ANDERSEN, Hans Christian

Enciclopedia Italiana (1929)

ANDERSEN, Hans Christian

P. K.
G. Ga.

Poeta danese, autore di delicate conosciutissime fiabe, nato a Odense il 2 aprile 1805, morto a Copenaghen il 4 agosto 1875. Egli stesso intitolò la sua autobiografia Mit Livs Eventyr (La fiaba della mia vita, 1847); e come un mondo di fiaba dovette, più d'una volta, apparirgli veramente la realtà della sua esistenza. Il padre, calzolaio, povero così da dover adattare a talamo nuziale i resti di un catafalco acquistati per pochi soldi all'asta pubblica, era un uomo di cuore, ma bizzarro, con aspirazioni e gusti superiori alla sua condizione: si credeva "nato a qualcosa di più alto" e passava preferibilmente la sue giornate a leggere o a vagabondare pei boschi: alla fine piantò moglie e bimbo e partì per andare a far la guerra con Napoleone; ma ne ritornò con la salute rovinata, e poco dopo mori (1816). La madre, una buona donna, semplice e affettuosa, ma "robustamente sensuale" di temperamento e con istinti di popolana, rimasta vedova e costretta a far la lavandaia per vivere, a poco a poco si abbrutì dandosi al vizio del bere (v. la fiaba Essa non era buona a nulla). Il bimbo crebbe, perciò, quasi interamente abbandonato a sé stesso. Nella scuola, che presto disertò, apprese poco più che a leggere. E dalla sua indole schiva e sensibile fu indotto a rimanersene anche, per lo più, solitario, lontano da altri compagni di età e di gioco. All'ombra dell'"unico cespuglio d'uvaspina" nel cortile di casa, sdraiato a terra, o lungo il ruscello vagando per la campagna (v. la fiaba del Brutto anitroccolo), godeva in indisturbata libertà la sua solitudine, fantasticando o combinando scene di un suo infantile teatro. Sognava di diventare un grande attore, e, quand'ebbe ricevuta la confermazione (1819), partì per Copenaghen. Ma il primo direttore di teatro a cui si presentò, giudicò che per la scena era troppo magro. Tutta la sua ricchezza consisteva in tredici talleri, i quali presto sfumarono. Una sera il tenore italiano Giuseppe Siboni, che piû tardi divenne fondatore e direttore del Conservatorio e allora cantava al Teatro reale, se lo vide comparire davanti, pallido e macilento, con la preghiera che gli "provasse la voce" e lo aiutasse: il Siboni s'impietosì, l'ascoltò e lo soccorse: erano presenti anche il Baggesen e altre persone influenti che gli ottennero di poter entrare come allievo nella Reale scuola di canto e ballo. Infine Jonas Collin, eminente uomo pubblico della Copenaghen di quel tempo, riuscì a procurargli un assegno annuale da re Federico VI. Poté cosi incominciare un corso di studî regolari: ma le costrizioni della disciplina e i metodi dell'insegnamento, e l'umiliazione e il disagio di trovarsi in mezzo a bimbi tutti molto più giovani di lui, fecero di quei sei anni di scuola (1822-28) "un solo lungo supplizio".

