Il libro

Dizionario di Storia (2010)

Il libro

Marilena Maniaci

A lungo considerato come supporto e vettore pressoché «neutro» di un contenuto, il libro – manoscritto e a stampa, nella varietà delle sue manifestazioni materiali – è il manufatto e il testimone storico più abbondantemente conservato, assai spesso in condizioni originarie o vicine a quelle originarie, e ancora utilizzabile per le finalità per le quali era stato inizialmente concepito. Esito di un lungo e complesso processo di evoluzione, esso costituisce la risposta più duratura ed efficace alla duplice necessità di uno strumento di fissazione e conservazione a lungo termine di contenuti intellettuali e di un veicolo materiale per la loro diffusione, in una forma (relativamente) maneggevole, resistente all’usura e adattabile a diverse condizioni d’uso; ma è anche un oggetto culturale simbolico, portatore, nella sua apparente semplicità strutturale, di una molteplicità di significati di natura socioculturale, economica, etica e politica, il cui studio si situa al crocevia di un ampio insieme di discipline storiche.

Malgrado la sua onnipresente familiarità nella totalità delle culture fondate sullo scritto, il libro è stato ed è tuttora un manufatto dalle manifestazioni svariate, fonte di definizioni molteplici e non sempre rigorose, nessuna delle quali consente di distinguerlo puntualmente e senza ambiguità da altri supporti di scrittura. L’oggetto più comunemente inteso come «libro» è di fatto una fra le possibili forme di associazione fra un messaggio (verbale, iconico, musicale ecc.) destinato a essere conosciuto e trasmesso e un oggetto materiale trasportabile e alienabile, concepito a questo scopo; altre forme in grado di realizzare tale associazione sono esistite, esistono ed esisteranno. Vi sono, all’inverso, del resto, svariati manufatti che non possono essere definiti libri: perché non sono destinati a circolare (come i testi epigrafici) o perché non sono a priori destinati alla conservazione duratura (epistole, manifesti, dépliant); così come esistono oggetti che hanno la forma abituale del libro «a pagine» ma di fatto non lo sono, perché la loro funzione primaria non è quella di ospitare un contenuto (si pensi ai «libri d’artista»).

Di fatto, il libro, come è oggi maggioritariamente inteso, è un oggetto composto da una successione di pagine sfogliabili, il quale – indipendentemente dalle pratiche specifiche di confezione e dalla tecnologia adoperata per fabbricarlo – presenta una serie di peculiarità che ne hanno garantito, sin dalla sua sostituzione a una forma più antica (il rotolo) il successo plurimillenario: la capienza modulabile secondo le necessità, lo sfruttamento ottimale degli spazi, la comodità di lettura, la facilità di consultazione di passi specifici, il contenimento dei costi. Alcune di queste caratteristiche appaiono rilevanti, in quanto foriere di conseguenze significative per le modalità di trasmissione e di fruizione dei contenuti. Una di esse è certamente rappresentata dall’impaginazione, intesa come la disponibilità ad accogliere ordinatamente (mise en page) e a rendere agevolmente fruibili (mise en texte) contenuti complessi, tramite la possibilità di associare su una stessa pagina testi principali e accessori e l’elaborazione di dispositivi paratestuali per l’articolazione razionale del flusso testuale. Una seconda è costituita dalle potenzialità «evolutive» del «libro a pagine», vale a dire la possibilità di trasformarne nel tempo la struttura fisica (aggiunte, sottrazioni, trasposizioni di pagine o blocchi di fascicoli o anche il riempimento con parole e immagini degli spazi inizialmente previsti per rimanere vuoti) al fine di modificarne l’entità e/o la fisionomia dei contenuti, accompagnando e assecondando le esigenze del lettore o consentendo l’aggiornamento di testi invecchiati e non più attuali. Non va dimenticato tuttavia che ai vantaggi di ordine funzionale ed economico si accompagnano, sin dagli albori dell’affermazione del codice, motivazioni ideologiche e sociologiche (legate alla volontà del cristianesimo avanzante di differenziarsi dalla tradizione pagana di matrice ellenistica): testimonianza evidente del fatto che il libro, già nelle fasi più antiche della sua storia, parla tramite il proprio assetto fisico prima ancora, e oltre che, attraverso il contenuto. Anche nelle epoche successive, le esigenze utilitarie (trasformazioni sociopolitiche, intensificarsi e diversificarsi della richiesta, evoluzioni profonde nei sistemi di insegnamento e nei livelli di alfabetizzazione) e l’emergere connesso di nuove ideologie culturali o di nuovi gusti si riflettono in mutamenti delle forme e delle tecnologie di riproduzione dei testi. Ne è prova l’evoluzione consumatasi fra alto e basso Medioevo: al libro monastico, manufatto autarchico di livello per lo più (ma non sempre) modesto, elaborato all’interno di comunità votate al lavoro e alla preghiera e avvezze a una gamma quantitativamente e qualitativamente limitata di letture, si contrappone il libro allestito e circolante nel contesto di una cultura urbana, pensato per lo studio, la predicazione, l’attività professionale, e in quanto tale dotato di nuovi requisiti funzionali (una scrittura fitta di abbreviazioni, contenuta entro una griglia compatta suddivisa in due strette colonne, con il testo segmentato in righe brevi e finemente articolato in sezioni, tramite l’inserimento di rubriche, segni di paragrafo, titoli, sommari, concordanze, indici, tavole alfabetiche), ma anche il nuovo libro in volgare, formalmente modesto o dimesso, proprio di una borghesia laica ignara del latino, o ancora il libro di corte finemente decorato, protagonista ostentato delle biblioteche signorili.

