis 1710), prova della realtà degli ordini di infiniti e infinitesimi, il G. ringraziò la Royal Society per l'ammissione e contrastò una critica di P. Varignon alla dizione "più che infinito", usata da J. Wallis. Pure nel 1710, con l'indicazione di Roma (ma la stampa avvenne forse a Napoli) e il titolo Considerazioni del p. d. Guidone Grando, e del sig. N. N. sopra la scrittura del sig. Luc'Antonio Porzio circa il moto de' gravi per il piano inclinato, apparve una sua lettera a B. Intieri (1706) sui De motu corporum nonnulla di L.A. Porzio (Napoli 1704). Il G. si dissociò da note che criticavano Porzio, disse l'edizione non autorizzata - irritando Intieri che l'aveva promossa - e ne stampò una seconda (Epistola mathematica de momento gravium in planis inclinatis; deque directione fulchri in mechanicis attendenda, Lucae 1711) con note di un Mario Ceniga, pseudonimo di un allievo, G. Vernaccini. Vi replicò anche a G. Tambucci, allievo di V. Giordani, docente di matematica nell'Università di Roma, pure critico del Porzio, che aveva reagito a osservazioni del G. sul maestro con una lettera Illustrissimo domino Iosepho Davanzati… ("Romae Kal. Aprilis 1711"), ispirata dal Giordani.

Il De infinitis sostenne che Wallis aveva inteso "più che infinito" in senso relativo, non assoluto. Il Varignon replicò in una lettera al Giornale de' letterati d'Italia (1711, n. 5, pp. 336-338: la rivista aveva recensito l'opera del G. in 1710, n. 2, p. 506 e n. 6, p. 212), poi negli Acta eruditorum (1712, aprile, pp. 154-166) irridendo il "Grandinus"; il G. rispose con una Prostasis ad exceptiones cl. Varignonii libro de infinitis infinitorum ordinibus oppositas… (Pisis 1713). Nel dibattito che seguì (Giornale de' letterati d'Italia, 1711, n. 6, pp. 308-314, 503-506; 1712, n. 10, pp. 505 s.; 1713, n. 14, pp. 426 s.; Acta eruditorum, 1713, maggio, pp. 221-223) il G. non prevalse, ma la Royal Society lo ringraziò con una copia del Commercium epistolicum con il quale, nel 1713, aveva rivendicato a Newton l'invenzione dell'analisi e accusato di plagio Leibniz. Nel 1714 Newton inviò al G. la seconda edizione dei Principia. Già nel 1710, nella seconda edizione della Quadratura (pp. XIII s.), il G. aveva accennato alla priorità di Newton; letto il Commercium scrisse a F. Bianchini che la questione era definita. Nel De infinitis il G. giustificò anche le tesi preformiste in genetica, ipotizzando che il seme maschile consti di organismi identici all'adulto, ognuno contenente semi e così scalarmente: lo sviluppo di un organismo sarebbe il passaggio di un infinitesimo di primo ordine all'ambito del visibile, di uno del secondo al primo e così di seguito (p. 10 nn. 97-100). L'idea passò ad A. Vallisnieri, già sostenitore di Marchetti ma poi corrispondente del G.; questi propose un modello matematico per un fatto di genetica anche nel Florum geometricarum manipulus (1723) e nei derivati Flores geometrici (1728): lo scolio alla prop. XII della parte I ipotizza che la struttura di un fiore sia una matrice matematica, fissata in microstrutture negli stami. Quanto al dibattito con Porzio e Giordani, dato che il primo non replicò, il G. lo proseguì con Tambucci-Giordani, cui nell'Epistola aveva proposto anche un problema geometrico, risolto poi da altri. Respinse le soluzioni del matematico di Roma in una Epistola Marii Caenigae Hieronymo Tambuccio (senza indicazioni di tipografia, datata Arezzo "Id. Sext. 1711") e attaccò un suo paralogismo. Infine Giordani ammise l'errore sul principio meccanico (Galilaei lemma circagravium momenta… instauratum, s.n.t., ma 1711), ma accettò la tesi del Porzio e non quella del G. (fedele a Galileo), proponendo al rivale due problemi dei quali questi pubblicò la soluzione nei Dialoghi contro Marchetti (Giornale de' letterati d'Italia, 1711, n. 6, pp. 503-506; Acta eruditorum. Supplementa, V [1713], pp. 406-408).

