PANCIROLI, Guido

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PANCIROLI, Guido

Giovanni Rossi

PANCIROLI (Panzirolus), Guido. – Nacque a Reggio Emilia il 17 aprile 1523, figlio di Alberto, giurista rinomato nella sua città (come attestato dallo stesso Guido nel De claris legum interpretibus, II, 171), e di Caterina Lolli. Ricevuta nella città natale una buona formazione nelle lettere greche e latine, di stampo umanistico, nel 1540 si recò a Ferrara per studiare diritto e in quello Studium fu allievo di giuristi di buon livello quali Prospero Pasetti e Ippolito Riminaldi; si spostò poi a Pavia, per seguire i corsi di Andrea Alciato, quindi a Bologna per ascoltare Mariano Sozzini il Giovane e infine a Padova, dove fu allievo di Marco Mantova Benavides. Si laureò in utroque iure il 25 ottobre 1547, a Padova, dove già teneva un insegnamento sulla seconda cattedra delle Istituzioni; passò poi alla prima nel 1554 e alla seconda ordinaria pomeridiana di diritto civile nel 1556, dopo la partenza di Matteo Gribaldi Mofa ma, insoddisfatto, Panciroli si spostò presso lo Studio di Torino nel 1570, dove successe ad Aimone Cravetta, morto l’anno prima (il decreto di nomina a lettore delle leggi civili, datato 25 maggio, si legge ora in Chiaudano, 1928, pp. 123-124).

Il duca di Savoia Emanuele Filiberto gli affidò la prima cattedra di diritto civile per quattro anni, con uno stipendio di 700 scudi, saliti a 1000 con il rinnovo del contratto e a oltre 1200 dopo il 1580 con il nuovo duca Carlo Emanuele. Dopo aver rifiutato nello stesso anno la chiamata di Padova per la morte di Giovanni Cefali, nel 1582 Panciroli tornò però in Veneto a causa di una grave malattia agli occhi, spiegata con il clima insalubre della capitale sabauda (come attestato di stima gli venne concessa la cittadinanza torinese: il testo del diploma, datato 29 settembre 1582, in Tiraboschi, 1783, pp. 9-10). Con l’autunno di quell’anno riprese dunque i corsi nello Studio patavino sulla prima cattedra di diritto civile, con un compenso di 1000 scudi annui, salito a 1200 nel 1595.

Nel panorama della giurisprudenza italiana del secondo Cinquecento Panciroli si distinse per lo sforzo costante di rendere permeabile la cultura del giurista al sapere umanistico e storico in specie; in ciò egli seguì la strada tracciata da Alciato, del quale si propose quale convinto seguace e anzi come diretto prosecutore della sua opera: ciò appare evidente per l’interesse rivolto alla Notitia dignitatum utriusque Imperii e in genere al diritto pubblico romano; tale fonte, valorizzata da Alciato per primo, venne infatti corredata da Panciroli di un ricco Commentarium, dedicato a Carlo Emanuele di Savoia; edito per la prima volta a Venezia nel 1593 e ristampato varie volte, esso fu accolto infine nel settimo volume del Thesaurus antiquitatum Romanarum di Graevius (Johann Georg Graeve) (Trajecti ad Rhenum, Lugduni Batavorum 1968). A complemento egli scrisse alcuni brevi trattati (De Magistratibus Municipalibus, et Corporibus artificum, De quatuordecim regionibus Urbis Romae, earumdemque aedificiis tam publicis, quam privatis, De Rebus Bellicis) progressivamente aggiunti nelle successive edizioni (il primo è presente già nella prima edizione, l’ultimo compare solo in quella del 1608), espressione dell’interesse antiquario in senso ampio tipico degli umanisti, volto alla ricostruzione delle istituzioni di Roma antica (a partire dalle magistrature) ma anche interessato alla configurazione urbanistica della città e ai suoi monumenti, in sintonia con l’opera di autori coevi come Carlo Sigonio e Onofrio Panvinio (anche tali trattati furono ripubblicati da Graevius, nel terzo volume delle Antichità romane, escluso il De rebus bellicis): il metodo storiografico inaugurato da Biondo Flavio dava i suoi frutti migliori. Tra i giuristi culti si era ormai diffusa la consapevolezza che le istituzioni romane potessero essere ricostruite e comprese appieno solo utilizzando tutte le fonti a disposizione, al di là delle compilazioni giustinianee. Tale indirizzo faticò tuttavia ad affermarsi in Italia e Panciroli appare sostanzialmente isolato entro un ceto giuridico fedele all’impiego del vecchio metodo, con pochissime eccezioni.

