Ictus cerebrale

Universo del Corpo (1999)

Ictus cerebrale

Cesare Fieschi
Anne Falcou

Il termine latino ictus, "colpo, battuta", indica una sindrome caratterizzata dall'esordio improvviso di un deficit neurologico focale di durata superiore a 24 ore e di origine vascolare. I neurologi preferiscono definirlo attacco cerebrale per meglio sottolinearne la gravità, corrispondente a quella di un attacco cardiaco. Si definisce invece attacco ischemico transitorio (TIA, Transitory ischemic attack) un deficit neurologico focale di durata inferiore a 24 ore (v. ischemia).

Epidemiologia

In Italia, l'incidenza di ictus cerebrale è di 100.000 nuovi casi all'anno e 15 al giorno in una città come Roma. Nei paesi industrializzati, la prevalenza (numero di pazienti affetti da una malattia a un tempo determinato) dell'ictus è stimata a circa 600 per 100.000 abitanti. Benché l'incidenza e la prevalenza siano da qualche anno in diminuzione, la patologia vascolare cerebrale rimane uno dei maggiori problemi di sanità pubblica. Le malattie cerebrovascolari rappresentano la terza causa di mortalità e la prima causa di invalidità e sono, inoltre, responsabili del 10-12% della mortalità globale annua nei paesi industrializzati. La diminuzione della mortalità per malattie cerebrovascolari rilevata dal 1970 è probabilmente legata alla minore incidenza e al miglioramento della terapia dell'ictus. Attualmente, la mortalità per ictus cerebrale varia dal 17 al 34% entro un mese ed è del 40% a un anno di distanza.

I fattori di rischio, che aumentano la possibilità del verificarsi di un ictus cerebrale sono: 1) l'età, che ne fa aumentare esponenzialmente l'incidenza; 2) il sesso, nel senso che dai 45 ai 75 anni di età, 1 uomo su 10 e 1 donna su 15 subisce un ictus cerebrale, ma la mortalità da ictus è comunque più elevata per le donne, probabilmente perché la loro durata media di vita, più lunga rispetto agli uomini, consente globalmente il manifestarsi di più casi di malattia; 3) la familiarità con le malattie cerebrovascolari; 4) il pregresso ictus o attacco ischemico transitorio; 5) l'ipertensione arteriosa, il più importante fattore di rischio di ictus sia ischemico sia emorragico, dipendente in maniera direttamente proporzionale dai valori di pressione arteriosa sia diastolica, cioè valore minimo, sia sistolica, cioè valore massimo; 6) il fumo, l'ipercolesterolemia, l'obesità, il diabete mellito, l'abuso cronico di alcol. Il rischio aumenta anche in presenza di cardiopatia ischemica, valvulopatia mitralica e aritmia cardiaca o fibrillazione atriale.

Eziopatogenesi

Nell'80% dei casi l'ictus viene provocato da ischemia cerebrale, mentre nel rimanente 20% è causato da emorragia (intracerebrale nel 15% dei casi e sub- aracnoidea nel restante 5%).

a) Ictus ischemico

Si parla di ischemia quando un trombo o un embolo occlude un'arteria cerebrale e impedisce l'apporto ematico adeguato. Poiché le cellule cerebrali traggono l'energia necessaria al loro funzionamento dal consumo del glucosio e dell'ossigeno del sangue, nelle aree di parenchima cerebrale sottoposte a un flusso notevolmente ridotto o nullo e, quindi, in mancanza di glucosio e ossigeno, si manifesta una serie di alterazioni funzionali, biochimiche e strutturali che conducono alla morte cellulare in breve tempo, da qualche minuto a 4-6 ore, a seconda dell'importanza della diminuzione del flusso. Questo intervallo, chiamato finestra terapeutica, rappresenta il lasso di tempo entro il quale si può intervenire con farmaci o metodi invasivi per evitare la necrosi della zona ischemica, cioè per impedire che questa si trasformi in infarto.

