BENEDETTI, Iacopo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)

BENEDETTI, Iacopo

Franca Ageno Brambilla

Della nobile famiglia dei Benedetti da Todi, è più noto sotto il nome di Iacopone. Le biografie antiche che ce ne restano sono in gran parte prive di fondamento storico e spesso si limitano a trarre partito dai componimenti iacoponici, interpretandoli nel modo più grossolano. I dati attendibili che se ne ricavano si possono integrare cm alcuni altri offerti da documenti storici e con gli accenni delle laudi ad avvenimenti reali: ciò che non forma, tuttavia, un quadro molto ricco. Secondo l'erudito secentesco L. Iacobilli, che sembra avere attinto a fonti rimaste inedite, il padre era un Iacobello, figlio a sua volta di un messer Oddone, e suoi fratelli furono un Andalò, "dottor famoso", e un Rinaldo. La data di nascita va posta probabilmente un decennio e più prima della metà del sec. XIII; ma è arbitrario fissarla al 1236, come si è fatto in base a un preteso riferimento autobiografico della laude (che d'altronde riteniamo apocrifia) Troppo m'è gran fatica, poiché tale riferimento è affatto illusorio. Le parole che Cristo rivolge al peccatore: "Degli anni ben trenta e doi / bussai per farte gran dono" (67-68), alludono, come le precedenti e le successive, al soggiorno di Cristo sulla terra, e non all'età che l'autore avrebbe avuta al momento della sua conversione (1268).

La tradizione dice che esercitò la professione di procuratore legale, né vi è ragione di dubitare dell'esattezza di tale notizia: la lingua di Iacopone ne fornisce una conferma, perché presenta termini di sicura provenienza giuridica, come "de plano" (61,40 = 44,80), "morganato" (22,23 = 59,46) e i numerosi participi passati con valore di sostantivi. Che Iacopone fosse colto e, anche prima della conversione, esperto di poesia, si deduce del resto dalle sue laudi, dove sono numerosi i francesismi e i provenzalismi della lingua cortese e si avvertono echi distinti della lirica siciliana.

La naturale tendenza delle leggende edificanti (ché tali sono le antiche biografie di locopone) ad accentuare, nel santo celebrato, il contrasto fra il periodo che precede la conversione e quello che la segue, deve farci accogliere con riserva i particolari intorno alla vita splendida e godereccia che Iacopone avrebbe condotta insieme con la moglie, una Vanna di Bernardino di Guidone dei conti di Coldimezzo, secondo quanto l'erudito G. B. Guazzaroni dedusse da documenti relativi a questa famiglia.

La laude O vita penosa, - continua battaglia (24 = 60), tutta in prima persona, che qualcuno ha interpretato addirittura come una sorta di autobiografia, è solo una generica rappresentazione, secondo schemi tradizionali, delle miserie e delle colpe che affliggono e deturpano la vita umana. Tuttavia vi si può cogliere qua e là il tono dell'esperienza vissuta: "Vedea i garzuni - girse iocanno, / Ed eo lamentanno - che non podea fare: / Si non gìa a la scola, - gìame frustanno / E sbinciglianno - con mio lamentare; / Stava a pensare - nuo patre moresse, / Ch'io più non staiesse - a questa brigata" (51-56); "Stanco lo iorno, - gìamene a letto; / Pensava l'affetto - nel letto pusare: / Ecco i pensieri, - là v'era ritto, / Aveanme costretto - a non dormetare; / Ora al pensare, - volvendome 'ntorno, / Tollendome 'l sonno - per molte fiata" (147-152); e scorci della turbolenta vita cittadina certo ritratti dal vero: "S'era costretto - a far vendecanza / Per soperchianza - c'avesse patuta, / Pagar lo bando - non era en usanza, / E la 'mbriganza - non c'era partuta: / La mente esmarruta - crepava a dolore, / C'al desonore - non era vegnata" (81-86).

Intorno alle cause che determinarono la fuga di Iacopone dal mondo non abbiamo né accenni nelle laudi, né notizia alcuna, tranne la narrazione di un fatto che poté costituime, se mai, l'occasione e l'impulso ultimo, ma che s'impose all'attenzione dell'ingenuo biografo come quello che si prestava a dar risalto all'idea della conversione improvvisa e del miracolo. Dice dunque la leggenda che la morte della moglie nel crollo di una sala dove stava ballando e l'aver trovato sulle carni di lei un cilicio sconvolsero Iacopone a tal punto, che da quel momento egli si diede a "gir bizzocone" (55,65 = 55,130).

L'anno della conversione è probabilmente il 1268, poiché nel componimento ora citato, che va ascritto con certezza al 1298-99, cioè al periodo della sua prigionia (ottobre 1298-ottobre 1303), si parla di essa come di cosa avvenuta trent'anni prima: "Questa pena che m'è data, Trent'ann'è che l'aio amata" (55,62 = 55,123-124).

In seguito Iacopone portò dieci anni il cappuccio lungo dei bizzochi (o questuanti girovaghi, che non di rado erano ascritti al Terz'ordine francescano): "Questo non m'è orden novo., Che 'l cappuccio longo arprovo, C'agni dece entieri trovo Ch'io '1 portai gir bizzocone" (55,64-65 = 55,127-130), e in una vita di penitenza fece "el fondamento a vergogn'eschergnemento" (55,66 = 55,131-132).

Da questo medesimo passo si deduce che entrò nell'Ordine dei frati minori nel 1278. Una tradizione locale e la vita pubblicata da N. Dal Gal dicono che trascorse qualche tempo nel convento di Pantanelli, presso Terni. Il suo inserirsi in un ambiente di cultura francescana ha lasciato non poche tracce nelle laudi.

