Il nuovo rito appalti

Il Libro dell Anno del diritto 2017

Il nuovo rito appalti

Giulia Ferrari

L’art. 204 del nuovo codice dei contratti pubblici ha modificato l’art. 120 c.p.a. prevedendo sia l’immediata impugnazione del provvedimento di esclusione dalla gara e di quello che dispone l’ammissione di altro concorrente in gara, ove si ritenga che lo stesso sia privo dei requisiti soggettivi, economico finanziari e tecnicoprofessionali, sia termini ristretti per la definizione del contenzioso insorto su questi atti.

La ricognizione

Il nuovo codice dei contratti pubblici, approvato con d.lgs. 18.4.2016, n. 50, non si è limitato a dettare, in attuazione della legge delega 28.1.2016, n. 11, la nuova disciplina degli appalti di lavori, servizi e forniture e ad introdurre una disciplina organica, prima assente, delle concessioni di lavori e di servizi. Ha infatti inserito norme che disciplinano il relativo contenzioso, giudiziale (Capo I, composto dal solo art. 204) e stragiudiziale (Capo II, artt. 205-211).

È noto che il processo appalti è disciplinato dall’art. 120 c.p.a., che ha introdotto per questa materia un rito accelerato, riducendo i termini di quello abbreviato del precedente art. 119, al quale pure rinvia. La norma del codice del processo è stata tra quelle più riviste in questi primi sei anni di vita dello stesso codice, nel tentativo di far fronte all’accusa che i ricorsi avverso le procedure di gara proposti dinanzi al giudice amministrativo – troppi e di eccessiva durata – bloccassero “i cantieri” e, quindi, l’economia. L’intervento più importante, prima della “rivoluzione” del 2016, è stato quello dell’art. 40, co. 1, d.l. 24.6.2014, n. 90, che ha sostituito (con la lett. a del co. 1) il co. 6 dell’art. 120 nel senso che, ove il merito non sia stato definito già nella fase cautelare, il ricorso deve comunque essere deciso, con sentenza in forma semplificata, all’esito dell’udienza da celebrare, sempre d’ufficio, entro 45 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente (termine che è di 30 giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso). Se la causa non è matura per la decisione, perché non è rispettato il termine a difesa delle parti o è necessario integrare il contraddittorio o disporre incombenti istruttori, è fissata la nuova data dell’udienza, da tenersi non oltre 30 giorni (nel silenzio della norma, si ritiene dalla data dell’udienza da rinviare). La lett. b) del co. 1 del cit. art. 40, nel testo modificato dalla legge di conversione, ha previsto, introducendo il co. 8 bis, che in caso di accoglimento dell’istanza cautelare, anche qualora dalla decisione non derivino effetti irreversibili, l’efficacia di tale misura può essere subordinata alla prestazione, anche mediante fideiussione, di una cauzione, di importo commisurato al valore dell’appalto e, comunque, non superiore allo 0,5 per cento del suddetto valore. La sentenza resa dal giudice di primo grado deve essere depositata entro 30 giorni dall’udienza di discussione (co. 9 dell’art. 120, come modificato all’art. 40, co. 1, lett. c), d.l. n. 90/2014, nel testo risultante dalla legge di conversione). Le parti possono chiedere la pubblicazione del dispositivo della decisione, che deve avvenire entro 2 giorni “dall’udienza”. Anche quest’ultima previsione è fortemente innovativa atteso che, prima della novella del 2014, il dispositivo doveva essere depositato sempre, e non solo se richiesto dalle parti, nel termine di 7 giorni “dalla data della delibazione”. In appello l’applicazione del co. 9 (poi in parte modificato dall’art. 204 d.lgs. n. 50/2016) era escluso dal successivo co. 11, con la conseguenza che per effetto del co. 3 trovava applicazione l’art. 119 c.p.a., che al co. 5 prevede che il dispositivo è pubblicato, solo su richiesta di una delle parti, non oltre 7 giorni dalla decisione della causa.

