MARTIGNONI, Ignazio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 71 (2008)

MARTIGNONI, Ignazio

Alessandro Arbo

– Nacque a Como il 15 giugno 1757, dal nobile Giulio e da Fulvia de’ marchesi Millo di Casale Monferrato.

Allievo dal 1767 al 1775 del locale collegio Gallio retto dai padri somaschi, continuò la formazione presso l’Università di Pavia, dove nel 1778 si laureò in diritto civile e canonico. Alimentò, nel frattempo, la passione per il disegno e coltivò gli studi letterari, raccogliendo poi le sue prime riflessioni e alcuni componimenti poetici in un volume di Operette varie (Milano 1783) dedicate al conte Giambattista Giovio.

Al centro di quest’opera, che più tardi l’autore stesso definì «giovanile», si riconosce il proposito di formulare un discorso sulle arti fondato su categorie e argomenti ereditati dal pensiero francese, da J.-B. Du Bos a Ch.-L. de Montesquieu, a Ch. Batteux, agli enciclopedisti. Il M. distingue fra arti meccaniche, dettate dai bisogni, arti ingenue (nelle quali rientrano la poesia, la pittura, la scultura, l’arte del gesto, la danza e la musica), sorte dall’esigenza del diletto, e arti ritenute utili e piacevoli al contempo, come l’eloquenza e l’architettura. La congettura che fa da sfondo consiste nell’ipotizzare che, dopo aver risolto i problemi di prima necessità e stabilito i patti per garantire la sicurezza comune, gli uomini avrebbero incominciato a coltivare i piaceri delle arti ingenue. La precedenza è attribuita al canto, alla danza e alla poesia, quest’ultima incline a presentarsi originariamente all’insegna dei tratti del disordine, dell’irregolarità e dell’entusiasmo. Il Saggio sulla musica (Operette varie; ora in ed. moderna a cura di A. Luppi, Como 1997) approfondisce questa visione ed evidenzia l’assimilazione di alcune tesi di J.-J. Rousseau (tratte dal pamphlet che aveva animato la «querelle des Bouffons», ma anche dagli articoli enciclopedici e, con molta probabilità, dall’Essai sur l’origine des langues). Riprendendo alcuni aneddoti classici sul potere della musica di eccitare e calmare le passioni, il M. attribuisce all’armonia e al contrappunto la colpa di aver guastato la semplice melodia che aveva mosso l’animo degli antichi (ai quali nondimeno, con un anacronismo, viene attribuita qualche conoscenza contrappuntistica). Le differenze climatiche sono richiamate per spiegare il modo in cui nei diversi Paesi il canto delle origini ha perduto progressivamente la sua energia e ceduto il passo alla parola: il risultato sono delle lingue con pochi «accenti d’imitazione» e poche variazioni di toni nei Paesi settentrionali, mentre quelle dei Paesi meridionali (fra i quali spicca l’esempio dell’Italia, oltre naturalmente a quello della Grecia antica) sono rimaste più sonore, «quasi declamazione». Sia sulla descrizione dei poteri della melodia (capace non solo di sedurre l’orecchio, ma di coinvolgere il cuore), sia sul tema centrale dell’imitazione degli accenti appassionati, il M. continua a fare ricorso ad argomenti rousseauiani. Un’ampia digressione sulla danza e sulla pantomima evidenzia peraltro l’assimilazione delle tesi della terza parte delle Réflexions critiques sur la poésie et sur la peinture (1719) di Du Bos. L’analogia fra le arti nell’antichità è sviluppata con un parallelo fra l’ethos dei modi musicali e quello sotteso ai modi architettonici.

