ZANOBINI, Guido

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

ZANOBINI, Guido.

Bernardo Sordi

– Nacque a Pisa, il 6 giugno 1890, da Antonio e da Emilia Bertini.

Frequentò la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa, negli anni del magistero di Santi Romano, che proprio in quell’ateneo il 4 novembre 1909 aveva pronunciato, per l’inaugurazione dell’anno accademico 1909-10, il celeberrimo discorso Lo Stato moderno e la sua crisi e che qui avrebbe quindi dato alle stampe, prima in rivista (1917-1918) e poi per i tipi di Enrico Spoerri, nel 1918, L’ordinamento giuridico, la sintesi, pregevolissima, della sua teoria generale. E proprio con Romano, il 1° luglio 1913, Zanobini si laureò in diritto costituzionale con una tesi intitolata Le norme interne di diritto pubblico, da cui trasse, due anni più tardi, nella Rivista di diritto pubblico, un saggio con il medesimo titolo. Riformato dal servizio militare, non partecipò alla prima guerra mondiale. Per proseguire gli studi fu assistente-distributore presso la biblioteca della Scuola normale superiore, con uno stipendio di 1500 lire annue, tanto modesto da spingerlo, nel 1917, come attesta il suo fascicolo personale, a chiedere al ministro della Pubblica Istruzione, al momento dell’inoltro della domanda di abilitazione alla libera docenza in diritto costituzionale, un ‘soccorso in denaro’ per far fronte al pagamento della tassa di libera docenza, fissata all’epoca in 250 lire. Abilitazione che poi conseguì brillantemente nel 1918. Nello stesso anno, il 6 aprile, sposò a Pisa Maria Sansoni. Dal matrimonio nacquero Luciano nel 1919 ed Enzo nel 1922.

Nel 1920 partecipò ai primi due concorsi per professore straordinario, riaperti dopo il periodo della guerra, banditi dall’Università di Cagliari: per il diritto amministrativo, dove su 15 candidati si collocò al secondo posto, dietro il molto più anziano Cino Vitta; e per il diritto costituzionale, che vinse brillantemente, con il pronostico della commissione che sarebbe diventato uno dei migliori cultori del diritto pubblico. Vincitore del concorso di diritto amministrativo del 1921 a Sassari, si trasferì prima a Siena e quindi a Pisa, nel 1923, dove conseguì l’ordinariato, il 1° luglio 1924, e rimase sino al 1934: nell’ultimo biennio come preside della facoltà.

A questo periodo risalgono due celebri prolusioni: Rapporti fra il diritto amministrativo e il diritto penale, tenuta a Siena il 18 novembre 1921; L’attività amministrativa e la legge, tenuta a Pisa il 21 gennaio 1924. Intermedio tra le due, il saggio Il fondamento giuridico della potestà regolamentare del 1922, in cui Zanobini invertiva una consolidata tradizione, riconosceva la necessaria legittimazione normativa dell’attribuzione di potere regolamentare, definiva ormai privo di ogni giustificazione, sia teorica sia positiva, il preteso fondamento di detta potestà nel potere discrezionale. Si spianava così la strada all’affermazione di un generale principio di legalità dell’azione amministrativa e a una nuova raffigurazione della discrezionalità, non più ‘attività libera’, come nell’approssimativa definizione che a lungo aveva accompagnato lo sviluppo ottocentesco dello stato di diritto, ma attività, appunto, discrezionale, e quindi legislativamente delimitata, nel fine, come nella competenza. La concomitanza di questi approdi ‘legalistici’, frutto peraltro di un dialogo attento con la giuspubblicistica europea del tempo, da Hans Kelsen a Walter Jellinek, da Roger Bonnard a Rudolf Herrmann von Herrnritt, con il parallelo consolidarsi del regime fascista non stupisce più di tanto. La prosa asciutta di Zanobini, per nulla incline a considerazioni di tipo storico-politico, e proiettata a isolare l’universo amministrativo da una sua intrinseca rilevanza costituzionale, lo spingeva verso una sistematica più lineare, che certo richiedeva una più riposata dialettica tra i poteri dello Stato, ma senza che ciò dovesse comportare anche una qualche distinzione di rango tra legislativo ed esecutivo.

Forte di questi chiarimenti sistematici, Zanobini poté offrire, nei primissimi anni Venti, importanti sedimentazioni dogmatiche di temi oggettivamente complessi, come l’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, approfondendo la distinzione, all’epoca appena sbozzata, tra funzioni e servizi; la proprietà pubblica; le sanzioni amministrative.