Il componimento Assai m'esforzo a guadagnare (28 = 76), dove si delinea la figura di un frate che, pur essendosi lungamente sforzato di ottenere la perfezione dello spirito, perde "el guadagnato" perché manca di carità ed è pronto al risentimento e all'impazienza, deriva dal paragrafo 14 delle Adinonitiones di S. Francesco. Un altro componimento, Omo, tu se' engannato (18 = 56), sviluppa in senso drammatico un passo della prima epistola del santo (Opuscula, pp. 96 s.). La biografia del santo fondatore, O Francesco povero, - patriarca novello (61 = 44), è condotta sulla falsariga della Legenda maior di s. Bonaventura, anzi ne traduce un paragrafo (13, 10). E la rappresentazione di lui come novello Cristo, che troviamo nella laude O Francesco da Deo amato (62 = 72), è pure diffusa in ambiente francescano e avrà più tardi ampio svolgimento nel De conformitate di fra' Bartolomeo da Pisa. È inoltre stato messo in evidenza che gli alberi spirituali di certi componimenti, diretti, come sembra, all'istruzione e all'edificazione "novitiorum studentium" (69 = 85; 88 = 53; 89 = 54) corrispondono alle teorizzazioni dell'esperienza mistica e alle schematizzazioni dei gradi di essa che troviamo in opere di s. Bonaventura.

I personaggi storici delle laudi sono dei francescani: fra' Ianni da la Verna (63 = 51) e fra' Ranaldo da Todi (17 = 88). L'epistola, parte in versi volgari e parte in prosa latina, diretta al primo, ha come termine post quem il 1292, perché solo in quell'anno fra' Giovanni da Fermo si trasferì, appunto, alla Verna. È, come Iacopone, uno scriteore ascetico, e a lui una tradizione, non sappiamo quanto fondata, dice che toccasse assistere Iacopone morente: il quale dalle sue mani avrebbe ricevuto i sacramenti, prima rifiutati. Il secondo personaggio compare come teste, insieme con un "Iacobus de Tuderto lector" che non è Iacopone, nell'atto di donazione col quale Matteo d'acquasparta, "sacrae theologiae professor", lasciava i suoi libri al convento di Assisi e a quello di s. Fortunato di Todi. Da tale documento, che è del 1287, si deduce che fra' Ranaldo era lector, e infatti Iacopone lo dice- "conventato" a Parigi "a molto onore e grande spese" (17, 27-28 = 88, 27-28); e da un'altra pergamena risulta che nello stesso anno fu nominato rettore dell'ospedale todino della Carità. Il componimento iacoponico ha come occasione la morte del frate, e di questa non conosciamo la data; sappiamo, però, che dovette avvenire prima del 1296, perché in tale anno era rettore dell'ospedale della Carità il francescano "frater Iacobus de Aquasparta".

La laudi ascetiche vanno interpretate nel quadro dell'appartenenza di lacopone all'Ordine francescano: più che espressioni di sentimenti personali, sono mezzi e strumenti di edificazione, quasi diremmo un complemento della predicazione e forse dell'insegnamento. Spesso riprendono motivi tradizionali, come il contrasto fra. l'anima, e il corpo, nelle tentazioni di questa vita o al momento della resurrezione (3 = 7; 15 = 32), fra il vivo e il morto (16 = 41; 19 = 46; 25 = 63), fra Cristo e il peccatore (10 = 37; 26 = 74), fra angeli e demoni per il possesso di un'anima (21 = 65); come la satira antifemminista (8 = 49), o la considerazione della miseria umana (22 = 59; 23 = 77; 24 = 60). Sono esortazioni a guardarsi dai sensi e dalle lusinghe del mondo (5 = 19; 6 = 20; 7-38), considerazioni sul peccato (12 = 27), sui vizi e sulle virtù (13 = 61; 14 = 31; 36 = 62; 37 73; 38 = 47), esaltazioni della penitenza (4 11) o inviti ad essa (9 = 25), atti di contrizione (11 = 12; 20 = 64), preghiere (27 = 34).

I componimenti teologici non escono dall'ambito di tale didattismo: l'Incarnazione (40 = 28), la Redenzione (41 = 79; 42 = 15), una parafrasi del Pater noster (44 = 23). 1 più complessi sono quello sulla Vergine (2 = 33), dove Iacopone dà in iscorcio lo stato della questione mariana nel suo tempo, e quello sul peccato originale e il riscatto operato da Cristo (43 = 3), in cui svolge il contrasto fra Misericordia e Giustizia, che dal famoso primo sermone di s. Bernardo sull'Annunciazione della Vergine tanti scrittori ascetici avevano ripreso e sviluppato.

Alcune laudi sono dirette a confutare le dottrine della setta eretica del Libero Spirito o dello Spirito di libertà, che dalla Germania, probabilmente attraverso la Francia, si era dìffusa nell'Italia centrale. Essa insegnava che solo la contemplazione passiva e oscura può dare il sentimento di quella realtà misteriosa e ineffabile che è Dio, e che, quando lo spirito ha rinunciato a se stesso, annientandosi, Dio lo penetra e lo invade, e l'uomo, indiato e divenuto perfetto, non può più peccare, perché Dio agisce in lui e per lui. li primo di tali componimenti, O anema fedele -che te vòli salvare (32 = 42), mette in guardia i fedeli contro i propagatori della falsa dottrina, che agiscono come lupi in veste di pecore; il secondo, Amore contrafatto, - spogliato de vertute (33 = 50), proclama che l'amore senza legge, superiore alla virtù, esaltato dai seguaci della setta, è amore, appunto, contraffatto, che non può salire "là 'v'è lo vero amare" ; il terzo, O libertà, soietta - ad onne creatura (34 = 68), contrappone la carità, l'umiltà, la perseveranza, il rispetto di una legge interiore, alla libertà, presuntuosa e peccaminosa, che asseriscono di aver raggiunta gli eretici; e a confutare la loro falsa interpretazione del passo di s. Paolo: "Quod si Spiritu ducimini, non estis sub lege" (Gal., 5, 18), si richiama ad un altro passo dell'apostolo: "Quicumque... sine lege peccaverunt, sine lege peribunt" (Rom., 2, 12).

Entro l'Ordine Iacopone svolge una polemica contro l'ambizione e la vanagloria, che, nate col desiderio di scienza, hanno distrutto il tesoro più prezioso della famiglia francescana, l'umiltà: a fra' Ranaldo, nel componimento già citato, egli chiede se gli onori ricevuti non gli abbiano fatto uscir di mente il dovere di considerarsi "lo menore Fratecello desprezato" (33-34). E in un altro componimento, Tale qual è, tal è (31 = 91) riecheggia la deprecazione di frate Egidio: "Parisius, Parisius, ipse destruis ordinem sancti Francisci" (p. 91): "Mal vedemmo Parisci, C'hane destrutto Ascisi" (31,2 = 91,3-4).

