I culti misterici

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

I culti misterici

I culti misterici sono praticati in onore di alcune specifiche divinità, in particolare Demetra e Kore, Dioniso, Cibele, gli dèi di Samotracia. Tali riti, cui si accede tramite un’iniziazione, sono caratterizzati dalla segretezza. Attraverso la loro celebrazione gli antichi si propongono vari obiettivi, quali ad esempio il benessere economico, la protezione da pericoli specifici, come i naufragi, ma anche la speranza di una vita eterna nell’aldilà.

Misteri e mysteria

Tra i riti di iniziazione della Grecia antica non si possono dimenticare i cosiddetti culti misterici. Quando oggi si parla di "mistero" facendo riferimento a qualcosa che non si riesce a comprendere né a spiegare, si utilizza un’espressione che per gli antichi riguarda esclusivamente la sfera religiosa: i Misteri (Mysteria) infatti sono in senso stretto il nome della festività che ha luogo a Eleusi in onore delle due dee, Demetra e Kore.

Già a partire dal V secolo a.C., tuttavia, i Greci utilizzano la denominazione di "misteri" per riferirsi anche ad altri culti che considerano appartenenti alla stessa tipologia, per esempio quelli dei Megaloi theoi di Samotracia, della Madre degli dèi, e di Dioniso. Chi partecipa a tali riti si propone di entrare a far parte di un gruppo chiuso, quello degli iniziati a una certa divinità, per godere di un profondo e permanente beneficio in vita e/o nell’aldilà. Tra i fini cui tendono i culti misterici, la dimensione escatologica riveste un’importanza particolare, soprattutto a Eleusi e per gli iniziati a Dioniso, ma vi sono anche aspettative più concrete: chi si inizia agli dèi di Samotracia, cerca di proteggersi dai pericoli del mare e coloro che celebrano i riti dei Coribanti desiderano essere liberati da peculiari forme di follia.

Il termine greco mysteria indica l’assoluta segretezza di tali pratiche rituali: secondo le etimologie antiche, esso allude al fatto che chi partecipa a tali riti deve appunto chiudere la bocca (myein), cioè non rivelare ciò che ha visto e che ha fatto. Le cerimonie di iniziazione pertanto vengono spesso officiate di notte, in spazi chiusi, o al contrario fuori città, in ogni caso nascoste alla vista dei più. I Greci si riferiscono spesso al contenuto di tali cerimonie con i termini aporrheta o arrheta, che significano rispettivamente "ciò di cui è proibito parlare" e "ciò di cui non si può parlare": nel primo caso la definizione si riferisce all’esistenza di un divieto "esterno", sancito dalla legge, di rivelare quanto accade durante i suddetti riti; la seconda espressione invece considera ineffabile, non comunicabile a parole, l’esperienza di chi vi partecipa. Accanto a mysteria, altri vocaboli meno specifici sono adoperati per indicare questo insieme di culti: il nome di orghia, in relazione con il verbo erdein ("fare") e con il sostantivo ergon ("lavoro, opera"), mette in evidenza che il contenuto di queste pratiche è rappresentato da un "agire" in senso strettamente rituale. Il senso moderno di "orgia" è frutto della propaganda negativa dei Padri della Chiesa, che nei primi secoli del cristianesimo interpretano a torto il frequente e centrale riferimento alla sessualità contenuto in questi riti (nudità, esposizione di statue falliche ecc.) come un abbandonarsi da parte degli iniziati a una segreta e sfrenata attività sessuale.

Il più generico vocabolo teletai infine ci consente invece di cogliere la concezione secondo la quale tali riti sono un compimento (telos), un "coronamento" della vita dell’individuo. Tale termine, che allude al raggiungimento di un nuovo stato da parte di chi compie determinati riti, appare il più vicino all’uso moderno di "iniziazione", che invece deriva etimologicamente dal corrispondente latino di mysteria, cioè initia. Contrariamente alla voce greca, che pone l’accento sul rito come "completamento" dell’individuo (telein significa infatti "finire, portare a compimento"), quella latina suggerisce piuttosto l’idea dell’inizio (initium) di una nuova fase della vita dell’iniziando.

