IBERI

Enciclopedia Italiana (1933)

IBERI

Pietro BOSCH GIMPERA
Giacomo DEVOTO

. Nome. - Il nome degl'Iberi non compare negli autori antichi prima del sec. VI a. C. L'antico Periplo probabilmente massaliota che è la fonte di Avieno, ora maritima, chiama Iberi i popoli dell'E. della Spagna (a partire dal fiume Jucar) e li mostra dominanti le tribù non iberiche del NE. della Catalogna e le liguri del S. della Francia fino al fiume Oranus (Lez vicino a Montpellier), mantenendo la distinzione di popoli del S. e SE. della Spagna che formano il regno di Tartesso. Ecateo, che anch'egli distingue gl'Iberi dai Tartessî, parla delle singole tribù iberiche: Esdetes (Edetani), Ilaraugates (Ilergeti), e Misgeti (le tribù dominate dagl'Iberi secondo il Periplo). Anche Erodoto distingue la regione degl'Iberi dalla Tartesside; in Eschilo gl'Iberi appaiono sul Rodano. Solo a partire da Erodoto (430) le tribù dei Tartessî dell'Andalusia cominciano a chiamarsi Iberi, includendovisi anche quelle dei Cineti nel S. del Portogallo con un'estensione di carattere geografico che finirà per includere nell'Iberia tutta la penisola pirenaica che non riceve un nome generale fino al sec. III (Timeo-Eratostene). Prima, oltre ai nomi Iberia e Tartesside dei litorali dell'E. e del S., si parlava di Ofiussa (la costa litorale atlantica) o s'includeva la regione occupata dai Celti (centro e ovest) nella Keltiké. Un vero significato etnico non si può attribuire al nome degl'Iberi se non per le tribù dell'E. o quando nell'altipiano centrale dopo il sec. III si parla di Celtiberi (misti di Iberi e di Celti). Gl'Iberi tuttavia posseggono una personalità etnica caratteristica e sono un elemento etnico importante dei popoli della Spagna, sicché i Greci (forse anche constatando le loro affinità più o meno intime coi Tartessî), prendevano il loro nome come simbolo della Spagna.

Preistoria. - Gl'Iberi, come popolo, sono un risultato della evoluzione in Spagna di nuclei etnici camitici, originarî dal N. dell'Africa e sovrapposti a indigeni preiberici della Spagna coi quali si mescolarono in tempo molto antico. Quelli che conservarono più nitidamente il carattere originario furono i gruppi che abitarono la costa dell'E. della Spagna e l'Ebro, e che appariscono nel Periplo e in Ecateo col nome di Iberi. Il momento della partenza dall'Africa degli antenati degli Iberi e della separazione dagli altri gruppi camitici affini (Berberi, Numidi, Mauritani) è forse il periodo neolitico, e pare che il movimento di popoli che li portò in Spagna sia un risultato delle migrazioni accadute dopo il Paleolitico col cambiamento di clima del N. dell'Africa che fece ripiegare sugli altipiani dell'Africa Minore i popoli che prima abitavano il Sahara e i cui resti svilupparono la civiltà cosiddetta neolitico-sahariana, I gruppi che arrivarono in Spagna, misti ai resti dei popoli del Capsiano del Paleolitico, si estendevano per l'E. della Spagna, con forti radici nel SE. dove svilupparono la cosiddetta civiltà di Almería che fiorì dal neolitico all'età del bronzo (civiltà dell'Argar) quale uno dei grandi focolari della lavorazione del rame e centro di grandi relazioni non solo con gli altri popoli di Spagna (resti dei popoli capsiani e di pirenaici vicini agli ultimi iberici nel N. della penisola), ma anche col Mediterraneo occidentale (Sardegna, Sicilia, Italia). Probabilmente nell'età del bronzo gruppi iberici partendo da Almería si sparsero per l'Andalusia e arrivarono fino all'Algarve nel S. del Portogallo ricercando le miniere: questi elementi iberici mescolati agl'indigeni sono probabilmente l'agglutinante che forma i cosiddetti popoli tartessî. Nell'E. e sull'Ebro gl'Iberi si mantennero come elemento dominante con incursioni nella Castiglia (provincie di Logroño, Soria, Guadalajara, forse anche Madrid), poiché nei primi periodi dell'età del bronzo la civiltà dei popoli indigeni discendenti dei capsiani (civiltà del bicchiere a campana) è violentemente sostituita dalla civiltà di Almería: questi fenomeni permettono di trovare un indizio della priorità degl'Iberi sui Celti che piu tardi formarono con essi i Celtiberi. I vicini degli Iberi nei monti dipendenti dai Pirenei sono in parte (Catalogna centrale) resti dei capsiani che più tardi formano i popoli dominati dagl'Iberi (Misgai), ma soprattutto i cosiddetti popoli pirenaici che sviluppano la civiltà megalitica pirenaica, fortemente influenzata dalla civiltà di Almería degl'Iberi, nei quali popoli pirenaici discendenti degl'indigeni paleolitici, sono certamente da vedere gli antenati dei Baschi. Anche nella Spagna settentrionale pare che siano arrivate infiltrazioni iberiche fino alla provincia di Santander (come appare dai bronzi di tipo argarico ivi rinvenuti), dove più tardi abitano i Cantabri iberici.