Più violentemente altrove accusa l'ipocrisia di quei frati che mirano ad apparire di santa vita solo per ottenere fama (29 = 75), e manifesta riprovazione per i superiori dell'Ordine che, desiderosi di onori terreni e gonfi di superbia, si arrogano l'ufficio di guida, mentre sono essi stessi macchiati di peccato; egli predice loro che, trascurata la povertà, anche gli altri voti verranno violati e l'Ordine andrà in rovina (30 = 17).

È ovvio che nei contrasti che dividono l'Ordine francescano sulla questione della povertà Iacopone si schiera coi rigoristi.

Nel 1274, mentre a Lione era riunito il Concilio, in Italia si era sparsa la voce, dice Angelo Clareno nella sua Chronica, "quod summus pontifex decreverat... fratribus minoribus et predicatoribus ac ceteris mendicantibus proprium dare". Ciò aveva suscitato tra i francescani delle Marche una violenta agitazione, che si era conclusa, due anni più tardi, con l'imprigionamento in diversi conventi dei più irriducibili fra gli zelatori. Nel 1289 il nuovo generale dell'Ordine, succeduto a Matteo d'acquasparta, il provenzale Raimondo Gaufridi, giungendo ad Ancona durante la visita che aveva intrapresa per le varie provincie, seppe dei frati imprigionati e li liberò, ma solo per mandarli in missione in Armenia. Fatti segno anche là a persecu~ioni da parte dei confratelli, essi tornarono in Italia poco prima che venisse assunto al pontificato Piero da Morrone, col nome di Celestino V (5 luglio 1294).

Iacopone, mentre aveva espresso sfiducia nell'eremita abruzzese al momento della sua elezione (54 = 52), diede il proprio assenso alla deputazione che gli spirituali inviarono al papa per chiedere una certa autonomia nell'Ordine: "Placuit generali ministro", dice Angelo Clareno nella Chronica, "et omnibus prin: cipalioribus fratribus in quibus Christus et eius spiritus inhabítare firnùter credebatur, et praesertim frat[r]ì Corrado de Offida, Petro de Monticulo, Iacobo [de] Tuderto, Thome de Trivio, Corrado de Spoleto et reliquis, qui ad puram regule observanciarn aspirabant, quod ad summum pontificem Frater Petrus de Macerata et socius eìus [Petrus a Fossombrone] accederent": Iacopone era dunque considerato in quel momento tra i più autorevoli membri del movimento pauperistico.

Da quell'incontro nacque, come si sa, la congregazione dei "pauperes heremite domini Celestini", i quali in un primo tempo vennero ospitati presso l'Ordine dei celestini fondato da Pietro da Morrone, probabilmente non lontano dall'Aquila. L'appoggio del pontificato venne loro meno non appena Celestino V ebbe fatto "per viltade il gran rifiuto": il giorno stesso della sua elezione (24 dic. 1294), il cardinale Benedetto Caetani, assunto il nome di Bonifacio VIII, annunziò la revoca di tutte le grazie ottenute durante il pontificato del suo predecessore, revoca la cui estensione fu precisata con una bolla datata dal Laterano, 8 apr. 1295. Nel novembre, per intervento dei pontefice, a Raimondo Gaufridi successe nel generalato dell'Ordine francescano Giovanni da Murro, profondamente ostile agli spirituali. Il 1° ag. 1296 la bolla Sepe sanctam ecclesiam condannò formalmente certi pretesi "illuminati", fra cui si trovavano gli apostoli di alcuni Ordini, e la bolla Firma cautela dei 21 settembre contro i bizzochi colpi ancora duramente gli spirituali.

"Domino Celestino renunciante papatui", gli spirituali, a capo dei quali stava fra' Liberato (Pietro da Macerata), si trasferirono in un'isola dell'Acaia, forse Trixonia.

Iacopone non è tra loro: rimane a combattere in Italia la sua battaglia in favore della stretta osservanza della regola. È verosimile che appartenga a questo periodo il gruppo di componimenti in cui accusa la Chiesa di corruzione: è giunto, secondo lui (50 = 6), il momento delle grandi tribolazioni profetate nel Vangelo di Matteo (24,29). Egli immagina il pianto della Verità sulla morte della Bontà, causata dalla Chiesa romana, ormai preda dell'Anticristo (51 = 8), il lamento di Cristo sulla corruzione della Chiesa (52 = 30), e quello della Chiesa stessa sulla corruzione del "falso clericato" (53 = 39). Accennano all'opinione diffusa in ambiente spirituale, che in Bonificio VIII si impersonasse l'Anticristo, i versi più violenti: "La curia romana, - cha fatto esto fallore, / Curriamoce a furore, - tutta sia dissipata. / Fanse chiamar ecclesia - le membra d'anticristo! / Aguardace, Signore, - non comportar più questo: / Purgala, questa ecclesia, - e quel che c'è mal visso, / Sia en tal loco misso, - che purghe suoi peccata i" (51,57-62 = 8,57-62).

Un'ipotesi recente, in verità non appoggiata da indizi probanti, è che Iacopone avesse fondato presso Palestrina, insieme con altri spirituali, un romitorio simile a quello dei "pauperes heremite" degli Abruzzi. Certo è che egli venne a trovarsi coinvolto nel conflitto tra i Colonna e il papa Caetani: il cardinale Iacopo Colonna e suo nipote, il cardinale Pietro Colonna, si atteggiavano a protettori degli spirituali, contro i quali Bonifacio si era mostrato intransigente.

Il componimento O papa Bonifazio, - molt'hai iocato al mondo (58 = 84), che accusa il pontefice di avidità, nepotismo, ambizione, empietà, superstizione e perfino eresia, ricordandogli la punizione divina, allude chiaramente all'intervento di Bonifacio nelle discordie fra il cardinale Iacopo Colonna e i suoi fratelli Matteo, Oddone e Landolfo, che il primo, incaricato di amministrare i beni indivisi (1292), aveva esclusi dall'ereffità paterna a favore dei figli dell'altro fratello Giovanni, uno dei quali era il cardinale Pietro; e accenna ai castelli della famiglia Colonna, che Bonifacio avrebbe voluto far occupare dalle truppe pontificali: "Quando ne la contrata - t'aiace alcun castello, / 'n estante metti screzio - entra frate e fratello" (58,27-28 = 84,27-28).