L’art. 204 d.lgs. n. 50/2016 ha, come si è detto, modificato ancora più incisivamente il rito appalti prevedendo, in particolare, l’immediata impugnazione delle ammissioni dei concorrenti in gara e un rito più celere per la definizione – preferibilmente in camera di consiglio – del contenzioso insorto sugli atti di gara individuati nel co. 2 bis.

La focalizzazione

Indubbiamente la novità più importante e più innovativa introdotta dall’art. 204 d.lgs. n. 50/2016, perché incide sui principi cardine del processo, è quella che prevede l’immediata impugnazione dell’ammissione dei concorrenti alla gara, anche perché ad una sempre maggiore concentrazione dei termini di svolgimento dei processi e di loro definizione il legislatore ci aveva ormai abituati, e non solo nel settore degli appalti pubblici1.

Procedendo con ordine ad inquadrare la novella del 2016, per coglierne la ratio sottesa, va osservato che l’art. 204, d.lgs. n. 50/2016 ha in effetti previsto, introducendo il co. 2 bis all’art. 120 c.p.a., l’impugnazione immediata del provvedimento di esclusione e di quello di ammissione dei concorrenti, quest’ultimo se ritenuto viziato per non essere l’operatore economico in possesso dei requisiti soggettivi, economico-finanziari o tecnico-professionali. Ha con tale previsione recepito l’articolo unico, co. 1, lett. bbb), della legge delega n. 11/2016, che aveva prescritto la revisione e razionalizzazione del rito abbreviato, per i giudizi aventi ad oggetto le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, «anche mediante l’introduzione di un rito speciale in camera di consiglio, che consente l’immediata risoluzione del contenzioso relativo all’impugnazione dei provvedimenti di esclusione dalla gara o di ammissione alla gara per carenza dei requisiti di partecipazione; previsione della preclusione della contestazione di vizi attinenti alla fase di esclusione dalla gara o ammissione alla gara nel successivo svolgimento della procedura di gara e in sede di impugnazione dei successivi provvedimenti di valutazione delle offerte e di aggiudicazione, provvisoria e definitiva».

Nell’individuare gli atti immediatamente impugnabili lo schema di decreto di recepimento del codice dei contratti, approvato dal Consiglio dei ministri del 3.3.2016, era andato oltre, disponendo l’immediata impugnazione anche della composizione della Commissione di gara. Tale previsione è stata però espunta in adesione al rilievo, sollevato dal Consiglio di Stato nel parere n. 855, reso l’1.4.2016 sullo schema di decreto, secondo cui «Vista la natura eccezionale del rito, derogatorio rispetto ai termini e alle regole generali, si impone un’attuazione non estensiva della delega … »; «l’espunzione è anche coerente con la ratio del nuovo rito, volto a definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e alla conseguente aggiudicazione»2.

Il co. 2 bis ha individuato in 30 giorni il termine per impugnare le esclusioni e le ammissioni, decorrenti dalla pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante del relativo provvedimento, ai sensi dell’art. 29, co. 1, del codice dei contratti. La norma ha poi precisato che l’ammissione degli altri concorrenti non può essere censurata con ricorso incidentale proposto per paralizzare il ricorso principale con il quale è impugnata l’aggiudicazione. Conseguenza, questa dell’inammissibilità del ricorso incidentale proposto avverso l’ammissione del ricorrente principale, che costituisce corollario obbligato dell’onere di impugnare immediatamente l’ammissione degli altri concorrenti, ove ritenuta illegittima, senza attendere che si concretizzi la lesione con l’aggiudicazione ad uno di questi della gara. L’aggiudicatario potrà dunque, con il ricorso incidentale, dedurre solo vizi del bando, della composizione della Commissione di gara o, con riferimento alla posizione del ricorrente principale, vizi della documentazione prodotta e verificata dopo l’aggiudicazione nonché dell’offerta stessa3.