Proprio l’ambiente pisano, però, in cui già nel 1928 iniziò la propria attività una Scuola di perfezionamento in legislazione corporativa, poi Scuola superiore di scienze corporative, affidata alla presidenza di Giuseppe Bottai e alla vicepresidenza di Arnaldo Volpicelli, del cui Consiglio direttivo Zanobini fu membro autorevole, lo portarono presto a coltivare, in parallelo al preminente interesse amministrativo, le tematiche giuridiche del corporativismo nascente.

Si occupò così, nel primo Convegno di studi corporativi (Roma, maggio 1930), di un tema apparentemente distante dagli interessi di un pubblicista, come il contratto collettivo di lavoro, che Zanobini, da attento cultore del sistema delle fonti del diritto, colse subito nella sua duplicità di genesi convenzionale e di carattere normativo.

Non si trattò di un’attenzione episodica. Il corporativismo era un segmento strategico dell’ordinamento, essenziale per definire i contorni del nuovo diritto pubblico italiano. Quei contorni, appunto, che facevano dello Stato fascista uno Stato, al tempo stesso, «autoritario, totalitario e corporativo» e che, al contrario dello Stato liberale, aveva potuto realizzare «l’unità della società nello Stato, attraverso l’assunzione delle minori associazioni nella sua stessa organizzazione» (Corso di diritto corporativo, Milano 1935, p. 24). Era questa la sintesi che Zanobini consegnò al suo Corso di diritto corporativo, testo destinato a ben sei edizioni, sino al 1942. Il lessico era in gran parte tradizionale, lontano dalle infatuazioni dei giuristi di regime: l’immagine, utilizzata per l’intelaiatura sistematica complessiva, era quella dell’autarchia, grazie alla quale la scienza giuridica italiana di fine Ottocento aveva assimilato allo Stato gli enti territoriali e istituzionali, sterilizzando i residui margini di autonomia di questi soggetti rispetto all’amministrazione generale dello Stato. Un’immagine che proprio il maestro di Zanobini, Santi Romano, all’epoca presidente del Consiglio di Stato, aveva evocato in un saggio celebre del 1930: Gli interessi dei soggetti autarchici e gli interessi dello Stato. La statualità veniva quindi corroborata e integrata ora dal pluralismo degli interessi nel suo processo di costruzione, ma con l’unico obiettivo di restituire, innanzitutto, una più solida unità del sociale. Da questo punto di vista la scuola romaniana non aveva difficoltà a rivendicare una propria, precisa, primogenitura. Come Zanobini scriveva in una recensione del 1927 al Corso di diritto costituzionale di Romano, «per conservarsi forte lo Stato deve non ignorare ma imporsi nettamente il problema delle altre organizzazioni viventi in lui e contro di lui: e di fronte alla necessità di dominarle, deve combatterle ed inquadrarle nel suo ordinamento, come elementi sussidiari di esso e talora come l’ordinamento medesimo» (in Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione, XIX (1927), p. 317).

Fondamentale per comprendere le novità del ‘diritto collettivo’ del regime, l’ordinamento corporativo doveva però esser tenuto nettamente distinto dall’ordinamento amministrativo. Per Zanobini non vi erano dubbi: regime corporativo e regime amministrativo risultavano ambiti radicalmente distinti: il primo era il regime del contratto e degli organi indiretti dello Stato, le corporazioni. Il secondo era il regime dell’atto amministrativo e degli organi diretti dello Stato, le amministrazioni. Il confine dell’inquadramento sindacale rappresentava la grande linea di demarcazione. Il diritto corporativo si estendeva «in rapporto di separazione e di parziale supremazia» (Corso di diritto corporativo, cit., p. 49) verso il diritto privato, ma non si spingeva ancora sino a forzare la frontiera amministrativa, all’interno della quale l’amministrazione si confermava cittadella inespugnabile.

Anche biograficamente, il parallelismo è evidente. Zanobini, con il novembre 1934, venne chiamato, non senza contrasti, e con l’iniziale contrarietà del preside, Giorgio Del Vecchio, a ricoprire la cattedra di diritto amministrativo alla Sapienza di Roma: cattedra che avrebbe ricoperto sino al collocamento a riposo, nel 1960. Proprio in quegli anni, gli stessi in cui Zanobini pubblicò e quindi aggiornò la sua sintesi corporativa, nacque anche la sua opera maggiore, destinata a completarsi dopo la guerra: il Corso di diritto amministrativo, il cui primo volume uscì, per i tipi di Giuffrè, nel 1936. Erano anni di grande impegno, prevalentemente assorbiti dalla progettazione e dal costante aggiornamento dei due Corsi, cui andava aggiunto il Corso di diritto ecclesiastico del 1932, ma anche dalla continua e assidua partecipazione con voci di rilievo (Stato; Governo; Persona giuridica pubblica; Diritto pubblico e diritto privato...) sia alla Enciclopedia italiana, sia (Diritto amministrativo; Consiglio di Stato; Impiego pubblico; Ente parastatale...) al Dizionario di politica, edito a cura del Partito nazionale fascista.