Il cervello è dotato di complessi meccanismi chimici, miogenici vascolari e metabolici di autoregolazione, i quali sono capaci di mantenere un flusso ematico costante quando variano la pressione arteriosa e la pressione di perfusione cerebrale; i suddetti sistemi, però, funzionano entro certi limiti fisiologici e non sono in grado di affrontare una riduzione importante oppure un'interruzione completa di flusso. Tuttavia, in caso di ischemia cerebrale focale, intorno all'area di flusso gravemente compromesso esiste un'area di flusso ridotto, chiamata penombra ischemica, nella quale le cellule sopravvivono: le cellule dell'area ricevono un flusso tramite un circolo collaterale di compenso che consente loro di rimanere vitali e di essere teoricamente recuperabili qualora venga ripristinato il flusso adeguato. La cessazione dell'attività delle cellule cerebrali di entrambe le zone, ischemica e di penombra, è responsabile dei sintomi neurologici.

L'occlusione di un'arteria cerebrale è causata nel 80% dei casi da una tromboembolia aterosclerotica locale e nel 20% dalla migrazione di un embolo formatosi in un'altra parte del corpo, spesso nel cuore . L'aterosclerosi (v. arteriosclerosi) corrisponde alla deposizione di lipidi nella parete arteriosa, alla quale fanno seguito una proliferazione delle fibrocellule muscolari della parete, un'invasione di cellule del sangue (macrofagi), una deposizione di colesterolo e fibrosi fino a formare una placca. La placca aumenta progressivamente di volume fino a restringere significativamente il lume vasale. L'irregolarità della sua superficie può favorire l'aggregazione di piastrine con formazione successiva di trombi; questi ultimi possono migrare nel circolo vascolare cerebrale e occludere un'arteria distale di calibro minore.

Il meccanismo appena illustrato è usualmente implicato nell'occlusione completa e improvvisa dell'arteria cerebrale media o dei suoi rami in presenza di una placca della biforcazione carotidea o della carotide interna. La patogenesi della formazione di trombi nel cuore è basata sull'esistenza di un rallentamento del flusso ematico nelle cavità cardiache oppure a livello delle valvole, o di malformazioni cardiache. Questi trombi possono migrare verso il circolo vascolare cerebrale e occludere un'arteria. Le patologie responsabili della formazione di trombi sono numerose; le più frequenti sono: i disturbi del ritmo cardiaco e, in particolare, la fibrillazione atriale, le protesi valvolari, la stenosi mitralica, l'infarto miocardico acuto, le cardiopatie congenite, le cardiopatie dilatative.

Accanto ai due tipi di infarto cerebrale suddetti, si possono manifestare delle lacune cerebrali, piccoli infarti di diametro inferiore a 1,5 cm, che si riteneva fossero dovute a una malattia delle piccole arterie cerebrali legata all'ipertensione arteriosa, e che studi recenti hanno dimostrato essere causate da arteriosclerosi locale delle arterie cerebrali o da embolia proveniente dai vasi del collo o dal cuore.

b) Ictus emorragico

Un'emorragia intracerebrale è imputabile alla rottura di un vaso e al conseguente stravaso di sangue che si verifica nel parenchima cerebrale con possibile invasione degli spazi subaracnoidei e dei ventricoli. L'emorragia tipica è situata nel territorio profondo del parenchima a livello dei nuclei della base ed è strettamente legata all'ipertensione arteriosa tramite la formazione sulle arterie cerebrali di microaneurismi (piccole dilatazioni) che possono rompersi. Invece, le emorragie intracerebrali superficiali sono generalmente causate dalla rottura di una malformazione vascolare preesistente e abitualmente congenita (aneurismi, malformazioni arterovenose, angiomi venosi ecc.) e si verificano più frequentemente nei soggetti giovani. L'emorragia subaracnoidea corrisponde a un versamento di sangue negli spazi subaracnoidei che sono compresi tra l'aracnoide e la pia madre. Può essere dovuta alla rottura di una malformazione arterovenosa, di un aneurisma, oppure fare seguito a un trauma cranico.

Sintomatologia

Un ictus cerebrale può manifestarsi improvvisamente durante il giorno con un deficit neurologico focale che può insorgere in pieno benessere, oppure può verificarsi nel corso del sonno ed essere constatato la mattina al risveglio. I sintomi variano a seconda del territorio vascolare colpito. Il sistema vascolare cerebrale è diviso in due territori, anteriore e posteriore, collegati tramite il circolo di Willis: il territorio anteriore viene irrorato dalle arterie carotidee (territorio carotideo) e comprende la parte anteriore dei due emisferi cerebrali; il territorio posteriore, irrorato dalle arterie vertebrali e dall'arteria basilare (territorio vertebrobasilare), comprende il tronco cerebrale, il cervelletto e la parte posteriore degli emisferi.