Nonostante il rilievo del Consiglio di Stato contenuto nel parere n. 855 del 2016, il legislatore delegato non ha eliminato il riferimento all’inammissibilità dell’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria, pur avendo mutato – questa volta recependo il parere formulato sull’art. 32, d.lgs. n. 50/2016 (Fasi delle procedure di affidamento) – il riferimento all’”aggiudicazione provvisoria” con quello alla “proposta di aggiudicazione”. Tale scelta appare pienamente condivisibile. È noto il principio secondo cui l’aggiudicazione provvisoria è un mero atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili e del tutto interinali, che si inserisce nell’ambito della scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo, atteso che la definitiva individuazione del concorrente cui affidare l’appalto risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva; ciò nonostante molti sono i ricorsi tuzioristicamente (e inutilmente) proposti avverso tale aggiudicazione, salvo poi depositare atto di motivi aggiunti avverso l’aggiudicazione definitiva, pena l’improcedibilità del ricorso, proprio in considerazione del fatto che il procedimento, che conduce all’affidamento del contratto, è proseguito anche dopo l’aggiudicazione provvisoria e si è definitivamente concluso con un nuovo atto, nel quale sono espresse le autonome valutazioni compiute dalla stazione appaltante, anche in ordine alla persistenza dell’interesse alla stipulazione del contratto4.

Il co. 6 bis dell’art. 120 c.p.a., introdotto dall’art. 204, d.lgs. n. 50/2016, individua le regole processuali alle quali soggiace l’impugnazione degli atti previsti dal precedente co. 2 bis.

Salvo espresso avviso di una delle parti, l’udienza di trattazione della causa non è pubblica, ma si svolge in camera di consiglio. Il ricorso, come si è detto, deve essere proposto entro 30 giorni (lo stesso termine previsto per l’ordinario rito appalti) decorrenti dalla pubblicazione di tali atti sul profilo del committente della stazione appaltante e deve essere depositato entro 15 giorni; la camera di consiglio (o, come si è detto, se richiesta, l’udienza pubblica, che diventa quindi l’eccezione alla regola) deve essere celebrata entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente; il decreto di fissazione dell’udienza è comunicato alle parti 15 giorni prima dell’udienza; le parti possono produrre documenti fino a 10 giorni liberi prima dell’udienza (a differenza che nell’ordinario rito appalti, nel quale i documenti vanno depositati entro 20 giorni liberi prima dell’udienza), memorie fino a 6 giorni liberi (a differenza che nell’ordinario rito appalti nel quale le memorie vanno depositate entro 15 giorni liberi prima dell’udienza), e presentare repliche ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista della camera di consiglio, fino a 3 giorni liberi (a differenza che nell’ordinario rito appalti, nel quale le repliche vanno depositate entro 10 giorni liberi prima dell’udienza).

Aderendo ad un rilievo del Consiglio di Stato, non è stata eliminata la fase cautelare, sebbene nello stesso parere n. 855 del 2016 si riconosca che la stessa finisce, in un processo scandito da termini ridottissimi, per essere «di fatto e nell’ordinarietà dei casi, superflua! …. sicché la funzione anticipatoria, che è propria e tipica della tutela cautelare, non troverà ordinariamente possibilità di pratica esplicazione».

Sempre con riferimento alla fase cautelare – ma con previsione questa volta estensibile a tutto il rito appalti – l’art. 204 ha aggiunto all’art. 120 c.p.a. il co. 8 ter, in parte recependo quanto previsto dal legislatore delegato alla lett. aaa) del co. 1 dell’articolo unico5. Tale lettera ha disposto che «al fine di garantire l’efficacia e la speditezza delle procedure di aggiudicazione ed esecuzione dei contratti relativi ad appalti pubblici di lavori, previsione, nel rispetto della pienezza della tutela giurisdizionale, che, già nella fase cautelare, il giudice debba tener conto del disposto dell’articolo 121, comma 1, del codice del processo amministrativo, di cui all’allegato 1 annesso al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, e, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 122 e nell’applicazione dei criteri ivi previsti, debba valutare se il rispetto di esigenze imperative connesse a un interesse generale possa influire sulla misura cautelare richiesta». In ossequio alla legge delega il co. 8 ter ha previsto che «nella decisione cautelare, il giudice tiene conto di quanto previsto dagli articoli 121, comma 1, e 122, e delle esigenze imperative connesse a un interesse generale all’esecuzione del contratto, dandone conto nella motivazione», in tal modo collegando la decisione cautelare alle stesse valutazioni che devono orientare le scelte in ordine alla pronuncia di inefficacia del contratto eventualmente stipulato6.

