I protestantesimi

Dizionario di Storia (2011)

I protestantesimi

Gianni Long

Elementi comuni dei vari protestantesimi storici

Sin dall’età della Riforma il protestantesimo è stato plurale: ogni Chiesa nazionale fu riformata dai re, dai principi o dai consigli cittadini con modalità diverse, pur facendo parte di un movimento comune. Per es., le Chiese luterane scandinave hanno una concezione dell’episcopato «storico» molto diversa da quella dei luterani tedeschi e simile piuttosto a quella degli anglicani. Nei secoli successivi molte altre Chiese sono state create, spesso in polemica con le confessioni della riforma, e ciò autorizza a parlare di «protestantesimi» al plurale.

Va per altro sottolineato che tra tutte queste formazioni esistono profonde analogie, che costituiscono altrettante differenze con i cattolici e gli ortodossi. Gli elementi comuni a tutti i diversi protestantesimi sono riassumibili nella formula del

16° sec.: solus Christus (cioè il sacrificio di Cristo si è compiuto una sola volta nella storia e non deve essere rinnovato sempre di nuovo nella messa; inoltre Cristo è il solo mediatore tra Dio e gli uomini e non ne servono altri, come Maria o i santi); sola gratia (la salvezza è dono divino e non servono le opere buone, che sono semmai un atto di riconoscenza da parte di chi si sente salvato); sola scriptura (nessuna affermazione non basata sulla Bibbia è normativa per i cristiani, da qualsiasi autorità provenga). A questi principi sono da aggiungere almeno altri due elementi comuni a tutti i protestanti: il riconoscimento di due soli sacramenti, quelli istituiti direttamente da Cristo: il battesimo e l’eucaristia (che si preferisce chiamare santa cena o simili); e il sacerdozio universale dei credenti, che impedisce la formazione di uno speciale ordine sacerdotale.

Un altro principio fondamentale della Riforma è che la Chiesa deve essere continuamente rinnovata, Ecclesia semper reformanda. Ciò implica che nessuna istituzione ecclesiastica sia stabilita una volta per tutte, ma debba sempre essere rinnovata alla luce della Scrittura. Questo elemento, unito a fattori teologici, ma anche storico-politici, ha portato al nascere continuo di nuove formazioni protestanti.

Ecclesia semper reformanda

Dopo il nascere di nuovi movimenti religiosi nel Seicento, dissenzienti anche rispetto alle Chiese ufficiali, con la fine delle guerre di religione in Europa, la situazione delle Chiese protestanti muta. Il tema principale non è più quello della tolleranza, ma il risveglio di una pietà individuale, da coltivare con metodo in gruppi ristretti, non essendo possibile farlo nelle Chiese di massa. Il primo di questi movimenti fu il pietismo, che tra Seicento e Settecento influenzò profondamente diverse Chiese, pur senza mai separarsi formalmente dal luteranesimo in cui era nato. Altrettanto interna alla Chiesa d’Inghilterra fu dapprima l’esperienza del metodismo di J. Wesley. Esso divenne una confessione autonoma non per scelta teologica, ma per fattori politici esterni (la rivoluzione americana e più tardi un mutamento della legislazione inglese). Sia il pietismo sia il metodismo lavoravano con piccoli gruppi («conventicole» o «classi»), ma non erano settari: si ponevano come elemento di rinnovamento delle Chiese protestanti esistenti, dal punto di vista spirituale, liturgico e innologico. Fu proprio con questi movimenti che si attenuò il rigido confessionismo dei tempi della Riforma: si cominciò a vedere i diversi movimenti come parte di un’unica Chiesa, chiamandoli «denominazioni». Solo il nome differenziava gruppi che avevano la stessa fede e analoghe strutture. Soprattutto fuori dall’Europa, resa più conservatrice dalle proprie vicende storiche, costituire una «propria» Chiesa o aderire a una già esistente era spesso derivante da fatti esterni, come l’indipendenza di una ex colonia.