Le migrazioni celtiche in Spagna. - Le migrazioni celtiche della prima metà del primo millennio, che nel sec. VI sono finite in Spagna, portano nella penisola gruppi originarî dall'Europa centrale che sviluppano varietà della civiltà di Hallstatt e s'impadroniscono del NE. della Catalogna (da dove gl'Iberi nel sec. VI li cacciano) e soprattutto degli altipiani centrali e delle regioni occidentali (Galizia e Portogallo). Nel sec. VI i Celti tentano impadronirsi del S. e dell'E., ma i Tartessî nell'Andalusia riescono a contenerli nel limite della Sierra Morena e gl'Iberi di Valenza nei monti limitrofi delle provincie di Cuenca e Valenza. Indizî delle scorrerie celtiche possono trovarsi nel Periplo che parla di Celti nell'isola Cartare (forse Saltes nella "ría" di Huelva) e nel nome celtico Segobriga-Segorbe nella provincia di Castellón, come nel forte influsso che la civiltà celtica dei secoli V-III (la cosiddetta civiltà posthallstattica) della Spagna centrale esercitò sulla civiltà iberica. Anche nella Catalogna, scomparsi i Celti come popolo con personalità caratteristica, perdurano in nomi di luogo celtici nel NE. (Beseldunum-Besalú) e nelle tracce di civiltà hallstattiana che si rinvengono nell'archeologia delle tribù catalane dai secoli X al VI. In generale tutta la civiltà iberica offre indizî d' influsso celtico, come a esempio nelle armi. Le migrazioni celtiche in Spagna sono probabilmente arrivate in due tappe: la prima verso il 1000 a. C. procedente dal Reno superiore e l'altipiano svizzero per la via del Rodano, e dovuta a pressioni illiriche per la linea del Danubio, e la seconda verso il 600 procedente dal Reno inferiore attraverso il N. e l'O. della Francia e dovuta a pressioni germaniche. Forse coi Celti arrivano in Spagna anche piccoli gruppi germanici (Germani di Sierra Morena di cui parla Plinio, e altri).

Storia. - Il più antico elemento a noi noto della storia degl'Iberi è la loro relazione coi Fenici che andavano a Tartesso come mercanti di metalli. Si è creduto che i primi viaggi dei Fenici di Tiro siano del sec. XII o XI e che Cadice sia stata fondata verso il 1100 a. C. Non pare troppo sicura la tradizione per stabilire questa data e si può anche mettere in dubbio la presenza dei Fenici in Spagna prima del sec. IX-VIII, essendo la fondazione di Cadice probabilmente posteriore. Sicuro è soltanto che nel sec. VIII la relazione era continua e che dalla Spagna si esportava in Oriente argento, piombo, ferro e stagno, quest'ultimo raccolto dai Tartessî nei loro viaggi per mare in Britannia. Dopo un periodo pacifico di scambio, le relazioni diventano ostili e i Fenici sottomettono i Tartessî in una guerra navale al tempo del re tartessio Gerone (sec. VIII). L'assedio di Tiro (724-720) per opera di Salmanassar IV e di Sargon II rende la libertà ai Tartessî e probabilmente in questo periodo il successore di Gerone, Norax, riprende le navigazioni tartessiche, e arrivando in Sardegna, con la quale si svilupparono relazioni prima dei Fenici in tempi preistorici, fonda in essa la colonia tartessia di Nora (verso il 700?). Il re di Tiro Baal II (700-668), ricostruendo il potere marittimo di Tiro, probabilmente domina di nuovo i Tartessî che restano vassalli dei Fenici fino all'assedio di Tiro (583-571) da parte di Nabucodonosor di Babilonia. Non sappiamo se Cadice sia stata fondata prima di Baal II o dopo di lui. Probabilmente era una stazione navale per il controllo del commercio e per evitare rivolte tartessiche. Dopo la fondazione di Nora, probabilmente per impedire nuove mire di espansione marittima dei Tartessî, i Fenici fondano Ebusus (Iviza) (654). Nel tempo del dominio di Tartesso i Fenici fondano altre colonie in Àndalusia: Malaca-Málaga, Sexi-Almuñécar, Abdera-Adra, e probabilmente altre piccole fattorie nella regione metallifera della provincia di Almería. Più tardi il Periplo di Avieno parla ivi dei "Libifenici".

Con la decadenza fenicia nel sec. VI coincide la talassocrazia dei Focesi che forse partendo da Cuma attraverso il mare sardo cominciano relazioni con la Spagna e stabiliscono colonie in Hemeroscopion (Denia) e Mainake (Torre del Mar vicino a Vélez-Málaga), visitando Tartesso, dove il re Argantonio diventa loro amico e offre loro grandi ricchezze che permettono la costruzione dei muri di Focea minacciata dai Persiani. I viaggi dei Focesi fanno conoscere ai Greci tutto il Mediterraneo occidentale dove avevano fondato Massalia verso il 600. In nuove navigazioni, seguendo il litorale spagnolo, è fondata Emporion come scalo nel golfo di Rosas forse verso il 550. Finita la prosperità dei Focesi dopo la battaglia di Alalia (535) e minacciate le colonie fenicie di Spagna dagl'indigeni, i Gaditani chiedono l'aiuto di Cartagine che prende queste colonie sotto il suo protettorato, rovinando Mainake e probabilmente anche Tartesso e cominciando per proprio conto le relazioni mercantili coi Tartessî. Dopo la battaglia d' Imera si arriva a un accordo fra Greci e Cartaginesi, che fissa il limite delle navigazioni dei Greci a Mastia, dove dopo fu Carthago Nova. Le colonie di Hemeroscopion e di Emporion tornano a fiorire, e i Greci di Emporion fondano nella loro vicinanza la nuova colonia di Rhode (Rosas).

