I SEMAFORI DELLA COMUNICAZIONE NERVOSA: LE SINAPSI

XXI Secolo (2010)

I semafori della comunicazione nervosa: le sinapsi

Fabio Benfenati
Luca Berdondini

Santiago Ramón y Cajal, nella sua Textura del sistema nervioso del hombre y de los vertebrados (pubblicata in fascicoli tra il 1899 e il 1904) che costituisce tuttora la base della moderna neurobiologia cellulare e molecolare, afferma che il sistema nervoso è costituito da un numero immenso di individualità, i neuroni, completamente indipendenti, semplicemente in contatto gli uni con gli altri. L’attenzione sul ruolo funzionale dei contatti tra neuroni, contatti chiamati sinapsi dal fisiologo Charles S. Sherrington, suscitata nel primo Novecento dalla disputa se la trasmissione dell’informazione fosse di tipo elettrico o chimico, è cresciuta fino ai giorni nostri e ha subito un’incredibile accelerazione. Risulta ora chiaro che tutte le attività nervose, dalle più semplici attività riflesse alle funzioni superiori come apprendimento e memoria, dipendono dal trasferimento di informazioni tra le cellule nervose e quindi dal numero di sinapsi e dall’efficienza di ciascuna nel rilascio di neurotrasmettitore. La trasmissione sinaptica riveste, quindi, un ruolo chiave per comprendere il funzionamento del sistema nervoso. Numerose patologie neuro-logiche sono legate ad alterazioni funzionali della trasmissione sinaptica e le sinapsi rappresentano il principale bersaglio dei farmaci attivi sul sistema nervoso. Gli studi che negli ultimi anni hanno permesso di chiarire a livello molecolare la fisiologia della trasmissione sinaptica e che stanno procedendo verso una completa descrizione dei meccanismi biochimici coinvolti sono quindi di fondamentale importanza per le neuroscienze. Inoltre, le notevoli capacità computazio-nali delle sinapsi hanno stimolato lo sviluppo di sistemi ibridi neuroelettronici e neurorobotici dove l’attività e la plasticità sinaptiche vengono interfacciate con componenti elettroniche per aumentarne le potenzialità.

Il nodo di comunicazione tra neuroni

Nella stragrande maggioranza delle sinapsi presenti nel cervello dei Mammiferi, il trasferimento di informazioni tra le cellule nervose è operato dai neurotrasmettitori, il cui messaggio viene riconosciuto dalla cellula ricevente e tradotto in risposte biologiche.

Le sinapsi chimiche sono formate dal compartimento presinaptico e da quello postsinaptico che si affrontano, separati dalla fessura sinaptica. Nella presinapsi sono presenti organelli secretori, le vescicole sinaptiche, che immagazzinano e rilasciano il neurotrasmettitore. Le vescicole sinaptiche sono concentrate lungo una specializzazione della membrana presinaptica, chiamata zona attiva. L’arrivo del potenziale d’azione provoca, a questo livello, l’entrata di ioni Ca2+ attraverso canali voltaggio-dipendenti di tipo P/Q o N e questo segnale scatena l’esocitosi del neurotrasmettitore nello spazio sinaptico. Da qui, esso diffonde verso specifici recettori posti sulla membrana postsinaptica. Tali recettori possono essere proteine-canale, che traducono il segnale chimico del neurotrasmettitore in una modificazione elettrica, o recettori metabotropici, che attivano processi di segnalazione intracellulare. Le risposte evocate dai neurotrasmettitori delle molteplici sinapsi vengono integrate nella cellula postsinaptica generando risposte elettriche e/o metaboliche (variazioni funzionali e trascrizionali). Le sinapsi chimiche operano quindi un elaborato processo di trasduzione vettoriale del segnale, attraverso il quale un impulso elettrico viene convertito nel rilascio di un segnale chimico da parte della cellula presinaptica che viene riconosciuto e trasdotto in una risposta biologica elettrica e/o metabolica a livello della cellula postsinaptica. In questo modo, il codice digitale rappresentato dal potenziale d’azione (fenomeno ‘tutto o nulla’ e di ampiezza costante che si trasmette fedelmente a lunga distanza) diviene analogico trasformandosi in un rilascio di quantità graduate di neurotrasmettitore. La frequenza dei potenziali d’azione e la natura chimica del neurotrasmettitore rappresentano i simboli dell’alfabeto utilizzato dai neuroni. È quindi possibile che la disponibilità di un maggior numero di neurotrasmettitori nell’alfabeto chimico utilizzato a livello sinaptico offra la possibilità di comporre messaggi più complessi ed elaborati. Inoltre, la complessità è aumentata ulteriormente dalla presenza di recettori multipli per gli stessi neurotrasmettitori e dal fatto che lo stesso neurone può liberare neurotrasmettitori diversi. Così, mentre il linguaggio elettrico di tipo binario rappresentato dal potenziale d’azione può solo variare in frequenza, ma non in ampiezza, il segnale analogico rappresentato dal neurotrasmettitore possiede un repertorio di segnali molto più complesso e articolato. Il numero pressoché infinito di combinazioni che si possono generare rende possibile, a livello di singola sinapsi, un’enorme potenzialità di regolazione e di trasmissione di informazioni in parallelo.