Queste contese riempiono gli anni dal 1710 al 1713. Il solo altro edito del G. fu la soluzione di problemi meccanici di un "Prete Studiapesi canonico perugino" (Giornale de' letterati d'Italia, 1713, n. 15, pp. 84-87; alle pp. 87-96 seguono le soluzioni di G.C. Fagnano, che poi corrispose con il G.; con J. Riccati, altro grande matematico che pure collaborava al Giornale, il G. ebbe solo una polemica indiretta nel 1720 su cose di idrostatica: I. Riccati, Opere, III, Lucca 1764, pp. 405-412). La soluzione del G. apparve anche in Acta eruditorum, 1714, gennaio, pp. 85-87. Nel 1714, morto Marchetti, passò sulla cattedra di matematica, che seguitò a insegnare anche nel monastero a confratelli quali G.C. Fromond e Ortes. Nell'università ebbe allievi in filosofia o matematica futuri esponenti dell'intellettualità toscana (G. Lami, C. Taglini, G.G. De Soria, T. Perelli, T. Narducci, il Godemini); tenne la cattedra fino alla morte, ma dal 1733 lo supplì talora Fromond. L'insegnamento è in parte documentato: De sectionibus conicis (1720), Elementa geometriae indivisibilium, Arithmeticae institutiones, Institutiones geometricae (1721), il problema An Archimedes Marcelli naves comburere potuerit (Ravenna, Biblioteca Classense, Misc., XI, 15; XXI, 3, 5, 7-8); due versioni degli Elementi conici, materiali geometrici e aritmetici, fisico-matematici o sperimentali (Pisa, Biblioteca universitaria, Mss., 42, 45-47, 49-51, 60-67, 78).

Ammesso il 13 ott. 1705 nel Collegio fiorentino dei teologi (fu esaminatore sinodale per le diocesi di Firenze, Pisa, Fiesole, Arezzo), il G. addottorò anche in teologia (tra gli altri, F. Foggini). Posto da Cosimo III a sovrintendere alle acque del Granducato, interventi e pareri gli tolsero tempo ed energie per la ricerca di base. Alcuni furono stampati (Riccardi, I, coll. 621-627, nn. 13-23, 35, 41, 50); sette, preceduti da un Trattato del movimento dell'acque (tra i più notevoli del primo '700 italiano, sebbene criticato per l'approccio troppo astratto), furono inclusi nel volume II (pp. 435-713) della Raccolta d'autori che trattano del moto dell'acque, edita a Firenze nel 1723, con il suo supporto, da T. Bonaventuri (le edizioni successive della Raccolta ne inclusero altri: vedi ad es. quella di Bologna 1821-26, IV, pp. 5-310). A queste perizie - su zone del Granducato e della Repubblica di Lucca - si unirono relazioni sulla vexata quaestio della regolazione del fiume Reno, che restano nella Biblioteca universitaria di Pisa assieme a testi su temi connessi (Mss., 36-41) e a una lezione su tesi idrauliche di F. Michelini (Mss., 42, ff. 64-69).

Il G. fu coinvolto nella questione del Reno nel 1716, quando con C. Galiani fu nominato perito di parte pontificia in una visita alle acque del Ferrarese. Nel 1717 fu a Roma per discuterne i risultati; nel 1719 fu ancora perito pontificio in una nuova visita che, con intervalli, si protrasse fino al 1721 senza un accordo, malgrado il livello dei partecipanti (oltre all'osservatore per gli Asburgo, G.L. von Lattermann, e a Saccheri per Pavia, che poi rinunciò, anche E. Manfredi, D. Corradi, G. Ceva e D. Moscatelli Battaglia). Le loro relazioni (alcune già edite a parte) furono poi incluse nella Raccolta.

Tornò poi ai suoi lavori. Nel 1718 aveva pubblicato a Firenze con il Bonaventuri e B. Bresciani tre volumi di Opere di GalileoGalilei nobile fiorentino, primario filosofo, e matematico del serenissimo gran duca di Toscana. Pur mancando il Dialogo, l'edizione fondò l'immagine illuministica di Galileo; nel volume III il G. inserì i Galleggianti di Archimede (con proprie note), il Trattato delle resistenze del Viviani (pp. 195-305), del quale generalizzò i risultati e che, come detto, comparò al De resistentia di Marchetti, proposizioni sul moto dei solidi nei liquidi (pp. 331-339) e una sintesi delle leggi del moto accelerato (pp. 385-428). Dopo un parere matematico-giuridico per una causa in corso a Firenze (Votum, sive Sententia de geometrica, non autem arithmetica, ratione in proposita facti specie attendenda… in Florentina praetensae lesionis, Florentiae 1721), pubblicò il Compendio delle sezioni coniche d'Apollonio con aggiunte di nuove proprietà delle sezioni medesime (Firenze 1722), tratto da un testo che usava nei corsi. Il manuale, spesso col titolo Istituzioni delle sezioni coniche, ebbe ampia fortuna, con edizioni e ristampe in latino e spagnolo. L'anno successivo seguì l'invio alla Royal Society di un Florum geometricorum manipulus, stampato nelle Philosophical Transactions (1723, n. 378, pp. 357-371).