Il rinvio della camera di consiglio può essere disposto solo in via del tutto eccezionale e la stessa deve comunque essere celebrata non oltre 15 giorni (decorrenti, si ritiene, dalla data di celebrazione della camera di consiglio rinviata) e non può essere concessa la cancellazione della causa dal ruolo, previsioni queste di notevole impatto, determinate dall’effettiva volontà del legislatore delegato di evitare che rinvii nella decisione possano, di fatto, porre nel nulla la riforma.

La sentenza è depositata entro sette giorni dalla camera di consiglio di discussione e il dispositivo, se richiesto, entro 2 giorni (ultimo periodo del co. 9, aggiunto dall’art. 204, d.lgs. n. 50). Al giudizio di appello si applica il nuovo rito, ivi compresa la disposizione relativa alla pubblicazione della sentenza entro sette giorni dalla camera di consiglio di discussione e del dispositivo, se richiesto, entro 2 giorni.

Con disposizione che prescinde dal nuovo rito applicabile al contenzioso proposto ai sensi dei commi 2 bis e 6 bis dell’art. 120 c.p.a., estendendosi a tutti i ricorsi proposti avverso gli atti di gara, l’art. 204 ha infine previsto che nel caso di concorrente che ha presentato offerte per più lotti l’impugnazione cumulativa è possibile solo se sono dedotti identici motivi di gravame avverso lo stesso atto (co. 11 bis dell’art. 120 c.p.a.). È stato così codificato un orientamento ormai pressoché consolidato del giudice amministrativo7 secondo cui l’ammissibilità del ricorso cumulativo resta subordinata all’articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della Commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni; in questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria, che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta.

I profili problematici

La legge delega n. 11/2016 e l’art. 204 del decreto delegato, che ha novellato l’art. 120 c.p.a., hanno perseguito il dichiarato fine, da un lato, di evitare che l’aggiudicazione di una gara possa essere annullata giudizialmente per un vizio della prima parte della procedura ad evidenza pubblica e, dunque, per l’ammissione di un concorrente privo di requisiti o per l’illegittima esclusione di un operatore che avrebbe invece potuto partecipare alla gara; dall’altro, di contrarre i tempi di durata del processo appalti, riducendo ancora di più la tempistica e inibendo (o quasi!) i rinvii della decisione della causa.

Si tratta di obiettivi meritevoli, specie in un settore strategico quale è quello degli appalti, ma non sempre la soluzione individuata per raggiungerli appare corretta.

Le critiche più forti degli studiosi e degli operatori del settore si sono appuntate sull’introduzione dell’obbligo di impugnare immediatamente il provvedimento di ammissione degli altri concorrenti8, che si contrappone ad una granitica giurisprudenza del giudice amministrativo, formatasi sulla portata dell’art. 100 c.p.c., secondo cui «per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse»9. Effettivamente si tratta di scelta che avrà, come effetto sicuro, il proliferare di ricorsi, molti dei quali, nella vigenza della pregressa disciplina, non sarebbero stati proposti per avere il concorrente presentato una offerta non competitiva10. Si potrebbe arrivare allo scenario che tutti i concorrenti impugnano l’ammissione degli altri operatori economici, ivi inclusi gli esclusi i quali, ove riuscissero a dimostrare l’illegittimità del proprio provvedimento di esclusione, si troverebbero poi inibita, in sede di impugnazione dell’aggiudicazione, la possibilità di dedurre motivi avverso l’ammissione dell’aggiudicatario. Dunque, il serio rischio dell’anticipazione di tali giudizi, voluta, come si è detto, dalla legge delega n. 11/2016, è un aumento considerevole del contenzioso, che porta a neutralizzare l’aspetto, indubbiamente favorevole, di cristallizzare e rendere intangibile la fase di gara relativa agli operatori economici ammessi a partecipare e di evitare, quindi, di annullare l’affidamento perché illegittimamente l’aggiudicatario non era stato escluso, mancando dei requisiti soggettivi o economico-finanziari o tecnico-professionali.