Nel 1784 il M. fu accolto fra i membri d’onore dell’Accademia di S. Luca. Nel 1791 sposò Marianna Pellegrini; tre anni più tardi, la sorella di questa sposò Alessandro Volta. Nel 1798 divenne socio dell’Accademia italiana (con sede a Siena), e presso tale istituzione pubblicò l’opuscolo Sull’onesto, e sul retto (Giorn. dell’Acc. italiana, I [1799], 1). Per alcuni decenni, fra Settecento e Ottocento, partecipò attivamente alla vita culturale della sua città: fu membro del collegio dei giurisperiti, dove insegnò diritto civile, e fu assessore alla Pretura; nel 1803 ottenne la cattedra di diritto naturale e civile presso il liceo dipartimentale di Lario. A tali attività si collegano la pubblicazione dell’opuscolo Dell’opportunità d’associare alle istituzioni civili i principj del diritto di natura (Como 1804), dedicato al prefetto dipartimentale del Lario, Giuseppe Casati, e i Principj del diritto di natura e delle genti (ibid. 1805), un’opera che ebbe fortuna sul piano didattico, ottenendo un riconoscimento ufficiale del governo per l’adozione quale manuale di studio nei licei e nelle università.

Ma le sue energie intellettuali furono dirette soprattutto verso i campi prediletti delle «amene lettere» e della poesia. A Como pubblicò Del gusto in ogni maniera d’amene lettere ed arti (1793), dedicato a S. Bettinelli, con il quale intrattenne anche un duraturo scambio epistolare. Fra gli altri entrò in corrispondenza con U. Foscolo, conosciuto nell’agosto 1808, durante un soggiorno presso il conte Giovio, nella villa Grumello sulle rive del lago.

Un successivo trattato di argomento estetico, Del bello e del sublime, uscì a Milano nel 1810 e successivamente a Como nel 1826 (ed. moderna a cura di A. Brettoni, Roma 1988).

Nel riprendere le linee della discussione settecentesca sugli omonimi temi, questo breve trattato le innesta nel dibattito sulle arti sviluppatosi in Italia nei primi decenni dell’Ottocento. Può essere affiancato, per alcuni contenuti e per il suo stile discorsivo, ad altri esempi più o meno coevi, come quello del ferrarese L. Cicognara (Del bello. Ragionamenti, 1808, dedicato a Napoleone) o di G. Talia (Saggio di

estetica, 1822). Similmente, il suo successo può essere fatto corrispondere al bisogno di erudizione in campo artistico che contrassegnava il nuovo pubblico borghese in numerose regioni della penisola. Il principio della bellezza è individuato dal M. nell’armonia, concepita in base al criterio classicista della varietà ricondotta all’unità. Tale criterio è assunto a partire da un’ottica empiristica: la curiosità, il bisogno di fuggire la noia e la limitazione delle facoltà dell’uomo rendono piacevoli i rapporti percepiti nell’oggetto. Allineandosi alle tesi di F. Soave, il M. riconosce il bello negli oggetti capaci di produrre non solo sensazioni piacevoli, ma piacevoli rappresentazioni (riservate alla vista e all’udito). Il gusto ha un ruolo centrale nella selezione dei tratti e delle forme presenti in natura, nel perseguimento di uno stile sia bello sia sublime. Se nel caso della musica la bellezza può essere riportata alla «veracità ed evidenza dell’espressione», ciò che la rende capace di «lusingare l’orecchio» sono la «soavità» e l’«ordine» dei suoni successivi. L’adesione al modello neoclassico trova conferma nella richiesta di uno stile moderato: se le dissonanze possono servire a temperare l’eccessiva uniformità, occorrerà in ogni caso evitare scarti troppo bruschi, ricordandosi «che il bello musicale da’ suoni rifugge troppo vibrati, aspri e tumultuosi, atti ad esprimere, ed a risvegliare le passioni del terrore, dell’ira e della ferocia; ed ama invece i suoni placidi, molli e soavi, proprj a destare una non so qual tenerezza e languore» (Del bello…, ed. 1826, p. 33). È invece principalmente dall’esempio dell’architettura che il M. trae l’insegnamento di non separare astrattamente il calcolo delle proporzioni dalla loro «convenevolezza». Un capitolo successivo approfondisce il ruolo di questa nozione indicando l’essenza della grazia nella «concinnità delle parti, nell’armonia degli esterni movimenti con le affezioni dell’animo, e nel convenevole rapporto de’ mezzi col fine propostosi» (ibid., pp. 50 s.).