Studio delle curve rodonee ("in forma di rosa", perché simili a fiori con un numero variabile di petali), che con le "clelie", cui si tornerà, sono il contributo matematico più noto del G.; fu ristampato come prima parte dei Flores geometrici del 1728, quindi da T. Dereham nel citato Saggiodelle transazioni filosofiche (IV, Napoli 1734, pp. 3-16).

Tra 1722 e 1723 ebbero anche avvio vicende che, se riproposero il G. al centro di dibattiti scientifici e culturali anche al di là delle Alpi, consolidarono i giudizi negativi di alcuni e gli procurarono amarezze. La prima nacque quando M. Dalla Briga, docente nel collegio gesuitico di Firenze, dedicò le tesi di un allievo alla conciliazione tra aristotelismo e nuova scienza proposta nella Philosophia novo-antiqua di T. Ceva (1704), criticando nella prefazione i nemici dell'aristotelismo, strumento per la difesa razionale della fede (Philosophia novo-antiqua Thomae Cevae… ab Accursio de Ricci… publice propugnata, Florentiae 1723). La critica sembrò diretta a professori pisani di filosofia e medicina allievi di Marchetti e L. Bellini, come P. Giannetti, amico personale del G. ma su posizioni più radicali (seppur dissimulate), che fece circolare una risposta ma, per cautela, la lasciò inedita. Tra i docenti il G. era l'unico cui il ruolo personale e la fiducia del granduca, ostile a novità filosofiche, consentivano in parte di esporsi. Rispose con 380 esametri latini, circolati prima manoscritti e, dopo la morte di Cosimo III, editi con due pseudonimi (per i versi e le note) senza luogo di stampa: Q. Lucii Alphei Diacrisis in secundam editionem Philosophiae novo-antiquae R.P. Thomae Cevae cum notis Iani Valerii Pansii, 1724.

Poemetto e note dapprima furono creduti del Giannetti, ma la paternità del G. fu certa già per Arisi, Lami e Ortes, sebbene egli la negasse. La Diacrisis criticò la cosmologia del Ceva e negò che l'aristotelismo fosse la filosofia della cattolicità, ricordandone l'uso nell'averroismo, nella teologia protestante e nella scolastica (equiparata a verbalismo sofistico). Distinse poi tra ateismo e corpuscolarismo, demarcò il secondo dall'atomismo classico e, soprattutto, il suo uso scientifico da quello filosofico. Quindi il G. separò la dottrina cattolica da uno strumento datato ma non ne suggerì uno alternativo e, soprattutto, non esaminò la congruenza della nuova visione del mondo con la cosmologia e cosmogonia bibliche. Così, mentre coglieva nella matematica una via alla fede, confinò la scienza della natura in un ambito che, come già rilevato in rapporto all'insegnamento filosofico, lo estraniò da molti dibattiti fondamentali nei suoi anni. La polemica proseguì: Ceva rispose con una nuova edizione della Philosophia novo-antiqua (Milano 1726) e Dalla Briga in nuove tesi di allievi edite a Firenze tra 1725 e 1729. Anche questo dibattito ebbe ampi echi (Giornale de' letterati d'Italia, 1726-27, n. 38, pp. 418 s.). I versi del G. parvero il punto di partenza di una querelle tra "vecchi" e "moderni" che negli anni successivi in Toscana si estese ad ambiti letterari e storico-filologici: perciò il Lami li premise alla Raccolta di composizioni diverse sopra alcune controversie letterarie insorte nella Toscana nel corrente secolo (Firenze 1761).

Un'altra controversia nacque dal parere chiesto al G. da G. Averani, giurista dell'ateneo, sulla Historia Pandectarum (1722) di H. Brenkmann, esame della vulgata secondo cui il codice pisano-fiorentino delle Pandette giustinianee, creduto la fonte della loro conoscenza in Occidente, era stato rinvenuto dai Pisani in una scorreria ad Amalfi.

