TESTA, Gustavo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 95 (2019)

TESTA, Gustavo

Marco Roncalli

– Nacque a Boltiere (Bergamo) il 18 luglio 1886, settimo e ultimo figlio di Angelo, piccolo proprietario agricolo, e di Agnese Guaitani.

La sua famiglia, di antico ceppo orobico, viveva vicina alla chiesa parrocchiale dove il futuro cardinale venne battezzato. Dopo le prime classi elementari in paese completò il ciclo con la quarta e la quinta presso il collegio dei salesiani di Treviglio, dove pure frequentò il ginnasio. Da qui, affinché la sua salute trovasse giovamento da un clima più salubre, venne mandato in un’altra scuola dei salesiani, sul mare, ad Alassio, dove superò la prima e seconda liceo classico. Rientrato a casa nell’estate del 1905, s’iscrisse per l’anno della maturità presso l’istituto vescovile S. Alessandro di Bergamo, non terminando però qui gli studi, bensì al liceo Paolo Sarpi. Indirizzatosi alla vita ecclesiastica, di lì a poco fu don Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, allora segretario del vescovo di Bergamo Giacomo Maria Radini Tedeschi, a farlo inserire fra i quattro chierici meritevoli, destinati per gli anni 1907-09 al pontificio seminario romano, grazie a una borsa di studio del collegio Cerasoli. Lì gli giovò moltissimo il direttore spirituale don Francesco Pitocchi, ricordato in una lettera a Roncalli del 18 giugno 1922 come «l’uomo della Provvidenza che mi ha formato per essere un prete meno indegnamente [...] possibile», e dove confida all’amico che, se in lui non avesse trovato tanta bontà e sicurezza, forse sarebbe «uscito dal seminario».

Laureatosi a pieni voti in teologia a Roma nel 1910, il 28 ottobre dello stesso anno venne ordinato sacerdote a Bergamo da Radini Tedeschi nella chiesa del monastero di S. Grata: a fungere da cerimoniere fu don Roncalli, con il quale il legame si era ulteriormente rafforzato. Vincitore di un’altra borsa di studio della Confraternita dei bergamaschi a Roma, il neosacerdote proseguì gli studi al Pontificio istituto biblico perfezionandosi nella Sacra Scrittura. Nella capitale restò altri tre anni, sino a quando – nel luglio del 1913 – poté godere di un soggiorno di studio a Gerusalemme e Beirut: otto mesi durante i quali continuò a studiare le lingue orientali. Tornato a Roma nel 1914 superò brillantemente – davanti all’allora prefetto della Biblioteca Ambrosiana Achille Ratti, il futuro Pio XI – gli esami di paleografia e diplomatica. Con questo curriculum tornò nella sua diocesi dove Radini Tedeschi lo volle docente in seminario. Qui insegnò Sacra Scrittura e lingua ebraica nei corsi di teologia, storia sacra nei corsi inferiori e lingua greca in quinta ginnasio – materie di cui fu titolare negli anni 1915-16, mentre nel 1916-17 insegnò anche italiano e storia nella prima ginnasiale. Molti i colleghi in buoni rapporti con questo insegnante dall’indole tranquilla e attento alla cura dei seminaristi, rimasti poi legati a lui per la vita: il già ricordato don Roncalli, monsignor Gelmo Carozzi, monsignor Pietro Pacati, don Giovanni Battista Morali, don Agostino Vismara ed altri. Poi, per don Gustavo, la prima svolta della vita. Nel 1920, infatti, fu designato alla nunziatura di Vienna come segretario del nunzio Francesco Marchetti Selvaggiani. Qui si perfezionò nella lingua tedesca e conobbe gli esponenti della nuova democrazia austriaca. Nel 1923 il cardinale Pietro Gasparri lo inviò, durante l’occupazione francese, come legato straordinario nella Ruhr e nella Saar, dove rimase sino al 1924. Alla fine di quell’anno, inoltre, fu in Perù tra i partecipanti della delegazione pontificia alle celebrazioni per il centenario della Liberazione del Paese. Richiamato a Roma, dal 1925 fu minutante della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari per circa un quinquennio (trascorrendo sei mesi alla nunziatura di Monaco di Baviera nel 1927). Nel 1929 venne assegnato alla nunziatura della S. Sede presso la Real corte d’Italia – appena nata – come consigliere del nunzio Francesco Borgongini Duca, suo antico prefetto al seminario romano, entrando anche a far parte della commissione per l’esecuzione del concordato. Lì la sua preparazione giuridica fu messa a profitto nella composizione dei contrasti sull’interpretazione applicativa di quei Patti che da poco avevano messo fine all’antica lacerazione fra Italia e S. Sede. «Dopo Pasqua si inizieranno le sedute plenarie. Cosa molto interessante...», si legge in un’altra lettera a Roncalli (nel frattempo diventato vescovo e inviato come visitatore apostolico in Bulgaria). Nel messaggio, datato 21 marzo 1929, elencati i membri della commissione mista, raccontò all’amico un incontro estemporaneo con il duce a cavallo durante una passeggiata solitaria sull’Appia antica. Nel 1933 fu nuovamente impegnato come visitatore apostolico nella Saar. Quindi una nuova svolta: Pio XI il 4 giugno 1934 lo elesse arcivescovo titolare di Amantea, designandolo delegato apostolico dell’Egitto, Arabia, Abissinia, Eritrea, Palestina, Transgiordania e Cipro. Consacrato il 1° novembre dello stesso anno nella cattedrale di Bergamo dal cardinale Ildefonso Schuster, ebbe coconsacranti l’amico Roncalli – che alla fine di quel mese, consumato il decennio bulgaro, fu nominato delegato apostolico in Turchia e Grecia – e il vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi. «Certo è che poche scelte furono più felici, perché monsignor Testa era l’uomo adatto nel posto adatto, sia per la sua preparazione dottrinale e linguistica, sia per quell’innato senso realistico che lo portava a studiare, valutare e giudicare le situazioni nel loro aspetto concreto e nella loro possibilità di evoluzione e sviluppo», scriverà Lorenzo Suardi (1970), ipotizzando una spinta di Roncalli nell’assegnazione del nuovo incarico (p. 624). Da quel momento, la vita del prelato bergamasco mutò notevolmente.