Durante la prima guerra punica pare che i Tartessî abbian tentato di liberarsi dal dominio cartaginese; Amilcare dové sottomettere di nuovo la Spagna (237) e fu ucciso (229-228) in una guerra contro i Carpetani; il suo successore Asdrubale fonda Carthago Nova nel luogo della città indigena di Mastia, che diventa la capitale dell'impero cartaginese di Spagna e donde partono spedizioni militari per assicurare la sottomissione prima del SE., e dopo di tutta la costa orientale fino all'Ebro. Morto Asdrubale nel 221, il figlio di Amilcare, Annibale, prosegue le conquiste in Spagna arrivando al Duero e all'Ebro. Benché nell'accordo coi Romani del 226 l'Ebro dovesse separare le zone d'influenza dei Cartaginesi e dei Romani (che consideravano sotto la loro protezione le relazioni dei Greci di Massilia e i loro alleati), l'assedio di Sagunto da parte di Annibale provoca la seconda guerra punica, per aver preso Roma sotto la sua protezione la città iberica. Passato l'Ebro nel 218, Annibale sottomette le tribù della Catalogna e parte per l'Italia, mentre P. Cornelio Scipione sbarcava in Emporion per attaccare i Cartaginesi in Spagna.

La seconda guerra punica finisce col dominio dei Romani sulla Spagna, limitato dapprima all'E. e al S.

Per i particolari della conquista romana (terminata nel 19 a. C. da Augusto con la guerra vittoriosa contro Asturi e Cantabri) e per l'organizzazione e la vita della provincia Hispania, v. spagna.

Tribù. - Il gruppo dei popoli cosiddetti Tartessî è costituito dalle tribù dell'Andalusia e di parte del SE. della Spagna. I Tartessii in senso stretto, chiamati dopo anche Turdetani e Turduli, abitavano le pianure della valle inferiore del Guadalquivir. In un momento difficile a precisare si estesero nella provincia di Huelva, dove secondo Ecateo abitavano gli Eloesti o Elbisini di cui non è cenno nelle fonti posteriori e possedevano in tempo romano una grande parte delle pianure del S. del Portogallo, accanto a elementi lusitani e celtici. Vicini ai Tartessî nell'estremità meridionale della provincia di Cadice abitano i Cilbiceni del Periplo, dal Cilbus (rio Salado de Conil) al Chrysus (rio Guadiaro); e nella valle del Guadalquivir, nel N. delle provincie di Huelva e di Siviglia, i cosiddetti Ileates o Gletes, anch'essi scomparsi nelle fonti posteriori, come gli Etmanei dalle pianure della provincia di Cordova. Probabilmente la dominazione cartaginese e l'intensa romanizzazione della valle del Guadalquivir annullò la personalità etnica degli Elbisini, Cilbiceni, Gleti ed Etmanei che si confondono più tardi coi Turdetani. La regione montagnosa dell'Andalusia Orientale è occupata nell'interno (Sierra Morena e provincia di Jaén) dagli Oretani e nel littorale dai Bastetani (provincie di Granata, Málaga e Almería): il loro nome non compare nell'antico Periplo né in Ecateo, che trattano dal Chrysus (Guadiaro) a Mastia (Carthago Nova, Cartagena) dei Mastieni. Pare che i Mastieni fossero una tribù presso Mastia, o soltanto gli abitanti di Mastia, che quando i Cartaginesi trasformarono la loro città in Carthago Nova, la capitale dei Barcidi, non appariscono più: è probabile che i Bastetani siano esistiti anche prima, forse formando una confederazione coi Mastieni e ricuperando la loro personalità distinta dopo la trasformazione di Mastia.

Fra il gruppo dei Tartessî e degl'Iberi in senso stretto si trovano nel SE. della Spagna i Deitani (litorale di Alicante, prov. di Murcia) nominati dalle sole fonti di età romana e i Contestani nell'angolo montagnoso del N. della provincia di Alicante e S. della provincia di Valenza, dal fiume Vinalapò (Alebus) al Júcar (Sucro); sembra che essi siano i Gymnetes del Periplo e forse sono più affini agl'Iberi di Valenza che agli altri popoli del SE.

Anche nella zona intermedia fra Tartessî ed Iberi nelle pianure della Mancha (prov. di Albacete, Ciudad Real), e stendendosi in direzione nord per le provincie di Toledo, Madrid e parte di Guadalaiara e Cuenca troviamo i Carpetani, vicini a est dei Celtiberi del sistema orografico marginale dell'altipiano castigliano. Vicini dei Carpetani sono i Lobetani (Albarracín), gli Oleadi (ovest della provincia di Cuenca) e i Turbuleti (Teruel), intensamente misti con elementi celti.