In linea con tale spiccato interesse per la storia, compose anche un’ampia storia di Reggio (Rerum historicarum patriae suae libri octo), dalla fondazione al 1560 (data anche della praefatio composta dall’autore), rimasta però inedita e pubblicata – in latino (Reggio 1847) e anche in traduzione italiana (Reggio 1846) – solo a metà Ottocento.

L’opera più nota e più originale di Panciroli sono i De claris legum interpretibus libri quatuor (Venetijs 1637), editi postumi a cura del nipote Ottavio: si tratta di un’ambiziosa storia della giurisprudenza antica e medievale che comprende numerosi profili di giuristi, esposti in sequenza cronologica, da quelli romani (nel primo libro), a quelli medievali e moderni fino ai suoi tempi (divisi tra civilisti e canonisti, rispettivamente nel secondo e nel terzo libro), finendo poi (nel quarto libro) con una rapida rassegna delle università europee (denominate «accademie») e della loro data di fondazione. Tali biografie sono assai sintetiche e non immuni da errori e inesattezze anche gravi, ma offrono comunque un’utile raccolta di notizie e l’opera nel suo complesso supera di molto per completezza e organicità quelle di materia affine che l’hanno preceduta, compreso il De claris iurisconsultis del Diplovatazio (di tale tenore anche il giudizio del Savigny, 1834, pp. 51-52). L’ispirazione umanistica dell’opera non impedì a Panciroli di valorizzare i giuristi di diritto comune (di cui descrisse anche in breve il metodo scientifico e didattico), facendone il degno contraltare di quelli romani (contro la tendenza umanistica alla loro radicale svalutazione sul piano scientifico, espressa esemplarmente da Lorenzo Valla). Il successo dell’opera è testimoniato dalla sua inclusione nella raccolta di scritti di storia giuridica edita a Lipsia nel 1721 a cura di Christian Gottfried Hoffmann.

Di rilievo anche i tre libri del Thesaurus variarum lectionum utriusque iuris, editi a Venezia nel 1610 (apud Ioannem Guerilium) a cura dell’altro nipote Ercole e accolti poi nel secondo tomo della Jurisprudentia Romana et Attica, per cura di Heineccius (Johann Gottlieb) (Lugduni Batavorum 1739). Si tratta di un lavoro che si pone nel solco dell’insegnamento d’Alciato, utilizzando l’erudizione storico-filologica per la migliore comprensione dei testi normativi romani e, in misura molto minore, canonici. Il modello adottato da Panciroli per quest’opera può rinvenirsi nei Parerga alciatei: in alcune centinaia di capitoli (96 nel primo libro, 296 nel secondo e 31 nel terzo), privi di un filo conduttore tematico, l’autore esplica passi oscuri o controversi del Digesto e del Codice giovandosi delle sue conoscenze storiche e facendo sfoggio di una piena padronanza delle fonti classiche extragiuridiche; può così illuminare innumerevoli aspetti della vita giuridica e istituzionale di Roma antica, mal compresi dalla dottrina medievale.

La vena storico-erudita coltivata dal Panciroli ha prodotto inoltre i due libri della Raccolta breve d’alcune cose più segnalate ch’ebbero gli antichi, e d’alcune altre trovate dai moderni, anch’essi dedicati a Carlo Emanuele di Savoia, editi a Venezia nel 1612 con ricchissimi addenda del teologo Flavio Gualtieri ma già pubblicati in Germania (1599-1602), all’insaputa dell’autore, tradotti in latino e illustrati con ampie note da parte di tale Henricus Salmuth, antico allievo di Panciroli, col titolo Rerum memorabilium, iam olim deperditarum & contra recens atque ingeniose inventarum libri duo. Si tratta di una serie di brevi capitoli dedicati ad aspetti curiosi o comunque notabili del mondo antico (nel primo libro) o del mondo moderno (nel secondo libro), di nessuna attinenza al diritto, su temi quali le abitazioni e gli edifici dei Romani, le loro vesti, alcuni loro usi e, in parallelo, alcuni ritrovati della tecnica moderna.