Le numerose molecole con funzione di neurotrasmettitore possono essere raggruppate in due grandi famiglie: neurotrasmettitori classici o piccole molecole, come amminoacidi, acetilcolina, ammine che possono essere sintetizzate localmente nel terminale assonico, e neuropeptidi, sintetizzati come precursori proteici a livello del corpo cellulare del neurone. I due tipi di neurotrasmettitore, immagazzinati nelle vescicole, sono liberati nello spazio extracellulare in seguito all’aumento della concentrazione citosolica di Ca2+. A loro volta, i due tipi di vescicole sono distinti per morfologia, ciclo cellulare e modalità di secrezione. I neurotrasmettitori classici sono immagazzinati in vescicole sinaptiche con un diametro sorprendentemente omogeneo di 40-50 nm, accumulate in grande numero nei terminali nervosi e particolarmente addensate presso le zone attive della membrana presinaptica, dove avviene preferenzialmente la loro esocitosi. I neuropeptidi sono invece contenuti, da soli oppure in presenza di neurotrasmettitori classici, in vescicole secretorie di maggiori ed eterogenee dimensioni che mostrano un contenuto elettrondenso dovuto all’alta concentrazione di proteine, simili ai granuli di secrezione presenti nelle cellule esocrine ed endocrine. Le vescicole sinaptiche piccole, organelli specifici per le sinapsi del sistema nervoso, vanno incontro a rapida esocitosi in corrispondenza delle zone attive e vengono efficacemente e velocemente ricaptate mediante un processo di endocitosi rapida (kiss and run) o mediante un più complesso e lento processo di endocitosi dipendente da clatrina che avviene nelle aree adiacenti alle zone attive.

Una volta ricaptate, le vescicole piccole vengono rapidamente ricaricate con neurotrasmettitore neosintetizzato o ricaptato dal vallo sinaptico e divengono così disponibili per un nuovo ciclo secretorio. La liberazione dei neurotrasmettitori classici appare quindi un processo non solo molto efficiente, ma anche molto economico in termini energetici, basandosi in larga parte sul riciclaggio endocitotico sia del contenitore (vescicola sinaptica) sia del contenuto (ricaptazione del neurotrasmettitore). Le vescicole contenenti i neuropeptidi, invece, non possono essere riciclate e ricaricate di peptidi localmente e, pertanto, le terminazioni non sono autosufficienti per quanto riguarda il rilascio di neuropeptidi così come lo sono nel rilascio di neurotrasmettitori classici. Inoltre, queste vescicole non sono in genere localizzate vicino alle zone attive dove vi è un’elevata concentrazione di canali per il Ca2+ voltaggio-dipendenti; essendo quindi esposte a concentrazioni di Ca2+ molto inferiori durante l’attività elettrica, hanno una bassa probabilità di rilascio e liberano neuropeptidi solo durante periodi di attività elettrica ad alta frequenza che provoca un aumento diffuso della concentrazione di Ca2+ nelle terminazioni.

Il ciclo delle vescicole sinaptiche

Negli ultimi anni, si sono chiariti molti aspetti molecolari del ciclo esoendocitotico delle vescicole sinaptiche e si sono caratterizzate le principali proteine coinvolte, identificando disfunzioni sinaptiche alla base di malattie del sistema nervoso e possibili bersagli per la terapia farmacologica. Il complesso corredo proteico delle vescicole sinaptiche è composto da proteine che interagiscono con il citoscheletro, proteine deputate all’accumulo del neurotrasmettitore, proteine che mediano l’ancoraggio alle zone attive, proteine sensori per il Ca2+, proteine di fusione, proteine coinvolte nella biogenesi delle vescicole, proteine G monomeriche che assicurano la corretta direzionalità al ciclo esoendocitotico, proteine che regolano la reattività delle proteine di fusione, proteine-segnale per i domini della membrana vescicolare, enzimi come le proteinchinasi. Le interazioni di queste proteine vescicolari tra loro, con fattori citosolici e con specifici partner presenti nelle zone attive sono fondamentali per la sequenzialità del processo di rilascio di neurotrasmettitore.

Vista l’enorme rapidità della trasmissione sinapti-ca, soltanto le vescicole già ancorate alla membrana presinaptica sono coinvolte nella fase più precoce della liberazione di neurotrasmettitore. Queste vescicole sinaptiche formano un pool disponibile all’esocitosi, molto importante funzionalmente ma di dimensioni piuttosto ristrette (rappresenta lo 0,5-10% del contenuto totale di vescicole del terminale a seconda del tipo di sinapsi considerata). Un secondo pool di maggiori dimensioni è costituito dalle vescicole che riciclano attivamente per rifornire il pool disponibile evitando la sua deplezione durante l’attività elettrica basale (pool di riciclo). La maggioranza delle vescicole fa invece parte di un pool di riserva in cui le vescicole sono organizzate in clusters trattenuti in sede da interazioni con la densa matrice citoscheletrica della terminazione formata principalmente da actina e spectrina. Tali vescicole rappresentano una riserva funzionale per i siti di ancoraggio alla membrana presinaptica rimasti liberi dopo l’esocitosi delle vescicole del pool disponibile.

Il complesso processo di liberazione di neurotrasmettitore implica il passaggio delle vescicole sinaptiche attraverso una serie di reazioni che comprendono, in primo luogo, il rilascio dal citoscheletro, il direzionamento e l’ancoraggio alle zone attive della membrana presinaptica e la predisposizione alla fusione (priming o emifusione). A questo punto può verificarsi la fusione con la membrana presinaptica, sia spontanea sia scatenata istantaneamente dall’ingresso di Ca2+. Infine, la membrana della vescicola deve venire recuperata dall’assolemma e la vescicola deve riacquisire la sua individualità (endocitosi). Mentre l’ancoraggio si verifica attraverso interazioni specifiche tra proteine associate alle zone attive e alle vescicole sinaptiche, il priming avviene mediante la formazione di un complesso di fusione tra tre proteine, dette SNARE (SNAP REceptors), di cui una vescicolare (sinaptobrevina o VAMP) e due presinaptiche (sintaxina e SNAP-25). Nella figura 1 la sintaxina è mostrata in giallo, la sinaptobrevina/VAMP in rosso e la SNAP-25 in blu e verde; nel riquadro superiore è illustrato in dettaglio il meccanismo di zippering in cui i quattro domini ad α-elica delle 3 proteine si associano in una superelica che avvicina la membrana della vescicola alla membrana presinaptica. La formazione di tale complesso libera l’energia necessaria per avvicinare la vescicola alla membrana presinaptica (emifusione), rendendo possibile il successivo processo di fusione. Tali proteine sono il bersaglio selettivo delle tossine tetaniche e botuliniche che bloccano irreversibilmente la liberazione di neurotrasmettitore. Dopo l’esocitosi, il complesso di fusione deve essere dissociato a spese di energia, mediante l’intervento di ATPasi solubile e NSF (N-ethilmaleimide Sensitive Factor); le proteine SNARE vengono rigenerate in forma monomerica per poter catalizzare un successivo ciclo di fusione. Per mantenere la corretta compartimentalizzazione delle SNARE, la dissociazione del complesso di fusione deve precedere la prima fase dell’endocitosi, quando la vescicola viene separata dalla membrana presinaptica (fissione).