I primi Iberi in senso stretto sono gli Edetani, divisi sicuramente in piccole tribù locali, della pianura di Valenza, S. della provincia di Castellón, fino a la Sierra de Espadán, al N. di Sagunto, della parte montagnosa dell'ovest della provincia di Castellón, della più gran parte della provincia di Teruel e della valle dell'Ebro medio (da Caspe a Salduvia-Saragozza). Pare che al tempo di Ecateo gli Edetani arrivassero fino al v. dell'Ebro nella provincia di Tarragona, dove li separava dagl'Ilergeti la Sierra de Balaguer, ma forse alla fine del sec. IV a. C. cedettero la foce dell'Ebro ed il NE. della provincia di Castellón al gruppo meridionale degl'Ilergeti: gl'Ilercavoni.

Gl'Ilergeti dapprima (sec. VI e V) occupavano il litorale di Tarragona e continuavano verso le pianure di Ilerda (Lérida) e di Osca (Huesca). La penetrazione nella pianura di Tarragona dei Cossetani (l'ultima tribù dei Misgeti di Ecateo) ridusse il territorio ilergeta a Ilerda-Osca ed al territorio dove si ritrassero gl'Ilercavon.

I popoli inclusi fra i Misgeti di Ecateo, cioè gl'indigeni dominati al tempo del Periplo dagl'Iberi, sono i Cossetani (Tarragona e regioni limitrofe del S. della provincia di Barcellona), i Laietani (litorale della provincia di Barcellona, dal S. della città al fiume Tordera e Blanda-Blanes), i Lacetani, intimamente imparentati coi Laietani e che occupavano la zona montagnosa limitrofa fra le provincie di Barcellona e Lérida, gli Ausetani (N. della provincia di Barcellona e SO della prov. di Gerona, con Ausa-Vich e Gerunda-Gerona), gl'Indigeti (litorale e le pianure settentrionali della provincia di Gerona) e nell'estremità orientale dei Pirenei i Sordoni (Monti Alberes e la piccola penisola del Cap de Creus, continuando in Francia nel Roussillon) e gli Elisicesi (in Francia da Narbona verso il N.). Questi popoli, oltre ai Sordoni e agli Elisicesi chiamati liguri da Ecateo, sono resti delle popolazioni preistoriche della Catalogna, con resti dei Celti, che li dominarono prima degl'Iberi, e di questi che risorgono quando l'invasione della Francia meridionale da parte dei Volci Tectosagi chiude il dominio iberico.

Nell'interno dei Pirenei in Catalogna abitano i Cerretani (nell'attuale Cerdaña), che si estendevano per le valli limitrofe della provincia di Gerona, dove si mescolavano con l'estremità settentrionale degli Ausetani e probabilmente con resti dei Celti: gli Ausocereti del Periplo, chiamati da Plinio e altri Castellani (Besalú, Olot, Anglés). Cerretani c Castellani-Ausocereti erano, secondo il Periplo, dominati dagl'Iberi. Nella valle di Berga e in altre valli anch'esse dipendenti dai Pirenei abitano i Bergussii o Bergistani affini ai Cerretani. Il N. della provincia di Lérida e la più grande parte dei Pirenei aragonesi restano ignoti agli autori antichi, ma probabilmente saranno stati occupati da piccole tribù imparentate coi Cerretani e coi Vasconi (Baschi), resti degli antichi popoli pirenaici dell'Eneolitico. Una eccezione forma la valle di Jaca (prov. di Huesca) dove abitano gl'Iacetani, parenti degli Aquitani della Gallia, forse una infiltrazione di essi, spinti dalle pressioni galliche sulla linea della Garonna. In età romana gl'Iacetani sembrano sparire e il loro territorio appartiene ai Vasconi, cui forse apparteneva prima.

Il gruppo dei popoli baschi che comprende i Vasconi e i Varduli, Caristi, Autrigoni e Origevioni, che a volte si è voluto credere, ma senza fondamento, più analogo ai Cantabri, è un complesso di popoli fortemente individuati che abitava a un dipresso nelle attuali provincie basche (prov. di Guipúzcoa, Biscaglia e Álava, col territorio dei Baschi francesi) e in Navarra (v. Baschi). I Vasconi assoggettarono forse i Suessetani (Suessiones?), probabilmente Celti, nell'est di Navarra e che per Pamplona arrivavano presso Vitoria in Ålava (Suessatium-Zuaro). Gli Autrigom e Origevioni sono forse misti di Celti.

Vicini dei Baschi nel litorale atlantico spagnolo sono i Cantabri il cui carattere iberico viene sempre rilevato dagli autori antichi. Forse sono Iberi dell'Ebro che furono isolati nelle montagne di Cantabria (provincia di Santander e zone limitrofe di Burgos e Asturia) a causa dei movimenti celtici del sec. VI. I Cantabri erano divisi in varî gruppi locali: Orgenomesii, Aurini, Concani, Vainienses, Tamarici, Vegelienses, Iuliobrigenses, Mareccani e Conisci.