La previsione in esame è stata tacciata anche di incostituzionalità per violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost.11. In realtà non si tratterebbe di un effetto diretto della norma, che non esclude il ricorso avverso le ammissioni, ma introduce l’onere di immediata impugnazione, quanto piuttosto di un effetto indiretto, da riconnettere alla circostanza che l’anticipazione del ricorso ad una fase antecedente la conoscenza della competitività dell’offerta presentata potrebbe scoraggiare l’azione per non pagare il contributo unificato su un gravame che potrebbe risultare del tutto inutile. Ne consegue che, ove un vizio di costituzionalità volesse ravvisarsi, sarebbe nell’art. 204, d.lgs. n. 50/2016 non perché introduce il co. 2 bis, ma piuttosto perché non prevede anche una diversa disciplina per il contributo unificato. Ma se così è, si tratta di problema risolvibile non toccando il co. 2 bis dell’art. 120 c.p.a., che solo indirettamente introduce tale patologia, ma rivedendo la norma sul contributo unificato12, dovuto per questi ricorsi, da proporre quando ancora l’interesse non si è concretizzato, anche in considerazione del fatto che tale onere fiscale, in vigenza della vecchia disciplina, non sarebbe stato versato due volte da parte del ricorrente principale, risolvendosi i rilievi avverso l’ammissione in motivi dedotti in sede di impugnazione dell’aggiudicazione13.

La novella del 2016 presenta altri profili di problematicità.

Il primo è quello della portata del co. 2 bis dell’art. 120. Allo stesso sembra doversi riconnettere carattere tassativo, con la conseguenza che non deve essere immediatamente impugnato – salvo che non sia immediatamente lesivo (e lo é, come si dirà, per la stazione appaltante) – il parere, reso dall’Anac, ai sensi dell’art. 211, d.lgs. n. 50/2016, entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta14, che può pervenire dalla stazione appaltante o da un concorrente relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara. Se le parti della procedura di gara hanno preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in essa stabilito, il parere assume carattere vincolante.

Nel silenzio della norma in ordine al rito da seguire per impugnare tale parere (che, ai sensi dell’art. 211, «è impugnabile dinanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell’art. 120 c.p.a.»), si ritiene applicabile la generale disciplina dettata dal co. 6 dell’art. 120 c.p.a., stante il carattere eccezionale del rito introdotto dal co. 6 bis per l’impugnazione dei provvedimenti individuati dal precedente co. 2 bis, derogatorio rispetto ai termini e alle regole generali, che impone un’attuazione non estensiva di tale ultima norma. Ne consegue che: la stazione appaltante dovrà impugnare immediatamente il parere perché subito lesivo, dal momento che condiziona l’impostazione da dare alla procedura di gara, e si applicherà il procedimento dettato per il rito ordinario appalti e non quello introdotto dal co. 6 bis, il quale si riferisce ai soli provvedimenti, espressamente e tassativamente elencati dal co. 2 bis; il concorrente che ha richiesto il parere, limitando l’ambito di operatività del co. 2 bis alle ipotesi nello stesso espressamente previste, dovrà impugnarlo solo nel momento in cui la lesione diviene concreta ed attuale e dunque, se in conseguenza del parere in questione non si determina un effetto escludente dalla procedura, lo stesso andrà impugnato solo se la gara sarà aggiudicata ad altro concorrente; ad analoga conclusione dovrebbe giungersi con riferimento ad un concorrente terzo, che non ha chiesto o non ha accettato di avere il parere, per il quale la lesione sorgerà solo all’esito della procedura, ove l’appalto sia affidato ad altro operatore economico.

