Igor Stravinskij

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Germana Schiassi
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

L’opera musicale di Igor Stravinskij per un trentennio circa si identifica con i principali orientamenti del modernismo musicale francese; in seguito diviene espressione tra le più significative della cultura musicale dell’intellighenzia europea trapiantata negli Stati Uniti, conoscendo infine anche un riavvicinamento alla dodecafonia e alle tendenze del serialismo postbellico. Tuttavia le sue cifre stilistiche essenziali trovano origine in ultima analisi nella tradizione musicale russa della fine del XIX secolo, che Stravinskij rivitalizza attraverso l’assimilazione dei nuovi fermenti modernisti che animano la scena culturale di Pietroburgo ai primi del Novecento.

Pietroburgo

L’opera musicale di Igor Stravinskij (1882-1971), giudicata nel suo complesso, appare come il frutto di una cultura cosmopolita; nondimeno gran parte delle sue cifre stilistiche essenziali risalgono in ultima analisi alla formazione nell’ambiente pietroburghese di fine Ottocento e inizio Novecento. I primi anni di vita di Stravinskij si collocano in un momento cruciale per la storia della Russia, che segna la fine dell’epoca delle grandi riforme e dei romanzi di Dostoevskij, Tolstoj e Turgenev, e l’inizio di un periodo di conservatorismo in campo sia politico sia culturale. A Pietroburgo sul finire del secolo gli effetti della svolta conservatrice sulla cultura musicale sono ben avvertibili: l’entusiasmante esperienza del “Potente gruppetto” raccolto attorno a Milij Balakirev, che negli anni Sessanta dell’Ottocento era riuscito a conferire un’impronta nazionalista e realistica al proprio linguaggio, si è ormai irrigidita in un accademismo piuttosto sterile ed epigonistico, sebbene dal carattere eclettico. Espressione del nuovo establishment musicale conservatore è il circolo gravitante attorno al mecenate Mitrofan Beljaev, nel quale confluiscono anche alcuni membri del vecchio gruppo di Balakirev come Nicolaj Rimskij-Korsakov.

I primissimi passi di Stravinskij nel terreno della composizione – peraltro non particolarmente precoci e promettenti – avvengono, in quest’ambiente asfittico, sotto la guida di due allievi di Rismkij-Korsakov, e appaiono perlopiù come il frutto di sperimentazioni alla tastiera. Il passaggio sotto il diretto insegnamento di Rismkij-Korsakov, che prosegue fino alla morte di quest’ultimo (1908), segna indubbiamente notevoli progressi tecnici; tuttavia la straordinaria esplosione creativa e il repentino balzo qualitativo che la produzione di Stravinskij conosce di lì a pochi anni si giustifica soprattutto con i nuovi fermenti cui la vita culturale di San Pietroburgo va incontro all’inizio del nuovo secolo. Si consolida infatti un’articolata corrente modernista, alla quale contribuiscono il movimento letterario simbolista (Konstantin Bal’mont, Vjačeslav Ivanov, Aleksandr Blok, Sergej Gorodečkij) e il gruppo incentrato attorno alla rivista “Mondo dell’arte”, fautore di un’estetica nella quale tratti del simbolismo e del decadentismo si fondono alla rivalutazione delle antiche tradizioni artistiche e del patrimonio folklorico russo. L’attività del gruppo “Mondo dell’arte”, capeggiato da Sergej Diaghilev, è decisiva per la sprovincializzazione della cultura pietroburghese di primo Novecento: le “Serate di Musica Contemporanea”, fondate nel 1901 da membri del gruppo di Diaghilev, introducono il pubblico pietroburghese alla musica di Maurice Ravel, Gabriel Fauré, Claude Debussy, Arnold Schönberg e Max Reger. In simili istituzioni musicali hanno luogo le prime esecuzioni pubbliche di lavori stravinskijani (Sinfonia in Mi bem magg. op. 1, 1905-1907; Scherzo Fantastico op. 3, 1907-1908; Fuochi d’artificio op. 4, 1909).