Nell'attuale regione delle Asturie e settentrione della provincia di León abitavano gli Asturi, probabilmente resti delle popolazioni preistoriche preceltiche, in parte somiglianti ai Baschi, in parte ai popoli neolitici della Spagna centrale (gli Asturi sono divisi in piccole tribù: Bedunenses, Corniaci, Lungones, Selini, Superatii, Amaci, Paesici, Lancienses, Zoelae). Anche i Vettoni della regione montagnosa vicina fra Salamanca, Åvila e l'Estremadura (prima occupanti un territorio più grande in Estremadurii e poi spariti per effetto dei movimenti dei Celti e dei Lusitani) sono sicuramente resti delle popolazioni preistoriche preceltiche e preiberiche; e altri resti di queste sono i Cineti o Conii del Portogallo (misti forse con elementi tartessî in tempo assai antico) che nell'età romana si riducono al litorale del S. (Algarve) ma che il Periplo fa arrivare fino al golfo di Setubal e che la toponimia fa riconoscere presso Coimbra (Conimbriga); così come il Periplo parla degli Oestrimni (di nome identico ai predecessori dei Celti nella Bretagna francese) cacciati dai Celti dal litorale portoghese, e dei Dragani di situazione incerta (forse affini degli Asturi e abitanti il NE. del Portogallo: Traz-os-Montes?).

A parte questi resti di popoli primitivi, nella Spagna centrale, nella Galizia e nel Portogallo si trovano soprattutto popoli celti, in parte con infiltrazioni iberiche, procedenti dagl'Iberi dell'Ebro. Il Periplo fa conoscere i nomi dei Cempsi che occupavano il Tago portoghese e di là arrivavano all'Alemtejo e all'Estremadura spagnola, i Sefes, forse nel litorale portoghese dal Tago al Duero; come pare che sia da ricostruire il nome degli Artabri o Arotrebae (integrato per ar- e treb-) nel Nord della Galizia dal nome corrotto del promunturium Aryum (Aruion). Il Periplo parla anche dei Beribraci nelle montagne fra Valenza e Teruel. Da queste i Sefes e i Cempsi spariscono con l'espansione dei Lusitani; resti dei Cempsi paiono essere i Celtici del Portogallo meridionale e delle provincie di Badajoz e Huelva (vicini dei Lusitani di Estremadura e dei Tartessî di Andalusia). A nord del Duero gli autori dopo il sec. III ci mostrano una molteplicità di popoli celti a cui spetta il nome comune di Callaeci (veri Galli) dei due conventi giuridici di Lucus (Lugo) e Bracara (Braga). I Callaeci lucenses sono i Capori, Cilini, Lemavi, Baedyi, Seurri e Artabri o Arotrebae. I callaeci bracarenses sono i Caelerini, Bibali, Limici, Quacerni, Turodi, Nemetati, Grui o Grovi, Luanci, Lubaeni, Narbasii ed Equaesii. Di alcune tribti fra Calleci e Asturi si dubita a qual popolo siano da attribuire: Tiburi e Gigurri.

Nell'altipiano centrale sono probabilmente celti i Vaccei (prov. di Salamanca, Palencia, valladolid, Segovia, Åvila, parte di Buigos), dei quali un gruppo estremo, gli Arevaci, occupano in parte la provincia di Soria e si comprendono fra i popoli chiamati Celtiberi. Popolazioni celtiche sono i Turmodigi (nord della provincia di Burgos) ed i Beroni (regione chiamata La Rioja, nella prov. di Logroño), così come altri gruppi celtici sopravvivono nei popoli celtiberici. Nei monti della Sierra Morena (prov. di Ciudad Real), misto con gli Oretani iberici esisteva un gruppo di Germani arrivato coi Celti, conosciuto attraverso il nome della città di Oretum Germanorum accennata dalle fonti.

I Celtiberi sono divisi in tre gruppi: uno è formato dagli Arevaci, propriamente gli stessi Vaccei, e dai Pelendoni che prima occupavano tutta l'alta valle del Duero con Numanzia che dopo passò a essere arevaca, un altro gruppo, i cosiddetti Celtibcri citeriores, è costituito dai Belli, Titti e Lusones (valli del Jalón e del Jiloca); un terzo gruppo è sull'Ebro, con le città di Turiasso (Tarazona), Bursada (Borja) e Balsio (Cortes). Nei Celtiberi abbondano gli elementi celtici (nomi delle tribù, nomi di guerrieri, nomi di luogo, culti: Matres callaicae, ecc.). Non è peraltro da disconoscere un forte elemento iberico nel carattere del popolo e nella civiltà celtiberica; lo Schulten vuole che gl'Iberi siano stati gli ultimi arrivati nel sec. III, procedendo dall'Ebro, ma, per ragioni tratte dalla preistoria e per la continuità di civiltà in Numanzia, dalla posthallstattica dei Celti alla celtiberica del tempo delle guerre numantine, è probabile che gl'Iberi, come si è di solito creduto, siano stati i primi e siano stati sottomessi dai Celti, che col tempo finirono col venire iberizzati.