Eleusi

In senso stretto, come abbiamo detto, il termine mysteria designa la festa che si tiene nel mese di Boedromione (settembre-ottobre) nella città di Eleusi, presso Atene, in onore di Demetra e di sua figlia Persefone, qui chiamata semplicemente Kore (la "fanciulla"). L’organizzazione delle cerimonie è monopolio di due famiglie aristocratiche eleusine, gli Eumolpides e i Kerykes. È solo in occasione di questa festività che ci si può iniziare al culto delle dee, con l’esclusione di coloro che non parlano greco e di coloro che sono impuri a causa di un omicidio.

Si ritiene che i riti di Eleusi siano stati fondati dalla stessa Demetra: l’inno omerico in onore della dea (A Demetra, passim) racconta che la dea, irata per il rapimento della figlia Kore da parte del dio Ade, si allontana dall’Olimpo e sotto mentite spoglie prende servizio presso la famiglia reale di Eleusi come nutrice del piccolo Demofonte, che la dea cerca di rendere immortale ponendolo tra le fiamme del focolare. Scoperta dalla regina Metanira, Demetra rivela la sua identità e abbandona irata Eleusi, vietando ai raccolti di crescere. Solo quando Zeus concede che sua figlia passi due terzi dell’anno sulla terra e un terzo negli inferi Demetra permette alla terra di rifiorire in corrispondenza con il ritorno di Kore, e istituisce i riti di Eleusi per donare agli uomini una speranza di vita nell’aldilà.

Già antiche sono le interpretazioni che vedono nell’alterna presenza di Kore sulla terra un’allusione al ciclo del grano, il quale con la sua "morte" durante i mesi invernali e la sua "rinascita" in primavera si presta a essere l’immagine della continuità dell’esistenza anche dopo l’esperienza della morte. “Felice tra gli uomini che vivono sulla terra colui che è stato ammesso al rito! / Ma chi non è iniziato ai misteri, chi ne è escluso, giammai avrà / simile destino, nemmeno dopo la morte, laggiù, nella squallida tenebra […] beato fra gli uomini che vivono sulla terra / quegli cui esse [scil. Demetra e Persefone] concedano benevolenza: / subito alla sua vasta casa mandano, nume tutelare, Pluto, che dispensa ricchezza ai mortali” (Inno omerico A Demetra, 480-482, 486-489). Ricchezza agricola e prospettiva di una vita felice nell’aldilà sono le aspettative con cui ci si inizia ai riti delle due dee, mentre, secondo fonti più tarde, coloro che non sono stati iniziati sono condannati nell’aldilà a restare immersi nella palude infera – immagine che allude alla loro condizione di impurità – o a riempire una giara per il grano senza fondo – a significare che non sono stati capaci di "mettere da parte" i doni della dea.

Osserviamo il rito più da vicino. Secondo le testimonianze antiche, l’iniziazione a Eleusi consiste in un’intensa esperienza emotiva: Aristotele a questo proposito parla del percorso dell’iniziato come di un pathein ("provare", "sentire"). Durante il lungo e complesso percorso dei misteri, l’iniziando è infatti chiamato a ripercorrere in più punti le orme delle due dee, dapprima il lutto e la tristezza di Demetra, e poi la gioia per il ritrovamento di Kore, in un continuo intrecciarsi tra la dimensione rituale e quella mitica. Nella prima fase dei riti, che inizia il 14 di Boedromione e si svolge ad Atene, gli aspiranti iniziati sono riuniti nell’agorà e quindi invitati a purificarsi facendo un bagno nel mare, presso il Falero, insieme a un maialino che poi sacrificano e mangiano.

Da questo momento l’iniziando è tenuto a digiunare, ripetendo il comportamento della dea in lutto. Nel terzo giorno del digiuno (il 19) egli intraprende insieme agli altri una lunga marcia in direzione di Eleusi nel corso della quale ha luogo, sul ponte del fiume Cefiso, il gephyrismos, cioè uno scambio rituale di battute e volgarità che richiama l’episodio mitico di Iambe, una vecchia che, con le sue parole salaci, era riuscita a far ridere la dea in lutto. Arrivati a Eleusi, il digiuno è rotto dall’ingestione del kykeon, una bevanda a base d’orzo e menta, la stessa con cui Demetra avrebbe posto fine al suo lutto.

