Il caso dei marò italiani in India

Libro dell'anno del Diritto 2014

Il caso dei marò italiani in India

Paola Gaeta

In questo contributo si analizzano i principali aspetti giuridici della vicenda giudiziaria e diplomatica sorta a seguito del cd. incidente dell’Enrica Lexie, che concerne la presunta responsabilità penale dei marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone per l’omicidio di due pescatori indiani. Dopo una breve ricostruzione dei tratti salienti della vicenda, si darà conto della posizione assunta dal Governo italiano quanto alla carenza della giurisdizione indiana nei confronti dei due marò e dei fatti loro contestati e della tesi invece sostenuta dalla Corte Suprema indiana. Da ultimo, si svolgeranno alcune considerazioni circa la possibilità di applicare a beneficio dei due marò la regola internazionale sulla cd immunità funzionale degli organi statali.

La ricognizione

I fatti al centro della vicenda giudiziaria e diplomatica che riguarda due fucilieri di marina italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone (marò appartenenti al Battaglione San Marco) sono noti, avendo avuto ampia risonanza sui mass media italiani e stranieri. I due fucilieri erano imbarcati sulla petroliera Enrica Lexie, battente bandiera italiana e di proprietà della società armatrice Fratelli D’Amato Spa. I fucilieri si trovavano a bordo dell’Enrica Lexie assieme ad altri quattro marò in virtù del decreto-legge 12.7.2011, n. 1071 (convertito con modificazioni con la legge 2.8.2011, n. 1302). L’articolo 5 del decreto, infatti, prevede che «nell’ambito delle attività internazionali di contrasto alla pirateria al fine di garantire la libertà di navigazione del naviglio commerciale nazionale», il Ministro della Difesa può stipulare con l’armatoria privata italiana «convenzioni per la protezione delle navi battenti bandiera italiana in transito negli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria» e imbarcare, «a richiesta e con oneri a carico degli armatori», «Nuclei militari di protezione (NMP) della Marina, che può avvalersi anche di personale delle altre Forze armate, e del relativo armamento previsto per l’espletamento del servizio».

Secondo la ricostruzione effettuata dalle autorità italiane, mentre l’Enrica Lexie si trovava al largo delle costa indiana dello Stato del Kerala, il 15.2.2012, una nave sospettata di pirateria stava avvicinandosi alla petroliera e, malgrado i ripetuti segnali visivi di avvertimento, continuava ad avvicinarsi. Dalla petroliera furono dunque sparati alcuni colpi di arma da fuoco in acqua, a seguito dei quali la nave si allontanò. In seguito alla sparatoria, e mentre si trovava in acque internazionali a 38 miglia nautiche dalla costa indiana, la petroliera italiana fu raggiunta per via telefonica dal Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Mumbai, che invitò la nave a recarsi al porto indiano di Cochin per collaborare all’inchiesta sull’incidente. La nave italiana interruppe quindi il suo viaggio e, su decisione dell’armatore3, fece rotta verso le coste indiane, dove attraccò il 16.2.2012. Fu in quel momento che il comandante dell’Enrica Lexie fu informato delle indagini in corso circa la morte di due pescatori indiani, a bordo della nave St. Anthony, e che secondo le autorità indiane era stata causata dai colpi di arma da fuoco sparati dalla petroliera italiana. Il 17.2.2012 la nave italiana fu posta in stato di fermo. Il 19.2.2012 Massimiliano Latorre e Salvatore Girone furono arrestati e posti in stato di custodia cautelare con l’accusa di omicidio dei due pescatori4.

Da quel momento si è aperta per i due marò italiani una vicenda giudiziaria e umana a tutt’oggi lungi dall’apparire in via di conclusione. I due fucilieri furono dapprima detenuti nel carcere di Trivundum della polizia di Kochi e, solo in seguito ad un ricorso italiano, furono confinati in locali separati, per poi essere posti in libertà su cauzione con obbligo di firma giornaliera e sequestro del passaporto il 30.5.2012. Nel frattempo, la nave Enrica Lexie continuò ad essere posta sotto sequestro, con a bordo gli altri quattro fucilieri, nel porto di Kochi. Solo grazie alla decisione del 2.5.2012 della Corte Suprema dell’India la nave fu rilasciata, ma con talune pesanti garanzie. Fra queste, la garanzia da parte dell’Italia che i quattro fucilieri sarebbero comparsi, se richiesti, dinnanzi alle autorità giudiziarie o altra autorità pubblica indiane5.