L'elemento iberico dell'Ovest della penisola è il popolo lusitano del Portogallo (dal Duero al Alemtejo) e dell'Estremadura spagnola. Il carattere del popolo è iberico e tale lo caratterizzano le fonti. Pare che dall'identità del nome con quello dei Lusoni celtiberi sia da indurre una possibile origine fra gl'Iberi centrali. Forse il nome corrotto lusis nel Periplo, emendato generalmente in ligus, attesta la presenza dei Lusitani nei monti di Beira nel sec. VI; in tal caso i Lusitani sarebbero in Portogallo dai tempi preistorici e anteriori alle migrazioni celtiche.

Civiltà. - Gl'Iberi, e con essi gli altri popoli della penisola, malgrado il difetto di unità politica, hanno numerosi caratteri comuni che dànno rilievo alla forte personalità della penisola, pur con le fortissime differenze locali; personalità che assorbe tutti gli elementi stranieri che le invasioni o la colonizzazione importano in Spagna e che, pure, lasciano le loro tracce nel tipo antropologico o nelle istituzioni della civiltà o dell'arte.

Manca un'unità di razza nella penisola. Gl'Iberi sono da immaginare come dolicocefali mediterranei, bruni, somiglianti ai Berberi africani; resti assai puri di essi possono trovarsi nell'E. della Spagna (regno di Valenza) o in Aragona. Ma anch'essi, come i Berberi in Africa Minore, da tempo molto antico si mescolano coi popoli indigeni discendenti dei popoli capsiani del Paleolitico, nei quali si trovano dolico- e brachicefali bruni, alcuni con caratteri negroidi o perfino pigmoidi. Nel N. si distacca un tipo antropologico formato in Europa, forse anch'esso per l'evoluzione dei popoli paleolitici: è il tipo pirenaico occidentale, mesocefalo, che abbonda fra i Baschi.

Gl'Iberi sono descritti dagli antichi come popoli assai rudi e di civiltà primitiva, che conservano tenacemente i loro caratteri, poco permeabili agl'influssi esterni, frugali, coraggiosi, resistenti alle fatiche, di grande orgoglio e senso della propria dignità (αὐϑάδεια), fedeli ai patti, ospitali, bellicosi ma al tempo stesso indolenti, incapaci di profittare dei successi ottenuti e senza senso d'organizzazione e di solidarietà.

Le differenze nella vita e nella civiltà fra le varie regioni sono assai grandi. Il S. e SE. evoluto da tempi più antichi e visitato dai colonizzatori fu più ricco e civile, più permeabile agl'influssi esterni, meno bellicoso e più facile a dominarsi. Le regioni montagnose soprattutto in Celtiberia, in Portogallo (Lusitani) e nel N. conservarono più tenacemente la loro rude e indomabile natura, che non esclude pregevoli caratteri morali.

Nel cibo e nella bevanda gl'Iberi erano sobrî. Pare che fosse diffusa una birra chiamata caerea. Nel costume era tipica per gli uomini una tunica fino al ginocchio e il mantello chiamato sagum. Le donne avevano un velo o mantello che portavano sulla testa, che si può paragonare alla moderna mantilla. Le case dei villaggi erano assai povere; nei paesi a influsso celtico erano capanne circolari difese da un vallo; nell'E. e nel S. case quadrangolari di pietra difese da forti mura. A volte si trovano grandi e ricche città nelle regioni più civili e fiorenti. Mancano gli edifizî pubblici. Per eccezione c'è un tempio nel Cerro de los Santos e un altro in Azaila.

L'agricoltura era assai rudimentale; oltre ai cereali coltivati sopra tutto nelle grandi pianure del centro o della valle del Guadalquivir, si conoscevano soltanto nel S. e nel E., come nel litorale portoghese, l'olio e il vino. Nelle zone montagnose tutti erano pastori che in epoche di miseria diventavano ostili agli abitanti delle regioni più ricche che saccheggiavano rapacemente. Le donne aiutavano molto al lavoro della terra. Anche l'industria era rudimentale, fiorendo soltanto quella tessile; in Celtiberia si otteneva il ferro dalla regione del Moncayo col quale si fabbricavano armi di celebrata tecnica. Nel S. e SE. erano sfruttate fin da antico le miniere di rame, di piombo e d'argento. Un'industria fiorente nella quale tutte le tribù mostrano il loro senso artistico è la ceramica. Nelle montagne del nord, pure, erano in uso i vasi di legno. Il commercio era da tribù a tribù; nell'E. e nel S. fiorivano città che servivano di mercato a grandi regioni (come Tartesso e quelle della foce dell'Ebro, cui accenna il Periplo), come le fattorie e colonie dei Fenici e dei Greci. La navigazione era quasi nulla, eccezion fatta dei pescatori e soprattutto dei viaggi dei Tartessî ai mercati dello stagno in Britannia.