Il neurotrasmettitore liberato nel vallo sinaptico viene riconosciuto dai recettori del neurone postsinaptico e tradotto in una varietà di risposte biologiche. Le risposte più rapide sono quelle risultanti dall’apertura di canali ionici che inducono il passaggio di corrente attraverso la membrana, con conseguenti variazioni del suo stato elettrico che possono tramutarsi in influenze eccitatore o inibitorie e quindi in una maggiore o minore probabilità di sviluppo di un potenziale d’azione. Accanto a risposte ioniche, vi è tuttavia una serie di risposte enzimatiche che, attraverso la produzione di messaggeri intracellulari (o secondi messaggeri), produce effetti elettrici, effetti metabolici locali (fosforilazioni e defosforilazioni) in grado di modulare la risposta postsinaptica ed effetti sui processi di trascrizione e traduzione genica che producono modificazioni a lungo termine nella cellula postsinaptica (per es., variazioni nell’espressione di molecole recettoriali, di enzimi, di molecole di adesione ecc.). In questo caso, il legame del neurotrasmettitore con il recettore innesca una variazione conformazionale che si trasmette alla proteina G associata al recettore e che a sua volta è in grado di attivare in maniera specifica una serie di effettori che includono canali ionici ed enzimi.

Il numero e l’attività dei recettori non sono costanti nel tempo, ma possono essere finemente regolati dalla cellula postsinaptica che può divenire sovrasensibile al neurotrasmettitore nel caso di un suo diminuito rilascio (supersensibilità da denervazione) o, al contrario, refrattaria al neurotrasmettitore in caso di una sua concentrazione eccessiva e persistente nel vallo sinaptico (desensitizzazione). La desensitizzazione è un fenomeno comune a molti sistemi biologici e assume un rilievo particolare nel caso dei recettori. La desensitizzazione recettoriale consiste nella perdita parziale o totale della capacità di rispondere al ligando specifico (desensitizzazione omologa). Questo fenomeno interessa sia i recettori ionotropici sia quelli metabotropici, anche se con meccanismi diversi. In linea di principio, la desensitizzazione può coinvolgere variazioni nel numero assoluto di recettori esposti sulla membrana postsinaptica (e quindi variazioni nella loro espressione, mobilità o turnover, downregulation) o variazioni nell’efficienza di legame o di trasduzione del segnale. Nel caso dei recettori ionotropici, la desensitizzazione consiste nella diminuita capacità di rispondere al ligando con la variazione conformazionale responsabile dell’apertura del canale ionico ed è ascrivibile a variazioni postraduzionali che coinvolgono la fosforilazione dei domini intracellulari delle varie subunità da parte di specifiche proteinchinasi. Nel caso dei recettori metabotropici, la desensitizzazione può agire a multipli livelli: può comportare perdita di affinità per il ligando, riduzione dell’attivazione della proteina G o diminuzione del numero dei recettori esposti sulla membrana. Il recettore che viene internalizzato entra a far parte di un pool intracellulare endosomale nel quale il recettore può avere diversi destini funzionali: può, con il proprio dominio citoplasmatico, interagire con proteine intracellulari e attivare vie di trasduzione del segnale, essere destinato alla degradazione lisosomiale o ritornare a essere esposto sulla membrana cellulare. Quest’ultimo evento configura il fenomeno del riciclaggio recettoriale tra il pool di membrana e il pool intracellulare, che rappresenta un efficientissimo meccanismo attraverso il quale la cellula postsinaptica può regolare rapidamente il numero dei recettori esposti e quindi la sua sensibilità al neurotrasmettitore.

Sinaptogenesi

La formazione delle sinapsi è lo stadio finale dello sviluppo del sistema nervoso. Quando le fibre nervose che sono cresciute sotto la guida di una serie di molecole attraenti o repellenti hanno raggiunto la loro destinazione e sono in prossimità di una serie di possibili bersagli neuronali, entra in azione un meccanismo di riconoscimento sia di contatto sia umorale, più o meno simile a quanto può avvenire nel contatto tra due persone. Se il neurone bersaglio secerne una miscela di fattori di crescita e possiede proteine di membrana appropriate, la zona dell’assone che aveva contattato il bersaglio si differenzia in terminazione presinaptica, inizia ad accumulare vescicole sinaptiche e a formare zone attive. Il rilascio di neurotrasmettitore, che avviene con modalità spontanea anche prima dello stabilirsi del contatto sinaptico, matura rapidamente acquisendo le proprietà che si osservano nelle sinapsi adulte, ovvero diviene regolato dall’attività elettrica e acquisisce alcune peculiari proprietà quali la precisione, la rapidità, l’efficienza e la resistenza all’esaurimento. Se il bersaglio neuronale invece non è appropriato, esso esercita un’azione inibitoria sulla formazione e maturazione delle terminazioni presinaptiche. Una volta che la terminazione si è sviluppata, è lo stesso rilascio di neurotrasmettitore che induce la maturazione e specializzazione della membrana postsinaptica che consiste nell’aggregazione dei recettori, effettori e canali ionici mantenuti in sede da aggregati di proteine ‘adattatrici’ che li vincolano al citoscheletro sottomembranario di actina. La formazione della sinapsi è quindi espressione del cross talk (scambio di segnali) tra neurone presinaptico e postsinaptico, in cui il neurone bersaglio lancia messaggi che, se adeguati, inducono la specializzazione presinaptica la quale, a sua volta, induce la specializzazione postsinaptica. Nella figura 2 è rappresentato il neurone gangliare (C1) del mollusco Helix pomatia coltivato in presenza di un bersaglio fisiologico (il neurone B2, a sinistra) o di un bersaglio non fisiologico (il neurone C3, a destra); in presenza di B2 proliferano i contatti sinaptici, mentre in presenza di C3 si nota l’inibizione della formazione di sinapsi.