Nel dicembre 2012, il Governo italiano riuscì ad ottenere dall’Alta Corte del Kerala un permesso di due settimane per i marò per trascorrere le vacanze natalizie in Italia. Il permesso fu concesso subordinatamente a varie condizioni, tra cui l’obbligo di rientro in India dei due fucilieri alla scadenza del permesso. Tale ultima condizione fu garantita dal Ministro degli affari esteri italiano e addirittura dall’Ambasciatore e dal console italiano in India con una dichiarazione giurata (affidavit). Il 3.1.2013 i due marò rientrarono in India, ma fecero nuovamente ritorno in Italia con un altro permesso, ancora una volta condizionato e garantito dal nostro Governo e da dichiarazioni giurate, per esercitare il diritto di voto alle elezioni politiche del 24-25 febbraio. Nel corso di questo secondo soggiorno italiano, il ministro degli Esteri del Governo Monti (peraltro a fine mandato) assunse però la decisione di non rinviare in marò in India. Secondo un comunicato diffuso dal Servizio stampa del Ministero degli affari esteri, la decisione si spiegava con la mancata risposta indiana alla proposta formale al Governo di New Delhi di avviare «un dialogo bilaterale per la ricerca di una soluzione diplomatica del caso». Tale proposta, si legge nel comunicato, era stata effettuata a seguito della decisione della Corte Suprema indiana nel frattempo intervenuta il 18.1.20136e con la quale si respingeva il ricorso italiano circa la carenza di giurisdizione indiana sulla vicenda coinvolgente i marò7.

In seguito alla dura reazione dell’India, che prese misure volte a impedire all’Ambasciatore italiano di lasciare il paese, e al confronto istituzionale che condusse il Ministro degli esteri a rassegnare le proprie dimissioni, il Governo Monti decise infine di far rientrare i due fucilieri in India (il 21.3.2013), i quali, ospitati nell’ambasciata italiana a Delhi, sono ancora a tutt’oggi sottoposti all’obbligo di firma settimanale in un posto di polizia della capitale e in attesa di giudizio da parte di una Corte speciale.

Secondo quanto sostengono le autorità indiane, l’avvio del processo è ritardato anche dal rifiuto da parte italiana di far comparire gli altri quattro fucilieri che si trovavano a bordo dell’Enrica Lexie davanti all’Agenzia nazionale investigativa indiana. L’offerta italiana di far comparire i fucilieri in video conferenza è stata rifiutata e, al momento in cui si scrive, vi è dunque un altro aspetto controverso che si aggiunge alla complessa vicenda giudiziaria e diplomatica.

La focalizzazione

Nella ricostruzione dei fatti avvenuti il 15.2.2012 al largo delle coste dello Stato indiano del Kerala vi sono aspetti che sono oggetto di versioni contrastanti da parte dell’Italia e da parte dell’India. In particolare, mentre l’inchiesta svolta dalla magistratura dello Stato del Kerala ha portato alla formulazione di un’accusa di omicidio a carico dei due militari italiani per la morte dei due pescatori indiani, il Governo italiano afferma che la precisa dinamica dei fatti non sia stata ancora accertata. Sotto questo profilo, vi è peraltro da rilevare che le indagini tecniche rilevanti, quali la perizia balistica e l’autopsia sui corpi dei due pescatori deceduti, nonché l’escussione dei testimoni nell’immediatezza dei fatti, sono stati effettuati senza alcuna partecipazione da parte delle nostre autorità giudiziarie. L’India ha infatti ignorato tutte le richieste di rogatoria italiane8.

In punto di diritto, sin dal principio la posizione italiana è stata quella di affermare la carenza di giurisdizione delle autorità indiane. In più occasioni, il Ministero degli affari esteri ha invocato «l’esclusiva competenza giurisdizionale della magistratura italiana per un fatto che coinvolge organi dello Stato operanti nel contrasto alla pirateria sotto bandiera italiana e in acque internazionali»9. Secondo il nostro Governo, infatti, la giurisdizione esclusiva dei nostri tribunali sui fatti contestati in India a Massimilano Latorre e Salvatore Girone discenderebbe dalle seguenti considerazioni.