Come giurista e professore di diritto Panciroli non disdegnò in realtà forme e contenuti propri del mos italicus né assunse un atteggiamento iconoclasta e di frontale contestazione della tradizione; resta però il fatto che nella sua pur vasta produzione non si trovano stampati né commentari derivati dai corsi universitari (ne circolavano però manoscritti in Padova: sue Lecturae vespertinae del 1585 e del 1587, oltre ad un Tractatus stipulationum del 1585, erano presenti nella biblioteca della famiglia Silvatici) né trattati su singoli istituti giuridici – ebbero però fortuna le annotazioni ai commentari di Bartolo (Lucubrationes, aggiunte all’edizione della parte prima del Vetus, Torino 1577) e Giason del Maino (Torino 1592). I suoi consilia furono raccolti in volume e dati alle stampe (Consiliorum siue responsorum iuris d. Guidi Panciroli Regiensis, ... Liber primus, Venetiis, apud Franciscum Zilettum, 1578) solo per merito di un suo allievo, Carlo Strozzi fiorentino (come risulta dalla lettera di dedica da questi rivolta al cardinale Alessandro Riario premessa i consilia nella edizione citata), che superò le remore del maestro, forse dovute al giudizio negativo d’Alciato sulla pubblicazione dei responsa. I consilia non ebbero comunque vasta diffusione né seguì mai al primo un secondo libro. Per il resto, indica un diretto rapporto con la prassi giuridica soltanto un’opera minore di Panciroli, dedicata al processo, di mole assai ridotta e edita peraltro postuma: brevissimi capitoletti esplicativi delle singole attività delle parti durante la causa, con un approccio del tutto praticistico (Civilium iudiciorum praxis sive Ordo iudiciarius, Venetiis 1627).

Nonostante le insistenze di Gregorio XIV e Clemente VIII per averlo a Roma come uditore di Rota, Panciroli non si spostò più da Padova, dove morì il 5 marzo 1599 (secondo la vita anteposta al De claris legum interpretibus, stesa dal nipote Ottavio) o nel maggio (secondo Tiraboschi e altri, sulla base di Tomasini, che riferisce delle solenni esequie pubbliche avvenute il 17 maggio, con orazione funebre pronunciata dal giurista Francesco Vedova) e fu sepolto in S. Giustina (il sunto del suo ultimo testamento, steso a Reggio nel settembre 1589, in Tiraboschi, 1783, pp. 12-13).

Fonti e Bibl.: G.F. Tomasini, Illustrium virorum elogia iconibus exornata, Patavii 1630, pp. 187-193; Id., Bibliothecae Patavinae manuscriptae publicae et privatae, Utini 1639, p. 85; A. Crispi, Panciroli Guido, in G. Tiraboschi, Biblioteca Modenese, IV, Modena 1783, pp. 4-20, add. VI, I, 1786, pp. 155-156; F.K. von Savigny, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, I-VII, Heidelberg 1834-18512, III, pp. 48-52; G. Ferrari, Memoria storica della vita e degli scritti di Guido Panciroli, Reggio dell’Emilia 1869; A. Bacchi Andreoli, Alcuni studi intorno a Guido Panciroli, Reggio Emilia 1903; B. Brugi, I giureconsulti italiani del secolo XVI, in Id., Per la storia della giurisprudenza e delle Università italiane. Saggi, Torino 1915, pp. 89-112; M. Chiaudano, I lettori dell’Università di Torino ai tempi di Emanuele Filiberto (1566-1580) [1928], in F. Patetta et al., L’università di Torino nei sec. XVI e XVII, Torino 1972, pp. 69-137.

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