Testa visse quel periodo dividendo la sua residenza fra Il Cairo e Gerusalemme. I cattolici in Egitto erano un gruppetto sparuto all’interno della stessa minoranza cristiana, e il giovane re Fārūq, sul trono dal 1936 dopo la morte del padre Fu’ād, era più interessato a proporsi come protettore dei musulmani. Testa seppe comunque destreggiarsi stabilendo rapporti profittevoli per i cattolici, accogliendo e ricambiando volentieri gli inviti dei fratelli copti e raggiungendo sperduti monasteri, frequentando il palazzo reale dove – accompagnato dal segretario don Carlo Perico – avvicinava personaggi importanti sensibilizzandoli ai problemi delle opere cattoliche locali. Presto però lo scenario cambiò e l’Egitto divenne teatro di operazioni militari, mentre si scatenava il secondo conflitto mondiale. Così al delegato apostolico, continuatore della linea del predecessore Valerio Valeri (che aveva voluto tenere i cattolici al di fuori delle lotte politiche), toccò, come ad altre sedi con cui tenne strette relazioni, manifestare il soccorso della S. Sede a favore dei più deboli e dei prigionieri: senza distinzioni. Un’opera di cui si hanno tracce nei documenti raccolti nel secondo tomo del volume Inter Arma Caritas. L’Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerre istituito da Pio XII. 1939-1947 (Città del Vaticano 2004, pp. 657, 681,695, 697, 886, 1201, 1204) e persino in libri assai datati (ad esempio, I. Giordani, Vita contro la morte, Milano 1956).