Anzitutto, data la natura ufficiale dell’attività dei militari italiani a bordo dell’Enrica Lexie contestata dalle autorità indiane, i due marò sarebbero sottratti alla giurisdizione penale indiana. Ciò in quanto assumerebbe rilievo la cd. teoria dell’immunità funzionale di diritto internazionale, in virtù della quale l’individuo che abbia posto in essere un’attività per conto del proprio Stato e nell’esercizio delle sue funzioni godrebbe di immunità giurisdizionale di fronte alle autorità giudiziarie di Stati terzi. Come già rilevato, i due marò si trovavano a bordo della petroliera in base all’art. 5 del decreto-legge n. 107/2011 (convertito con modificazioni dalla legge n. 130/2011), che consente la presenza su navi mercantili di bandiera italiana sia di personale militare italiano sia di contractors privati, a determinate condizioni, con funzioni di contrasto alla pirateria. I militari italiani avrebbero pertanto agito nell’esercizio delle loro funzioni e quindi come organi dello Stato. L’attività loro contestata dovrebbe quindi essere considerata un’attività jure imperii, attribuibile allo Stato per conto del quale è stata posta in essere, e dunque semmai suscettibile di dare luogo alla responsabilità internazionale dello Stato.

In secondo luogo, si è sostenuto che i fatti contestati ai due fucilieri rientrerebbero nell’ipotesi di “incidente di navigazione” avvenuto in acque internazionali, e dunque rientranti nella sfera di giurisdizione esclusiva dello stato di bandiera secondo quanto previsto dall’art. 97 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982 (ratificata sia dall’Italia sia dall’India). Tale norma prevede infatti che «in caso di abbordo o di qualunque altro incidente di navigazione nell’alto mare, che implichi la responsabilità penale o disciplinare del comandante della nave o di qualunque altro membro dell’equipaggio non possono essere intraprese azioni penali o disciplinari contro tali persone, se non da parte delle autorità giurisdizionali o amministrative dello Stato della bandiera».

Sulle tesi italiane si è pronunciata la Corte Suprema indiana con la già citata sentenza 181.201310, dovuta alle opinioni concorrenti dei giudici Altamas Kabir (Chief Justice) e Chelameswar. Con argomentazioni non sempre coerenti e lineari, i due giudici hanno respinto le argomentazioni italiane e affermato la sussistenza della giurisdizione indiana sui due marò e sui fatti che sono stati loro addebitati dalle autorità inquirenti. La sentenza è tra l’altro interlocutoria, giacché essa prevede che sia istituita una Corte speciale che dovrà occuparsi del caso e che avrà competenza anche a pronunciarsi sulla questione preliminare della sussistenza della giurisdizione indiana11.

I profili problematici

Accantonata la tesi della giurisdizione esclusiva dello Stato italiano in virtù dell’art. 97 della Convenzione di Montego Bay, che in effetti pare priva di solido fondamento, la questione su cui dovrà necessariamente confrontarsi la Corte speciale indiana che sarà chiamata a giudicare i due marò italiani è in effetti proprio quella dell’immunità funzionale di diritto internazionale a beneficio dei due marò.

Come si è prima osservato, l’obbligo in capo a Stati esteri di riconoscere l’immunità giurisdizionale a beneficio degli individui che abbiano agito in qualità di organi di uno Stato discende da una norma di diritto internazionale consuetudinario, vincolante dunque tutti gli Stati.

Appare tuttavia problematico sostenere che la regola sull’immunità funzionale possa trovare applicazione in virtù della natura ufficiale dell’attività svolta dai nostri militari, come è stato sostenuto dal nostro Governo. La possibilità di applicare la norma sull’immunità funzionale è infatti condizionata non solo dalla circostanza che un individuo rivesta la qualità di organo dello Stato italiano (circostanza che può dirsi assodata nel caso dei marò), bensì anche dal fatto che la sua attività rientri nel quadro delle funzioni ufficiali che gli sono state conferite. Ebbene, se è certo che i nostri militari si trovavano a bordo della nave per svolgere una funzione di protezione rispetto ad eventuali ad attacchi di pirati, non è incontrovertibile che il paventato attacco alla nave che li ha condotti a usare le armi e a fare fuoco potesse essere considerato come un possibile attacco di pirateria.

