Sannazzaro, Iacopo

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Poeta (Napoli 1456 circa - ivi 1530); discendente da una nobile famiglia pavese ricordata da Dante, stabilitasi nel Regno di Napoli nel sec. 14º, ma quasi estinta alla nascita di Iacopo. Questi, rimasto orfano assai giovane del padre Cola, fu educato a Napoli dalla madre, la salernitana Masella Santomango. Secondo un racconto dell'Arcadia, si sarebbe innamorato a otto anni d'una bambina, che i biografi identificarono in Carmosina dei Bonifacio. Intorno al 1475 frequentava il magistero di Giuniano Maio; Pontano lo accolse nella sua sodalitas, imponendogli il nome di Actius Syncerus. Nel 1481 entrò a far parte della corte aragonese; quando al re Federico fu tolto il regno, S. lo aiutò e lo seguì (1501) nell'esilio in Francia, donde tornò a Napoli solo dopo la morte di lui (1504). Riprese la sua vita di studioso, non legando mai troppo coi nuovi padroni; dopo la morte di Pontano divenne il centro della sodalitas pontaniana, fatto segno all'universale ammirazione, confortato dall'affetto per Cassandra Marchese, una gentildonna che egli assistette e difese in una lunga e sfortunata lite. n Anteriori al volontario esilio le opere volgari, le quali, più che quelle latine, dettero a S. fama presso i contemporanei. Sono anzitutto da ricordare alcune farse e alcune filastrocche (gliòmmeri "gomitoli") composte per lo spasso dei gentiluomini e letterati della corte, i quali - come contemporaneamente quelli del circolo mediceo - molto si compiacevano di tali composizioni popolareggianti, estremo rifugio della loro raffinatezza. Giovanili sono le petrarchesche Rime, e della prima età è anche il capolavoro di S., l'Arcadia (composta 1481-86 fino all'egloga X; il resto 1491-96). Costituita da dodici prose e altrettante egloghe, l'Arcadia ha un'assai esile trama; è la descrizione di feste, riti, giochi pastorali, d'una vita rinascimentale vagheggiata fuori delle pratiche necessità. È opera di squisita eleganza, ricchissima di reminiscenze dai classici greci, latini, italiani coi quali, come il Poliziano, S. entra, imitandoli, in consapevole gara. L'opera conobbe una straordinaria fortuna, e costituì il modello per il romanzo e la favola pastorale dei secoli successivi, in Italia e fuori. Da notare infine il decisivo contributo di S. al superamento dell'anarchia del volgare quattrocentesco e alla formazione d'una lingua italiana illustre anche per la prosa, a specchio bensì del toscano e in particolare di Boccaccio, ma di spirito e di gusto nazionale. n I tre libri degli Epigrammata riproducono la varietà di atteggiamenti dell'anima di S. per un'ampia distesa d'anni: voluttuosi, delicati, ma anche encomiastici e pungenti; mentre i tre libri delle Elegiae ci danno la migliore espressione dell'indole malinconica e raccolta del poeta. La sua grande trovata retorica furono le Piscatoriae, cinque egloghe nelle quali a pastori sono sostituiti pescatori: trovata applauditissima dai contemporanei, come quella che, restando rigorosamente sulla linea del gusto classico, riusciva a dare qualcosa di nuovo. Il De partu Virginis, in esametri, edito nel 1526 dopo un ventennio di elaborazione, contempla liricamente il mistero della nascita divina: se non è da cercarvi intimità di sentimento religioso, neppure è da dire che questo vi sia assente; ma assume le forme della bellezza, che per S. e il Rinascimento non poteva essere che quella splendida già espressa dai classici. n Tra le edizioni moderne, oltre alla raccolta delle Opere volgari curata da A. Mauro (1961), si ricorda quella del De partu Virginis a cura di C. Fantazzi e A. Perosa (1988).

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