La sera stessa, in un edificio chiamato telesterion, si svolge il rito centrale dei misteri, l’epopteia ("visione", "contemplazione"). Un fitto silenzio avvolge ciò che accade a questo punto. Le fonti antiche sono comunque concordi su tre punti: innanzitutto, l’iniziando affrontava un passaggio dall’oscurità alla luce, che probabilmente riproduceva la ricerca di Kore da parte della madre e il suo ritrovamento. In seguito, nel fulgore delle fiaccole lo ierofante rivelava una nascita: “la dea ha generato il dio, Brimo ("la forte") ha generato Brimos ("il forte")”. È probabile che tale frase alludesse alla nascita di un figlio di Persefone, variamente identificato con il dio Ploutos, personificazione della ricchezza agricola o, in una fase successiva, con Dioniso. Infine, il rito si concludeva con la visione degli oggetti sacri contenuti in una cesta, manipolati probabilmente dallo ierofante: gli autori cristiani parlano in particolare della contemplazione di una spiga, un elemento che si adatterebbe bene all’annuncio della nascita di Ploutos. I misteri si chiudono così sull’annuncio pieno di speranza di una nascita, dopo l’esperienza della morte e del lutto.

Tra Dioniso e Orfeo

Mentre i misteri di Eleusi hanno sempre mantenuto i caratteri di un prestigioso culto locale, officiato soltanto nella cittadina attica, quelli in onore di Dioniso appaiono geograficamente diffusi e estremamente variegati, tanto da rendere difficile tracciarne un quadro riassuntivo. Come attestato già nei poemi omerici, una delle forme di celebrazione più caratteristiche del dio è il culto estatico che gli viene tributato in particolare (ma non esclusivamente) dalle donne. Coloro che vi prendono parte si abbandonano alla mania, una forma di profonda alterazione psichica, ritenuta il risultato della possessione da parte del dio: per questo motivo le partecipanti ai riti dionisiaci sono chiamate menadi (mainades).

Un altro termine usuale per designare le donne in preda al potere del dio è quello di bakchai ("baccanti"), una denominazione strettamente legata a uno degli epiteti di Dioniso, quello di Bakchos, forse di origine lidia, il cui significato resta oscuro. Il verbo correlato, bakcheuein "fare il bakchos", indica propriamente praticare il culto di Dioniso mettendo in atto una serie di comportamenti specifici che per gli antichi appartengono alla sfera della mania. Ma come si manifesta questa sorta di "follia" infusa dal dio nelle sue seguaci?

La mania dionisiaca spinge le donne a lasciare la città per recarsi al di fuori dello spazio urbano, specialmente sulle montagne (oreibasia), dove praticano frenetiche danze rituali fino a raggiungere uno stato di trance allucinatoria, descritta come un momento di gioia estrema. Tale stato di estasi culminerebbe nel rito dello sparagmos, cioè nell’uccisione per "smembramento" di un giovane animale, e nella consumazione delle sue carni crude (omophagia). Il menadismo è praticato da gruppi femminili chiamati "tiasi" nel corso di specifiche feste, quali gli Agrionia in Beozia, e alcune feste trieterides ("che si svolgono ogni due anni") in onore di Dioniso. Si tratta dunque di una forma rituale di "follia" inserita nel calendario ufficiale della polis con il valore di un culto pubblico, praticato cioè per il beneficio di tutta la collettività.