In una lettera, datata "Kal. Octobris 1723" ma pubblicata a Pisa nel 1726 (Epistola de Pandectis ad cl. virum Iosephum Averanium… iuris interpretem celeberrimum), il G. sostenne che alle Pandectae si riferivano già documenti toscani e bolognesi del secolo XI, negò la provenienza amalfitana del codice e ipotizzò che l'avesse portato in Toscana, da Bologna, Burgundione da Pisa. Con lui si schierò il Valsecchi in una Epistola de veteribus Pisanae Civitatis Constitutis (Florentiae 1727), che ravvisò una conoscenza delle Pandette nei Constituta di Pisa (circa 1160). Nello stesso anno il G. ristampò l'Epistola a Firenze con un'appendice di molti documenti, accennando (pp. 46 e 267) a qualcuno (B. Tanucci) che gli aveva fornito una notizia inesatta che pareva smentire un suo assunto. Tanucci replicò in una Epistola in qua nonnulla refutantur ex Epistola G. G. de Pandectis (Lucca 1728) diretta all'Accademia Etrusca di Cortona, della quale era socio anche il G., difendendo la tradizione e apostrofando il contendente in termini che varcavano i limiti di un dibattito dottrinale. L'attacco espresse anche la rivalità tra accademici giovani e anziani e, nel clima "laico" del granducato di Gian Gastone, una scansione ideologica (un altro giovane docente di tendenza radicale, A. Cocchi, fu con Tanucci, che accusò le autorità cittadine di avere tolto dal commercio gran parte delle copie del suo testo; è certo che Averani - senza esporsi - fornì al G. consigli e materiali). Lo scontro dette luogo a questioni di autenticità e datazione anche minute e marginali: da ciò la sua complessità e, per certi aspetti, non conclusività. Nella nuova edizione dell'Epistola il G. fornì un elenco degli arcivescovi pisani dal secolo VII all'XI, in parte contestato nell'Orbis sacer et prophanus di F. Orlendi, docente di teologia nell'università (II, 2, Florentiae 1732, pp. 915-954, 983, 1004, 1012, 1357, 1395, 1415, 1437). Più centrale fu la tesi del G. che Graziano non conosceva le Pandectae, le cui citazioni nel Decretum sarebbero state interpolate. In Vindiciae pro sua epistola de Pandectis (Pisis 1728), pure dedicate all'Accademia Etrusca, menzionò anche Vico, citato da Tanucci sulla diffusione del diritto nel mondo antico; aveva pensato a una critica generale della Scienza nuova ma, dissuaso da amici, si limitò a citare (p. 81) la tesi vichiana dell'origine greca del diritto romano e a dire di avere avuto dall'autore il De nostri temporis studiorum ratione (conosceva anche il De antiquissima Italorum sapientia). Tanucci rispose in una Difesa seconda dell'uso antico delle Pandette e del ritrovamento del famoso manoscritto di esse (Firenze 1729) che, forse per bilanciare il peso del G. nell'università e a corte, dedicò al Consiglio cittadino di Pisa, cui chiese di pronunciarsi contro chi negava una gloria locale. La mossa ebbe successo: il consiglio nell'estate del 1728 deliberò di acquisire in archivio una copia dell'Epistola di Tanucci e nel 1731 gli concesse la cittadinanza pisana; il risentimento verso il G. passò ai cittadini, tanto da fargli limitare le uscite dal monastero e da far sembrare che la sua nomina, nello stesso 1729, a visitatore generale dei camaldolesi, che lo fece spesso allontanare da Pisa, fosse decisa ad hoc dai superiori o fosse un evento provvidenziale. Nel frattempo certe critiche del Tanucci alle sue tesi facevano breccia. Dopo la Difesa seconda il granduca vietò altri scritti sull'argomento, ma il G. aggirò il divieto: nel 1730 stampò a Pisa una Disquisitio critica de interpolatione Gratiani (ristampata in Rabotti, pp. 150-158), che il frontespizio diceva di un inesistente Diomede Brava e pubblicata a Bologna nel 1694; vi parlò di un codice del Decretum (poi mai rinvenuto), proveniente dal monastero di S. Biagio presso Besançon (non attestato) ma allora in possesso di un "prelato amico", nel quale sarebbero mancati gli echi delle Pandette presenti nel testo corrente. Nello stesso 1730, poi, pubblicò a Faenza una Nuova disamina della storia delle Pandette pisane e di chi prima le rammentasse, con il nome di Bartolo Luccaberti (anagramma di quello di un confratello) che, con veste di imparzialità, lo difendeva usando la scoperta del Brava. In Toscana P.F. de' Ricci, cancelliere dell'Università pisana e vicino al G., evitò che l'opera fosse sequestrata. Avvertito il colpo, Tanucci iniziò un'ampia replica che poi non pubblicò, ma in seconde edizioni ampliate dell'Epistola e della Nuova difesa (volta in latino, forse per darle diffusione europea) aggravò i toni e affermò che lo scritto del Brava era un falso del Grandi. Stampò entrambe a Lucca, pur se i frontespizi attestavano Firenze (Epistola de Pandectis Pisanis in Amalphitana direptione inventis…, Florentiae 1731; Defensio secunda usus antiqui Pandectarum et earum celebris exemplaris in Amalphitana direptione a Pisanis inventi…, ibid. 1731). L'identità del G. con il Brava fu asserita già prima della sua morte da Arisi, dai primi biografi, incluso Ortes, e da A. Fabroni. La pseudonimia, però, non implicava senz'altro una falsificazione: Tanucci e Bandini unirono i due aspetti, ma altri non lo fecero e ciò ebbe conseguenze importanti: mentre in Toscana il Tanucci era parso prevalere, lo scontro tornò incerto, tanto che si attribuì anche a questo il fatto che accettasse l'invito di Carlo di Borbone a seguirlo a Napoli; ricordò sempre la vicenda e l'avversario in modi di estrema durezza. L'intellettualità toscana si divise, forse meno per ragioni di merito che per legami ideologici e personali. Furono con il Tanucci, oltre a Cocchi, Lami e Bandini, il celestino C. Rolli (titolare nell'ateneo di matematica elementare e, per motivi non chiari, osteggiato dal G.) e un altro giovane docente, A. Padroni; furono invece con il G. confratelli come Fromond e Ortes e altri, allievi e non, anche di orientamento "laico" (G.G. De Soria, T. Perelli, A.F. Marmi; Fabroni addebitò al Tanucci il tono della polemica). L.A. Guadagni, successo ad Averani a Pisa, scrisse poi sul codice pisano e la tradizione delle Pandette ma senza schierarsi decisamente; in Toscana un altro intervento venne da B. Dal Borgo. Altrove, in Italia e all'estero (dove la polemica ebbe eco in Acta eruditorum, 1728, pp. 312-318, e Nova Acta eruditorum, Supplementa, II [1737], pp. 213-216 e IV [1742], pp. 164-168), l'accusa di falso fu largamente ignorata e lo scritto di Brava - a parte l'attribuzione e la correttezza delle tesi - parve a lungo attendibile, agendo negli studi sul diritto giustinianeo e sul testo di Graziano (da Averani, Muratori e Brenkmann a F.K. Savigny e oltre: vedi le indicazioni in Rabotti; Spagnesi, 1983 e 1988). Fino alla metà del sec. XX l'esistenza del codice di Besançon è stata ammessa o si è ritenuto che il G. si servì di dati reali, perché certe sue tesi hanno trovato conferme che è difficile spiegare come meri casi; su alcuni punti il giudizio non è ancora unanime.