E anche come scrittore ebbe sviluppi contrastati e lenti. Con una gentile composizione Det døende Barn (Il bimbo morente), pubblicata nella Kjøbenhavnspost, si rivelava, già nel 1827, poeta schietto e di limpida vena. E come tale fu salutato anche da Heiberg, che dominava allora come critico nel mondo letterario: ma non aveva coscienza chiara delle sue attitudini, e andò a lungo cercando invano sé stesso in tentativi disparati d'ogni genere. Al romantico ironico racconto Fodrejse fra Holmens Kanal til Ostpynten af Amager (Viaggio a piedi dal canale di Holmen fino alla punta orientale di Amager, 1829), arabesco in prosa nella maniera di Hoffmann, seguirono infatti, in breve volger di tempo, alcuni vaudevilles (fra cui Kaerlighed paa Nikolaja Taarn, Amore sulla torre di San Nicolao, 1829), un volume di liriche (Digte, 1831), una raccolta di Phantasier og Skitser (1831), due melodrammi (Bruden fra Lammermoor, La sposa di L.; Ravnen, Il corvo, 1832), e un poema drammatico Agnete og Havmanden (Agnete e il Tritone, 1833): non vi mancano qua e là spunti felici, pagine scritte con garbo, ma ancora troppo spesso vi si sente l'esercitazione letteraria senza un accento personale; e il meglio della sua arte di questo periodo è da cercarsi, forse, nei semplici versi descrittivi delle Vignetter til danske Digtere (1832), e, più ancora, e soprattutto, nella limpida prosa degli Skyggebilleder af en Rejse til Harzen og det sachsiske Schweiz (Echi ed immagini di un viaggio nello Harz e nella Svizzera sassone, 1832), vivace commosso racconto del viaggio che fece in Germania nel 1831, delle cose che vide, dei poeti che vi conobbe e delle accoglienze che ne ricevette. Qui il tono fondamentale della sua poesia compare già intero: quella freschezza ingenua, festosa e confidente, quasi di bimbo, che fu sempre la nota essenziale del suo spirito, e come gli dettò la poesia, gli governò la vita, facendo di lui un viaggiatore sempre felice di partire per qualche paese nuovo, di muovere verso sempre nuove impressioni, di vedere in sempre nuove forme com'è ricco e bello il mondo. Più che la capacità di plasmar caratteri e concrete figure moventisi nella realtà della vita, è infatti questa l'ispirazione che gli dettò le pagine più vive dell'Improvvisatore (1835), fortunato romanzo scritto in Italia nel 1834 su soggetto italiano, un po' convenzionale nella trama e nella concezione, ma ricco di colore e di romantica suggestività, e tale che rapidamente impose il suo nome in Europa. Così come questa è l'ispirazione che gli suggerì le pittoresche, delicatissime visioni del Billedbog uden Billeder (Album senza figure, 1840), dove con grande leggerezza di tocco sono evocate le immagini di ciò che la luna vede sopra la terra durante il suo notturno errare quando negl'incantesimi del plenilunio i termini della realtà e del sogno sembrano confondersi insieme. E questa è finalmente - e soprattutto - l'ispirazione che gli dettò le Fiabe.

Ne pubblicò un primo fascicolo nel 1835, a cui quasi ogni anno un fascicolo nuovo seguì, fino al 1872. Le fonti sono molteplici: tradizioni popolari, racconti pei bambini, fiabe, vecchi motivi novellistici; Andersen prese il materiale dove gli si offriva, e talvolta lo lasciò nella sostanza inalterato, come nella Principessa sopra un pisello, nella Principessa e il pastore di porci, nei Vestiti dell'imperatore, nello Zolfanello: oppure ne prese soltanto uno spunto, come nella maggior parte dei casi, e poi elaborò a suo talento, oppure ancora completamente inventò, come nel Compagno di viaggio, nei Colletti, nell'Abete, nella Regina della neve, nella Storia di una madre. Ma ciò che è sempre suo ed è stato fino ad oggi inarrivato è lo stile in cui narra, il tono del discorso, il modo del racconto che è quello di un uomo a cui l'esperienza ha aperto gli occhi sulla realta della vita ma non ha fatto perdere il nativo candore del sentimento e la gioia di vivere, la fede in sé e in tutte le cose che esistono, l'abbandono infantile e fiducioso alle proprie impressioni. Passano fate e streghe, spiriti folletti e sirene, re e imperatori, principi e maghi, principesse e cigni, galline e colombi - tutte le creature del mondo delle fiabe; le porcellane si animano, dalle corolle dei fiori sbocciano visi di fanciulle. Andersen poeta ci crede come ci crede un bimbo, se ne fa una festa come può fare un bimbo. Ne sorride anche, e spesso, argutamente; ma senza cessar mai di crederci e di deliziarsene. Ha imparato dalla vita una sua semplice filosofia: che l'uomo è debole, e la vita è seria, la vita è dura, e bisogna superare delle rudi prove; ma il mondo è bello, inesauribilmente bello e c'è sopra di esso una Provvidenza che veglia e che guida. Il mondo umano e il mondo della natura sono una cosa sola, e una fondamentale bontà e bellezza nel mondo umano riflette e riecheggia la fondamentale bellezza della natura universa. La sua poesia è l'ingenuo poema di questa bellezza.

