Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io

Enciclopedia Dantesca (1970)

Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io

Eugenio Chiarini

Sonetto LII dell'edizione Barbi, già nella Giuntina del 1527 (con la variante, al v. 9, monna Bice in luogo di monna Lagia) presente " da un lato nel Vaticano Barberiniano lat. 3953, nel Vaticano 3214, nel Casanatense 433, dall'altro nel ms. II IV 114 della Nazionale di Firenze, nel Magliabechiano VII 1168, nel Laurenziano Gaddiano rel. 198, nel Bolognese Universitario 1289, nel cod. 280 della Comunale di Ferrara, nel Marciano it. IX 191 " (Contini).

Rivolgendosi all'amico Guido Cavalcanti - che rispose col sonetto S'io fosse quelli che d'amor fu degno -, D. propone un'immagine suggestiva di evasione (una navicella incantata che va per mare col carico lieve e secondo il piacere di un terzetto di poeti: Guido, Lapo [Gianni], D. stesso, in compagnia delle loro donne, intenti a ragionar sempre d'amore), sorretta da un continuo utinam come il ‛ plazer ' dei Provenzali e affine all'impianto di componimenti come Amor, eo chero mea donna in domino di Lapo, Un'alta ricca rocca e forte manto di Cino, A suon di trombe anzi che di corno di Guido Orlandi e, a modo loro, i Sonetti de' Mesi e de la Semana di Folgòre o S'i' fosse foco di Cecco Angiolieri. Si aggiunga che il vasel del v. 3, remoto e svagato precorritore del vasello snelletto e leggero di Pg II 41, ricorda " la nef de joie et de deport " creata dal mago Merlino (il buono incantatore del v. 11) nel Roman de Tristan en prose in cui Pio Rajna indicò la probabile fonte dell'invenzione dantesca (" ainsi s'an vont li dui amant parmi la mer liez et joiauz a grant joie et grant solatz "); o la barchetta dell'autore del Mare amoroso (" E se potesse avere una barchetta / tal com fu quella che donò Merlino... / ch'andassi sanza remi e sanza vela / altressì ben per terra com per acqua... / intrerei con voi in quella barchetta / e mai non finirei d'andar per mare "). Fiorito nel solco della letteratura cavalleresca arturiana (cfr. VE I X 2 Arturi regis ambages pulcerrimae) " che in quel torno di tempo veniva volgarizzando nella penisola Rusticiano (o Rustichello) da Pisa ", mosso da una fantasia lieta e serena in una sfera musicale e sentimentale di estrema rarefazione, il sogno dantesco non sopporta interpretazioni in chiave romantica: alieno " da ogni tonalità malinconica " (Mattalia), è tutto inteso a vagheggiare su sfondo magico, e pur ridente di consapevolezza e di memoria, un aristocratico sodalizio di amici poeti in cui si specchia un rapporto vissuto secondo " il motivo sentimentale principe del dolce stile in quanto ‛ scuola ' " (Contini). Dal respiro ampio della prima e anche della seconda quartina si passa così, per gradi - senza dubbio liricamente riduttivi ma non nella misura che fu spesso rilevata (D. De Robertis scrive a buon conto: " inavvertitamente ") - al giuoco stilnovistico-mondano delle allusioni che si susseguono nelle terzine, e dell'arguzia galante che le conchiude.

La perifrasi del v. 10 (quella ch'è sul numer de le trenta), una volta accertato dal Barbi, al v. 9, l'errore della Giuntina che a monna Lagia (la donna di Lapo, Alagia) sostituiva monna Bice, probabilmente per influenza del sonetto Io mi senti' svegliar (cfr. v. 9 Io vidi monna Vanna e monna Bice), designa certo l'amica di D. che non sarà Beatrice, se il nome di lei, come il poeta ricorda (Vn VI 2), nella giovanile (e perduta) pistola sotto forma di serventese da lui composta in onore delle sessanta più belle donne fiorentine, maravigliosamente... in alcuno altro numero non sofferse... stare, se non in su lo nove, tra li nomi di queste donne: poco convincendo l'ipotesi ingegnosa (di Guido Mazzoni), che a Beatrice si alluda data la perfetta equivalenza simbolica del trenta e del nove. D'altronde i capitoli V e VI della Vita Nuova giustificano l'identificazione di cotesta amica con la prima ‛ donna dello schermo ': la gentile il cui nome spezialmente doveva figurare nel detto sirventese; e che al tempo del sonetto, a prescindere dalla prosa della Vita Nuova e dal miracolo presumibilmente ancora acerbo di Beatrice, poté ben occupare, tra le sessanta bellezze di Firenze, il posto d'onore.