Nonostante una non belligeranza concordata con il Tanucci dopo il 1731, il G. riprese l'argomento negli ultimi anni in un'altra lettera all'Averani, rimasta inedita (Epistola altera de Pandectarum per Pisanos inventione. Pisis, III Kal. Iunii 1738, in due versioni nella Biblioteca universitaria di Pisa: Mss., 42, cc. 104-113; 100, cc. 66-69). Gli studi successivi hanno mostrato che non vi era una contrapposizione netta di ragione e torto e che, se molti argomenti del Tanucci contro la tesi del G. erano conclusivi, certe critiche del camaldolese alla verità letterale della tradizione coglievano nel segno.

Pur tra tensioni e impegni, dal 1723 al 1729 il G. non lasciò la ricerca scientifica. Il Narducci incluse una sua lettera sul moto su piani declivi (20 genn. 1722) nel proprio Paragone de' canali (Lucca 1723); sono di quegli anni anche relazioni idrauliche ma, soprattutto, il G. ampliò il testo inviato alla Royal Society nei Flores geometrici ex Rhodonearum, et Cloeliarum curvarum descriptione resultantes (Firenze 1728).

La prima parte inglobò il testo del 1723; una seconda trattò una famiglia di curve distinte dalle rodonee perché tracciate su una superficie sferica, dette "clelie" in omaggio alla Del Grillo Borromeo. Nel 1729 Narducci stampò a Lucca una versione italiana dei Flores, aggiungendo spiegazioni e nuove dimostrazioni, con altre tratte da Leibniz (I fiori geometrici del padre abbate Guido Grandi tradotti e spiegati in grazia della studiosa gioventù).

