Il Congresso di Vienna e l’assetto politico dell’Europa

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Tommaso Braccini
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Dopo la grande Rivoluzione e l’avventura napoleonica, con il Congresso di Vienna l’Europa torna a discutere i tradizionali problemi dell’equilibrio tra potenze. Sembra un puro e semplice ritorno al passato – e così, almeno, immaginano i sovrani che danno vita alla Santa Alleanza – ma in realtà nulla è più come prima: idee e interessi nuovi premono per dare all’Europa un volto moderno.

Il sistema dell’equilibrio

Riuniti a Vienna dal novembre del 1814 al giugno del 1815 (con l’inattesa sospensione dovuta ai Cento giorni di Napoleone), i rappresentanti delle grandi potenze europee hanno come loro essenziale obiettivo quello di riportare l’Europa a un sistema di equilibri reciproci che faccia dimenticare la lunga instabilità seguita alla Rivoluzione francese e all’Impero napoleonico. Grazie soprattutto ai due protagonisti del Congresso, il francese Talleyrand e l’austriaco Metternich, si afferma il fondamentale criterio ispiratore del nuovo assetto continentale, il principio di legittimità sulla base del quale riportare sui loro troni i sovrani spodestati durante le turbinose vicende del precedente ventennio e, per quanto possibile, ricondurre i singoli Stati nelle frontiere del 1789. In virtù di questo principio anche la Francia borbonica si presenta, almeno apparentemente, non come uno Stato sconfitto, ma come una delle grandi potenze europee, vittima della Rivoluzione e di Napoleone da reintegrare nel generale sistema di equilibri continentale. Ciò, peraltro, non può far dimenticare i rischi corsi da quel sistema nel recente passato a causa della politica estera francese. Tra i principali obiettivi del Congresso di Vienna, quindi, vi è anche l’organizzazione di nuove realtà politiche e sfere d’influenza sulla frontiera orientale della Francia che controllino una capacità espansionista manifestatasi ininterrottamente da Luigi XIV a Napoleone. Risponde a questa esigenza la nascita del Regno dei Paesi Bassi con l’unione dell’Olanda e del Belgio; la conferma dell’egemonia diretta o indiretta dell’Austria sulla penisola italiana; la creazione di una Confederazione germanica che riunisce gli Stati sopravvissuti alla semplificazione napoleonica dell’intricata mappa politica tedesca e retta, per i pochi affari comuni, da una Dieta presieduta dall’Austria.

Sul mondo tedesco, però, comincia ora a profilarsi l’interesse della Prussia che dopo il Congresso vede notevolmente estesi i suoi possedimenti verso occidente. Anche la Russia – grazie all’acquisto della Finlandia e della Polonia – si impone ormai come una potenza determinante nel sistema di equilibrio europeo. Assicurandosi il controllo di Malta e delle isole Ionie, e molti degli antichi possedimenti coloniali francesi, la Gran Bretagna sembra confermare la sua vocazione extraeuropea. In realtà la sua più preziosa vittoria sta proprio nell’aver impedito ogni visibile egemonia continentale, raggiungendo così lo scopo fondamentale per cui aveva combattuto più di venti anni, animando tutte le coalizioni antifrancesi dal 1792 al 1814.

L’assetto dell’Italia

Il cambiamento più vistoso per l’Italia uscita dal Congresso di Vienna, rispetto all’assetto del 1789, consiste nella definitiva scomparsa delle due grandi repubbliche aristocratiche: Genova, annessa al Piemonte (o più esattamente al Regno di Sardegna), e Venezia che, con la Lombardia, va a costituire il Regno Lombardo-Veneto sotto il dominio dell’imperatore d’Austria. Per il resto la mappa dell’Italia appare sostanzialmente invariata. In realtà le vicende rivoluzionarie hanno sconvolto in profondità la fisionomia della penisola fissata dalla pace di Aquisgrana (1748). La Restaurazione si apre quindi con un deciso orientamento in senso asburgico di tutti i sovrani italiani, contraddicendo quella vocazione all’autonomia tipica del secondo Settecento. Questo è vero non solo per uno Stato come il Granducato di Toscana, legato da sempre con vincoli familiari alla casa asburgica, ma anche per quegli Stati che proprio allora vedono nascere tale legame, come il Ducato di Modena, posto sotto la sovranità del duca Francesco IV d’Asburgo-Este, o il Ducato di Parma e Piacenza, assegnato a Maria Luisa, figlia dell’imperatore d’Austria e per breve tempo moglie di Napoleone.

Anche i due grandi Stati nei quali si assiste al ritorno dei sovrani legittimi (Vittorio Emanuele I a Torino e Ferdinando a Napoli , dove assume il nuovo titolo di Ferdinando I di Borbone re delle Due Sicilie) vedono nella politica e nella forza militare austriaca il più sicuro sostegno ai loro troni. Ovunque, insomma, si allontana irreparabilmente la tensione riformatrice che ha reso le capitali italiane – e in particolare Napoli, Firenze e Milano – centri vivacissimi dell’Illuminismo europeo e sembra riproporsi una storia già nota di subalternità a una potenza straniera, nella quale si immiserisce la vita culturale e si corrompe il tessuto morale della società italiana.

La Santa Alleanza

A margine dei lavori del Congresso, Austria, Prussia e Russia concludono un accordo, voluto particolarmente dallo zar Alessandro, con il quale si impegnano a prestarsi reciproco soccorso. Più che di un’intesa politica si tratta di un documento ideologico, che prende esplicitamente a pretesto le tragiche turbolenze rivoluzionarie degli ultimi anni, per riaffermare – anche con il richiamo alle Sacre Scritture – i principi tradizionali dell’ordine sociale, della religione e del trono. Considerandosi come “delegati della Provvidenza a governare tre rami di una stessa famiglia”, in questo documento i sovrani delle tre potenze dichiarano di voler assicurare all’intera Europa, intesa come grande e unica famiglia cristiana, la stabilità e la pace di cui sembra aver bisogno. L’affermazione ideologica contiene quindi un’indicazione politica che non tarderà a rendersi estremamente concreta. Essa, infatti, fa da presupposto e legittima il principio d’intervento negli affari interni di Stati scossi da rivolte contro l’ordine restaurato, in nome del quale verranno represse di lì a pochi anni le rivoluzioni liberali in Italia, Spagna e Polonia.

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