Nell'infarto anteriore o carotideo si ha: 1) perdita di forza parziale (emiparesi) o completa (emiplegia), che interessa uno o più dei tre segmenti di un emicorpo (arto superiore, arto inferiore, faccia); 2) disturbi sensitivi (ipoestesia: diminuzione della sensibilità; anestesia: perdita completa della sensibilità; parestesia: formicolio) che interessano uno o più dei tre segmenti di un emicorpo; 3) disturbi del visus di tipo emianopsia (perdita della visione di un emicampo visivo); 4) disturbi del linguaggio (disartria: difficoltà nell'articolazione delle parole; afasia: linguaggio limitato a qualche parola semplice, a volte soltanto 'sì' e 'no', mutismo, discorso incoerente fatto di parole inesistenti, difficoltà di comprensione a volte anche delle frasi semplici); 5) disturbi cognitivi (anosognosia: il paziente non si rende conto dei suoi disturbi; asomatognosia: il paziente non riconosce come suo l'emicorpo colpito; allucinazioni visive e uditive; disturbi di memoria).

Nell'infarto posteriore o vertebrobasilare si ha: 1) disartria; 2) vertigine; 3) disturbi dell'equilibrio e della marcia (atassia); 4) disturbi della coordinazione dei movimenti; 5) visione doppia (diplopia); 6) disturbi di coscienza, dalla sonnolenza al coma profondo. Questi sintomi possono essere diversamente associati tra di loro. Di solito, i disturbi fasici sono associati a disturbi motori o sensitivi dell'emicorpo destro e corrispondono a una lesione dell'emisfero cerebrale sinistro, mentre i disturbi cognitivi associati a sintomi motori o sensitivi del lato sinistro corrispondono a una lesione dell'emisfero destro. L'insieme dei sintomi corrispondente a un territorio vascolare e cerebrale è soltanto indicativo e l'avvento della tomografia computerizzata (TC) cerebrale ha rivelato che, al momento dell'esame clinico, nessuna localizzazione territoriale può essere formulata con certezza: per es., i sintomi di una lesione posteriore possono mimetizzare una lesione anteriore e viceversa. Inoltre occorre tener presente che benché i sintomi di ictus emorragico siano più frequentemente associati a cefalea, nausea e vomito, o a una perdita di coscienza iniziale, la comparsa di questi segni è aspecifica. Quindi, in caso di ictus, soltanto la TC permette di individuare con certezza la natura (ischemica, emorragica) e di localizzare la sede della lesione vascolare cerebrale.

Terapia

In passato, l'ictus era considerato una fatalità. Da diversi anni, la maggiore conoscenza della sua fisiopatologia ha permesso di migliorare la terapia dell'attacco cerebrale e delle sue complicanze. Qualsiasi paziente colpito da ictus cerebrale deve raggiungere un pronto soccorso ospedaliero in breve tempo, anche se le sue condizioni non sembrano inizialmente molto gravi. Non si deve aspettare una risoluzione spontanea dei sintomi e, anche in caso di risoluzione rapida e spontanea, cioè in caso di TIA, il ricovero tempestivo consente di prendere provvedimenti terapeutici in grado di prevenire l'ictus. Inoltre, sono stati creati reparti di terapia intensiva dedicati alla cura dell'ictus, stroke unit o 'unità vascolare', nei quali lavora personale medico (neurologi, cardiologi, rianimatori) e paramedico (infermieri, fisioterapisti) specializzato. Appena raggiunto il pronto soccorso, oltre agli esami ematochimici di routine sarà gestita l'emergenza medica che comprende: controllo della pressione arteriosa (monitoraggio), del ritmo cardiaco (ECG, monitoraggio) e del respiro (ventilazione assistita se necessario). Effettuati un'accurata anamnesi e un esame clinico, il paziente verrà sottoposto a una TC cerebrale allo scopo di accertare la diagnosi precisa. Si tratta di un esame veloce, non invasivo, rapidamente disponibile e realizzato, in questa evenienza, senza iniezione di mezzo di contrasto. Grazie a esso i medici possono scegliere la terapia adatta al caso poco dopo l'ammissione del paziente.