Se i termini «pietismo» e «metodismo» si riferiscono a esperienze storiche specifiche, la parola «risveglio» (revival o awakening in ingl., réveil in fr., Erweckung in ted.) contrassegna una pluralità di esperienze che si rinnovano continuamente dal Settecento a oggi nei più diversi Paesi. Spesso si tratta di movimenti che restano interni alle Chiese esistenti. Ma numerose nuove Chiese sono sorte proprio da questi risvegli. Il réveil franco-svizzero nella prima metà del 19° sec. portò alla creazione di «Chiese libere» (cioè dissidenti rispetto al calvinismo ufficiale) nella stessa Ginevra e in Scozia. Tra l’altro da questa esperienza proveniva A.R. Vinet, che con la sua formula «libere Chiese in libero Stato» influenzò profondamente il Risorgimento italiano.

Da risvegli anglosassoni dello stesso sec. 19° sono nati le Chiese dei fratelli, l’Esercito della salvezza (che a rigore non è una Chiesa perché non pratica sacramenti, che gli aderenti possono ricevere in altre Chiese protestanti), il movimento evangelicale.

Ma il fenomeno probabilmente più importante, anche per la portata numerica che ha raggiunto, è stato il movimento pentecostale, nato da risvegli più o meno contemporanei in Gran Bretagna e in America tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. La diffusione che esso ha avuto è tale da farne in tutto il mondo la più forte confessione «protestante». La caratteristica organizzativa dei pentecostali è l’estremo congregazionalismo: la Chiesa di Cristo vive nella comunità, o congregazione, locale e raggruppamenti a livello nazionale o mondiale sono visti con diffidenza. L’appartenenza dei pentecostali al protestantesimo storico è quindi affermata da una parte del movimento, mentre altri ne prendono le distanze.

Il protestantesimo fuori dall’Europa e il movimento ecumenico

Se in Europa le barriere confessionali rimasero salde sino alla metà del 20° sec., l’esperienza delle missioni portò a risultati diversi. L’espansione coloniale europea dal 17° sec. stabilì missioni nei nuovi territori. Ma è da notare che, molto più che le Chiese ufficiali dei Paesi coloniali, sono i vari movimenti di pietà e di risveglio a essere attivi in questo settore. Del resto, molte missioni protestanti provengono da Paesi (come quelli scandinavi, la Svizzera, gli Stati Uniti) che non hanno un proprio impero coloniale. Il «denominazionalismo» si sviluppa quindi in Asia, in Africa e nell’America Latina prima che altrove, con la collaborazione tra missionari di provenienza diversa. Ed è proprio la Conferenza missionaria internazionale di Edimburgo del 1910 a essere considerata l’inizio del movimento ecumenico, riunendo tutte le Chiese protestanti e anglicane, a cui si aggiunsero poco dopo le Chiese ortodosse. All’inizio vi furono segnali promettenti anche da parte cattolica, ma l’enciclica Mortalium animos di Pio XI nel 1928 prese le distanze dai movimenti «pan-cristiani». Si delineò così l’asse protestante-anglicano-ortodosso, che portò tra l’altro alla fondazione del Consiglio ecumenico delle Chiese nel 1948 e della Commissione europea delle Chiese (CEC) nel 1959. Non si tratta di super-Chiese, ma di organismi di collaborazione in diversi campi, che lasciano intatta la sovranità di ciascuna confessione. In questo quadro ecumenico, si sono sviluppati rapporti più stretti tra gruppi di Chiese: così la Concordia di Leuenberg del 1973 risolve le antiche questioni dottrinali tra luterani e riformati (calvinisti), proclamando la piena intercomunione (cioè la cd. «ospitalità eucaristica») e l’interscambiabilità dei ministeri. Analogo è l’Accordo di Porvoo del 1992 tra luterani scandinavi e anglicani. Negli ultimi anni riconoscimenti del genere sono stati attuati negli Stati Uniti e in Canada tra presbiteriani e luterani, da una parte, e luterani e anglicani-episcopali, dall’altra. In Italia sono da citare il patto di integrazione del 1975 tra valdesi e metodisti e il riconoscimento da parte di queste due denominazioni dei battisti italiani nel 1990. In altri continenti simili processi hanno avuto sviluppi ancora più profondi, giungendo alla formazione di Chiese nazionali «trasversali» alle diverse denominazioni. In Cina già nel 1927 fu formata la Chiesa di Cristo, che raggruppava 36 denominazioni, risultata poi effimera per le vicende politiche di quel Paese. In India, al momento dell’indipendenza nel 1947 fu creata la Chiesa dell’India del Sud, comprendente anglicani, metodisti, congregazionalisti e luterani; nel 1970 nacque la Chiesa dell’India del Nord, che riunisce anche battisti e varie Chiese di tipo evangelicale.