Neurotrasmissione

Questo processo richiede il preciso allineamento della specializzazione pre- e postsinaptica. Le vescicole sinaptiche devono essere vicine e in parte attaccate alla zona attiva, in maniera da rilasciare rapidamente il neurotrasmettitore in un punto estremamente ristretto della membrana presinaptica. Dal lato postsinaptico, i recettori per i neurotrasmettitori devono essere raggruppati in una zona che sia alla minima distanza dalla zona attiva presinaptica, così da essere esposti ad alte concentrazioni di neurotrasmettitore e rispondere il più rapidamente possibile a esso. Due classi distinte di molecole concorrono a questo compito. Da una parte, molecole di adesione che attraversano lo spazio sinaptico e mantengono in registro la pre- e postsinapsi, formando così uno dei più stabili sistemi di giunzione cellula-cellula del nostro organismo. Dall’altra, fattori solubili citosolici si associano ai fattori di adesione, in maniera tale da guidarne il posizionamento, favorendo intorno a essi l’aggregazione delle vescicole sinaptiche e dei recettori per i neurotrasmettitori e innescando così un processo di segnalazione intracellulare che andrà a modificare il funzionamento sinaptico.

Connectomica e computazione

Il cervello è stato più volte paragonato a un computer per quanto riguarda sia le capacità computazionali sia la velocità con cui tali attività vengono svolte. In realtà, il singolo neurone è molto più lento delle attuali central processing units (cpu) dei computer (la massima frequenza di scarica di potenziali d’azione è di circa 500 Hz, contro gli oltre 3 GHz delle più comuni cpu). Tuttavia, le reti nervose funzionano non tanto con componenti neuronali posti in serie, ma tramite una miriade di unità di elaborazione disposte in parallelo e impegnate simultaneamente nell’esecuzione di compiti multipli. Come nei prototipi degli elaboratori a processori paralleli, i compiti sono distribuiti internamente a diversi gruppi di processori (singoli neuroni e reti neurali) e questo assicura non solo una maggiore efficienza nell’esecuzione di compiti diversi, ma anche enormi possibilità d’integrazione tra compiti elaborativi che vengono eseguiti simultaneamente da circuiti distinti ma profondamente interconnessi. Altri grandi vantaggi del sistema nervoso a fini computazionali sono l’estrema miniaturizzazione del singolo processore, l’elevatissimo numero di processori che compongono il sistema e l’enorme numero di connessioni fra loro (circa 1011 neuroni interconnessi da circa 1015 sinapsi). Tali connessioni go-vernano complesse geometrie di elaborazione caratterizzate da incessanti fenomeni di convergenza e divergenza delle informazioni che sono la base dell’attività olistica del sistema nervoso centrale.

Risulta pertanto chiaro che la descrizione delle connessioni tra processori neurali, una sorta di cartografia del cervello nota con il nome di connectomica, è di fondamentale importanza per comprendere le basi della computazione nervosa e del funzionamento del cervello. In altre parole, la conoscenza del connectoma per le neuroscienze ha la stessa importanza della conoscenza del genoma per la biologia. A causa dell’estrema complessità strutturale, tracciare nelle tre dimensioni le linee che connettono i miliardi di elaboratori e il modo in cui queste connessioni vengono modificate dall’esperienza è un compito che fino a pochi anni fa si riteneva irraggiungibile. Gli studi pionieristici di Camillo Golgi e S. Ramón y Cajal, utilizzando l’impregnazione argentica, furono capaci di visualizzare gli sviluppi dell’arborizzazione dei singoli neuroni con un dettaglio tuttora inarrivabile. Tuttavia, se la selettività della colorazione per un minimo numero di neuroni rendeva possibile, da un lato, il grande dettaglio morfologico e la caratterizzazione di tipi neuronali diversi, dall’altro non permetteva di tracciare una flowchart completa delle connessioni neurali. Recentemente è stato fatto un grande passo avanti in questa direzione facendo esprimere a topi transgenici varianti spettrali geneticamente codificate della GFP (Green Fluorescent Protein) con emissioni, oltre che nel verde, anche nel rosso e nel blu. L’espressione combinatoria di questi tre colori fondamentali, a vari livelli di intensità, è sufficiente a generare uno spettro di colori simili a quello generato da un monitor a colori (detto anche RGB).

Questo concetto ha permesso di generare i cosiddetti topi transgenici Brainbow nei quali, mediante l’espressione combinatoria e la ricombinazione stocastica di varianti multiple della GFP, è stato possibile ottenere, neurone per neurone, una miscela casuale di proteine fluorescenti, generando un numero molto elevato di colori, fino a oltre 160, come si può osservare per i neuroni nel giro dentato dell’ippocampo (fig. 3, a sinistra) e per le singole fibre di motoneuroni in un nervo motore (fig. 3, a destra). Risulta quindi possibile tracciare in modo molto preciso le connessioni nel sistema nervoso periferico, mentre nel sistema nervoso centrale vi sono ancora difficoltà da superare come la densità del wiring, il sottile calibro dei processi e la presenza di proiezioni sia brevi sia estremamente lunghe che collegano aree cerebrali assai distanti. Molti prevedono che la connectomica avrà un enorme sviluppo futuro nella comprensione di molti sindromi neuropsichiatriche che si ritengono associate a difetti di sviluppo del sistema nervoso, come schizofrenia o autismo (disordini che potrebbero venire denominati connectopatie se venisse chiaramente dimostrato il ruolo di difetti o anomalie nelle connessioni). Analogamente sarà importante valutare come la connettività cambi durante l’età evolutiva, in cui si ha un esteso rimodellamento dei circuiti nervosi, e durante l’invecchiamento normale e patologico, fino alle demenze come la malattia di Alzheimer.