Ma oltre al "classico" menadismo vi è un gran numero di culti privati in onore di Dioniso, che rientrano a buon diritto nella categoria dei "misteri": in questi casi il rito è praticato all’interno di tiasi composti sia da uomini sia da donne, cui si accede attraverso un’iniziazione officiata da un sacerdote che non è scelto dalla polis, ma la cui autorità è spesso fondata sul possesso e la conoscenza di specifici "testi sacri". Si tratta di riti che possono essere praticati ovunque e in qualunque momento, e che non godono sempre di buona fama. L’oratore e uomo politico Demostene, ad esempio, per screditare il rivale Eschine in tribunale, lo dipinge nel ruolo di iniziatore di culti dionisiaci, mentre Platone si lamenta in più occasioni dei ciarlatani girovaghi esperti di iniziazioni e purificazioni (Demostene, Sulla corona, 259-260; Platone, Repubblica, 364d-365a). Il beneficio che ci si attende di ricevere dalla partecipazione a tali culti è personale e ha una forte componente escatologica, riguarda cioè la sorte ultima dell’anima dopo la morte (eschatos in greco significa "ultimo, estremo").

Demostene

Celebrazione di un culto in onore di Dioniso

Sulla corona, 259-260

Una volta divenuto uomo, leggevi i libri a tua madre che celebrava i sacri riti e la aiutavi nelle altre cose, durante la notte indossavi la nebride, libavi dal cratere, purificavi gli iniziati, li strofinavi col fango e con la crusca, e, dopo averli fatti alzare a seguito del rito di purificazione, gli ordinavi di dire: "Fuggii il male, trovai il meglio" ed eri fiero che nessuno avesse gridato mai in tale modo… Durante il giorno guidavi i bei tiasi lungo le vie incoronati di finocchio e pioppo, premevi i serpenti sulle guance e li sollevavi sopra la testa, e gridavi "euoi saboi" e danzavi intonando "Hyes Attis, Attis Hyes" corifeo, guida, portatore del tirso, portatore del vaglio sacro (liknophoros), e quant’altro di simile eri chiamato dalle vecchiette, come compenso ricevevi pani inzuppati nel vino, ciambelle e dolci freschi.

I culti orientali nell’impero romano. Un’antologia di fonti, a cura di E. Sanzi, Cosenza, Edizioni Giordano, 2003

Platone

Gli iniziatori ai culti dionisiaci

Repubblica, 364d-365a

Esibiscono poi un bailamme di libri di Museo e di Orfeo, figli, a quanto dicono, di Selene e delle Muse: secondo le loro prescrizioni officiano i sacrifici, convincendo non solo singoli individui, ma persino città, che esistono purificazioni assolutorie per gli atti ingiusti, ottenibili mediante sacrifici e piacevoli giochi da chi è ancora in vita, e ve ne sono anche per i morti, che essi chiamano iniziazioni, le quali ci liberano dai mali di laggiù, mentre cose tremende attendono chi non abbia compiuto i sacrifici.

Platone, Repubblica, trad. it. di M. Vegetti, Napoli, Bibliopolis, 1998

Tra la molteplicità di culti dionisiaci dell’antichità sicuramente occupa un posto di rilievo l’orfismo, dal nome del suo mitico fondatore, Orfeo, figlio del dio Apollo. Orfeo per gli antichi è innanzitutto un poeta e musicista (le due componenti sono indissociabili per i Greci) protagonista di un mito in cui discende agli inferi per cercare inutilmente di riportare alla luce la moglie Euridice: pur riuscendo a commuovere gli dèi inferi grazie alle sue dolcissime melodie e pur ottenendo di portar via con sé l’amata, all’ultimo momento infrange il divieto imposto da Persefone e si volta a guardare la sposa prima di essere arrivato sulla terra, perdendola così irrimediabilmente. Orfeo però è anche colui che ha organizzato sistematicamente il culto di Dioniso, al punto che i riti dionisiaci, secondo lo storico Diodoro Siculo (1, 23, 2), possono essere chiamati semplicemente "orfici" (la coppia "riti orfici e bacchici" è effettivamente attestata sin da Erodoto, II, 81). Inoltre gli si attribuiscono sin dal V secolo a.C. poemi religiosi che insegnano l’esistenza di retribuzioni per l’anima nell’aldilà: è possibile che l’autorità di Orfeo in materia escatologica si fondi proprio sulla sua discesa agli inferi per recuperare la moglie. Tale insieme di credenze mostra quanto l’immagine della psyche sia profondamente cambiata rispetto al quadro descritto da Omero: lontana dall’essere un doppio "diminuito" del vivente, essa costituisce la parte più importante dell’uomo, che esiste indipendentemente dal corpo (e talvolta in opposizione a esso) e può essere giudicata e punita per ciò che ha compiuto in vita.