È in ogni caso il Corso di diritto amministrativo l’opera di maggior impegno. Nella seconda metà degli anni Trenta, Zanobini riuscì a dare alle stampe, in rapida sequenza, il primo volume, dedicato a L’ordinamento amministrativo in generale, esposizione piana e particolarmente lineare, secondo una impostazione tipicamente postpandettistica, di fonti, soggetti, oggetti, rapporti, fatti e atti amministrativi, responsabilità. Si snodava così una trattazione asciutta, con limitate connessioni alle novità del regime, elaborata in continuità con le sintesi dei grandi maestri del diritto amministrativo di inizio secolo, Romano, Federico Cammeo, Oreste Ranelletti, ma attenta al dibattito europeo del primo dopoguerra, e nella sobria e pacata continuità del sistema, pronta anche a riconoscere due importanti novità dell’amministrazione novecentesca, pur se ancora tenute ai margini della sistematica complessiva: la realtà dei servizi pubblici, da un lato; i fenomeni di disaggregazione dell’apparato amministrativo con la creazione di «amministrazioni investite di autonomia, o addirittura di propria personalità giuridica», dall’altro (p. 37). Seguirono, nel 1937, un ampio, secondo, volume sull’ordinamento della giustizia amministrativa e, nel 1939, il terzo volume sull’organizzazione. L’opera si sviluppò, tra la guerra e il dopoguerra, con il volume quarto (1942), dedicato al regime amministrativo dei beni (nelle edizioni successive: i mezzi dell’azione amministrativa) e con il volume quinto (1950) in cui venivano passate in rassegna, in modo piuttosto eterogeneo, le principali manifestazioni dell’azione amministrativa. Si completava così, con un sesto volume di indici, un’opera in grado di offrire una sistematica complessiva dell’intero diritto amministrativo italiano.

Zanobini partecipò, con un significativo ruolo propositivo, ai lavori del Convegno nazionale universitario sui principi generali dell’ordinamento giuridico fascista tenutosi a Pisa nel maggio 1940, ma nel volume degli Atti, edito nel 1943, non comparve alcuna sua relazione. Il dopoguerra lo vide subito impegnato nei lavori della Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato (1945-46), presieduta da Ugo Forti, cui partecipò con impegno, con proposte in materia di sistema bicamerale, guardato con favore, specialmente se in grado di assicurare una composizione della seconda Camera sulla base di una rappresentanza di interessi economici, culturali e morali; di presidenza della Repubblica, che si voleva dotata di una funzione più sostanziale e più ricca di quella di un capo monarchico; e infine di potere regolamentare, un suo vecchio tema. Per il primo Commentario sistematico della Costituzione italiana, diretto da Piero Calamandrei e Alessandro Levi, tracciò nel 1949 il profilo dedicato a La gerarchia delle fonti nel nuovo ordinamento.

Nel 1951 promosse la fondazione di quella che sarebbe diventata la principale rivista del diritto pubblico repubblicano: la Rivista trimestrale di diritto pubblico, pensata, nonostante il varo del nuovo ordinamento costituzionale, come «la continuazione di quella Scuola giuridica di diritto pubblico (e del relativo “metodo giuridico puro”) che, sorta in Italia alla fine del secolo passato per merito di V.E. Orlando, portò i nostri studi alle più grandi altezze» (Premessa, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, I (1951), pp. 1-3). Il Corso di diritto amministrativo, ristampato sino alla ottava edizione (1958), avrebbe mantenuto, nella ribadita convinzione che, nel diritto amministrativo, la Costituzione «ha un’importanza soltanto remota» (Corso di diritto amministrativo, I, Milano 19547, p. 58), l’impronta di questa solida continuità.

Ritiratosi in un volontario isolamento negli ultimi di anni di vita, resi dolorosi dai problemi di salute che lo avevano sempre accompagnato, si spense a Fregene il 7 agosto 1964.

Fonti e Bibl.: G. Miele, G. Z. in memoriam, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, XIV (1964), pp. 523-525; M.S. Giannini, Vita e opere di G. Z., ibid., XV (1965), pp. 3-16; S. Cassese, G. Z. e il sistema del diritto amministrativo negli anni Trenta, in Politica del diritto, V (1974), pp. 699-710; B. Sordi, Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale. La formazione della nozione di interesse legittimo, Milano 1985, pp. 457-480; Il diritto amministrativo negli anni Trenta, Bologna 1992, passim; P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano 2000, pp. 224-228; A. Sandulli, Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in Italia (1800-1945), Milano 2009, pp. 211-219; Id., Z., G., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 2083-2086.

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