Regolazione della connettività

L’efficienza con cui la sinapsi trasferisce l’informazione (forza sinaptica) non è una proprietà immutabile, ma può venire finemente regolata sulla base della storia recente del neurone e dell’ambiente biochimico extra- e intracellulare. Questa capacità di variare l’efficienza sinaptica su base puramente funzionale (variazione del software) è detta plasticità funzionale ed è in genere limitata a un breve periodo di tempo dopo l’evento che l’ha prodotta (plasticità a breve termine). A seconda della scala temporale in cui si attua, da pochi millisecondi a minuti, la plasticità a breve termine può consistere in facilitazione, augmentation, depressione sinaptica o potenziamento post-tetanico. Vi sono diverse molecole e processi biochimici alla base dei fenomeni di plasticità a breve termine e, nella maggioranza dei casi, questi processi consistono nelle reazioni di fosforilazione e defosforilazione di proteine sinaptiche indotte dall’attività elettrica del neurone e/o di neurotrasmettitori. Queste variazioni biochimiche si traducono in variazioni del traffico delle vescicole sinaptiche, della dimensione dei pool vescicolari o dei livelli presinaptici di Ca2+ che modificano la probabilità di rilascio e il rifornimento del pool di rilascio delle vescicole sinaptiche. Queste variazioni funzionali, che hanno un tempo di dimezzamento piuttosto rapido, rappresentano una sorta di ‘memoria molecolare’ il cui perdurare nel tempo dipende, il più delle volte, dal tempo di vita dello stato di fosforilazione di specifiche proteine che a sua volta risulta dal delicato equilibrio tra attivazione di proteinchinasi e di proteinfosfatasi da parte dei segnali extra- e intracellulari.

Alla plasticità a breve termine si aggiunge, spesso indotta dagli stessi stimoli ripetuti, una forma più complessa e duratura di plasticità che implica variazioni nell’espressione genica e la sintesi di nuove proteine. Le variazioni puramente funzionali della plasticità a breve termine non possono sopravvivere per molto tempo in assenza di variazioni nell’espressione genica e nell’hardware dei circuiti nervosi. L’intensa e prolungata attivazione degli stessi sistemi di trasduzione alla base della plasticità a breve termine induce l’attivazione di fattori di trascrizione come CREB che, a loro volta, in una cascata di eventi, stimolano la trascrizione di geni precoci (immediate early genes, come C/EBP o Zif268) che a loro volta modificano la trascrizione di geni bersaglio coinvolti nella crescita dell’assone e nella formazione di nuove sinapsi. In genere, quando la forza sinaptica deve essere potenziata (potenziamento a lungo termine o LTP), aumenta la sintesi di proteine ribosomali, neurotrofine, proteine leganti il Ca2+, proteine delle vescicole sinaptiche e recettori per i neurotrasmettitori, mentre la sintesi delle molecole di adesione, che mantengono la stabilità strutturale delle connessioni sinaptiche, risulta inibita. Il risultato di queste risposte biologiche è quello di favorire la crescita di ramificazioni terminali dell’assone e di formare nuove sinapsi e/o di aumentare la funzionalità delle sinapsi preesistenti. Fenomeni opposti si verificano nel corso della depressione a lungo termine (LTD) della forza sinaptica che si accompagna a una rarefazione delle sinapsi e/o a una diminuita attività delle sinapsi rimaste. In pratica ogni sinapsi nel sistema nervoso è in grado di regolare finemente la sua forza, entrando in uno stato potenziato o depresso che può essere mantenuto per lunghi periodi. Questo comportamento, evocato da specifici pattern (ossia modelli, schemi) di stimolazione del neurone presinaptico e postulato dallo psicologo Donald O. Hebb nel 1949 (The organization of behavior. A neuropsychological theory), è denominato synaptic learning rule.

La plasticità sinaptica ‘a lungo termine’ può essere mantenuta per ore, mesi e anni. Nell’ambito dei circuiti nervosi, variazioni permanenti nella forza sina-ptica e nel volume di informazioni trasferite (conseguenti a variazioni nel numero di sinapsi tra neurone pre- e postsinaptico) sono in grado di incanalare il flusso delle informazioni attraverso le connessioni ‘facilitate’ distogliendolo dalle connessioni inibite o ‘depresse’, mutando quindi permanentemente il risultato dell’attivazione di un determinato circuito. I fenomeni di plasticità strutturale sono anche un elemento fondamentale dello sviluppo del sistema nervoso. La geografia delle connessioni sinaptiche che si produce al termine della sinaptogenesi non è quella definitiva, ma costituisce una sorta di hardware temporaneo che, costruito prevalentemente sotto la direzione dei geni, è destinato a essere rimaneggiato strutturalmente per tutta la vita sotto la guida dell’esperienza e della cultura (fattori epigenetici), anche se le variazioni più sorprendenti avvengono durante l’infanzia.

Computazione e apprendimento sinaptici

Nel sistema nervoso maturo, studi elettrofisiologici e comportamentali hanno mostrato una stretta correlazione tra apprendimento e fenomeni di plasticità a lungo termine in aree circoscritte del sistema nervoso, tale da fare ritenere con ragionevole sicurezza che la plasticità sinaptica a lungo termine costituisca la base cellulare dei fenomeni di memoria e apprendimento e sia coinvolta nei fenomeni di consolidamento e riconsolidamento della traccia mnemonica. D’altra parte, i fenomeni di plasticità a breve termine non sono solo una mera anticamera della plasticità a lungo termine, ma avvenendo con grandissima frequenza nella vita quotidiana della sinapsi hanno molteplici funzioni, non solo nella modulazione della quantità di informazione trasferita attraverso la sinapsi, ma anche nei fondamentali fenomeni di computazione svolti in tempo reale. È quindi chiaro che la dinamica sinaptica fa parte integrante del coding e processing dell’informazione condotta dalle reti neuronali. Come accennato in precedenza, nella breve scala temporale, la quantità di neurotrasmettitore liberato dipende dal pattern dell’attività elettrica presinaptica (frequenza e timing dei potenziali d’azione) che il neurone invia a tutti i suoi terminali sinaptici. Tuttavia, le numerose sinapsi che ciascun neurone contrae possono esprimere diverse forme di plasticità, facendo sì che i vari messaggi che il neurone invia ai neuroni postsinaptici vengano trasmessi con modalità diverse, rappresentando una versione ‘filtrata’ della sequenza di potenziali d’azione generata dal neurone stesso. Tra i vari fattori che possono influenzare la trasmissione sinaptica dell’informazione vi sono ovviamente la topografia delle sinapsi sul neurone postsinaptico (sinapsi distali, prossimali o sul corpo cellulare), i processi di sensitizzazione e desensitizzazione dei recettori postsinaptici, l’attivazione di specifici sottotipi recettoriali in base al pattern di rilascio del neurotrasmettitore.