Molte perplessità suscita anche la previsione che il giudizio si svolge (tendenzialmente) in camera di consiglio, scelta questa non dettata, stante l’introduzione di termini propri per tale rito super accelerato, dalla necessità di sfruttare la regola dell’abbreviazione dei termini prevista dall’art. 87 c.p.a. per i giudizi svolti in camera di consiglio. Non convince poi, in un’ottica di semplificazione della procedura “rapidissima”, l’adesione del Governo al rilievo del Consiglio di Stato che, con riferimento alla previsione, contenuta nello schema di decreto, della possibilità di motivare la sentenza di secondo grado di reiezione ob relationem, richiamando le argomentazioni della decisione del Tar, ha affermato che «non appare del tutto rispettosa della portata costituzionale del doppio grado di giudizio, potendo non soddisfare le parti, che cercherebbero altri rimedi (revocazione, opposizione di terzo, ricorso per cassazione), con effetto opposto a quello perseguito (chiudere la lite in tempi brevi)». Si tratta, ad avviso di chi scrive, di conclusione che si pone in palese antitesi con la scelta di definire le sentenze del rito appalti preferibilmente con sentenza resa in forma semplificata ex art. 74 c.p.a. (co. 10 dell’art. 120 c.p.a.), che prevede proprio che il giudice estensore possa argomentare la decisione richiamando un procedente in termini. Non si vede allora quale lesione del diritto di difesa o del giusto processo possa configurarsi nel richiamare – facendole proprie – le argomentazioni con le quali il giudice di primo grado ha motivato la propria decisione. Richiamandole, infatti, il giudice di secondo grado le avrebbe assunte a supporto della reiezione dell’appello, invece di riprodurle nella propria sentenza.

Note

1 Il riferimento è al contenzioso elettorale e, in particolare, all’art. 129 c.p.a., che disciplina i giudizi proposti avverso gli atti di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali.

2 Eliminazione sulla quale si sofferma, con spunti critici, Ferrari, G., La tutela giurisdizionale, in La nuova disciplina degli appalti pubblici, a cura di R. Garofoli e G. Ferrari, Roma, 2016.

3 Ha chiarito Ferrari, G., La tutela, cit., che anche il ricorso incidentale, paralizzante il ricorso principale proposto avverso l’ammissione di un concorrente in gara, non sarà facilmente ipotizzabile, atteso che pure per il controinteressato, del quale è stata contestata giudizialmente l’ammissione, il termine per impugnare l’ammissione del ricorrente principale è di 30 giorni, con la conseguenza che la possibilità di agire in via incidentale (con un ricorso che avrebbe dovuto essere principale) è residuale perché configurabile nella sola ipotesi in cui il ricorso principale non sia notificato negli ultimi giorni, lasciando quindi margine al controinteressato di agire in giudizio nei 30 giorni decorrenti, questa volta, non – come è regola generale – dalla ricevuta notificazione del ricorso principale (art. 42, co. 1, c.p.a.), ma dalla conoscenza del provvedimento di ammissione, ex art. 120, co. 2 bis, c.p.a.

4 Cons. St., sez. IV, 7.11.2014, n. 5497; Cons. St., sez. V, 13.5.2013, n. 2578.

5 Ad avviso di Sandulli, M.A., Nuovi limiti alla tutela giurisdizionale in materia di contratti pubblici, in www.giustiziaamministrativa.it, 29.7.2016, «la norma è viziata da un evidente e gravissimo eccesso di delega, ché la legge delega parlava di esigenze imperative di interesse generale legate all’esecuzione di un’opera pubblica strategica (illegittimamente generalizzate dal legislatore delegato per tutti i contratti), la disposizione si pone in contrasto – stratosferico – con ogni regola di buona amministrazione: una giustizia adeguata ed effettiva contro gli atti amministrativi è invero strumento imprescindibile per garantire il rispetto dell’art. 97 Cost. e dell’art. 41 della Carta di Nizza».