Se propria del bello è considerata dal M. la delicatezza, il sublime, individuato in tutto ciò che «i limiti delle comuni idee trascendendo a’ pensieri grandi, od a gravi affetti, ci solleva» (ibid., p. 63), ha come caratteristiche fondamentali la grandezza e la semplicità (ibid., p. 82). La natura abbonda di fenomeni sublimi (sia in estensione sia in forza); l’arte riesce talvolta a emularla e l’imponente maestà delle piramidi egizie ne è un esempio. Diversamente da E. Burke, il M. ritiene che in tali casi non vada sottolineata soltanto l’impressione di terrore: oltre alla meraviglia, vanno contemplati l’«egregia costanza d’animo» e il «sentimento di magnanimità e di fierezza» (ibid., p. 70) di cui può rendersi capace lo spettatore, elevando così gli spettacoli più atroci. In accordo con Burke, invece, soprattutto le «privazioni generali» sono associate a questo genere di sentimenti: il silenzio, il vuoto, la solitudine, le tenebre, ecc. Vi si affiancano i fenomeni luminosi intensi, i suoni gravi, gli affetti energici. In generale, quanto più durevole è la «dolce serenità» che infonde il bello, tanto più brevi e temporanei sono i trasporti del sublime (ibid., p. 85). Contro l’opinione di H. Blair, ed evocando i versi di Dante, F. Petrarca, L. Ariosto e T. Tasso, il M. ritiene che la rima non sia un ostacolo all’espressione del sublime, che nondimeno predilige per sua natura l’«audace disordine» e l’incommensurabilità. In generale il trattato esclude una netta contrapposizione delle due nozioni di riferimento: se lo stile sublime non può rinunciare ad alcuni caratteri che si ritrovano nel bello, dall’armonia delle parti a una «serena imperturbabilità d’affetti, con un non so qual divino riposo, indizio di una suprema beatitudine» (ibid., p. 88), sia il bello sia il sublime hanno come scopo l’«egregiamente perfetto» (ibid., p. 104), reso in modo più leggiadro e grazioso dal primo, più grande e austero dal secondo. In definitiva, il M. invita il lettore a considerare i fenomeni artistici, come quelli naturali dei quali sono l’imitazione, in una scala graduata e senza soluzione di continuità estesa fra queste due nozioni, entrambe necessarie a spiegarli in modo esauriente.

Il M. morì a Como il 23 marzo 1814.

Postuma uscì una raccolta di Poesie e prose (Como 1818).

Fonti e Bibl.: F. Casnati, Carteggio del Foscolo con un gentiluomo comasco (il M.), in Vita e pensiero, n.s., XXXIII (1950), pp. 147-153, 269; L. Catenazzi, Sulle opere e sulla vita del professore I. M., in Del bello e del sublime, 1826, cit., pp. III-XXI; P. Lichtenthal, Diz. e bibl. della musica, Milano 1826, IV, p. 396; M. Monti, Storia di Como, II, pt. 2ª, Como 1832, pp. 720-735; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri…, II, Venezia 1835, pp. 3 s. (I. Cantù); C. Cantù, Storia della città e diocesi di Como, Como 1899, p. 408; A. Brettoni, Introduzione, in Del bello e del sublime, 1988, cit., pp. I-XXVIII (alle pp. V-VII una Nota autobiografica del M.); A. Luppi, Introduzione, in Saggio sulla musica, 1997, cit., pp. 5-47 (in appendice, pp. 105-111 è ripubblicata la Nota autobiografica); R. Valsecchi, rec. del Saggio sulla musica, 1997, cit., in Riv. italiana di musicologia, XXXII (1997), p. 406; A. Arbo, La melodia ideale. Imitazione musicale e modello neoclassico, in Neoclassico, 1998, n. 13, p. 46; A. Brettoni, I. M.: riflessioni sull’imitazione, in Studi in onore di Claudio Varese, a cura di G. Cerboni Baiardi, Roma 2001, pp. 239-254; F.P. Campione, La nascita dell’estetica in Sicilia, in Aesthetica pre-print. Periodico del Centro internazionale studi di estetica (Palermo), 2006, n. 76, pp. 15, 54.

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