Oltre a questi meccanismi postsinaptici, il potere computazionale delle sinapsi dipende soprattutto da caratteristiche presinaptiche legate in qualche modo alla probabilità di rilascio di neurotrasmettitore che, a sua volta, è funzione dell’influsso di Ca2+ nel terminale in seguito al potenziale d’azione. Come synaptic rule, sinapsi con elevata probabilità di rilascio (come la maggior parte delle sinapsi inibitorie) sono fortemente soggette a depressione, mentre sinapsi con bassa probabilità di rilascio (come le sinapsi eccitatorie) sono preferibilmente soggette a facilitazione. Tuttavia, è possibile che vi sia eterogeneità in queste proprietà anche tra sinapsi formate dallo stesso assone, che possono essere prevalentemente facilitanti o deprimenti. D’altra parte, la facilitazione e la depressione coesistono nelle stesse sinapsi che possono quindi mutare le proprie proprietà a seconda delle condizioni ambientali. È interessante notare che a seconda del predominante stato di plasticità a breve termine, le sinapsi si comportano da efficienti filtri nei confronti del pattern di attività del neurone presinaptico. Per es., nelle sinapsi tra fibre rampicanti e cellule del Purkinje del cervelletto la probabilità di rilascio (p) è elevata e quindi la depressione domina in corso di attività presinaptica ad alta frequenza (burst), mentre nelle sinapsi tra fibre parallele e cellule del Purkinje la probabilità è bassa e la facilitazione è preponderante. In queste condizioni, il pattern di attività presinaptica e il timing dei potenziali d’azione esercitano una profonda influenza sulla forza sinaptica. Le sinapsi si comportano infatti come filtri a banda variabile. Le sinapsi a basso p, molto attive nella facilitazione, si comportano come filtri ‘passa-alto’ trasmettendo preferenzialmente informazioni derivanti da attività presinaptiche ad alta frequenza, mentre sinapsi ad alto p agiscono come filtri ‘passa-basso’ efficaci nel trasmettere l’inizio fasico dell’attività elettrica, ma non l’attività tonica ad alta frequenza che ne provoca la depressione. Inoltre, sinapsi con livelli intermedi di p si comportano come filtri a banda intermedia. Queste proprietà non sono immutabili e la modulazione dinamica di p porta a variazioni nelle proprietà di filtro dell’attività elettrica operata da ciascuna sinapsi in momenti diversi dell’attività neuronale.

I fenomeni di plasticità a breve termine hanno anche effetti apparentemente paradossi, potendo trasformare l’azione di una sinapsi inibitoria in eccitazione (o disinibizione) del neurone postsinaptico. Per es., l’inibizione presinaptica diminuendo p può in-durre una maggiore facilitazione in una sinapsi che prima deprimeva, o diminuire l’entità della desensitizzazione dei recettori postsinaptici, portando complessivamente a un aumento della forza sinaptica. Altre interessanti attività computazionali derivate dalla plasticità a breve termine sono la rilevazione di stati transienti di attività, la decorrelation, la burst detection e la compressione dinamica. Le sinapsi facilitanti e deprimenti sono sensibili in maniera differenziale al mutamento di attività del neurone presinaptico. Le sinapsi deprimenti rispondono con maggiore intensità a stimoli nuovi (o fasici) piuttosto che a stimoli tonici. Questa preferenza per stimoli nuovi, che contribuisce, per es., al fenomeno dell’adattamento al contrasto nella corteccia visiva, dipende dal fenomeno della depressione sinaptica che attenua il trasferimento di informazione derivante da stimolazioni protratte nel tempo. Le sinapsi deprimenti producono il massimo effetto dopo lunghi periodi di silenzio elettrico del neurone presinaptico (transizione off-on), mentre le sinapsi facilitanti presentano il massimo di efficienza alla fine di un periodo di attività elettrica ad alta frequenza (transizione on-off), rappresentando in tal modo dei sensori dell’accensione/spegnimento dell’attività elettrica del neurone presinaptico. Sinapsi che deprimono o facilitano si comportano diversamente nella trasmissione di attività mista composta da pattern di bursting (pacchetti di potenziali d’azione ad alta frequenza) e random spiking (potenziali d’azione individuali distribuiti nel tempo). Infatti, mentre le sinapsi deprimenti producono sequenze di trasmissione relativamente regolari e meno correlate alle irregolari sequenze presinaptiche di potenziali d’azione (decorrelation), le sinapsi facilitanti producono invece sequenze di trasmissione che correlano positivamente con i bursts e pertanto selezionano e trasmettono preferenzialmente al neurone postsinaptico l’attività di bursting (burst detection). La depressione è anche alla base del fenomeno della compressione dinamica dell’input, in cui il livello di trasmissione sinaptica ad alte frequenze di stimolazione è proporzionale all’inverso della frequenza.

In conclusione, il pattern di scarica dei neuroni non è l’unico fattore che definisce lo stato e l’attività della rete. In realtà, la risposta del circuito a un determinato stimolo (per es., sensoriale) dipende fortemente dallo stato dinamico delle sinapsi e dalla loro attività di computazione. In altre parole, non solo le sinapsi controllano il firing (attività elettrica neuronale) in un circuito, ma è lo stesso pattern di firing neuronale che definisce dinamicamente lo stato plastico delle sinapsi e quindi il tipo di operazioni computazionali che vengono attuate a livello di ciascuna sinapsi.

