SETTE, Guido

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SETTE, Guido

Sandra Macchiavello

SETTE, Guido. – Nacque nel 1304 da famiglia originaria della Lunigiana; in quanto ai genitori conosciamo il nome della madre, Caracosa, che Sette cita nel suo testamento.

La data di nascita si evince da una lettera di Francesco Petrarca indirizzata nel 1367 a Sette, poco prima che questi morisse, consumato dalla podagra: «tutti gli anni della mia vita io ti ho schierato dinnanzi; non uguali certo riguardo al merito, ma pari per numero» (Seniles X, 2). La provenienza lunigianese, attestata nella stessa epistola (e anche in Familiares IX, 2), è confermata dagli annali genovesi quattrocenteschi. Già dalla Seniles X, 2 – un lungo diario autobiografico – come da altre, confluite nelle Familiares, si coglie la qualità del legame intessuto tra i due amici lungo tutto l’arco della vita, basato su comunione di svaghi infantili, di studio, d’interessi e in parte d’ideali. Il complesso carattere letterario delle lettere petrarchesche non condiziona sostanzialmente il valore storico del dato biografico in esse contenuto, che più volte collima con le testimonianze documentarie (sul tema ampiamente discusso si veda Antognini, 2008).

Sette fu nipote (o pronipote) di un omonimo prelato: «a te uguale di nome e di cognome [...] da te superato per dottrina e per fama», così informa Petrarca, rievocando una memorabile gita a Valchiusa [Fontaine-de-Vaucluse] cui lo zio, molto anziano, partecipò (Seniles X, 2). Guido Sette senior, attestato tra il 1253 e il 1315, ebbe alti incarichi curiali e numerosi benefici, tra cui un canonicato nella cattedrale lunigianese (Billanovich, 1974, pp. 112-114).

L’ascendenza di entrambi i Guido Sette è stata individuata in un ceppo consortile che ebbe fino al 1285 la giurisdizione sul castello di Trebiano Magra (Poggi, 1909, pp. 104-106). I dati a disposizione non consentono tuttavia una sicura identificazione tra lo zio di Sette e il Guido Septem, figlio di Aldoino, esponente della consorteria lunigianese registrata in un atto del 1273, e tantomeno di stabilire se all’interno di tale gruppo parentale il termine Septem (in origine forse un soprannome) sia diventato cognome.

L’infanzia di Sette fu segnata dal trasferimento con la famiglia in Provenza; a partire da questo evento fino alla piena giovinezza le vicende di Guido, intrecciandosi con quelle di Petrarca, sono ritmate dai ricordi di quest’ultimo. Genova fu il luogo del loro primo incontro, databile al 1311, durante una sosta del loro lungo viaggio in direzione di Avignone, raggiunta l’anno seguente. L’ambiente caotico e sovrappopolato della sede papale indusse le famiglie di entrambi a sistemarsi a Carpentras (20 chilometri a nord-est). Lì Sette fu avviato con Petrarca alle lezioni di grammatica di Convenevole da Prato, esule fiorentino; in seguito la formazione fu indirizzata verso studi giuridici, frequentati dapprima a Montpellier (1316) e poi a Bologna (1320). Dopo la comune esperienza maturata nel prestigioso Studium bolognese le loro strade cominciarono a dividersi, almeno per quanto riguarda le carriere: «Tu ricercavi le cause nei tribunali, io la tranquillità nei boschi» (Seniles X 2).

Sette, licenziato in diritto canonico o forse in utroque iure, intraprese la professione legale di pari passo con lo stato ecclesiastico, di cui non si conoscono i passaggi iniziali. A Bologna esercitò comunque per la curia vescovile un vicariato (acquisito forse nel 1334), di cui resta documentata l’attività di presidente del tribunale ecclesiastico per il biennio 1336-37 (Zaccagnini, 1934, p. 242).