Le buone relazioni stabilite da Testa – oltre che con i diversi rappresentanti diplomatici e religiosi – con le stesse autorità della potenza mandataria inglese non impedirono, all’aggravarsi del conflitto, il suo rientro a Roma nel 1942, anche perché le autorità britanniche si insospettirono dei suoi sentimenti filoitaliani. Il nunzio a Parigi Roncalli, dopo averlo incontrato a Bergamo durante le vacanze, annotò sul diario il 12 agosto 1947: «Giorno lieto per l’arrivo di mgr. Gustavo Testa [...], mio diletto amico da oltre 40 anni. Lo trovo un po’ stanco ed emaciato: gli anni anche per lui crescono. La sua condizione di inattività da ormai 5 anni lo affligge, certo, ma non lo abbatte. Lo spirito è pronto, e ciò mi fa grande piacere» (Anni di Francia. Agende del Nunzio, a cura di É. Fouilloux, I, Bologna 2004, p. 354). In ogni caso, nel 1948, di fatto dopo un lustro di inattività diplomatica (durante il quale si registrano comunque sue visite nelle diocesi del Nord Italia per constatare le urgenze cui provvedere a vantaggio degli internati in Germania di ritorno in patria), fu nuovamente nominato delegato apostolico a Gerusalemme (allorquando si decise di separare dalla rappresentanza pontificia d’Egitto i territori di Palestina, Transgiordania e Cipro), diventando allo stesso tempo amministratore apostolico del patriarcato latino, che era vacante. Alla nomina contribuirono forse diversi fattori: gli aiuti prestati durante la guerra a ebrei, ma pure a profughi palestinesi; il riconosciuto moderato antisionismo, atteggiamento comune tra i diplomatici vaticani, che temevano il sionismo principalmente per le radici laiche del suo pensiero e taluni apparentamenti all’ideologia comunista condivisi dallo stesso Testa (come documentano confidenze fatte all’ambasciatore italiano presso la S. Sede Antonio Soragna, l’8 maggio 1948, proprio poco prima di imbarcarsi per la Palestina); e, parimenti, il moderato entusiasmo per le comunità cattoliche palestinesi (da quella latina a quella melchita), nonché la determinazione nella difesa dei diritti dei cattolici nei Luoghi Santi da tutelare. In particolare Testa, turbato dal triste spettacolo dei rappresentanti delle confessioni cristiane in lotta fra di loro a contendersi i luoghi legati alla vita e alla morte di Gesù, e soprattutto dalle pessime condizioni del Santo Sepolcro, dedicò molte energie a un progetto per ricostruirlo, che non fu mai realizzato, ma di cui resta una pubblicazione apparsa nell’ottavo centenario della consacrazione, avvenuta il 15 luglio 1149 (Il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Splendori-miserie-speranze, Bergamo 1949).

In essa lanciava la proposta di un grandioso ammodernamento, che contemperando i diritti delle maggiori comunità officianti – latina, greca e armena – offrisse ospitalità anche alle comunità minori: copta, abissina, anglicana e sira. Se le linee architettoniche sono ben chiarite nel volume, nella Prefazione di Testa balza invece agli occhi il garbo con cui si rivolge alle comunità dissidenti, invitandole ad aderire alla sua aspirazione a realizzare sul luogo sacro un grande monumento. E anche se l’appello non fu raccolto, la pubblicazione portò comunque il tema al centro dell’attenzione.

Seguì poi un’altra tappa che l’avrebbe visto congedarsi dalla Terrasanta, rivista solo molti anni dopo accompagnandovi Paolo VI nel 1964. Il 6 marzo 1953 infatti venne inviato da Pio XII alla nunziatura di Berna, retta per sei anni con il plauso delle autorità elvetiche, che gli espressero gratitudine alla fine dell’esperienza, conclusasi quando Roncalli – salito sulla cattedra petrina con il nome di Giovanni XXIII – lo creò cardinale nel concistoro del 14 dicembre 1959 con il titolo di S. Girolamo degli Schiavoni (curioso lo stemma adottato, contro ogni regola araldica senza alcun simbolo sul campo e la sola iscrizione Sola gratia tua – et patria et cor in segno di gratitudine al pontefice). Dopo l’annuncio del concilio Testa collaborò a diverse commissioni, presiedendo quella tecnico-organizzativa, all’interno di quella preparatoria centrale.

Attivo in varie congregazioni, anche godendo della prossimità al papa che incontrava spesso privatamente, si trovò a gestire incarichi confidenziali (si pensi all’incontro con uno degli osservatori ortodossi al Concilio Vaticano II, l’arciprete Vitalij Borovoi – cui chiese l’intercessione del patriarca Alessio I presso il governo sovietico per liberare il metropolita Josyf Slipyj, prigioniero da diciotto anni nei gulag, come poi avvenne nel 1963).