Ma le nuove Chiese protestanti nel Sud nel mondo non sono solo aggregazioni delle comunità formate dalle missioni europee. Esistono anche organizzazioni del tutto originali, come la Chiesa di Gesù Cristo secondo Simone Kimbangu nel Congo, la prima Chiesa di questo tipo a essere ammessa nella CEC nel 1969. Si tratta di un movimento che ha specificità dottrinali e pratiche (celebra il battesimo senza acqua), ma soprattutto ha una liturgia e una innologia interamente «africane». Sostanzialmente dalle missioni europee ha ricevuto solo la Bibbia e il messaggio centrale, ma lo ha completamente riorganizzato secondo la cultura e le tradizioni locali. Si tratta di un modello che ha fatto scuola in molti Paesi e le Chiese europee e americane cominciano a loro volta a utilizzare musiche e forme liturgiche provenienti da queste nuove realtà.

I protestanti e la storia nel 20° secolo

La reazione allo storicismo che aveva dominato nei secoli precedenti ebbe tra le sue cause il diffondersi delle dittature. Lo storicismo tendeva ad accettare qualunque fatto storico, anche i totalitarismi, in modo passivo, neutrale. La teologia dialettica di K. Barth e il movimento della Chiesa confessante leggevano invece la Bibbia non come una fonte di informazioni storiche, ma come un imperativo morale che Dio pone direttamente all’uomo, qui e ora. Da ciò la necessità di scelte anche tragiche e dell’impegno politico patrocinato dai barthiani. Questa reazione ha favorito lo sviluppo di posizioni estreme, come quelle dei fondamentalisti (che prendono il nome da una pubblicazione sui Fundamentals della fede cristiana), che rifiutano non solo lo storicismo, ma anche il metodo storico-critico di lettura della Bibbia per una interpretazione assolutamente letterale. Nella teologia protestante ufficiale, si contrappongono negli ultimi decenni due visioni principali: da una parte O. Cullmann sostiene che la salvezza va ricercata nella storia, in continuità con il pensiero tradizionale della Riforma. Dall’altra R. Bultmann, nel quadro della sua «demitologizzazione» della storia, il quale la riduce sostanzialmente a un problema esistenziale di ciascun individuo. Anche in questo caso la teologia accademica si fonde con l’esperienza concreta. Nei movimenti pentecostali ed evangelicali (è opportuno tradurre così l’americano evangelicals, poiché in Italia si chiamano «evangeliche» Chiese storiche come i valdesi, i luterani ecc.), si incontrano spesso persone che riducono la storia universale e personale a un evento assolutamente puntuale: la loro conversione o «nuova nascita». Si può quindi dire che, se Cullmann definisce la concezione della storia delle Chiese tradizionali (ed è anche apprezzato dai cattolici), l’esistenzialista Bultmann ha precorso (è morto nel 1976) una tendenza che si è fatta sempre più forte nel «nuovo protestantesimo».

Si vedano anche e Protestantesimo. La Riforma

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