Il primo incarico che legò Sette a Genova risale al 1339, in un momento in cui le vicende locali sperimentarono l’istituzione del dogato popolare, avverso alla parte guelfa. Su questo difficile sfondo, condiviso in parte dall’ambiente della metropolitana, Benedetto XII lo designò canonico e arcidiacono della cattedrale; pingue beneficio lasciato vacante dal ghibellino Goffredo Spinola che, nominato vescovo di Mantova, fu scelto per la consacrazione di Guido (Polonio, 2002, pp. 162 s.).

Di questo arcidiaconato (1339-58) le notizie sono frammentarie. Nel 1341 Sette era vicario generale del presule Dino di Radicofani e nello stesso anno avallò le richieste di un gruppo di armatori genovesi presso il re Alfonso XI di Castiglia per il recupero di un carico di merci depredato dai Castigliani (Petti Balbi, 1995, p. 248 nota). Altri pochi dati, condensati tra il 1342 e il 1346, riguardano invece interessi legati alla prebenda, che Sette gestì in prevalenza da Avignone tramite procuratori scelti tra i canonici.

Gli indizi della frequente permanenza presso la Curia pontificia sono reperibili anche dall’epistolario petrarchesco. Ad Avignone Sette ospitò l’amico di infanzia per un lungo tratto dell’ultimo soggiorno provenzale del poeta (agosto 1351-aprile 1353), che fu anche il loro ultimo incontro. Nell’estate del 1353, malfermo di salute e oppresso dai compiti curiali, Sette si ritirò a Valchiusa nella casa di Petrarca (trasferitosi a Milano), rifugio ideale per coltivare la solitudine intesa come otium leterarium, potendo altresì usufruire della biblioteca del proprietario. Ancora dalla Provenza nel 1355 agì in veste di procuratore in uno scambio di benefici tra Petrarca e Ludovico di Beringen, amico di entrambi.

Può solo essere intuita la passione per i classici – Cicerone fu autore familiarissimo a Sette – e un interesse per gli studi filologici in linea con gli orientamenti culturali del poeta e della comune cerchia di amici, molti dei quali stanziati ad Avignone; fino a oggi non è stato possibile rintracciare codici scritti o postillati dalla sua mano. Certamente fu lettore degli scritti di Petrarca, il quale in un’occasione si scusò di non avergli potuto inviare copia del De remediis per la negligenza dei copisti (Familiares, XVII, 3 e 5, XIX, 16, XXIII, 12).

L’inclinazione allo studio non esentò Sette da incarichi presso la Sede pontificia; di essi non è rimasta concreta traccia, ma fu questa sua attività che trovò compimento nella nomina papale alla cattedra genovese del 2 luglio 1358. Alla decisione di Innocenzo VI non fu estraneo il disegno di mantenere saldi i rapporti con il doge Simone Boccanegra, caratterizzati da molti interessi comuni, tra cui una tenace politica antiviscontea.

Un esile tessuto documentario non permette tuttavia di riconoscere l’attività di mediazione diplomatica presumibilmente svolta dal presule durante il suo decennale governo. In una sola occorrenza, poco dopo l’elezione, è ravvisabile una sua intercessione nei negoziati tra Genova e il re di Aragona per il dominio sulla Corsica e la Sardegna (Petti Balbi, 1995, p. 359). Sono piuttosto due contribuzioni straordinarie che Sette impose al clero diocesano nel 1360 (100 lire) e nel 1365 (400 lire) per materiali spese di legazia a dare visibilità e concretezza ai persistenti rapporti con la Curia papale, soprattutto in relazione al contesto generale di carattere politico e militare in cui operarono i legati papali, Egidio Albornoz e Androino de la Roche (Macchiavello, 2016, pp. 139-142).

Il versante organizzativo e disciplinare dell’episcopato di Sette è puntellato da interventi poco inclini a rispettare vantaggi consolidati. Nel 1364 egli riformò lo statuto per l’officiatura corale della cattedrale, affrontando nel contempo la delicata questione delle assenze dei canonici dalla sede (Polonio, 2002, pp. 179 s.). E nel medesimo anno Urbano V gli concesse ampie facoltà giurisdizionali, sollecitate probabilmente con l’intento di limitare il ruolo dei vicari nell’esercizio della giustizia.

