GUIDO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUIDO

Tommaso Di Carpegna Falconieri

Duca di Spoleto e marchese di Camerino, primo di questo nome; figlio di Lamberto (I) conte di Nantes, nacque intorno al secondo decennio del secolo IX.

La famiglia di G., appartenente a una dinastia franca affine a quella carolingia chiamata dagli storici Guidoni o anche Lambertingi, è documentata dalla fine del secolo VII ed era dotata di ingenti patrimoni nelle regioni della Mosella centrale e della Saar.

Si è creduto a lungo che il ramo "italiano" di tale dinastia, che resse il Ducato di Spoleto per più generazioni, fosse nel IX secolo imparentato con la casa imperiale (la madre di G. sarebbe stata Rottilde, figliastra di Ludovico il Pio, ed egli stesso avrebbe sposato una donna di alto rango, forse figlia di Pipino re d'Italia, oppure di Lotario, o di Ludovico II); ma ricerche recenti hanno dimostrato l'inconsistenza di tali supposizioni. La famiglia di G. si colloca però tra l'altissima aristocrazia franca, appartenendo all'entourage politico di Carlomagno e dei suoi immediati successori, presente su un vasto scenario al di qua e al di là delle Alpi. Un ramo derivato da un fratello di G., Heimo, avrebbe affermato la propria presenza anche in area padana, occupando la contea di Lecco fino all'età ottoniana. Altri due fratelli di G., Lamberto (II) conte di Nantes e Guarniero, furono entrambi uccisi nell'852 durante una sommossa contro il re Carlo il Calvo.

G. giunse in Italia nell'834 insieme con suo padre, cui era stato confiscato il comitato di Nantes, al seguito di Lotario re d'Italia, esiliato dall'imperatore Ludovico il Pio. Il conte Lamberto, uno tra i principali fautori di Lotario, morì poi nell'837.

Nell'840, dopo la morte dell'imperatore Ludovico il Pio (evento che aveva sancito la fine del bando e la candidatura imperiale di Lotario), G. tornò per un periodo in Francia, riprendendo possesso dell'antico monastero di Mettlach, nella Saar, come antico patrimonio della sua famiglia (monastero che, successivamente, Lotario avrebbe restituito alla Chiesa di Treviri). Nell'841, trovandosi ancora in Francia, partecipò con ogni verosimiglianza alla battaglia di Fontenay come alleato di Lotario contro i fratelli di questo, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo. La pesante sconfitta subita avrebbe limitato di molto la capacità di azione di Lotario, che si trovò a non poter esercitare più alcun diritto sopra la Francia e la Germania.

G., che evidentemente era un suo grande sostenitore, fu investito nell'842 del Ducato di Spoleto, territorio che aveva conosciuto la forte presenza di elementi di stirpe franca già all'indomani della conquista carolingia e che fu in questo modo sottratto alla dinastia dei Supponidi. Il Ducato di Spoleto divenne subito il perno della sua iniziativa politica e dinastica, che si risolse nel conseguimento di alleanze con i duchi di Benevento e con l'altra grande famiglia che si era recentemente imposta, seguendo gli imperatori, sulla scena politica italiana: gli Adalbertingi, marchesi di Toscana. In questo senso vanno considerati sia il matrimonio stipulato dallo stesso G. con Itta, figlia del duca Sicco (I) di Benevento, sia il successivo matrimonio della loro figlia Rottilde con Adalberto di Toscana, avvenuto intorno all'875. Nella crisi dell'Impero, l'amplissima base su cui poggiava il potere dei Guidoni avrebbe portato entrambi i figli maschi di G. ad aspirare al Regno e all'Impero: Lamberto, divenuto a sua volta duca di Spoleto, e Guido (II), che avrebbe cinto le corone di re d'Italia e di imperatore.

Nell'844 fu a Roma, per l'incoronazione reale di Ludovico II, figlio di Lotario. Due anni dopo, nell'846, egli sarebbe accorso in aiuto di papa Sergio II, partecipando alla cacciata dei Saraceni che si erano impadroniti delle basiliche di S. Paolo e di S. Pietro.

In realtà, la fonte che riporta la notizia dell'intervento di G. è il Chronicon di Benedetto del Soratte, che scrive a distanza di circa cento anni e che pertanto va accolto con riserva. Secondo questo autore, Gregorio IV (dunque non Sergio II, suo successore) avrebbe inviato legati al marchese "Quido" affinché accorresse in aiuto della Chiesa romana. Il marchese avrebbe ingaggiato battaglia a ponte S. Angelo e alla porta del borgo in Sassia (oggi porta S. Spirito), ricacciando i Saraceni. Anche Ludovico II avrebbe portato manforte, arrivando con il suo esercito ai prati di Nerone. Ma un'improvvisa sortita dei Saraceni avrebbe provocato strage tra i Franchi. Questi ultimi avrebbero poi inseguito i nemici fino a Cencelle, uccidendoli quasi tutti, ma non riuscendo a impedire che i superstiti (secondo Benedetto non più della decima parte) si imbarcassero con l'intero tesoro di S. Pietro. Il cronista, giudicando l'intera vicenda una sconfitta, conclude sostenendo che per questa ragione "populi Romani in derisione habuerunt Franci, usque in odiernum diem" (p. 151). Questa leggenda - che avrebbe dato origine anche alla tradizione secondo cui Castel di Guido sulla via Aurelia, l'antica Lorium, prende il nome da G., il quale vi avrebbe riportato una grande vittoria sui Saraceni - contiene un nucleo di verità, da individuare però nel fatto che questi stessi, battuti presso la basilica di S. Paolo dai Romani, si ritirarono a Gaeta, dove furono raggiunti da un esercito franco, che misero in rotta il 10 nov. 846. Al comando di questa spedizione vi era proprio Guido.