Andersen tentò anche, dopo il grande successo delle fiabe altre forme di poesia: e tornò al romanzo con O. T. (1836: sono le iniziali con cui si designava a Copenaghen la locale casa di pena), con De to Baronesser (Le due baronesse, 1849) e con Kun en Spillemand (Soltanto violinista, 1837) appassionato racconto in cui sono molte pagine di vita vissuta, o addirittura si volse al romanzo filosofeggiante, con At wøere eller icke wøere (Essere o non essere, 1857); ma soprattutto tornò al teatro con nuovi vaudevilles, con le ingenue commedie fiabesche Lykkens Blomst, Mer end Perler end Guld, Ole Lukøjee e Hyldemoer, e con le due artificiose e manierate tragedie Mulatten e Maurerpigen; ma solo nella piccola commedia Den ny Barselstue (La nuova camera della puerpera, 1845) e nel grazioso libretto d'opera Liden Kirsten (La piccola K.) musicato da Hartmann (1846), diede qualcosa di vivo, oppure in scritti autobiografici come Mit Livs Eventyr (2° voll., 1855; e un'ultima continuazione, Forisøttelse, per gli anni 1855-67, venne pubblicata da J. Collin, 1877); o, in fine, in libri come En digters bazar (Il bazar di un poeta), I Sverige (1851), I Spanien (1863), Et Besøg i Portugal (1866), in cui raccontò qualcuno dei quaranta viaggi che fece all'estero (in Italia fu 4 volte, trattenendosi a Roma dal 18 ottobre 1833 al 1o aprile 1834, dal 19 dicembre 1840 al febbraio 1841, dal 31 marzo al 1° maggio 1846, e infine nel maggio 1861). Si spense dolcemente, amato da tutti, nella villa "Rolighed" dei Melchior, ricchi mercanti suoi amici. Ma già da vivo gli avevan fatto una statua nel suo paese, e, sensibile agli onori come sono tutti gli ingenui, piace di immaginarlo alla fine della sua lunga vita mentre fa ogni giorno, sorridendo con compiacenza, la sua passeggiatina attorno al proprio monumento.

Ediz.: Le opere complete in língua danese (33 voll.) furono pubblicate a Copenaghen dal 1854 al 1879. Ottima edizione delle Opere scelte è quella curata da W. Andersen (Udvalgte Skrifter), 12 voll., Copenaghen 1898-1901. E ricche di materiale sono le raccolte delle lettere curate da C. St. A. Bille e N. Bøgh (Breve til og fra H. C. Andersen, Copenaghen 1877 e 1878). Fra le edizioni illustrate v. specialmente quelle del Pedersen, del Frölich, del Tegner, del Larsson. Le traduzioni sono numerosissime e in tutte le lingue. La migliore traduzione italiana delle fiabe è, a tutt'oggi, quella parziale di M. Pezzè-Pascolato (Quaranta novelle di A., 6ª ed., 1923). Una traduzione integrale esce a puntate, come appendice al Corriere Magistrale, per cura di Ellen Hörup. E un'altra traduzione integrale sta per essere pubblicata anche a Milano dalla Casa Treves, la quale già pubblicò anche versioni de l'Improvvisatore e del Violinista (1879).

Bibl.: G. Brandes, in Saml. skrifter (II, XV e XVIII); I. Collin, H. C. Andersen og det Collinske Haus, Copenaghen 1862; R. Nisbet Bain, Life of A., New York 1895; H. Brix, H. C. A. og hans Eventyr, Copenaghen 1907; R. Stampe, H. C. A. og hans naermeste omgangskreds, Stoccolma 1918; Larsen, Andersens Leben ohne Dichtung, Lipsia 1926; Rubow, H. C. A.'s Eventry, Copenaghen 1927.

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