È attraverso l’assimilazione di queste nuove tendenze estetiche moderniste che Stravinskij rivitalizza le tradizioni musicali russe di matrice tardo-ottocentesca. Ciò avviene in particolare nei primi lavori prodotti per la compagnia dei Ballets Russes di Diaghilev, i quali si affrancano da una concezione nella quale l’elemento folklorico e la componente nazionalista rimangono confinati entro una scrittura musicale ancora sostanzialmente tardo-romantica, per assurgere a una concezione radicale, nella quale l’impiego di materiali musicali della tradizione popolare (o di loro stilizzazioni) mira a ottenere un risultato che rompe decisamente con i paradigmi estetico-musicali ottocenteschi. Più che nell’Uccello di fuoco (1910), ancora legato agli stilemi korsakoviani, questo passaggio è avvertibile in Petrushka (1910-1911) e ancora più decisamente nella dirompente Sagra della primavera (1913), nella quale si definiscono pienamente i caratteri essenziali del linguaggio musicale modernista stravinskijano: la grande inventiva ritmica, la costruzione della forma musicale mediante la giustapposizione di blocchi musicali distinti piuttosto che attraverso uno sviluppo logico-lineare, il conseguente carattere fortemente “statico” dei singoli blocchi, enfatizzato anche dai frequenti ostinati ritmici, il passaggio dalla tonalità a un linguaggio “centrico” (non essenzialmente “politonale”, come spesso si è sostenuto), fondato sulle proprietà simmetriche di alcuni aggregati sonori (scale) non convenzionali. La Sagra dellala primavera segna anche l’apice di una poetica “neonazionalista”, per la quale il materiale musicale della tradizione popolare, lungi dall’offrire il pretesto per una mera tinta folkloristica, è osservato e manipolato in modo “oggettivo” nelle sue componenti costitutive, che sono quindi integrate in profondità entro nuove strutture musicali.

I successi dei Ballets Russes portano Stravinskij alla ribalta della scena musicale di Parigi, che all’epoca si impone come punto di riferimento del modernismo europeo. Tra gli artisti e intellettuali con cui Stravinskij entra in contatto nella capitale francese figurano Debussy, Ravel, Erik Satie, Jean Cocteau, Picasso, Paul Claudel, André Gide, Fernand Léger e André Derain. Con molti di essi il compositore resterà in stretto contatto nei due decenni successivi.

L’esilio e la seconda patria

Nel 1914 Stravinskij si stabilisce in Svizzera, dove rimarrà fino al 1920. Lo scoppio della rivoluzione del febbraio 1917 e il successivo esito bolscevico tagliano definitivamente i ponti con la madrepatria (vi ritornerà solamente nel 1962, in occasione di una breve visita ufficiale). Proprio questa perdita della Russia fa sì che la precedente inclinazione neonazionalista trasfiguri nella visione mitizzata di una Russia arcaica, orientamento che raggiunge il suo apice con la cantata-balletto Le nozze (Les noces, iniziata nel 1914 ma portata definitivamente a termine solo nel 1923), che inscena i rituali nuziali del mondo rurale russo. Il vagheggiamento di una civiltà incontaminata e saldamente ancorata alle sue tradizioni avvicina molto Stravinskij all’ideologia del movimento eurasiano, diffusosi a partire dagli anni Venti soprattutto ad opera di autori emigrati dalla Russia postrivoluzionaria.

Negli stessi anni nascono Renard (1916) e L’histoire du soldat (1918), due saggi di teatro musicale antirealista, fortemente stilizzato e dal carattere popolare. In questi lavori, e in particolare nel secondo, si accentua una tendenza che è rimasta latente sin dagli esordi pietroburghesi: Stravinskij volge il suo atteggiamento “oggettivo” a materiali musicali considerati “triviali” nel suo tempo – il tango, il ragtime, il valzer, la marcetta militare – i quali sono assunti però entro un contesto linguistico-musicale che fa uso delle conquiste armoniche, melodiche e ritmiche dei primi anni Dieci, ponendo così in risalto la distanza culturale tra il compositore e i suoi materiali. Ne consegue un effetto parodistico e di straniamento. Il recupero di elementi appartenenti a culture “basse”, che già si è affacciato in Debussy, caratterizza in quegli stessi anni le tendenze moderniste francesi capeggiate da Cocteau (Satie, il Gruppo dei Sei); ma un atteggiamento analogo comincia a essere riservato da Stravinskij anche a materiali della stessa tradizione occidentale colta, la cui distanza dal compositore è sia cronologica – data la scelta di modelli del periodo classico e preclassico – sia culturale – vista la condizione di emigrato di Stravinskij e l’impossibilità di identificare totalmente la cultura russa con quella occidentale. Spartiacque decisivo per tale svolta neoclassica è ancora una volta un lavoro (Pulcinella, 1919 con scene e costumi di Picasso) composto per i Ballets Russes di Diaghilev.