Il 10 maggio 1297, mentre in concistoro Bonifacio deponeva i due cardinali Colonna, questi a Lunghezza proclamavano decaduto il pontefice e si appellavano ad un Concilio, con un manifesto che fu firmato da Iacopone e da altri due francescani.

Il 23 maggio Bonifacio VIII, con la bolla Lapis abscissus, scomunicò i Colonna e mise mano alle armi. I due cardinali e i loro seguaci si ritirarono a Palestrina, centro della signoria dei Colonna, e vi furono assediati dal pontefice. Questi il 27 novembre rinnovò la scomunica e il 14 dicembre bandì la crociata: per predicarla, Matteo d'Acquasparta, già generale dell'Ordine dei minori, fu nominato legato in Lombardia, Toscana e Romagna, Marca Trevigiana, patriarcati di Aquileia e di Grado, e in tutte le altre province, eccetto Genova. Dopo un anno e mezzo (55,2 = 55,3-4), il 15 ott. 1298, occupata Palestrina dalle truppe pontificalì, mediante un inganno del quale si formò la leggenda che fosse stato consigliere Guido da Montefeltro (cfr. Dante, Inf., 27,85-111), Iacopone venne processato "en corte 'i Roma" (55,4 = 55,7-8), cioè nel territorio giurisdizionale della Chiesa, e imprigionato nel sotterraneo di un convento: l'identificazione del fra' Gentile di 57, 46 (= 69, 46) (v. oltre) porterebbe a credere che la località fosse Todi, e quindi il convento quello di S. Fortunato.

Iacopone descrisse la vita che vi conduceva (55 = 55), dichiarandosi contento di soffrire per amor di Dio e contrapponendo il proprio desiderio di sofferenza all'ambizione e alla brama di prelature e di ricchi benefici degli altri frati.

Si rivolse poi al pontefice per chiedere l'assoluzione dalla scomunica e il prolungamento delle altre pene, che avrebbe volentieri sopportate per amore di Cristo (56 = 57). Ma fu escluso dall'indulgenza giubilare del 1300 con bolla speciale contro i Colonna e i loro partigiani (57,19-20 = 69,19-20), e allora, in tono più umile, insistette per essere riammesso nell'ovile (57 = 69): poteva, il pontefice, astenersi da un gesto diretto e solenne e delegare qualcuno a liberarlo dalla scomunica. Colui che aveva l'"empiasto" salutare, ma in quel momento era lontano (57,43-44 = 69,43-44), era forse il cardinale Matteo d'Acquasparta, amico di Bonifacio, penitenziere della Chiesa e protettore di Todi; Iacopone si proponeva di scrivergli nel suo "dittare", perché "lo 'mpiasto" fosse "compiuto - per lengua de fra Gentile", cioè perché intervenisse a far pronunciare l'assoluzione dal vescovo il priore domenicano di S. Leucio, Gentile Bentivegna d'acquasparta, che era incaricato per l'appunto di far eseguire le senfenze di scomunica o d'interdetto riguardanti le singole persone o l'intera città di Todi (57,45-46 = 69,45-46). Tuttavia solo dal successore di Bonifacio (morto l'11 ott. 1303) Iacopone ottenne la liberazione e l'assoluzione. Risulta certo che trascorse gli ultimi anni nel convento delle clarisse di S. Lorenzo di Collazzone, fra Perugia e Todi, dove si manteneva una tradizione di rigorosa fedeltà alla regola. Là morì, probabilmente il Natale del 1306.

Il corpo fu seppellito nello stesso monastero di S. Lorenzo; ma poiché questo, dopo alcuni anni, cominciò a dar segni di rovina imminente, la maggior parte delle clarisse che lo abitavano si trasferì nel monastero di Montecristo di Todi, e vi trasportò le ossa del frate.

Perdutasi la memoria della loro esistenza, esse furono ritrovate nel 1433 e trasferite nell'ospedale della Carità e subito dopo in S. Fortunato, ove giacquero esposte, finché il vescovo Angelo Cesi (1596) vi fece costruire l'attuale tomba.

I componimenti volgari trasmessici dalla migliore tradizione manoscritta col nome di Iacopone sono una novantina. Ad essi vanno aggiunti un bellissimo trattato sull'unione mistica, in prosa latina ricca di cursus, e alcuni Detti, pure latini, che offrono singolari riscontri con le laudi. La critica tende a togliere a Iacopone questi componimenti, ma senza serie ragioni, mentre qualche dubbio si può sollevare sull'attribuzione iacoponica dello Stabat Mater.

Sono state già rilevate più sopra alcune delle ascendenze culturali di Iacopone. Vi andrà aggiunta quella probabile di una tradizione cassinese-marchigiana per i pianti della Vergine, tradizione che poté delinearsi grazie ai rapporti degli spirituali marchigiani e umbri coi monaci abruzzesi di Piero da Morrone, osservanti la regola di s. Benedetto. Più genericamente occorre inserire lo scrittore in un "clima di bilinguismo e concorrenza culturale" (Contini) fra latino e volgare. Per esempio, egli applica alla poesia religiosa volgare lo schema aaax, proprio (a parte il ritornello) di inni e sequenze latine, quale Missus Gabriel de coelis (sec. XII, Analecta hymnica, LIV [1915], n. 192, pp. 298-300, che erano ben diffusi fra i minori, come dimostrano sillogi francescane di orazioni e canti liturgici. Non quindi da modelli arabi, attraverso canti volgari profani, ma da canti religiosi latini vivi nella tradizione dell'Ordine, deriva una delle formule metriche frequenti nel laudario iacoponico. I versi che si ordinano in tale schema possono essere ottonari corrispondenti al verso latino ora citato (59 = 35) od anche settenari (72 = 5).