Notizie tarde e indirette attestano la presenza di un solo vicario: si tratta di Maurino Fieschi, esponente di un’influente famiglia locale e canonico dal 1320; il lungo arcidiaconato, pur esercitato da lontano, gli aveva consentito di stringere qualche solido legame con l’ambiente canonicale, ma la posizione di potere raggiunta dalla cattedra presuppone percorsi differenti rispetto a quelli canonicali.

Ancora dai registri papali emergono sia l’interesse del presule al reclutamento di canonici per la cattedrale, alcuni estranei all’ambiente locale, sia un lungo impegno, a partire dal 1365, nel difendere i beni del vescovo di Luni, Bernabò, dalle pretese dei Malaspina, verso i quali Sette attuò le misure della scomunica e dell’interdetto.

Un forte grado di autocoscienza del proprio ruolo di pastore si manifesta anche nell’appoggio a nuove e austere forme di vita regolare, evidenziandone l’inclinazione contemplativa. Nel 1361 il suo sostegno fu determinante per coagulare le risorse necessarie all’istituzione di S. Gerolamo della Cervara, località sul promontorio di Portofino, a picco sul mare. Dedicazione e ubicazione già trasmettono un programma di spiritualità molto interiorizzata, e nelle sue disposizioni testamentarie Sette pensò alla Cervara come luogo ideale per la sua sepoltura.

In città le fondazioni per iniziative laiche dell’ospedale di S. Desiderio (1360) e del monastero femminile di S. Margherita della Rocchetta (1365) trovano nel metropolita piena adesione.

Negli annali genovesi l’arcivescovo lasciò di sé fama di uomo di grande levatura, di pastore attento ai diritti del suo clero, ma intollerante di fronte alla cristallizzazione di prerogative privilegiate. Più intimamente Petrarca trasmette il ricordo di un uomo minuto, fragile (da tempo roso dalla gotta), ma dall’animo robusto, «sottile di ingegno, grave nel giudicare e soave nella conversazione» (Familiares XVII, 3, XXIII, 12; De vita solitaria II, 14).

Le ultime volontà di Sette, giacente in una camera del palazzo arcivescovile di S. Silvestro, furono redatte l’8 dicembre 1367, all’ora del vespro. Ciò che è pervenuto è un estratto del testamento, incentrato sulla disposizione degli eredi universali. L’omissione dei legati rende pertanto impenetrabili gli ambiti su cui si concentrò la pietas del testatore. Ben definite sono le modalità con cui si era formato il patrimonio (imprecisato, come di consueto, nella sua reale consistenza). Il dettato testamentario del presule, reso dal notaio con taglio narrativo, puntava infatti a chiarire che i beni patrimoniali erano stati acquisiti nel tempo «ex industria sua et officio et labore advocationis et sua doctrina» (Sarzana, Archivio Capitolare, Volumen G/9). È questa la traccia più evidente di una carriera forense continuativa e redditizia.

I frutti di tale attività erano indirizzati alla madre Caracosa, alla morte di questa a Bernabò, vescovo di Luni, e infine, dopo la dipartita del presule, al capitolo cattedrale sarzanese (effettivo erede e probabile richiedente dello stralcio). L’atto, tuttora conservato a Sarzana nell’Archivio Capitolare, riporta sul verso una nota di mano moderna che rappresenta l’unica e labile spia di un incarico (arcidiaconato) che Sette avrebbe ottenuto nel collegio lunense.

Nell’atto le relazioni variamente declinabili nelle loro sfumature si intravedono nella nomina dei fedecommissari e nella scelta dei testimoni; tra tutti questi, raccolti al capezzale, spicca l’assenza dell’arcidiacono e dei canonici genovesi.