Mancato il cardinale Domenico Tardini il 30 luglio 1961, in sua sostituzione, Testa il 4 ottobre successivo fu nominato propresidente della commissione cardinalizia per l’Amministrazione speciale della S. Sede: un incarico mantenuto sino alla morte e voluto dal papa quale «inizio di una grave riforma degli uffici amministrativi», come scrisse Giovanni XXIII aggiungendo: «Speriamo che si riesca a sgombrare la Città del Vaticano da parecchi parassiti che la infestano» (Pater amabilis. Agende del pontefice, 1958-1963, a cura di M. Velati, Bologna 2007, p. 283). Il 2 agosto dell’anno successivo, inoltre, fu nominato segretario della S. Congregazione della Chiesa orientale, della quale divenne, in seguito, con la riforma, prima proprefetto, poi prefetto, incarico mantenuto sino al gennaio del 1968 quando, in seguito alla costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae, rassegnò il mandato nelle mani di Paolo VI, ricevendone una lettera di ringraziamento che ne giudicava il servizio esemplare.

A proposito di papa Montini, non pochi sono gli storici che hanno ricordato un insolito intervento di Testa (sollecitato dal sostituto Angelo Dell’Acqua) alla quarta votazione del conclave che lo elesse successore di Giovanni XXIII. Levatosi dal suo scanno, il porporato bergamasco, avvicinatosi ai cardinali Carlo Confalonieri e Alberto Di Jorio, chiese loro – a voce alta perché anche altri sentissero – di adoperarsi affinché certe manovre tese a ostacolare l’elezione di Montini fossero abbandonate. L’iniziativa irrituale portò a un’intesa.

Ma la figura del cardinale Testa va ricordata anche per diversi suoi impegni portati a termine per il proprio paese natale – dove volle un asilo dedicato alla memoria dei genitori – e per la sua città: l’ammodernamento del collegio S. Alessandro; i restauri della chiesa di S. Spirito e del monastero delle benedettine di S. Grata di cui era protettore; il nuovo seminario di Bergamo sul Colle San Giovanni. Ulteriore approfondimento meriterebbero episodi che videro il cardinale accanto ai tormenti dello scultore conterraneo Giacomo Manzù (nella vicenda della Porta della Morte per S. Pietro) o dell’erudito don Giuseppe De Luca (il fondatore delle Edizioni di storia e letteratura) che di lui diceva: «bene [...] me ne vuole anche Testa, ma lui è stato uomo di affari, e ha un tono che certe volte mi sgomenta» (L.F. Capovilla - G. De Luca - Giovanni XXIII, Carteggio 1933-1962, a cura di M. Roncalli, Roma 2006, p. 175).

Morì il 28 febbraio 1969 a palazzo S. Carlo per un collasso cardiovascolare dopo una lunga malattia: ultimo conforto furono la visita e la benedizione di Paolo VI. Dopo i funerali – nella chiesa ipogea del seminario a Bergamo la sera del 5 marzo 1969 – le sue spoglie furono sepolte nella chiesa del monastero di S. Grata.

Fonti e Bibl.: La Biblioteca Angelo Mai di Bergamo conserva carte di Testa su vari temi pervenute negli anni Settanta; la corrispondenza con papa Roncalli – cui si è attinto per le lettere qui citate – è inedita e custodita nei faldoni Roncalli-Testa presso la Fondazione Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Notizie biografiche si trovano in L. Suardi, Memoria del card. Testa, in Atti dell’Ateneo di scienze, lettere e arti, Bergamo 1970, pp. 615-640; per i rapporti con Giacomo Manzù cfr. Manzù. L’artista di Papa Giovanni, a cura di L.F. Capovilla - V. Zanella, Bergamo 1996, pp. 55, 62-66, 73, 93, 123, 371; sull’atteggiamento circa il sionismo cfr. U. Bialer, Cross on the Star of David, Bloomington 2005, pp. 12, 65 s., 75, 87; per le vicende del conclave del 1963 cfr. G. Zizola, Il conclave. Storia e segreti, Roma 2005, pp. 242-246; per quelle inerenti il concilio, il nome di Testa ricorre per cenni in diversi lavori sulla storia del Vaticano II.

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