Origine mediolatina sembra ormai accertato che abbia anche quell'altra particolarità della tecnica, non solo di Iacopone, ma di una vasta sezione della poesia delle origini, che è stata battezzata dal Contini col nome di anisosillabismo: l'ottonario (di andamento grosso modo trocaico), con la premessa di una sillaba atona, si dilata a novenario (di andamento in generale giambico), il settenario osi offre con allargamento ottonario" (93 = 71), mentre il primo emistichio dell'alessandrino si riduce talora a senario. Le rime sdrucciole come omnia, virginia, solia (2,38-39 = 33,75-77), dove la corrispondenza si limita alle vocali atone dopo l'accento, sono in parte derivate dalla poesia ritmica latina; e le rime imperfette di i con e chiuso e di u con o chiuso, non che attestare una tecnica "giullaresca" o richiedere un perfezionamento in senso "siciliano", rimandano anch'esse a modelli latino-medievali (e hanno accanto il tipo i : e aperto; u : o aperto). A parte lo schema già citato, la sperimentalità di Iacopone nella scelta degli altri metri va ricondotta alla sua posizione d'iniziatore: alessandrini (8 = 49; 32 = 42; 33 = 50; 36 = 62), non sempre col primo emistichio sdrucciolo; settenari a rima baciata come quelli del Tesoretto e del Favolello (22 = 59; 56 = 57); doppi quinari (25 = 63); decasillabi legati in ottava abababab (43 = 3) o in decima rima (88 = 53), ecc.

Il canzoniere sacro di Iacopone non ha nulla di comune coi laudari delle confraternite, serie di componimenti che corrispondono a festività liturgiche e hanno scopo edificante e devoto. Quella di Iacopone è poesia personale, non però nel senso di effusione lirica: il fine permane latamente didascalico anche nei componimenti che tendono a chiarire e razionalizzare, a posteriori, per lo scrittore e per i suoi lettori, un'esperienza che è di sua natura irrazionale e pratica, intuizione nel significato etimologico di visione immediata. Sarebbe d'altronde vano cercare nel laudario uno svolgimento psicologico dall'ascesi alla contemplazione, come tuttavia è stato fatto sul fondamento dell'ordine della "vulgata", che è dichiaratamente dovuto al primo editore. All'interpretazione in chiave realistica tentata nelle antiche biografie, ma anche alla delineazione di un iter spirituale conforme alla disposizione della editio princeps andrà opposta una coerenza e armonia più profonda fra i vari "motivi" delle laudi. Nel laudario il momento mistico e il momento ascetico sono contigui e complementari; anzi, contemplazione del trascendente e condanna della carne, ardore ineffabile e negazione del mondo si posson dire due aspetti della medesima esperienza di uno spirito solitario e aristocratico.

Tale esperienza si svolge a un'altezza perigliosa, in un'atmosfera rarefatta, dove l'anima trepida e anela dinanzi all'immensità e inconoscibilità del suo Dio. Appagamento dell'amore indicibile è l'annegare e il disperdersi in quell'immensità e in quella inconoscibilità: cioè l'annullamento della volontà e dell'intelletto, la "quiete", il silenzio e la tenebra.

La corrente di spiritualità, che muove da s. Paolo e da s. Agostino e attraverso Scoto Eriugena giunge sino a s. Bernardo, ai Vittorini e a s. Bonaventura, ha indubbiamente fornito spunti ed espressioni; d'altronde è proprio della fenomenologia mistica un ritorno periodico, una certa uniformità e quasi fissità di immagini e di linguaggio. Il "fervore un poco sottile e affannoso" del mistico (Parodi) percorre questa parte del canzoniere. Dalla quale il prossimo, la comunità dei fedeli, la Chiesa stessa con la sua funzione d'intermediaria sono esclusi; come ne è esclusa in generale la natura amata da S. Francesco. La faccia negativa del misticismo di Iacopone è il suo ascetismo. "Questo lato di Iacopone... soprattutto si determina nel rifiuto della tentazione specifica del religioso, la superbia dei sapere universitario, la bramata fama di santità" (Contini).

Un'aspra polemica atteggia i riferimenti alla vita comunale e sociale, all'ordine religioso e alla Chiesa; il corpo e la carne sono guardati "con senso di paura e di inimicizia" (Getto), come ostacolo alla perfezione e origine del male e del peccato. Si capisce che i temi tradizionali della letteratura ascetica mediolatina, dei molti poetici o prosastici De contemptu mundi, delle invettive misogine, dei "contrasti" fra anima e corpo o fra vivo e morto, trovino accoglienza e svolgimento nel canzoniere iacoponico, e vengano ravvivati dall'energia di un temperamento a cui sono congeniali. Come fu osservato dal Contini, il pessimismo iacoponico nei confronti del mondo e della carne esclude un vero e proprio realismo, "se nel realismo è implicito un qualche amore del reale". Piuttosto potremmo parlare di "impressionismo", valendoci di questa formula, essa pure continiana, non solo per spiegare la personale e difficile sintassi di Iacopone, ma per definire, più genericamente, il suo modo di riferirsi alla realtà, per scorci rapidi e risentiti, per accenní e allusioni essenziali.

L'escursione formale fra laudi mistiche e laudi ascetiche corrisponde, grosso modo, all'oscillazione constatabile fra la poesia aulica e quella giocosa e realisticoespressiva: con la differenza che in Iacopone l'impegno stilistico non è mai prevalente, e anzi per il mistico, anche in quanto tenti di uscire dal suo silenzio, è secondario quello che per il poeta èessenziale: per l'appunto la forma.

D'altronde la "frugalità" formale di molti componimenti e forse la reazione "al più ambizioso tecnicismo della laudaballata guittoniana" mediante l'adozione di schemi metrici semplicissimi appaiono in Iacopone conformi "al suo rifiuto d'ogni superbia, alla sua polemica ostentazione d'atteggiamenti dimessi" (Roncaglia).

Almeno come tendenza, nella poesia d'ispirazione mistica troviamo un lessico astratto, latineggiante, talvolta venato di francesismi derivati dalla poesia cortese; nelle parti d'ispirazione ascetica il lessico diventa concreto, con carattere più intensamente vernacolare. La prevalenza della coordinazione asindetica sulla subordinazione, la mise en relief di un singolo elemento e il connesso cambiamento di costruzione o alterazione dell'ordine normale delle parole sono in varia misura il riflesso linguistico di un temperamento singolare. Se volessimo cercare gl'indizi stilistici di un atteggiamento psicologico, potremmo dire che l'ansia fervida e inquieta del mistico e l'intolleranza sdegnosa dell'asceta, come pure l'ineffabilità e la fatale discontinuità dell'esperienza trascendente impediscono alla sintassi di adagiarsi entro schemi preordinati, sia pure, per mancanza di tradizione, elementari; che la fissità dei due poli fra cui oscilla senza vero svolgimento l'esperienza dello scrittore dà ragione del carattere nominale assai più che verbale della sua sintassi; e potremmo vedere la tensione spirituale tradursi nelle frequenti esclamazioni e apostrofi: che non sarebbero quindi indice di letterarietà consapevolmente retorica, ma piuttosto un fatto preretorico .