La definizione di pirateria contenuta nella Convenzione di Montego Bay, che peraltro è ritenuta corrispondente al diritto internazionale consuetudinario vigente, stabilisce che l’attività di violenza che concreta l’azione di pirateria debba avvenire a danni di una nave o delle persone o beni da essa trasportati in alto mare12. Il fatto che la Convenzione stessa consideri alto mare lo spazio marino che si estende oltre la zona economica esclusiva (che si estende fino alle 200 miglia marine dalla linea di base del mare territoriale e dunque ingloba la zona doganale) potrebbe quindi interpretarsi nel senso che gli atti di violenza commessi contro la nave che si trovi nella zona economica esclusiva o la zona doganale di uno Stato non rientrino nella definizione di pirateria. Si tratta di una lettura che è stata avanzata in dottrina, sebbene non possa dirsi pacificamente accolta13. Tuttavia essa serve a chiarire che non è assodato che i fatti contestati ai due marò italiani possano incontestabilmente qualificarsi come atti commessi nell’esercizio della loro funzione: se quest’ultima era quella di proteggere la nave da possibili attacchi pirati (come previsto dalla normativa italiana rilevante), e i marò italiani hanno però reagito ad una paventata azione di violenza contro la nave di per sé non qualificabile come pirateria, non è scontato che le loro azioni possano essere considerati alla stregua di atti rientranti nell’esercizio delle funzioni, dovendo invece qualificarsi ultra vires. Tanto più che le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rilevanti in materia, forse non inutilmente, invitano gli Stati a prendere misure non soltanto in relazione agli atti di pirateria, ma anche a quelli di armed robbery at sea (rapina a mano armata negli spazi marini14). La normativa italiana che autorizza la presenza a bordo di navi commerciali di personale militare ha però omesso il riferimento a quest’ultima fattispecie e ha dunque mancato di affidare ai nostri militari una funzione di protezione e sicurezza rispetto ad azioni di violenza in mare non qualificabili come pirateria.

In ogni caso, giova infine osservare che, a fronte della reiterata presa di posizione del Governo italiano circa la sussistenza dell’immunità funzionale a beneficio dei due marò rispetto alla giurisdizione indiana, in dottrina (ivi inclusa la dottrina italiana) vi è chi ha contestato l’esistenza stessa di una norma internazionale di diritto consuetudinario in materia15. Tra l’altro, ed è quanto più importa, quest’ultima posizione dottrinale ha avuto anche seguito nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione italiana in relazione alla vicenda giudiziaria sul caso Abu Omar. Dovendo pronunciarsi sul preteso difetto di giurisdizione italiana nei confronti di due imputati statunitensi accusati del sequestro a Milano e del trasferimento forzato in Egitto di Abu Omar (Robert Seldon Lady e Sabrina De Sousa, che all’epoca dei fatti svolgevano funzioni consolari in Milano), nella sentenza del 29.11.2012, la nostra Suprema Corte ha ritenuto di disconoscere l’esistenza di una norma di ampia portata in materia di immunità funzionale alla luce dell’assenza di una prassi internazionale consolidata, e alla conseguente incertezza che regna nella materia (e che ha condotto alla sua regolamentazione per i militari dislocati all’estero attraverso la stipulazione degli Status of Forces Agreement), e poiché in Italia «l’immunità penale dell’organo straniero è stata riconosciuta soltanto in casi riconducibili a specifici accordi aventi rango costituzionale come i Patti Lateranensi». La Corte ha quindi concluso che «il trattamento applicato in materia si presenta con tali discontinuità da non consentire la ricognizione di una norma [di diritto internazionale] di portata generale; ed, infatti, la sottrazione alla giurisdizione straniera per gli organi dello Stato in ipotesi inviante è prevista in specifici trattati, mentre in assenza di essi l’immunità funzionale di norma non viene riconosciuta dagli organi giurisdizionali nazionali». Si è dunque giunti alla situazione paradossale secondo cui la norma di cui il nostro Governo reclama il rispetto a livello internazionale da parte di Stati esteri (ossia la norma internazionale che conferirebbe immunità funzionale ai nostri marò innanzi alle Corti indiane) è invece ritenuta insussistente dalla Suprema autorità giudiziaria del nostro ordinamento, quando si tratta di applicarla a vantaggio di organi di Stati esteri responsabili di gravi reati nel nostro territorio.