Reti neuronali e sinapsi artificiali

Le sorprendenti proprietà del sistema nervoso, che tuttora rappresenta il sistema di controllo e computazione più sofisticato, lo hanno elevato a modello nei campi dell’elettronica, della biosensoristica e della robotica. L’ispirazione allo studio del funzionamento del sistema nervoso da parte del mondo della tecnologia avviene nei vari livelli di complessità biologica, ciascuno dei quali esibisce proprietà uniche e, al momento, difficilmente riproducibili tecnologicamente. Un forte stimolo a questi sviluppi è fornito dalle capacità risultanti dal sistema nervoso degli esseri viventi di gestire in parallelo molteplici funzionalità. Infatti, basta constatare che i prodotti dell’attuale tecnologia sono in grado, sebbene implementino singole funzioni ineguagliate dai sistemi biologici (si pensi, per es., alla velocità di calcolo di un odierno computer), di gestire solo un numero molto limitato di funzioni. Questo interesse generale è inoltre sviluppato in diversi settori tecnologici. Rispetto all’elettronica, le proprietà del sistema nervoso sono sorprendenti, dal punto di vista sia funzionale sia morfologico. Infatti, la complessa rete tridimensionale di connessioni tra neuroni è molto più densa delle connessioni elettriche integrate nei più sofisticati processori e circuiti integrati. Inoltre, il principio stesso della trasmissione dei segnali elettrici attraverso i nervi, basato sulla conduzione ionica attraverso le membrane cellulari, si distingue per la sua alta resistività dai comuni conduttori elettrici metallici, ma permette comunque di inviare segnali nervosi a velocità di diversi metri al secondo. Soffermandosi sugli aspetti computazionali, il principio stesso delle macchine digitali è limitato a sequenze di ‘vero’ o di ‘falso’ e alla logica binaria della sempre più diffusa integrazione digitale. Il sistema nervoso è molto più raffinato e sembra sfruttare un gran numero di livelli intermedi tra 0 e 1. Questo concetto è stato ripreso nella teoria della logica fuzzy che ha permesso di realizzare, a partire dalla fine degli anni Ottanta del 20° sec., sistemi di controllo molto rapidi e precisi per diversi prodotti di elettronica di consumo. Per la ricerca in robotica, queste caratteristiche di controllo si aggiungono alle affascinanti e ineguagliate capacità di apprendimento che permetterebbero di realizzare macchine in grado di adattarsi alle diverse condizioni di operazione. Va precisato che per la robotica non si tratta di ricostruire dei sistemi viventi, come paventato in diversi romanzi di fantascienza, ma piuttosto di migliorare le prestazioni di applicazioni robotiche.

Le capacità risultanti dal sistema nervoso implicano una struttura dinamica e organizzata da un livello macroscopico a uno molecolare. A questo livello molecolare di raffinata sensibilità si indirizzano gli interessi per gli sviluppi in biosensoristica. Sostanze neuroattive, quali farmaci o neurotossine, hanno un effetto sull’attività neuronale già a partire da concentrazioni molto basse. Illustrando bene quanto sia difficile riprodurre artificialmente questa complessa struttura di recettori chimici, alcuni lavori di ricerca hanno dimostrato la possibilità di usare reti neuronali viventi quali elementi sensibili biosensoristici.

La chiave di volta per la ricerca e lo sviluppo di questo campo delle neuroscienze, in grande espansione tecnologica, è stata la creazione di matrici di microelettrodi extracellulari in grado di registrare l’attività elettrica dei neuroni e di stimolarli in modo assolutamente non invasivo. La possibilità di coltivare neuroni embrionali su tali matrici per tempi molto lunghi (fino a 2-3 mesi) e di poterli manipolare anche all’esterno degli incubatori grazie a specifici bioreattori ha fornito una nuova dimensione sperimentale allo studio delle proprietà del tessuto neuronale. Questi dispositivi, sviluppati a partire dalla fine degli anni Settanta, sono realizzati con tecnologie di microelettronica quali la fotolitografia e la deposizione di materiali conduttori e isolanti thin-film. Usando substrati in silicio, in vetro e, recentemente, anche in plastica, vengono integrati tipicamente alcune decine di elettrodi di dimensioni micrometriche. Ogni microelettrodo è collegato esternamente a un amplificatore a basso rumore che permette di registrare, rispetto a un elettrodo di riferimento, segnali extracellulari sino ad ampiezze di qualche decina di microvolt. In questo modo si può accedere alla propagazione spaziale dell’attività elettrica in colture di reti neuronali composte da diverse decine di migliaia di neuroni. In modo simile, è possibile evocare un’attività neuronale polarizzando i microelettrodi e inducendo una depolarizzazione sufficiente nei neuroni circostanti l’elettrodo. Nella figura 4 (a sinistra) è rappresentato un chip MEA (Micro-Electrode Arrays) che permette di creare un’efficiente interfaccia neuroelettronica tra neuroni coltivati in vitro (a destra) e 60 microelettrodi metallici attraverso cui si possono fare registrazioni extracellulari dell’attività elettrica dei neuroni (traccia inferiore, dove è possibile identificare una serie di potenziali d’azione) o stimolare elettricamente i neuroni con elevata risoluzione spaziotemporale.

Un altro approccio di trasduzione si basa su matrici di transistori a effetto di campo. In questo caso i segnali extracellulari non sono misurati da microelettrodi metallici, bensì dalla griglia isolata dei transistori. Grazie all’evoluzione delle tecnologie d’integrazione della microelettronica, recentemente si sono realizzate interfacce neuroelettroniche che integrano migliaia di microelettrodi e che migliorano la risoluzione spaziale nell’osservazione delle dinamiche d’attivazione e di propagazione, sino a livelli al di sotto delle dimensioni dei singoli neuroni.