Alla stessa origine sarebbe da ricondursi in parte "la propensione a quella forma iniziale di dramma ch'è il dialogo e il discorso diretto" (Parodi); mentre altrove questi soddisferebbero ad un'esigenza puramente didascalica entro uno schema rigido, enumerazione o elenco (Contini) (5 = 19; 48 = 58). Ma tali caratteri, piuttosto che indizi formali di una psicologia, sono elementi che determinano una fisionomia e definiscono una personalità di scrittore.

Non "grandissimo poeta", come è stato affermato, Iacopone è tuttavia una voce solitaria, una figura singolare nella letteratura italiana.

La vastissima tradizione manoscritta risale nel suo complesso a un'unica raccolta umbra, verosimilmente messa insieme poco dopo la morte di Iacopone, con quanti si poterono rintracciare dei componimenti diffusi via via dall'autore, isolati o in piccoli gruppi: in tutto una novantina. I manoscritti che rappresentano più fedelmente tale archetipo (che cominciava con la laude La Bontade se lamenta, 74 della raccolta vulgata) sono il 598 del Museo Condé di Chantilly con l'Angelicano 2306 e il mutilo Giaccheriniano; l'Additional 16567 del British Museum, il Vaticano Urbinate 784, l'Oliveriano 4 di Pesaro, il Todino 194, l'Ital. 1037 della Bibliothèque Nationale di Parigi. A codici dello stesso gruppo, ma anche ad altre fonti meno pure, attinse l'editio princeps impressa a Firenze, per ser Francesco Bonaccorsi, con la data del 28 sett. 1490: il cui editore diede alle laudi un ordinamento arbitrario, poi divenuto tradizionale (ad esso si riferisce il primo dei due numeri con cui abbiamo citato i componimenti nel corso dell'articolo, mentre il secondo rappresenta la posizione che ciascuno occupa nell'archetipo umbro e che conserverà nell'edizione critica definitiva). Dall'edizione del 1490 dipesero quelle di Roma, a cura di G. B. Modio (Salviano, 1558), e di Napoli (Scoriggio, 1615). La princeps fu riprodotta da G. Ferri, prima nella serie della Società Filologica Romana, con un utile prospetto grammaticale (Roma, 1910), poi nella collezione degli "Scrittori d'Italia", Bari, Laterza, 1915 (con revisione e aggiornamento bibliografico di S. Caramella, 1930).

Un secondo gruppo, tutto dipendente da un subarchetipo con molteplici interpolazioni e aggiunte apocrife, formano i codici veneti in generale, che cominciano con la laude O amor de povertate (60 della princeps); e ad essi va aggregata l'edizione di Brescia (Bernardino de Misintis, 1495), con le sue derivate di Venezia (Bernardino Benalio, 154, e al Segno della Speranza, 1556).

Un terzo gruppo è costituito dai manoscritti toscani, che cominciano con Amor de caritate (90 della princeps) e presentano interpolazioni, addizioni e rimaneggiamenti.

L'edizione antica, in cui l'aggregazione di materiale apocrifo diventa più mostruosa, è quella del p. Fr. Tresatti (Venezia, Misirini, 1617). Un infelice tentativo di edizione critica parziale, con apparato critico confuso e per lo più seriore, fu quello di B. Brugnoli, Le satire di Iacopone da Todi, (Firenze, Olschki, 1914). L'edizione: Laude di Iacopone da Todi tratte da due manoscritti umbri, con introduzione note e glossario a cura di F. A. Ugolini (Torino, Istituto Editoriale Gheroni, 1947), riproduce 42 laudi, parte dal ms. Angelicano 2216, parte dal ms. di Chantilly. Fondata sui codici umbri e commentata è l'edizione a cura di F. Ageno (Firenze, Le Monnier, 1953). Qui sono compresi anche il Trattato sull'unione mistica e i Detti. Un ulteriore stadio della lezione, limitato a venticinque laudi, rappresenta la sezione iacoponica, essa pure dovuta alla Ageno, dei Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, II, pp. 61166 (e cfr. pp. 864-867). V. inoltre: F. Ageno, Per il testo di Donna de paradiso, in Rassegna d. letterat. ital., LVII (1953), pp. 62-93; G. Contini, Per l'edizione critica di Iacopone, ibid., pp. 310-3-18; F. Ageno, Questioni di autenticità nel laudario iacoponico, in Convivium, n. S., VII (1952), pp. 555-567; Ed., Motivi francescani nelle laudi di Iacopone da Todi, in Lettere italiane, XII (1960), pp. 180-184. Proposte di aggiunte al laudario canonico sono venute da R. Bettarini, Laudi sconosciute di Jacopone da Todi dal Laudario della Fraternita di Santa Croce d'Urbino, in Paragone, XV (1964), 164., pp. 39-55, e da F. Mancini, Saggio per un'aggiunta di due laude estravaganti alla Vulgata iacoponica, in La Rass. della letter. ital., s. 7, LXIX (1965), pp. 238-353.

Fonti e Bibl.: Una biografia di Iacopone da Todi è contenuta nella Franceschina, compilazione della metà del Quattrocento (v. N. Cavanna, Del beato frate Iacopone da Todi, Vita e laude contenute nella Franceschina del P. Giacomo Oddi. Assisi 1926, e La Franceschina. Testo volgare umbro del sec. XV scritto dal P. G. Oddi di Perugia, edito dal p. N. Cavanna, Firenze 1931, II, pp. 85-155), che utilizza, fra l'altro, il De conformitate vitae Beati Francisci ad vitam Domini Iesu di fra' Bartolomeo da Pisa (1385, edizione negli Analecta franciscana, IV, Quaracchi 1906; V, ibid. 1912; per Iacopone, IV, pp. 235 e 510). Un'altra Vita del beato Iacopone da Todi fu pubblicata da A. Tobler in Zeitschr. f. rom. Philol., II (1878), pp. 26-39; III (1879), pp. 178-192, sul perduto ma. Spithöver (v. pure la Vita inedita di fra' Iacopone, scritta da fra' Mariano da Firenze e pubblicata dal p. L. Oliger in Luce e Amore, IV, Firenze 1907, pp. 419-426, sul ma. Sessoriano 412 della Nazionale di Roma).