Non vi è che da auspicare un intervento chiarificatore in materia, attraverso una convenzione di codificazione o attraverso una pronuncia della Corte internazionale di giustizia o altra autorevole istanza giudiziaria internazionale.

Note

1 Decreto-legge 12.7.2011, n. 107, «Proroga delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia e disposizioni per l’attuazione delle risoluzioni 1970 (2011) e 1973 (2011) adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonché degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione. Misure urgenti antipirateria», in GU n. 160 del 12.7.2011.

2 Legge 2.8.2011, n. 130, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107, recante proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia e disposizioni per l’attuazione delle Risoluzioni 1970 (2011) e 1973 (2011) adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Misure urgenti antipirateria», in GU n. 181 del 5.8.2011.

3 V. Camera dei deputati, Atti Parlamentari, resoconto sommario e stenografico, seduta 14.3.2012, «Informativa urgente del Governo sull’uccisione di un cittadino italiano rapito in Nigeria e sull’arresto di due militari italiani in India», p. 7.

4 V. Senato della Repubblica, XVI legislatura, Resoconto stenografico della seduta n. 690 del 13.3.2012, «Informativa del Ministro degli affari esteri sull’uccisione di un cittadino italiano rapito in Nigeria e sull’arresto di due militari italiani in India e conseguente discussione» (ore 16, 39).

5 Ibidem, 124.

6 Writ Petition (Civil)No. 135 of 2012, Republic of Italy & Ors vs. Union of India & Ors., with Special Leave Petition (Civil) No. 20370 of 2012, Massimiliano Latorre & Ors. Vs. Union of India & Ors., pubblicata sul sito della Società italiana di diritto internazionale, all’indirizzo: http://www.sidi-isil.org/wp-content/uploads/2013/03/SUPREME-COURT-OF-INDIA-18.01.2013.pdf.

7 Comunicato dell’11.3.2013: Terzi, restano in Italia; Controversia Internazionale, disponibile sul sito del Ministero degli affari esteri all’indirizzo: http://www.esteri.it/MAE/IT/Sala_Stampa/ArchivioNotizie/ Comunicati/2013/03/20130311_Maro_restano_in_Italia.htm?LANG=IT.

8 Sul punto, v. Licata, F., Diritto internazionale, immunità, giurisdizione concorrente, diritti umani: le questioni aperte nel caso dei marò e la posizione della Corte suprema indiana, in Dir. pen. contemp., n. 2/2013, disponibile anche online in www.penalecontemporaneo.it.

9 Comunicato del 6.3.2012 del Ministro degli affari esteri Giulio Terzi, MARO’: Terzi convoca Ambasciatore indiano a Roma Illegittimo il procedimento nei confronti dei due militari, disponibile sul sito del Ministero all’indirizzo: http://www.esteri.it/MAE/IT/Sala_Stampa/ArchivioNotizie/Approfondimenti/2012/03/20120306_Maro.htm.

10 V. nota 7.

11 V. le giuste osservazioni di Conforti, B., In tema di giurisdizione penale per fatti commessi in acque internazionali, pubblicato sul sito della Società italiana di diritto internazionale, all’indirizzo: http://www.sidi-isil.org/?page_id=119.

12 Art. 101 della Convenzione di Montego Bay.

13 Sul punto Barnie, P.W., Piracy. Past , Present and Future, in Marine Policy, July 1987, 163 ss., 172.

14 V. ad esempio la risoluzione 1897/2009.

15 Frulli, M., Immunità e crimini internazionali: l’esercizio della giurisdizione penale e civile nei confronti degli organi statali sospettati di gravi crimini internazionali, Torino, 2007.

CATEGORIE