Nella maggior parte del territorio l'organizzazione politica non oltrepassò il piccolo clan di famiglie parenti che abitavano lo stess0 villaggio, frequentemente sulla cima d'un monte e fortemente difeso in previsione delle continue guerre coi vicini. A capo del clan o villaggio era un consiglio di vecchi. Le relazioni fra i clan, soprattutto fra quelli che si consideravano come affini, erano a volte cordiali, e giungevano a una solidarietà che in caso di difesa comune portava a nominare un capo (i cosiddetti principes) che era soprattutto un capo militare (Indortes e Istolazio, Indibil e Mandonio, viriato, Retogene). Nel S. e SE. arrivarono a costituire monarchie assai forti come fra i Tartessî. Era tipica la tecnica militare iberica, con le guerriglie, la forte cavalleria, la difesa disperata delle città, che bruciavano prima della resa, arrivando al cannibalismo o al suicidio piuttosto che piegarsi alla cattività (Sagunto, Numanzia, i Lusitani e i Cantabri). Eran noti i soldurii, compagni d'armi d'un capo, che giuravano di difendere e di non sopravvivergli (i fedeli di Sertorio).

Fra i Tartessî pare che fiorisse una letteratura con poesie, leggi e annali versificati. Canti e danze specialmente guerriere si conoscono presso tutte le tribù. La scrittura si diffondeva in Spagna attraverso i Fenici ed i Greci; vi sono differenze negli alfabeti in uso, che risalgono non solo all'alfabeto fenicio, ma anche agli alfabeti ionici arcaici.

Gl'Iberi bruciavano i morti e mettevano accanto al sepolcro le armi od ornamenti del morto, frequentemente anche delle stele. La religione era il culto degli spiriti della natura; si conosce un dio solare (Neto) e divinità lunari e stellari (Noctiluca e Phosphoros); anche i fiumi, le fonti e le montagne erano venerate. Culti dei Celti si trovano con le Matres callaicae, Epona, Endovellicus, Ataecina, ecc. Anche gli animali erano sacri, specialmente il toro. Il culto aveva luogo eccezionalmente in templi (Cerro de los Santos, Azaila) ma generalmente nei monti o in grotte (Castellar de Santisteban) con danze e musiche. Ex-voto erano consacrati nei santuarî (Cerro de los Santos, Despeñaperros, Castellar, Alcoy, La Luz). Alcune volte erano sacrificate vittime umane; frequente la divinazione con le viscere degli animali.

Nella Spagna fiorì anche l'arte. Oltre all'arte celtica che è solo un riflesso dell'arte di Hallstatt e meno intensamente di La Tène (ringwall, i cosiddetti casteos, gioielli di Galizia e Portogallo, ornamenti di bronzo, fibule, armi), è soprattutto l'arte sviluppata dagl'Iberi del S. e dell'E. interpretando molto personalmente influssi stranieri (fenici e soprattutto greci) che fa la gloria della Spagna preromana. Nell'architettura si assimilano elementi di decorazione ionica (le volute) e si arriva a grande perfezione nella costruzione di luoghi fortificati (Tarragona, Sagunto, Osuna, Castel de Ibros, Meca) e nella regolarità del piano delle città (villaggi dell'Ebro: S. Antonio de Calaceite, Azaila), combinandosi il tipo del ringwall celtico col piano ippodamico greco in Numanzia.

Nella plastica il SE. e l'Andalusia sviluppano la scultura in pietra con bellissima produzione (Dama di Elche, offerenti del Cerro de los Santos, rilievi di Osuna, sfingi, leoni, ecc.), i bronzi votivi (statuette di La Luz, Castellar de Santistéban, Despeñaperros, ecc.), o le terracotte votive di Alcoy; tale arte non passa in generale alle altre regioni (fa eccezione la plastica in terracotta di Numanzia, e la stele con rappresentazione di guerrieri dell'Aragona). Generali a tutta la Spagna sono le armi e gli ornamenti di bronzo (cinturoni, fibule), generalmente di tipi celtici. I gioielli sono per lo più d'importazione cartaginese o greca, ma anche imitati dagl'indigeni (tesori di La Aliseda, Cheste, Javea, Tivisa, ecc.). L'arte più generale in cui si riflette l'individualità delle tribù è la ceramica che, dopo aver continuato tipi di tradizione preistorica o essere stata influenzata dalla ceramica di Hallstatt (soprattutto in Aragona, Valenza e in Catalogna), finisce per essere dipinta, con diffusione di tipi creati nel SE. (decorazione floreale, animale e umana, a spirali, influenzata da motivi ionici del sec. VI) e nell'Andalusia (predominio dei motivi geometrici) con forte influsso cartaginese nelle forme dei vasi. I gruppi locali di Valenza, di Catalogna e dell'Ebro, sono in generale dipendenti del SE., e lo sviluppo indigeno della ceramica celtica posthallstattica in Numanzia con influssi della ceramica dipinta dell'Ebro, fa nascere la curiosissima ceramica celtiberica con rappresentazioni di lotte, di scene sacre e sportive.