La biografia della Franceschina e quella dei ma. Spithöver sembrano derivare da un rimaneggiamento di una leggenda elaborata nel monastero di Montecristo forse su elementi molto antichi. addirittura ricordi delle minache di Collazzone, tradizioni locali, riferimenti delle laudi. Questa Vita primitiva ci è nota attraverso il compendio che ne fece il poligrafo todino G. B. Guazzaroni (m. 1624) nel volume IV delle sue Collectaneae rerum tudertinarum, conservato presso l'Archivio Comunale di Todi (cc. 218-223). Esso fu pubblicato dal p. N. Dal Gal in La Verna, IV (1906), pp. 385-392. Su tutto ciò v. F. Mancini. Testimonianze e documenti per un codice iacoponico del Trecento, in Lettere italiane, XV (1963). pp. 141-164. Una Vita scritta da Pirro Stefanucci (sec. XVI), e compresa in una miscellanea ms. dell'Archivio della cattedrale di Todi, segnala G. Pensi, Documenti e ricordi iacoponici a Todi, Todi 1930, pp. 19 s. Fra le carte Molteni, all'Ambrosiana di Milano, è una copia dei passi riguardanti Iacopone nelle Croniche overo fatti memorabili della Città di Todi di Luc'Alberto Petti (1563-1640), che si trovano manoscritti nell'Archivio comunale tudertino: non contengono nulla di nuovo. E i soliti scarni dati fornisce L. Wadding, Annales Minorum, V, Romae 1733, pp. 324, 407-414; VI, ibid. 1733, pp. 77-84. Il nome del padre di Iacopone e notizie sulla famiglia, in L. Iacobilli, Vite de' Santi e Beati dell'Umbria, III, Foligno 1661, p. 215-219, che cita come sue fonti la Vita di Pirro Stefanucci e "Ioseph Ballardinus in Prato Floreto, Lib. 2 c. 68".

Fra i moderni, G. Ceci, Alla ricerca di fra' Iacopone, Todi 1932; A. Frugoni, Iacopone francescano, nel volume miscellaneo Iacopone e il suo tempo, Convegno dei Centro di studi sulla spiritualità medievale, I (13-15 ottobre 1957), Todi 1959, pp. 75-102 (e nella rivista Il Veltro, I [1957], pp. 39-44). I riscontri con S. Francesco sono fatti sull'edizione degli Opuscula a cura dei PP. Francescani di Quaracchi, in Bibliotheca Franciscana ascetica Medii Aevi, I, ad Claras Aquas 1949. Per la Vita dei santo scritta da s. Bonaventura, cfr. Legendae duae De vita S. Francisci, editae a PP. Collegii S. Bonaventurae, ad Claras Aquas 1923. Inoltre: Dicta Beati Aegidii Assisiensis..., Quaracchi 1939. Su fra' Ranaldo: F. Mancini, Due postille iacoponiche, in Convivium, n. s., VII (1952), pp. 456-460.

Per la questione della povertà: Fr. Ehrle, Die Spiritualen, ihr Verhältniss zum Franciscanerorden und zu den Fraticellen, in Archiv für Litteratur- und Kirchengeschichte, III (1887), pp. 553-623; P. K. Balthasar, Geschichte des Armutsstreites im Franziskanerorden bis zuni Konzil von Vienne, Münster i. W., 1911, pp. 174-208; P. Gratien, Histoire de la fondation et de l'évolution de l'Ordre des Frères Mineurs au XIIIe siècle, Paris-Gembloux 1928, pp. 320 ss. Della Chronica septeni tribulationum di Angelo Clareno (1323), l'Introduttorio e le due prime tribolazioni furono pubblicate da F. Tocco in Rendic. dell'Acc. Naz. dei Lincei, s. s, vol. XVII (1908), pp. 3-32; le rimanenti cinque da F. Elirle in Archiv für Litteratur-und Kirchengeschichte, II (1886), pp. 125-155, 256-327; il primo passo citato è qui, pp. 301 s.; il secondo, e il nome di Iacopone, p. 308. Sui "Pauperes heremite domini Celestini": A. Frugoni, Celestiniana, Roma 1954.

Per l'atteggiamento di papa Bonifacio VIII e il complesso degli avvenimenti di quegli anni, si veda: G. Digard, Philippe le Bel et le Saint-Siège de 1285 à 1304, Paris 1936, I, pp. 193-197, 234-245, 310-335, 381 a. La bolla dell'8 apr. 1295 (Olim Celestinus Papa auintus) in Les registres de Boniface VIII, a cura di G. Digard, M. Faucon.- Paris 1884-1931, n. 770. La bolla Sepe Sanctam Ecclesiani, in G. G. Sbaralea, Bullarium Franciscanum, t. IV, Roma 1768, n. 89, p. 435; A. Potthast, Regesta Pontificum Romanorum, Berlin 1875, n. 24378. La bolla Firma cautela fu pubbl. dall'Ehrle, con una lettera agli inquisitori, in Archiv für Litteratur- und Kirchengeschichte, II (1886), pp. 156-158.

L'ipotesi che Iacopone avesse fondato un romitorio presso Palestrina. in L. Salvatorelli, L'Italia comunale dal secolo XI alla metà del secolo XIV, Milano 1940, p. 707. Sulle relazioni coi Colonna: L. Mohler, Die Kardindie Jakob und Peter Colonna. Ein Beitrag zur Geschichte des Zeitalters Bonifaz' VIII, Paderborri 1914, spec. pp. 161 e.

La condanna dei Colonna, datata dal Laterano, 10 maggio 1297 (In excelso trono), in Les registres, cit., n. 2388.

Il manifesto di Lunghezza e i due documenti posteriori di Palestrina, 11 maggio e 15 giugno, furono pubblicati da H. Denifle nell'Archiv für Litteratur- und Kirchengesch., V (1889), pp. 509-524; il nome di Iacopone è a p. 514.