Sebbene i segnali misurati dai singoli microelettrodi non permettano d’accedere allo stesso dettaglio rispetto alle misure intracellulari, le prospettive di utilizzo sperimentale di questa tecnologia sono molteplici e completano le possibilità di misura introdotte con le tecniche elettrofisiologiche di registrazione diretta dell’attività dei canali ionici (patch-clamp). Inoltre, un grande interesse nello sviluppo di questi dispositivi è riposto nel loro potenziale uso prostetico, quale, per es., la realizzazione di protesi retiniche e protesi neurorobotiche degli arti. Ciò richiede lo sviluppo di soluzioni che permettano di ottenere interfacce impiantabili in grado di garantire la stabilità della comunicazione bidirezionale neuroelettronica e di sviluppare le attuali metodologie nella codifica e decodifica dei segnali elettrofisiologici artificiali e naturali.

Di conseguenza, la simbiosi tra sperimentale e modellizzazione risulta essere una metodologia di ricerca particolarmente promettente in questo contesto. Lo sviluppo di modelli di reti neuronali ha assunto una nuova dimensione grazie all’integrazione neuromorfica (implementazione VLSI, Very Large Scale Integration) in circuiti microelettronici di sinapsi artificiali e di complesse reti neuronali artificiali. Questo approccio, da un lato, rende possibile studiare su scale temporali accelerate o rallentate il comportamento di popolazioni neuronali e la loro plasticità, dall’altro, permette di definire un nuovo percorso per la migrazione di soluzioni tecnologiche derivanti direttamente dalla ricerca neuroscientifica.

Interfacce neurorobotiche e neurocomputer

Le capacità computazionali e il processamento in parallelo delle informazioni, uniti alla capacità di mo-dificare l’hardware dei circuiti in risposta ad appropriate stimolazioni provenienti dall’ambiente, sono un forte spunto allo sviluppo delle tecnologie computazionali. Da tale contesto emergono le reti neuronali artificiali e il concetto di intelligenza artificiale, la neurorobotica e i neurocomputer.

Le reti neuronali artificiali sono modelli matematici di interconnessione di gruppi di neuroni che hanno origine essenzialmente dai modelli biologici basati sulle ipotesi di Hebb, dai lavori di John Von Neumann e dai primi schemi di reti neuronali di Frank Rosenblatt. Partendo da basi biologiche ed evolvendo in un contesto matematico, questi modelli hanno permesso di sviluppare diversi algoritmi che integrano una forma di apprendimento, in grado di adattarsi alle condizioni d’utilizzo. Sempre più usati in diversi contesti dell’ingegneria e legati al concetto di intelligenza artificiale, un tipico utilizzo è nella programmazione di sistemi adattativi, di riconoscimento e di analisi dei dati.

Questa direzione di ricerca, oggi fortemente legata all’informatica, è in costante evoluzione e beneficia dello sviluppo delle competenze neuroscientifiche. In modo particolare, i progressi in neuroelettronica hanno offerto recentemente la possibiltà di sviluppare nuovi paradigmi sperimentali e di interfacciare reti neurali formate da neuroni vitali con effettori esterni (corpo) robotici. L’obiettivo è creare un’interfaccia bidirezionale tra la rete di neuroni e un corpo esterno (robotico o simulazione virtuale), che riproduca il loop sensori-apparato motorio attivo nell’esecuzione dei movimenti nel sistema nervoso. Tale paradigma sperimentale permette di studiare nel dettaglio codifica e decodifica dei segnali nervosi e di investigare come la rete neuronale processi l’informazione.

Un esempio pioneristico di questa metodologia è stato realizzato interfacciando un robot, come effettore esterno, con colture di neuroni primari su matrici di microelettrodi, realizzando un loop chiuso tra rete neuronale e robot. Codificando e decodificando i segnali attraverso una sofisticata elettronica a tempo reale, dal lato biologico i siti neuroelettronici spazialmente distinti della rete neurale sono usati per evocare e registrare i segnali elettrofisiologici, e dal lato robotico gli apparati motori sono controllati in base all’informazione dei sensori di prossimità inviata alla coltura neuronale. Muovendo il robot attraverso gli ostacoli di un’arena e riproducendo un modello sperimentale di rapporto bidirezionale cervello-ambiente, questo sistema a loop chiuso permette di studiare come la rete neuronale ‘impari’ a gestire il robot, inducendo plasticità, prima funzionale e poi strutturale, nelle connessioni sinaptiche della rete. È stato riportato che le stimolazioni provenienti dal robot e prodotte in successive prove di addestramento modificano l’attività della rete e la plasticità delle sinapsi in essa presenti e portano a una modifica della connettività della rete che si traduce in un miglioramento del comportamento motorio del robot nell’evitare gli ostacoli. Questo recente modello sperimentale è di grande interesse non solo da un punto di vista neurofisiologico, legando strettamente i fenomeni di plasticità sinaptica al comportamento motorio, ma anche per lo sviluppo di interfacce neurali per neuroprotesi e per creare dei ‘neurochip’ la cui struttura hardware possa venire stabilmente modificata dagli stimoli provenienti dall’ambiente.

In parallelo allo sviluppo di contesti sperimentali specifici favoriti dalle emergenti tecnologie d’interfaccia neuroelettroniche, un’altra promettente, ma ancora embrionale, applicazione delle strategie computazionali utilizzate dalle reti nervose riguarda la progettazione di neurocomputer, ossia di computer che processino l’informazione in parallelo in modo simile al tessuto neuronale. Attualmente esistono costosi prototipi di computer paralleli i cui microprocessori operano simultaneamente, attuando una modalità computazionale che si avvicina a quella operata dalle reti nervose. Il futuro del neurocomputer sarà tuttavia in apparati che imitino i meccanismi integrativi e plastici operanti nelle reti nervose, utilizzando dispositivi optoelettronici o elementi ibridi neuroelettronici come unità computazionali elementari. Da questo contesto artificiale si distinguono gli sviluppi molto recenti di neurocomputer intesi come computer organici, costituiti da neuroni viventi e indirizzati a realizzare semplici operazioni aritmetiche, con la prospettiva di sviluppare nuove tecnologie computazionali ibride tra matematica, sistemi non lineari e biologia.

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