Negli anni tra le due guerre Stravinskij si stabilisce definitivamente in Francia, che assume infine per lui il valore di una seconda patria, incentrando le sue attività su Parigi. A questa fase appartengono gran parte dei lavori più significativi dell’indirizzo neoclassico: Stravinskij si volge sistematicamente all’appropriazione e al recupero dei più svariati modelli della storia musicale europea, focalizzandone di volta in volta la classicità di un particolare aspetto stilistico o formale. Vertici in tal senso sono l’opera-oratorio Oedipus rex (1927), su testo di Cocteau-Danielou tratto da Sofocle, Apollon musagète (1928), rivisitazione moderna del ballet blanc (l’opera coreografica in cui le ballerine indossano il tradizionale costume di tulle bianco), la Sinfonia di Salmi (1930), e il melologo Perséphone (1933-1934) su testo di André Gide basato sull’inno omerico a Demetra. La cultura francese di questi anni esercita un influsso decisivo sulla riflessione estetica e sul pensiero di Stravinskij: nella formulazione della Poétique musicale, nata come testo per un ciclo di lezioni-conferenze tenute ad Harvard nel 1939, risultano determinanti il contributo dei musicologi Roland Manuel e Pierre Suvcinskij – uno dei primi fautori del movimento eurasiano – e l’influsso del pensiero di Paul Valéry e Jacques Maritain.

Gli Stati Uniti

Sul finire degli anni Trenta un progressivo deterioramento delle condizioni esistenziali e della considerazione negli ambienti musicali parigini, i lutti familiari e lo scoppio della guerra inducono Stravinskij a trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti. Il periodo americano può essere convenzionalmente suddiviso in tre fasi. Nella prima, Stravinskij porta alle estreme conseguenze l’orientamento neoclassico che aveva caratterizzato gli anni francesi: in opere come Sinfonia in Do (1939-1940); Sinfonia in tre movimenti (1942-45); Messa (1944-1948) e The Rake’s Progress (1947-1951), su testo di Wyston H. Auden, geniale rivisitazione della tradizione operistica italiana settecentesca, l’uso dei modelli assume tratti che richiamano il rapporto con la tradizione nell’opera poetica di Eliot. La seconda fase segue invece una profonda crisi intervenuta proprio all’indomani di The Rake’s Progress: l’esaurimento della vena poetica neoclassica, la scomparsa della figura antagonista di Schönberg, il contatto con alcuni esponenti del serialismo americano, come Ernst Krenek, la stretta collaborazione con il giovane direttore Robert Craft – fortemente impegnato nella diffusione delle opere di Schönberg e della sua scuola nell’ambiente californiano degli anni Cinquanta – inducono Stravinskij ad accostarsi gradualmente alla tecnica dodecafonica e al serialismo. Questo passaggio avviene in realtà in un quadro di continuità con la poetica neoclassica: la dodecafonia è approcciata da Stravinskij in quanto materiale già fortemente storicizzato, e al contempo espressione emblematica di un ideale metastorico di scrittura contrappuntistica. La matrice neoclassica è particolarmente evidente in brani come Cantata (1951-1952), Settimino (1952-1953), Canticum Sacrum (1955). Un felice connubio tra neoclassicismo e tecnica seriale è raggiunto in Agon (1953-1957, coreografia di George Balanchine), modellato sulle musiche di danza francesi del XVII secolo e poi in Threni (1957-1958). In queste opere Stravinskij appronta gradualmente tecniche di tipo seriale sempre più sofisticate, che culminano infine con Movements (1958-1959), composizione che segna l’inizio di una fase maggiormente vicina ai compositori seriali del dopoguerra. Tuttavia anche questo avvicinamento non comporta una smentita della poetica neoclassica, né uno svuotamento dei materiali musicali da ogni loro connotazione storico-culturale: opere come Introitus (1965) e Requiem Canticles (1965-1956) coniugano brillantemente tecniche seriali fortemente astratte e formalizzate con modelli e materiali desunti dal passato, carichi di storia e di significato.

Ricezione

Nella storiografia novecentesca l’opera di Stravinskij è stata a lungo considerata come il volto reazionario della modernità, opposto a quello progressista incarnato soprattutto da Schönberg e dalla scuola di Vienna. A questo giudizio si sottrae solamente la produzione precedente la virata neoclassica, in considerazione soprattutto delle sue ardite sperimentazioni sul ritmo. Questa visione si è poi rivelata a sua volta come il frutto di una costruzione ideologica: in tal senso si è riconosciuta la profonda unitarietà poetico-musicale dei vari “periodi di Stravinskij”, il carattere fortemente modernista della sua produzione neoclassica e, per converso, il segno lasciato nell’opera dodecafonica di Schönberg dalla generale ondata classicheggiante degli anni Venti. Si è inoltre palesato il profondo lascito della musica di Stravinskij alle avanguardie musicali e al postmodernismo della seconda metà del Novecento. Gli studi sul processo creativo delle ultime composizioni hanno messo in luce un’originale ricerca nel campo delle tecniche seriali, che non si lascia ridurre semplicemente a un tardivo riallineamento alle acquisizioni della dodecafonia viennese.

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