La bolla Lapis abscissus, in Les Registres, cit., n. 2389; quella del 27 novembre (Locum Dei licet), n. 2386; il bando della crociata (Provocatur Apostolice Sedis) e l'investitura a Matteo d'Acquasparta (Considerantes attentius), nn. 2375 e 2376.

Contro i Colonna e i loro sostenitori, n. 3410 (Anagni, 9 ott. 1299, Quoniam longa retro) e 3420 (Roma. Basilica di S. Pietro, 20 nov. 1299, In communem notitiam). L'indulgenza giubilare fu concessa il 22 febbr. 1300 (Les registres, cit., n. 3875); l'esclusione dei Colonna e dei loro sostenitori sarebbe stata promulgata "apostolico diplomate" il 1° marzo 1300, O. Raynaldi, Annales ecclesiastici, IV, Lucae 1749, ad annum 1300, § 10. Sui rapporti con Bonifacio: F. Brambilla Ageno, Sull'invettiva di Iacopone da Todi contro Bonifacio VIII, in Lettere ital., XVI (1964), pp. 373-414, specialmente pp. 373-394. Su fra' Gentile: F. Mancini, La prigionia di Iacopone e l'"empiasto" di fra' Gentile, in Rass. d. letterat. ital., LXIV (1960), pp. 47-49. Sulla morte di Iacopone: L. OIiger, Dove è morto il Beato Iacopone?, in La voce di S. Antonio (Roma), n. s., XI (1907), pp. 343-349, e in Oriente serafico, XIX (1907), pp. 30-36; Pensi, p. 10; Ceci, pp. 10-13.

Sulla cultura di Iacopone sono da citare: A. Gottardi, L'albero spirituale in Iacopone da Todi, in Rass. critica d. letterat. ital., XX (1915), pp. 1-28, 84-116; M. Vinai, Iacopone e S. Bonaventura, in Cultura neolatina, I (1941), pp. 133-142. Modestissimo A. Amato, La teologia di fra' Iacopone da Todi, in Bollett. d. Deputaz. d. storia patria per l'Umbria, XIX (1915), pp. 37-86.

Sulla versificazione e la metrica: G. Contini. Esperienze di un antologista dei Duecento poetico italiano, nel volume miscellaneo Studi e problemi di critica testuale, Bologna 1961, pp. 241-272; A. Roncaglia, Nella Preistoria della lauda: ballata e strofa zagialesca, nel volume miscellaneo Il movimento dei Disciplinati nel settimo centenario dal suo inizio (Perugia, 1260), Perugia 1962, pp. 460-475, dove si confuta la tesi araba di R. Menéndez Pidal, Poesía drabe y poesta europea. Buenos Aires-México 1943, pp. 11-66, soprattutto 41-43 (traduzione di E. Ruggiero, Bari 1949, pp. 1-59, particolarmente 31-33).

Per l'ascendenza marchigiano-cassinese: P. Toschi, Dal dramma liturgico alla rappresentazione sacra, Firenze 1940, pp. 73-80, ed anche Le origini del teatro italiano, Torino 1955, pp. 677-678, 690; I. Baldelli, La lauda e i disciplinati, nel volume Il movimento dei Disciplinati, pp. 338-367, specialmente pp. 343-345, e nella Rass. d. letterat. ital., LXIV (1960), pp. 396-418, in particolare pp. 400-402.

Contro l'interpretazione "popolare" di A. D'Ancona, Iacopone da Todi il giullare di Dio del secolo XIII, in Nuova Antologia, 15 maggio 1880, pp. 193-228, e poi Todi 1914, già Fr. Novati, L'amore mistico in S. Francesco d'assisi ed in Iacopone da Todi, nel volume Freschi e Minii del Dugento, Milano 1908, pp. 219-251, riconobbe nel laudario la "storia di un'anima" e insisté sulla dottrina dei notaio Iacopo de' Benedetti.

Circa il carattere colto della poesia di lacopone, vale ancora E. G. Parodi,  Il "giullare di Dio", prima in Marzocco, XIX (1914), n. 26, poi in Poeti antichi e moderni. Studi critici, Firenze 1923, pp. 129-141, ora in Lingua e letteratura, a cura di G. Folena, Venezia 1957, pp. 142-152.

Sul misticismo, dopo l'esuberante libro di E. Underhill, Iacopone da Todi, Poet and Mystic, 1228-1306. A Spiritual Biographv, London & Toronto 1919, insisté L. Gentile, La filosofia, nella collezione Storia dei Generi Letterari Italiani, Milano s. d., pp. 94-104, servendosi però in parte di testi apocrifi, e si ebbe un ampio ed eccellente studio di M. Casella, Iacopone da Todi, in Archivum romanicum, IV (1920), pp. 281-339 e 429-485 (e v. pure E. D'Ascoli, Il misticismo nei canti di frate Iacopone da Todi, Recanati 1923). N. Sapegno, Iacopone da Todi, Torino 1926, tracciò una biografia spirituale dello scrittore e cercò di applicare rigorosamente alla sua opera il principio della distinzione tra poesia e non-poesia. L. Russo, Iacopone da Todi mistico-poeta, nel volume Problemi di metodo critico, Bari 1929, pp. 7-38, al Casella, che tratteggiava la figura di Iacopone come quella di un puro mistico, osservò che egli lasciava insoluto il problema del rapporto fra poesia e misticismo; e al Sapegno obbiettò la necessità di "storicizzare" la propria ricerca. Ben poco si trae da G. Bertoni, La lingua di Iacopone, in Lingua e pensiero, Firenze 1932, pp. 65-72. Garbatamente divulgativo è il volumetto di G. Trombadori, Iacopone da Todi, Venezia s.d. Ora anche A. N. Marani, Iacopone da Todi, La Plata 1964. Gli studi recenti più notevoli sono l'articolo di G. Getto, Il realismo di Iacopone da Todi, in Lettere italiane, VIII (1956), pp. 223-269; la comunicazione di A. Monteverdi, Iacopone poeta, nel citato volume Iacopone e il suo tempo, pp. 39-53; e l'introduzione illuminante del Contini all'edizione parziale nei citati Poeti del Duecento, II, pp. 61-66.

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