Nell'ottobre 847 G. si mostra nuovamente come il personaggio chiave della guerra contro i Saraceni e del tentativo messo in atto dai Carolingi di giungere a controllare il Meridione d'Italia. Egli compare infatti come missus nel capitolare De expeditione contra sarracenos di Lotario, insieme con Pietro vescovo di Arezzo e Anselmo, vescovo di una ignota diocesi, con l'incarico di convincere Benevento, Salerno e Napoli a porre termine alle loro inimicizie e a concordare la pacifica divisione dell'antico Ducato beneventano. I contendenti avrebbero dovuto inoltre giurare di espellere i Saraceni, collegandosi con l'imperatore, e dunque abbandonando la politica di appoggio e di alleanza che di volta in volta, per ragioni strategiche, intrattenevano con essi.

La situazione in cui G. si trovava ad agire era complessa. Morto Sicardo duca di Benevento (839), suo fratello Siconolfo si era mosso contro il tesoriere Radelchi il quale, pretendendo anch'egli alla successione, si era impadronito della città di Benevento. Dopo avere battuto il rivale in più di una occasione, Siconolfo aveva tentato di risolvere la questione una volta per tutte chiamando in aiuto G., che era suo cognato. Questi, però, anziché schierarsi in campo contro Radelchi, si propose come mediatore tra le parti. Dal pretendente Radelchi ottenne alte ricompense (Erchemperto, p. 240, parla di 70.000 monete d'oro e lo accusa di cupidigia) nonché la consegna del saraceno Apolaffar o Abu Ma Sar, capo dei suoi mercenari. Anche l'altro rivale, a quanto affermano Erchemperto e il Chronicon Salernitanum, avrebbe versato a G. ingenti somme per la sua mediazione. G. persuase il cognato a desistere dall'assedio di Benevento con la promessa che, con il suo patrocinio, avrebbe ottenuto tutto intero il Principato. Questa sua ingerenza avrebbe favorito la divisione dell'antico Ducato nei due Principati di Benevento, a Radelchi, e di Salerno, a Siconolfo, separando la fascia litoranea dalle regioni interne.

Benché si fosse trattato di un intervento relativamente limitato, esso dà la misura dell'interesse che i duchi di Spoleto nutrivano per le terre meridionali, limitrofe al loro Ducato. G., essendo cognato di uno dei contendenti, aveva anche interessi personali nella vicenda. Tuttavia egli appare soprattutto come un esecutore della politica imperiale. La sua intromissione nelle complesse vicende del Sud Italia, scaturita o comunque ufficializzata dalla funzione di rappresentante dell'imperatore, va considerata in larga misura come un segno di adesione e di condivisione della linea portata avanti in Italia dai Carolingi, che erano interessati a raggiungere il controllo pieno dell'antico Ducato longobardo e del Meridione in generale, considerato parte dell'Impero.

Infatti la pacificazione e la spartizione del Beneventano erano il primo passo per preparare la discesa di Ludovico II, figlio di Lotario, che si mosse da Pavia al principio dell'848. Ludovico, prima di allontanarsi da quei territori, avrebbe ratificato la divisione tra Salerno e Benevento e G. convinse Siconolfo a presentarsi davanti a lui, ottenendo in tal modo l'investitura del Principato.

Anche negli anni successivi G. si inserì attivamente nelle rivalità tra i signori longobardi e le città costiere. Intorno all'858 sostenne finanziariamente e militarmente il principe Ademario di Salerno contro Landolfo e Landonolfo, che tentavano di separare la contea di Capua da Salerno. Mentre Ademario tentava di conquistare la nuova Capua, G. mosse con le sue schiere verso il gastaldato di Teano, retto da Landonolfo, impadronendosi di alcuni territori siti nell'alta valle del Liri, con le città di Sora, Arpino, Vicalvi e Atina. L'acquisizione di questi luoghi, che Ademario gli avrebbe confermato in ricompensa dell'aiuto prestato, costituì un importante ampliamento del Ducato di Spoleto, proteso verso il mare Tirreno.

La morte di G. dovrebbe risalire a poco tempo dopo, poiché suo figlio Lamberto compare, insignito del titolo di conte, nel marzo 860 e, tuttavia, una data esatta non è stata ancora definita con sicurezza.

In un capitolare imperiale dell'866 è infatti citato un "ministerium Witonis" (p. 95), corrispondente al comitato di Camerino. La citazione del suo nome ha convinto alcuni storici che G. fosse ancora in vita e che, pertanto, durante il periodo 860-866 egli avesse associato il figlio Lamberto nella guida del Ducato. Questa seconda ipotesi non appare del tutto convincente, soprattutto se si valuta la qualità dell'azione politica di Lamberto, che appare opposta a quella del padre già a partire dall'860, quando il nuovo duca di Spoleto si ribellò a Ludovico II.

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