I poemi attribuiti a Orfeo basano la propria antropogonia su una versione molto particolare del mito di Dioniso, che ci è tramandata in forma esplicita e per intero solo da fonti tardive. Secondo tale racconto, il dio, figlio di Persefone e Zeus, e futuro sovrano del mondo, sarebbe stato ucciso ancora bambino dai Titani, smembrato, e mangiato. Zeus avrebbe allora fulminato i Titani e dalle loro ceneri, mescolate tuttavia ai resti divini, sarebbe nata l’umanità, macchiata sin dalle sue origini da questo omicidio. Occorre tuttavia segnalare che ritroviamo tale versione in forma completa solo in Clemente Alessandrino e Olimpiodoro, quindi in due fonti estremamente lontane dal contesto orfico dell’età arcaica e classica (Olimpiodoro, Commento al Fedone di Platone, 1, 3, 3-14).

Olimpiodoro

La successione dei regni secondo i testi orfici

Commento al Fedone di Platone

Nell’opera di Orfeo si tramanda la successione di quattro regni: il primo fu quello di Urano, ereditato da Crono, dopo che ebbe reciso i genitali del padre; dopo Crono regnò Zeus, dopo aver scaraventato nel Tartaro il padre; a Zeus poi succedette Dioniso e si racconta che, in seguito ad una macchinazione di Era, i Titani, che gli facevano da scorta, lo fecero a pezzi e ne gustarono le carni. Zeus allora si adirò e li fulminò; dal denso fumo dei vapori che ne erano scaturiti, si formò della materia da cui ebbero origine gli uomini.

Le religioni dei misteri, a cura di P. Scarpi, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 2002

In questo quadro culturale praticare i riti in onore di Dioniso significa dunque in qualche modo "riscattare" la colpa degli uomini nei confronti della dea Persefone, la quale soffre per il suo "antico lutto", come lo definisce il poeta Pindaro (fr. 133 ed. Maehler).

Dato questo background mitico, nelle pratiche cultuali orfiche il tema della purificazione riveste un’importanza centrale: secondo Platone, i sacerdoti girovaghi che seguono i testi di Orfeo praticano riti di purificazione sia per i vivi sia per i morti e “questi riti essi li chiamano iniziazioni (teletai), capaci di liberarci dai mali dell’oltretomba, e affermano che se li trascuriamo, ci attendono castighi terribili” (Repubblica, 364e-365a). Nei poemi orfici si trova affermata anche la dottrina della metempsicosi, cioè la credenza che l’anima si reincarni in nuovi corpi dopo la morte: proprio fondandosi su tale dottrina, gli orfici si astenevano dal consumo di carne e di uova, ma anche di fave e di vino, in modo analogo ai seguaci del filosofo Pitagora (che del resto molte testimonianze antiche ritengono i veri autori dei poemi orfici). Fine primario degli iniziati è appunto quello di uscire dal ciclo delle reincarnazioni per godere di una sorte gioiosa nell’aldilà, presso gli dèi.

Olimpiodoro

La successione dei regni secondo i testi orfici

Commento al Fedone di Platone

Nell’opera di Orfeo si tramanda la successione di quattro regni: il primo fu quello di Urano, ereditato da Crono, dopo che ebbe reciso i genitali del padre; dopo Crono regnò Zeus, dopo aver scaraventato nel Tartaro il padre; a Zeus poi succedette Dioniso e si racconta che, in seguito ad una macchinazione di Era, i Titani, che gli facevano da scorta, lo fecero a pezzi e ne gustarono le carni. Zeus allora si adirò e li fulminò; dal denso fumo dei vapori che ne erano scaturiti, si formò della materia da cui ebbero origine gli uomini.