Dal 1729 il G. viaggiò spesso come visitatore. Quell'anno a Faenza ebbe due incontri sulla questione Reno-Po, divisi da una nuova visita all'area coinvolta, con I.G. Marinoni, B. Zendrini e G. Ceva; fu respinta la sua proposta di immettere il Reno e parte del ramo principale del Po nel Po di Volano. A Roma, interrogato da Clemente XII su un progetto di modifica del calendario gregoriano, rispose che questo creava meno difficoltà di ogni altro (forse il giudizio fu quello poi stampato nella Epitome operis paschalis di Iacopo Bettazzi, Firenze 1733, pp. IX s.). Inoltre tra 1730 e 1733, oltre a stampare le repliche a Soldani e la Nuova disamina contro Tanucci, il G. avviò una nuova operazione. Già nella seconda edizione dell'Epistola all'Averani aveva scritto che nel 1721 B. Bacchini gli aveva lasciato trascrivere un'incognita biografia coeva di s. Bononio di un monaco Rotberto, che aveva copiato da un codice di Cristina di Svezia. Nel 1731, quando Roma riconobbe il culto di s. Pietro Orseolo, praticato nel Veneto, il G. pubblicò a Venezia un Breve compendio della vita morte e miracoli di s. Pietro Orseolo, doge di Venezia, indi monaco ed eremita santissimo, armonizzando la cronologia di questa figura, che certa tradizione diceva essersi fatto camaldolese dopo aver abbandonato il dogato, con quella da lui tracciata per altri fondatori dell'Ordine. Vi riportò dalla nuova vita di Bononio un passo su s. Romualdo a conferma delle Dissertationes; lo ripropose nella più ampia Vita del glorioso prencipe s. Pietro Orseolo doge di Venezia (Venezia 1733, a cura del Calogerà) e pubblicò poi il testo di Rotberto (Vita s. Bononii abbatis autore Ratberto monacho; nunc primum edita ex ms. reginae Sveciae cum annotationibus, nella Raccolta del Calogerà, 21, Venezia 1740, pp. 205-259, dove "Ratberto" è errore di stampa). Nel v. 9 della stessa Raccolta (1733, pp. 269-287) aveva già pubblicato una De formulis bonae memoriae, piae memoriae et similibus ad personas viventes quandoque applicatis dissertatio, sostenendo che l'uso di quelle locuzioni in testi medievali per persone che, secondo la sua cronologia, vivevano ancora alla data di quei testi non la inficiava, perché esse sarebbero state usate anche per viventi.

Morto Bacchini, la versione del G. su come era giunto a disporre della vita di Bononio poggiava sulla sua parola, che non ha trovato supporti: il testo non è nei codici appartenuti a Cristina di Svezia; la copia del Bacchini non è tra le sue carte; nelle carte del G. il testo resta in due esemplari (Pisa, Biblioteca universitaria, Mss., 72, pp. 110-143), che paiono stesure più che copie. La Vita rendeva Bononio discepolo di Romualdo e camaldolese, confermando le Dissertationes e la biografia dell'Orseolo ed elevando il rango dei camaldolesi tra le famiglie benedettine. Dunque, negli stessi anni, il G. introdusse testi dirimenti nei due fronti storiografici nei quali era coinvolto (le origini camaldolesi e la polemica sulle Pandette), prevenendo sospetti di falsificazione con l'attribuire il ritrovamento del nuovo codice del Decretum a una persona inesistente data per defunta, e quello della Vita a una reale, ma defunta di fatto. Anche il secondo testo incise: il discepolato di Bononio con Romualdo fu recepito in uno scritto dal card. Lambertini, amico del G. e sul punto di divenire Benedetto XIV, poi in parte negli Annales Camaldulenses di Mittarelli-Costadoni. La Vita non fu quasi discussa fino al 1915, quando G. Schwartz mise in dubbio la sua autenticità e quella di altri documenti citati dal G. (un'iscrizione su un eremita di Susa, una cronaca di un abate di Nonantola, dati biografici inediti su s. Pier Damiani e Orseolo e altro). Lo Schwartz fu poi seguito da G. Tabacco (1954 e 1970), in base a incongruenze con dati ignoti al tempo del G. (che dunque avrebbe costruito il testo con il più alto grado di finezza allora possibile).