Tra i primi, due esponenti della famiglia Sacco, di origine pavese (Lanfranco, abate del monastero urbano di S. Siro, e il banchiere Giovanni), e un più anonimo Oberto di Moneglia. Tra i secondi, un folto gruppo di ecclesiastici (sacrista, cappellani, ministri e il nunzio della curia).

La data di morte resta imprecisabile, ma va verosimilmente collocata nelle settimane immediatamente successive. Alla fine di febbraio del 1368 la cattedra risultava già vacante.

Elementi discordanti emergono dalla scritta in tredici esametri scolpita sulla lastra tombale – oggi irreperibile, ma più volte trascritta – che riporta, semplificando una contorta locuzione, la data del 20 novembre 1367, anteriore quindi al testamento. Una spiegazione potrebbe essere nella tardiva esecuzione dell’iscrizione, collocabile almeno una trentina di anni dopo la morte di Sette, se è affidabile l’attribuzione a Giovanni Stella (Remondini, 1882, pp. 156 s.), annalista e letterato di modesto valore.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Notai antichi, cart. 189; Genova, Archivio del Capitolo di S. Lorenzo, Pergamene, cart. 422, n. 83; Benoit XII (1334-1342) Lettres communes, a cura di J.-M. Vidal, Paris 1910, n. 6688; Urbain V (1362-1370) Lettres communes, a cura di M.-H. Laurent, I-XII, Paris-Rome 1954-1989, I, n. 3845; III, nn. 9587, 10295, 10868, 10880, 10881, 11656; IV, n. 13247; VI, nn. 19177, 19178, 19602, 19799, 19848; VII, n. 22809; VIII, nn. 24085, 24675; IX, nn. 26668, 27063; Georgii et Iohannis Stellae, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in RIS, XVII, 2, Bologna 1975, ad ind.; Le carte del monastero di Sant’Andrea della Porta (1109-1370), a cura di C. Soave, Genova 2002, n. 69; I cartolari del notaio Nicolò di Santa Giulia di Chiavari (1337, 1345-1348), a cura di F. Mambrini, Genova 2004, nn. 103-104.

Per le lettere petrarchesche si veda (anche per la bibliografia) R. Antognini, Il progetto autobiografico delle ‘Familiares’ di Petrarca, Milano 2008: Sette è destinatario di tredici Familiares (V, 16-17-18; XVII, 3-4-5; XIX, 8-9-10 e 16-17; XX, 9 [con altri due destinatari]; XXIII, 12) e di Seniles X, 2; è inoltre citato in Familiares IX, 2; XX, 6, in Seniles V, 1 e nel De vita Solitaria II, 14, edite in Prose, a cura di G. Martellotti - P.G. Ricci, Milano-Napoli 1955.

M. Remondini, Iscrizioni antiche liguri, Genova 1882, pp. 151-175; F. Poggi, Lerici e il suo castello, II, Genova 1909, pp. 104-106; G. Zaccagnini, G. S. amico del Petrarca, in Parma a Francesco Petrarca. Atti del Convegno..., a cura di F. Rizzi - M. Cerini, Parma 1934, pp. 237-247; D. Cambiaso, I vicari generali degli arcivescovi di Genova, a cura di G.M. Carpaneto, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XII (1972), 1, p. 19; G. Billanovich, Petrarca e gli storici latini, in Tra latino e volgare. Per Carlo Dionisotti, Padova 1974, pp. 112-116; G. Petti Balbi, Simon Boccanegra e la Genova del ’300, Napoli 1995, ad ind.; S. Macchiavello, Sintomi di crisi e annunci di riforma (1321-1520), in Il cammino della Chiesa genovese dalle origini ai nostri giorni, a cura di D. Puncuh, Genova 1999, pp. 221 s., 251; V. Polonio, Istituzioni ecclesiastiche della Liguria medievale, Roma 2002, ad ind.; S. Macchiavello, Arcidiocesi di Genova, capitolo cattedrale e imposizioni ecclesiastiche: l’edizione di due registri contabili della seconda metà del secolo XIV, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., LVI (2016), pp. 139-142.

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