Le religioni dei misteri, a cura di P. Scarpi, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 2002

Per comprendere meglio le aspettative che gli adepti dei misteri bacchici nutrono relativamente all’aldilà disponiamo di testi straordinari, le lamelle auree che sono state trovate nelle tombe di iniziati a Dioniso. Si tratta di documenti di varia provenienza (dall’Italia meridionale al Mar Nero) e altrettanto estesa datazione (dal V sec. a.C. al II d.C.), che intendono fornire al defunto "istruzioni" per affrontare il viaggio nell’Ade e occuparvi il posto che gli spetta. Un primo gruppo di testi dà vere e proprie "indicazioni di viaggio" e si presenta come "un’opera sacra alla Memoria" (I A 1, ed. G. Pugliese Carratelli, Le lamine d’oro orfiche, 2001), cioè un "aiuto mnemonico" per il defunto: in particolare, esse gli raccomandano di evitare l’acqua del Lete, che dà l’oblio, e di bere invece al lago della Memoria. Ecco quanto consiglia una tavoletta trovata a Hipponion in Calabria: “Troverai nella dimora di Ade sulla destra una sorgente, presso la quale cresce un cipresso bianco; qui si rinfrescano, scendendo, le anime dei morti. Non avvicinarti a questa sorgente! Troverai più oltre acqua fresca, che affluisce dal lago del Ricordo; vi stanno innanzi guardiani, che ti chiederanno con mente accorta perché vaghi nelle nebbie del funesto Ade. Tu di’: io sono figlio della Terra e del Cielo stellato, ma dalla sete sono inaridito e sto morendo, perciò datemi presto acqua fresca, che affluisce dal lago del Ricordo. E poi i sudditi del re ctonio avranno compassione e ti daranno da bere l’acqua del lago del Ricordo. E quando tu avrai bevuto, ti incamminerai per un’ampia via, la sacra via che altri iniziati e devoti di Bacco percorrono gloriosi” (I A 1, ed. Pugliese Carratelli 2001).

È significativo che per convincere i guardiani del lago a lasciarlo avvicinare, il morto debba affermare la sua discendenza divina: "sono figlio della Terra e del Cielo stellato" (I A 3; I B 7; ed. Pugliese Carratelli 2001). Ciò ci suggerisce che la condizione che il defunto ha raggiunto grazie all’iniziazione lo ricongiunge alla sua origine divina: un altro testo dice esplicitamente che l’iniziato è diventato un dio (theos). È possibile che il riferimento all’acqua della Memoria faccia allusione alla metempsicosi, in cui l’anima dimentica le proprie vite precedenti: ricordare significherebbe allora poter uscire "dal ciclo doloroso" (immagine forse della vita terrena) che costringe l’anima a ripetere la stessa esperienza.

Il secondo gruppo di testi ricorda al defunto le parole che dovrà pronunciare di fronte a Persefone: “Vengo puro tra i puri […] ché dichiaro di appartenere anch’io alla vostra stirpe beata. Ma scontai la pena per azioni non giuste […] Ora supplice vengo presso Persefone santa, perché benevola mi mandi alle sedi dei puri” (II A 1, ed. Pugliese Carratelli 2001). In questo caso il riferimento alle "azioni ingiuste" fa probabilmente riferimento proprio al mito di Dioniso smembrato dai Titani. Dopo essere comparso di fronte a Persefone, l’aspettativa del defunto nell’aldilà è quella di continuare a percorrere "la sacra via su cui anche gli altri iniziati e devoti di Bacco procedono gloriosi" (I A 1, ed. Pugliese Carratelli 2001, trad. leggermente modificata) fino "verso i prati sacri e i boschi di Persefone" (II B 2, ed. Pugliese Carratelli 2001). Una tavoletta richiede alla dea quanto segue: "mandami tra i tiasi degli iniziati. Ho [scil. conosco] i riti di Bacco, di Demetra Ctonia, e della Madre Montana". Come suggerisce, nella tavoletta precedente, il riferimento ai tiasi e alla processione lungo la via sacra, e quest’ultima testimonianza lo rivela con chiarezza, l’Ade degli iniziati è dunque continua ripetizione della celebrazione degli dèi.

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