Vi furono forse altri falsi. Un Chronicon Pisanum dal 1104 al 1180 parve tale al Fromond, cui il maestro lo fece copiare; tale parve a Lami una professione tra i camaldolesi di Bernardo Paganelli, poi Eugenio III, menzionata dal Grandi. Nel 1730 questi aggiunse di proprio pugno al Liber rubeus di un notaio faentino del secolo XV una frase provante che il beato Novellone († 1280), creduto francescano, era camaldolese (Lanzoni 1916). Astraendo dai casi singoli, è certo che attorno al 1730 egli produsse falsi sofisticati, su temi diversi: un fatto con pochi analoghi nella cultura italiana per livello dell'autore, finezza di esecuzione, effetti. Non basta a spiegarlo il solo desiderio di far prevalere le proprie tesi: non tutti i falsi erano in rapporto con esse, pur se arricchivano il retaggio storico dei camaldolesi. Inoltre la costruzione intenzionale di una storia falsa - anche su vite di santi - collide con la figura intellettuale del G., con il tono critico della sua storiografia, che gli aveva creato ostilità, e con la sua religiosità. Indirettamente questo vale anche per il manoscritto "scoperto" dal Brava, perché ne veniva una cronologia legata strettamente a quella religiosa dei secoli XI-XIII. La questione va quindi ripensata, anche perché certi dati presentati dal G. sono poi risultati reali o presenti in altre fonti. Egli formulò una teoria "matematica" del calo di credibilità delle fonti in funzione della distanza dall'evento che narrano (Spagnesi, 1988, p. 225 n. 59), che Ortes generalizzò nel Calcolo sopra la verità dell'istoria. È quindi possibile che credesse di reintegrare la documentazione o rettificarne certe (supposte) distorsioni, "inverandola" con il farla corrispondere a un andamento "razionale" dei fatti. Neppure una tale spiegazione, se fondata, può assolverlo; ha però il pregio di consentire un giudizio non puramente etico e psicologico.

Il G. scrisse anche su questioni dell'ordine (Lectorum claustralium Camaldulensium… ius ferendi suffragii in capitulis generalibus sui ordinis, s.n.t. [ma Pisa 1718, con pseud. Tiberio Vedmann]; Ragguaglio istorico delle badie camaldolensi, Pisa s.d.; Officium parvum S. Michaelis, Venetiis 1734). Nella congregazione del 1735, data la notorietà, fu il candidato naturale alla carica di generale; contro il Galamini fece accettare il passaggio dal bianco al nero del cappello dei camaldolesi (Disceptatio neopilea… circa mutationem coloris pilei, Pisis 1735), ma confratelli "che guidavano i voti" (Ortes) ne impedirono l'elezione dicendolo assorbito dagli studi. Clemente XII gli espresse rincrescimento e gli conferì il rango di "ex-generale". Dopo il 1730, anche per tensioni e impegni, i suoi lavori scientifici furono pochi e brevi. Tre lettere sulla querelle delle forze apparvero in La quantità del moto, o sia La forza dell'acque correnti, del Narducci (Lucca 1733, p. 10). La Raccolta del confratello Calogerà, ormai sede elettiva dei suoi interventi, ne ospitò una Della necessità che ha l'astronomia dell'ajuto de' principi (v. 20, 1739, pp. 221-249, per far erigere a Pisa un osservatorio, poi affidato all'allievo T. Perelli), e una De parabolis et hyperbolis ex novo solido secandis (v. 22, 1740, pp. 29-36). Vi apparve anche (v. 19, 1739, pp. 369-385) una Soluzione fatta dal sig. … Giulio Carlo de' Fagnani d'un problema propostogli dal reverendiss. … G. Grandi. Negli ultimi anni il G. pubblicò i manuali su parti della matematica scritti per gli allievi e circolati a lungo manoscritti, per farne un corso completo e, data la traduzione in italiano, destinato a un vasto pubblico.

Agli Elementi piani e solidi di Euclide posti brevemente in volgare, editi a Firenze nel 1731 (e altre sei volte nel '700), seguirono le Instituzioni meccaniche (Firenze 1739, rist. Venezia 1750), le Instituzioni di aritmetica pratica (Firenze 1740) e le Instituzioni geometriche (ibid. 1741; due edizioni latine a Milano, nel 1759 e 1772). Tutti testi di grande chiarezza ma in fondo elementari e fermi alla stesura originaria. Le Instituzioni meccaniche esclusero la meccanica celeste (che avrebbe imposto di trattare la tesi eliocentrica) e le implicazioni cosmologiche della meccanica newtoniana. Questi limiti, non intrinseci alla cultura del G., furono in parte voluti (in astronomia e cosmologia), in parte dovuti a un crollo della salute, che gli rese impossibile intervenire estesamente sui testi.

Dal 1737 patì crescenti disturbi della memoria. Affrettò così le pubblicazioni, proseguì tenacemente i corsi e cercò di terminare un'edizione delle lettere di Ambrogio Traversari. A questo progetto, avviato dal Mabillon, aveva lavorato a lungo il Canneti; dopo la sua morte il G. aggiunse una prefazione e un elogio del Traversari, ma non lo concluse e le lettere giunsero ad A.F. Gori, che vi lavorò forse con Lami (secondo il quale per questo il G. si irritò con lui). L'edizione fu realizzata solo da L. Mehus (A. Traversari, Latinae epistolae, Florentiae 1759). Il G. regolò anche i rapporti con l'Ordine: lasciò il governo di S. Michele, finanziò lavori nel monastero e destinò 2700 scudi alla biblioteca, cui legò i propri libri e carte, ottenendo da Clemente XII di farla dipendere dall'università e affidandone la cura a un discepolo, il p. A. Forzoni. In seguito essa fu unita all'Universitaria; nelle carte del G. (attuali Mss., 36-103) vi erano anche appunti per una storia dell'Università di Pisa, che nel 1716 le autorità accademiche gli avevano proposto di scrivere (il lavoro fu ripreso da O. Corsini, già in rapporto con lui, e compiuto da A. Fabroni).