Lingua. - È attestata da un centinaio di iscrizioni e da scritte di monete: la più lunga è quella di La Serreta (Alicante) con 342 lettere; segue quella di Pujol (Valenza) con 155. La massima parte sono scritte nell'alfabeto nazionale, il quale è d'origine fenicia e va diviso nei due gruppi andaluso-turdetano e ispano-citeriore. Che un alfabeto greco abbia fatto da mediatore non è sicuro. Di alcune iscrizioni l'autenticità è dubbia, per es. di quella di Alcoy. Le più antiche sono del sec. IV, la maggioranza del sec. III e dell'età romana. La decifrazione, aiutata da alcune brevi iscrizioni doppie, è cominciata nel sec. XVIII per opera di L. J. Velázquez. Ma i risultati non sono stati definitivi e recentemente ancora uno studioso spagnolo (Cejador) ha tentato letture in gran parte nuove.

L'interpretazione è ancora in uno stato rudimentale. Dal punto di vista fonetico i fatti più caratteristici sono la mancanza costante di f, e quella. di p e di r in posizione iniziale. Nella morfologia sembra accertata l'esistenza di una specie di articolo (Hispania: Spania) e di un plurale in -k. I risultati principali sono quelli raggiunti da H. Schuchardt e riguardano soprattutto la declinazione nominale. Sembra che egli sia riuscito a isolare un nominativo singolare senza suffisso; un genitivo singolare in nasale; un genitivo plurale in -cen, -scen e varianti; uno strumentale o ablativo singolare -s, -š, -; un accusativo singolare in -k; un dativo singolare in -i, -e.

Problema centrale della lingua iberica è quello dei suoi rapporti col basco: problema rispetto al quale le due tesi, quella di W. Humboldt, H. Schuchardt, A. Trombetti favorevoli all'identificazione e quella di A. Schulten, J. Pokorny, P. Bosch Gimpera, più o meno contrarî, si combattono ancora. Poiché i Baschi sono il relitto di una popolazione antichissima e la loro lingua presuppone uno svolgimento di ventidue o ventitré secoli rispetto alla fase corrispondente dell'iberico, così la tesi dell'identità basco-iberica è destinata a trionfare. Essa non esclude che, anche in tempo antico, ci fossero differenze dialettali, come ci sono state differenze di alfabeti. Alcune consonanze linguistiche tra Iberia e Africa settentrionale sono innegabili, anche se la parola I-ber-i non vada senz'altro paragonata a Ber-ber-i. Dal punto di vista linguistico esse non presuppongono né la provenienza degl'Iberi dall'Africa (Schulten) né una colonizzazione iberica in Africa (Trombetti): si tratta di consonanze conservatrici e quindi di relitti di uno strato linguistico omogeneo sulle due rive del Mediterraneo. Per i supposti rapporti della lingua iberica con le lingue caucasiche oppure con le lingue camitiche, v. Baschi: Lingua.

L'alfabeto iberico è sopravvissuto fino all'età imperiale: materiale linguistico iberico sopravvive nei nomi personali delle iscrizioni latine di Spagna, in un piccolo gruppo di parole, riportate principalmente da Plinio come arrugia "galleria di miniera", cuniculus "canale sotterraneo", balux "sabbia d'oro, grani d'oro", laurex "feto di coniglio", in basi linguistiche ricostruite dalla linguistica romanza come balsa "palude", infine in toponimi. J. Wackernagel, illustrando nel 1905 dei derivati di nomi di città in -tanus, ne ha documentato la diffusione nel Mediterraneo occidentale: essi sono i rappresentanti più occidentali di quello strato preindoeuropeo che, procedendo verso oriente, ci si presenta come ligure e poi come etrusco.

Bibl.: A. Schulten, s. v. Hispania, in Pauly-Wissowa, Real-Encykl., VIII, coll. 1965-2046; id., Numantia, I, Monaco 1915; P. Bosch-Gimpera, Els ibers històrics: per a la millor comprensiò de la história d'un nom ètnic, in Homenaje a Bonilla y Sammartin, Madrid 1930; id., Die Vorgeschichte der Iberer, in Mitteilungen der Anthropologischen Gesellschaft in Wien, 1925; id., El estado actual de la investigación de la cultura ibérica, in Boletin de la R. Academia de la Historia, Madrid 1929; id., Etnologia, Barcellona 1932; Schulten-Bosch, Fontes Hispaniae antiquae, I, Barcellona 1922; A. Schulten, The Carthaginians in Spain, in Cambridge ancient history, VII, 1928; id., Tartessos, Amburgo 1922; id., Germanen und Gallier, in Forschungen und Fortschritte, 1932, p. 121.

Per la lingua in particolare v.: E. Hübner, Monumenta linguae ibericae, Berlino 1893 (cfr. C. Giacomino, in Arch. glott. it., Suppl. IV, 1897, pp. 1-20); H. Schuchardt, Die iberische Deklination, in Sitzungsber. d. Kais. Akad. d. Wiss in Wien, CLVII (1907), 2; W. Meyer-Lübke, Die Basken, in Germanisch-romanische Monatschrift, XII (1924), p. 171 segg.; J. Pokorny, Iberer, in Reallexicon der Vorgeschichte, VI, p. 5 segg.; J. de C. Serra Rafols, ibid., XI, p. 364 segg.; A. Trombetti, Le origini della lingua basca, Bologna 1925; J. Cejador y Frauca, Alphabet et inscriptions ibériques, Parigi 1929; V. Bertoldi, Problèmes de substrat, in Bulletin de la Société de linguistique de Paris, XXXII (1931), pp. 93-184.

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