Circa il tempo della composizione, l'accenno al sirventese giovanile e, più, i valori stilistici riportano il sonetto a un periodo anteriore alla Vita Nuova, di già netto distacco dalla scuola di Guittone e di agevole, entusiastica adesione al gusto raffinato della lirica del Cavalcanti e, notò il Marti, anche di Lapo, in componimenti come questo, di tono lieve e mondano.

Riportiamo qui di seguito alcuni giudizi.

Scrisse il Carducci che D. " ha dato al verso semplicissimo un'ala come di colomba, in quelle due quartine... così uniche nella poesia italiana... le quali favellano e cantano e sognano e volano tutt'a un tempo... Divina ebrietà... ! Divino sogno di D. quello di sperdersi con l'amore e la felicità su l'oceano immenso, sempre avanti, sempre avanti... nell'oblio del tempo, in immortal gioventù!... Ma nei terzetti... ritorna al fare del tempo suo ". Tanto più è avvertito lo squilibrio delle terzine, quanto più accentuata la suggestione romantica delle quartine. Analogo e più severo giudizio diede il Croce: " così largo [il sonetto] nel bell'impeto iniziale ma non felice nell'esecuzione, alquanto sbrigativa e prosaica, sicché piace più... per l'idea che non per sé stesso, per la nostalgia che annunzia e non pel quadro che dipinge: seppure " - soggiunge - " come di recente è stato proposto, non gli si voglia dare un accento semischerzoso e un aspetto sorridente ". La riserva si riferiva, crediamo, al saggio sulle Rime di E.G. Parodi che, dopo il fresco e vibrante ondeggiamento delle quartine, notava sì come " un poco perturbatore nella prima terzina quel lungo e bizzarro pseudonimo della donna ", ma " di nuovo tutti grazia e leggerezza, con un delizioso e sorridente cenno di malizia, gli ultimi quattro versi " anche se " con la loro aria di elegante galanteria, ci richiamino più alle festose e brillanti ‛ corti ' dei maggi fiorentini che alle solitudini del mare ". E insisteva: " Non vi è passione, ma la gioia di vivere, di sentirsi poeta, di amare non per la donna ma per l'amore... Oseremmo perfino dire che, fuori della poesia amorosa, sia un frutto di questa giocondità spirituale lo stesso primo sonetto della tenzone con Forese... ". Su questa linea ‛ antiromantica ' s'incontrano sostanzialmente i rilievi del Barbi, del Sapegno, del Mattalia, del Montanari, del Pernicone, del Caccia. L'Apollonio ha battuto particolarmente, per questo e per componimenti affini come Per una ghirlandetta, Deh, Vïoletta, sul circoscriversi del poeta " nella grazia galante della fantasia mondana... senza altro termine di confronto o nella realtà del mondo o nella salvezza dell'oltremondo "; e sul vuoto che insidia " questa atmosfera lenta... questa lucida nube dove i suoni s'addormono ", prima che Beatrice sopravvenga " a far nascere dalle rime amorose un'intensità di vita sin allora ignota ".

Bibl. - G. Carducci, Delle rime di D. (1865; rist. in Studi Letterari, Livorno 1874, 139-237, e in Opere, X, Bologna 1936, 93-94; M. Barbi, Un sonetto e una ballata d'amore dal Canzoniere di D., Firenze 1898; P. Rajna, D. e i romanzi della Tavola Rotonda, in " Nuova Antol. " 1° giugno 1920; E.G. Parodi, Le Rime, nel volume collettivo D., la vita, le opere, Milano 1921, 56; B. Croce, La poesia di D., Bari 1921; N. Sapegno, ‛ Dolce stil novo '. Le rime di D., in " La Cultura " n.s., IX (1930) 805; D.A., Rime, a c. di G. Contini, Torino 1939 (1946²); G. Mazzoni, ‛ Sul numer de le trenta ', in Almae luces malae cruces, Bologna 1941, 131 ss.; D.A., Le Rime, a c. di D. Mattalia, Milano 1943; M. Apollonio, D. - Storia della Commedia, Milano 1951, 305-307; D. De Robertis, Cino da Pistoia e la crisi del linguaggio poetico, in " Convivium " I (1952) 25 n. 1; F. Montanari, L'esperienza poetica di D., Firenze 1959, 15-18; M. Marti, Introduzione al ‛ Tristano Riccardiano ', in Segre-Marti, Prosa 555-557; Contini, Poeti I 483-500; II 603, 673, 379; M. Marti, Con D. fra i poeti del suo tempo, Lecce 1966; V. Pernicone, Le Rime, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 679; E. Caccia, Le Rime di D., in " Ateneo Veneto " CL (1965) 25.