Secondo Ortes dal tardo 1740 il G. fu "come stupido", seppur cosciente e dolente (dettò lettere fino al primo 1741: in una si felicitò per l'elezione al pontificato con il vecchio amico Lambertini, che rispose affabilmente). Crudo il De Soria: "a grado a grado perduta la memoria dei vocaboli proprj, quindi degli specifici, poi di molti generici ancora si condusse alla fine ad una vita meramente vegetabile".

Nel maggio del 1742 il G. si aggravò e il 26 giugno fu colto da "deliquio" nella chiesa del monastero; morì il 4 luglio. Fu sepolto nella stessa chiesa, dove gli fu eretta un'edicola sepolcrale con un busto in marmo di G. Baratta e un'epigrafe del Forzoni.

Fonti e Bibl.: Mancano studi complessivi sul G. e le bibliografie sono spesso settoriali. Necr. in Novelle letterarie pubblicate in Firenze, III (1742), coll. 501-506, 517-524 (anonimo, ma di G. Lami). L.G. Cerracchini, Fasti teologali ovvero notizie istoriche del Collegio de' teologi della sacra Università fiorentina dalla sua fondazione sino all'anno 1738, Firenze 1738, pp. 629 s.; F. Arisi, Cremona literata, III, Cremonae 1741, pp. 87-95 e passim; [G. Lami], Memorie per servire alla vita del padre abate don G. G. camaldolese, Massa 1742; [G. Ortes], Vita del padre d. G. G. camaldolese, matematico dello Studio pisano, scritta da un discepolo, Venezia 1744; A.M. Bandini, Guidonis G. abbatis Camaldulensis et mathematici praestantissimi elogium, Florentiae 1745; D. Fontanini, Lettere scritte a Roma al signor abate Giusto Fontanini dappoi vescovo di Ancira, Venezia 1762, pp. 292-299, 303 s., 309 s., 312-320; G.G. De Soria, Raccolta di opere inedite, II, Livorno 1774, pp. 186-188; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, VIII, Pisis 1781, pp. 179-291; Id., Historia Academiae Pisanae, III, ibid. 1795, pp. 493-526; A. Lombardi, Storia della letteratura italiana nel secolo XVIII, I, Modena 1827, pp. 354-361; III, ibid. 1829, pp. 99-101; C.G. Guasti, G. G., in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, VII, Venezia 1840, pp. 346-354; G.W. Leibniz, Mathematische Schriften, 4, IV, Briefwechsel zwischen Leibniz, Wallis, Varignon, G. G., Zendrini…, Halle 1859; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Modena 1870-93, I, coll. 617-627; II, Aggiunte, s. 1, col. 41; s. 2, col. 128; s. 5, coll. 75 s.; s. 7, col. 46; Lettere inedite di Giuseppe Averani al padre G. G., a cura di F. Buonamici, Pisa 1879; T. Landoni, Quattro lettere inedite di Vincenzo da Filicaia, Antonio Magliabechi, G. G., Giampietro Canotti, Ravenna 1885; C. Lupi, Appunti galileiani estratti dalle carte del p. G. 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Riassunto di una relazione… alla riunione della Società astronomica italiana tenuta… il 26 settembre 1953, s.n.t.; Id., Visite ufficiali al Po dal 1719 al 1729, ibid., pp. 269-272; Id., Epistolario manoscritto del padre G. Grandi. Aggiunte… a quello pubblicato da Luigi Ferrari, in Arch. stor. lombardo, LXXX (1953), 4, pp. 273-280; A. Agostini, Quattro lettere inedite di Leibniz e una lettera di G. G., in Archives internationalesd'histoire des sciences, n.s., VI (1953), pp. 434-443; A. Vecchi, La storiografia del Muratori ed una polemica sulle Pandette, in Nova Historia, V (1953), pp. 19-31; L. Tenca, Otto lettere inedite dell'abate Antonio Conti, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lett. ed arti, CXII (1953-54), 1, pp. 103-119 (lettere del Conti al G.); Id., Relazioni tra G. G. e Giulio Carlo Fagnani, in Rendicontidell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna, classe di scienze fisiche, s. 2, I (1954), 2, pp. 77-87; G. Tabacco, La vita di s. 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