In seguito, verranno eseguiti accertamenti per individuare la causa: eco-doppler dei vasi del collo per la ricerca di lesioni di aterosclerosi, doppler transcranico per la ricerca di una stenosi od occlusione delle arterie intracraniche, ecocardiografia transtoracica o transesofagea per la ricerca di un'eventuale patologia cardiaca embolica. Fin dall'inizio, la stretta sorveglianza del paziente consente per lo meno di prevenire le complicanze dell'ictus, secondo le seguenti indicazioni: 1) trattare l'edema cerebrale constatato alla TC o segnato da un peggioramento dello stato di coscienza o del deficit neurologico; 2) in caso di ischemia, non trattare una pressione arteriosa inferiore a 180/110 mmHg, reazione fisiologica destinata a preservare la pressione di perfusione cerebrale; invece, se si tratta di emorragia, la pressione arteriosa del paziente deve essere strettamente controllata e non deve superare i limiti di 140/90 mmHg; 3) posizionare regolarmente il paziente emiplegico nel letto per evitare la comparsa di lesioni cutanee da decubito; 4) prevenire la trombosi venosa degli arti inferiori tramite somministrazione di eparina per via sottocutanea; 5) idratare e nutrire il paziente per via venosa (flebo) od orale (sondino nasogastrico); 6) iniziare rapidamente una terapia riabilitativa motoria e del linguaggio; 7) controllare la temperatura in modo da curare tempestivamente un'infezione (urinaria, polmonare ecc.). Nel caso si sia verificata una emorragia voluminosa, può essere necessario un intervento chirurgico allo scopo di rimuovere il sangue dal parenchima cerebrale.

In caso di ischemia, se il ricovero è stato abbastanza veloce, entro 4-5 ore dall'inizio dei disturbi, si può intraprendere una terapia. Dalla fisiopatologia esposta sopra, si deduce che due sono i metodi per salvare il tessuto cerebrale dall'infarto e che, comunque, il successo del trattamento è basato sulla sua somministrazione tempestiva (finestra terapeutica). Per ripristinare il flusso ematico sono a disposizione farmaci trombolitici capaci di lisare il trombo responsabile dell'occlusione arteriosa, che devono tuttavia essere impiegati con molte precauzioni in quanto possono essere responsabili di una trasformazione emorragica della zona ischemica e determinare un successivo peggioramento clini- co. Recenti studi di efficacia e sicurezza dell'rt-PA (Recombinant tissue plasminogen activator), uno dei farmaci trombolitici, hanno dato risultati positivi e incoraggianti; tuttavia altre ricerche sono necessarie per confermare questi risultati. Per tale motivo la terapia trombolitica viene usata soltanto in centri specializzati, da neurologi esperti e su gruppi di pazienti selezionati. I trombolitici possono essere somministrati anche per via intrarteriosa, cioè nel corso di un'angiografia dei vasi cerebrali e direttamente al contatto del trombo, con risultati positivi in particolare per gli ictus vertebrobasilari. Sono attualmente in fase di studio diverse classi di farmaci neuroprotettori (antiNMDA, antagonisti del calcio, antiradicali liberi ecc.), in grado di ostacolare i meccanismi di alterazione secondaria all'interruzione del flusso ematico. Condizione ideale sarebbe quella di somministrare un neuroprotettore cerebrale subito dopo l'esordio dei sintomi e, se possibile, sul luogo dell'insorgenza dell'ictus (spesso al domicilio del paziente), in modo tale da allargare la finestra terapeutica per avere il tempo necessario di eseguire tutti gli accertamenti propedeutici alla somministrazione del trombolitico. Infine, sarà iniziata una terapia preventiva. Un paziente con cardiopatia embolica o con una stenosi serrata dei vasi del collo verrà sottoposto a una terapia anticoagulante per via endovenosa e, successivamente, per via orale. L'intervento chirurgico su un'arteria carotidea (endarteriectomia) è riservato soltanto ai casi gravi (stenosi superiore al 75% del lume vasale), oppure qualora vi siano controindicazioni della terapia anticoagulante e ai casi di ictus insorti durante una corretta terapia anticoagulante. Negli altri casi, sarà prescritta una terapia antiaggregante basata sulla somministrazione di aspirina, di ticlopidina o di clopidogrel. Inoltre, saranno trattati i fattori di rischio: per es., ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, obesità, fumo, consumo di alcol, sedentarietà.

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