I vantaggi citati del codice si ritrovano nel libro a stampa, in cui il passaggio – a lungo termine, ma non immediatamente, «rivoluzionario» – da oggetto unico e costoso a prodotto seriale dalla conformazione uniforme, dai costi relativamente contenuti e passibile di ampia diffusione, si accompagna inizialmente all’assenza di sostanziali cesure rispetto ai vigenti modelli librari. L’incunabolo mantiene infatti le caratteristiche strutturali del codice – di cui imita l’organizzazione della pagina, le scritture, la decorazione (eseguita normalmente a mano) – e riprende (irrigidendole e occasionalmente fraintendendole) le tipologie formali definite in funzione di specifici pubblici di riferimento e cristallizzate da una lunga tradizione; e d’altra parte, è noto che libri manoscritti e libri a stampa sono coesistiti per qualche tempo sul mercato e per svariate decine di anni nelle biblioteche. Solo a partire dal 16° sec., con l’aumento delle tirature, il libro tipografico si dota di una nuova veste esterna (segnata dall’apparizione del frontespizio e dall’anticipazione al momento della vendita della legatura, prima affidata per lo più all’acquirente), atta a garantirgli visibilità e riconoscibilità su un mercato sempre più caratterizzato dallo sviluppo di grandi imprese editoriali; in tal modo, esso prende più decisamente le distanze dal manoscritto, avviandosi lungo un cammino millenario segnato da un’accelerazione tecnologica sempre più veloce, fino al passaggio, nel corso del 19° sec., dalla produzione manuale a quella meccanica e infine, nel 20°, a quella elettronica. L’aspetto forse più rilevante di questa storia durata oltre cinquecento anni è dato dalla cristallizzazione della struttura fisica del libro, ovvero dal venir meno della dimensione di «oggetto evolutivo» caratteristica del manoscritto: una potenzialità che l’avvento del cosiddetto «libro elettronico» sta, con diverse implicazioni, riportando alla ribalta.

Da una visione prettamente ausiliaria e strumentale delle «discipline del libro» – etichettate a lungo come «ausiliarie» e condannate pertanto a una (sia pur legittima e utile) funzione di supporto a obiettivi ritenuti più «nobili» (lettura di testi, datazione e localizzazione di manufatti per il manoscritto, ricostruzione in chiave annalistica o prosopografica della storia della tipografia) – si è passati, sul finire del «millennio del libro», ovvero intorno alla metà del sec. 20°, a un significativo affinarsi e diversificarsi dell’attenzione rivolta sia al libro come oggetto sia alle sue pratiche di utilizzazione e ai significati a esso attribuiti nel sistema sociale della comunicazione. Ne è risultato un fiorire di approcci e orientamenti, anche se dai fondamenti epistemologici non sempre definiti, spesso enunciati in forma «difensiva» o connotati da specifici presupposti ideologici. Così la filologia dei testi manoscritti e a stampa ha affinato e consolidato la consapevolezza che le relazioni tra i testimoni di un testo sottendono rapporti tra oggetti e persone (committenti, copisti, lettori, possessori, annotatori) e sviluppato di conseguenza metodi propri di indagine; la paleografia, forte di un’antica tradizione erudita, ha affiancato alla storia delle forme e delle tecniche dello scrivere quella delle loro implicazioni sociali (alfabetismo e diffusione sociale della cultura scritta); la ricostruzione erudita della storia della stampa tipografica e dell’editoria è evoluta in storia delle pratiche editoriali, commerciali e biblioteconomiche, della circolazione e dell’uso dei libri, in una visione sociologica, in cui la presenza (o l’assenza) del libro all’interno di una cerchia o di una società è impiegata come chiave di interpretazione globale del suo funzionamento; contemporaneamente la codicologia, la bibliologia e la bibliografia analitica (così vicine da risultare secondo alcuni sinonimiche) hanno rivendicato la legittimità di una visione del libro come oggetto «archeologico», la cui costruzione (supporti, inchiostri, fascicolazione, formati e impaginazione, ornamentazione e illustrazione, legatura, caratteri tipografici) è il risultato di saperi tecnici, procedure artigianali, sistemi di produzione costretti a subire e conciliare gli influssi contrastanti di imperativi economici, ragioni funzionali, tradizioni, gusti in evoluzione; la storia della lettura si è indirizzata allo studio delicato dei meccanismi di ricezione dei testi, scandagliando le modalità con cui le forme del libro influenzano la costruzione del senso, al pari delle competenze dei lettori e delle condizioni di contesto in cui la lettura si svolge; la storiografia bibliotecaria ha affrontato la storia ideale o materiale dei fondi librari antichi («archivistica dei manoscritti») e moderni, attraverso la ricostruzione della genesi e dell’evoluzione dei rapporti fra i singoli libri, considerati come elementi di un insieme del quale indagare la vicenda comune.

Quelli ricordati sono solo alcuni degli indirizzi che la ricerca sul libro ha originato e alimenta. Allo sforzo di una visione sempre più articolata si contrappone il condizionamento di distinzioni (e contrapposizioni) proprie di un mondo di specialismi in parte indotte dalla prassi accademica, che limita l’intersezione feconda dei saperi, cristallizzandoli in compartimenti didattici artificiosamente predefiniti e ostacolando in tal modo, ancora oggi, la costruzione di una storia «unitaria» del libro nella sua valenza complessiva di testimonianza materiale e intellettuale.

Nel frattempo, come è già avvenuto per il passaggio dal manoscritto al libro tipografico, l’avvento dell’e-book viene annunciato come una nuova «rivoluzione», a fronte della quale il libro cartaceo sarebbe inevitabilmente destinato a soccombere. È indubbio che il «libro elettronico» pone allo storico problemi e interrogativi nuovi, a cominciare dalla definizione del rapporto di somiglianza/alterità con il suo predecessore cartaceo, rispetto al quale ostenta caratteri di continuità (dimensioni, impostazione della pagina, simulazione dell’inchiostro tipografico), ma anche vistose differenze (scomparsa delle pagine e rinuncia alla persistenza dei contenuti, che non è più garantita neppure se il dispositivo è dotato di una memoria perenne incorporata, ma pur sempre cancellabile). Evitando rischiose quanto scontate profezie sul «futuro del libro», è interessante constatare come il processo tecnologico in atto (che non ha ancora raggiunto livelli di comfort comparabili a quelli della lettura delle «pagine sfogliabili»), spinga alla personalizzazione massima dell’informazione (possibilità di scaricare molti libri su uno stesso supporto, di modificarne la sequenza e l’assetto, di inserire annotazioni ecc.), recuperando, in un certo senso, le prerogative del codice e imponendo, ancora una volta, nuove maniere di leggere, ancora largamente imprevedibili nella loro futura evoluzione.

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