6 Critico sulla previsione del co. 8 ter è Lipari, M., La tutela giurisdizionale e precontenziosa nel nuovo codice dei contratti pubblici, in www.federalismi.it, secondo cui «l’effettiva utilità della norma, che recepisce in modo pressoché letterale un puntuale criterio di delega, è assai discutibile, poiché, in linea generale, il nesso con gli esiti possibili del merito è sempre presente nella motivazione cautelare». Trova invece utile la novella Veltri, G., Il contenzioso nel nuovo codice dei contratti pubblici: alcune riflessioni critiche, in www.giustiziaamministrativa.it, 26.5.2016, sul rilievo che «il legislatore dice che già nella decisione cautelare, il giudice tiene conto di quanto previsto dagli artt. 121, comma 1, e 122, significa che se il contratto è stato già stipulato in violazione dello stand still o con violazione degli obblighi di evidenza pubblica, il giudice amministrativo non deve limitarsi a sospendere l’aggiudicazione, o addirittura giungere a ritenere insussistente il periculum essendosi ormai verificato l’evento della stipulazione, ma piuttosto deve sospendere il contratto, a meno che esigenze imperative lo sconsiglino».

7 Cons. St., sez. III, 4.2. 2016, n. 449; Cons. St., sez. V, 26.6.2015, n. 3241.

8 In effetti, come affermato da Ferrari, G., op. cit., la critica va rivolta alla legge delega, che l’art. 204 si è limitato, in parte qua, a recepire.

9 Del tutto condivisibilmente Severini, G., Il nuovo contenzioso sui contratti pubblici (l’art. 204 del Codice degli appalti pubblici e delle concessioni, ovvero il nuovo art. 120 del Codice del processo amministrativo), in www.giustiziaamminsitrativa.it, 3.6.2016, afferma che il legislatore, «abilitando al ricorso immediato, dà per costituito l’interesse a ricorrere, quasi fosse avvenuto a quel riguardo un effetto di lesione al bene della vita: cioè come ad applicarvi – secondo lo schema proprio delle finzioni giuridiche – una fattispecie legale di costituzione della lesione medesima. Il nuovo art. 120, co. 2 bis, c.p.a., senza dirlo (mentre lo diceva espressamente lo schema di decreto legislativo sottoposto al parere del Consiglio di Stato, per il quale i vizi relativi alla ammissione o all’esclusione dalla gara “sono considerati immediatamente lesivi”), agisce così sul rapporto tra lesione, interesse a ricorrere e azione in giudizio. La formula mostra che gli atti relativi alla costituzione dei protagonisti della gara sono considerati automaticamente generatori di un distinto interesse a ricorrere: e così è data azione in quanto ne è presunto l’interesse».

10 Si tratta in effetti di conclusione condivisa dai primi commentatori della novella del 2016. Cocchi, L., Prime osservazioni sul nuovo rito degli appalti, in www.giustiziaamministrativa.it, 16.6.2016, ha affermato che «l’obbligo di impugnazione immediata delle ammissioni altrui a pena di decadenza rompe il collegamento tra l’interesse attuale e concreto, che è stato riconosciuto dover essere alla base della possibilità della impugnazione giurisdizionale, per correlarlo ad una posizione (quella di mero partecipante alla procedura) in realtà priva di quelle connotazioni che secondo l’insegnamento tradizionale erano ritenute indeclinabili per la proponibilità del ricorso. La nuova previsione appare quindi suscettibile di comportare – forse in misura inferiore a quella che si potrebbe immaginare ad un primo acchito – una deflazione del contenzioso ed una maggiore “stabilità” della procedura di gara, ma anche sotto altro profilo un effetto opposto di inflazione del contenzioso, quantomeno con finalità – al di là delle effettive esigenze – cautelative.».

11 Ad avviso di Severini, G., Il nuovo contenzioso, cit., «qualcuno in principio potrebbe avanzare dubbi rispetto agli artt. 24, comma 1 («Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi») e 113, comma 1, Cost. («Contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa»). Mentre è dato, per esigenze di certezza, costruire legittimazioni straordinarie, potrebbe non esser dato figurare lesioni che in realtà sono inattuali e astratte: come riconoscere fittiziamente a chi non ne subisce o non ne ha subite ancora. Può essere tuttavia opposto a tali dubbi che, come si è visto, qui si è implicitamente raffigurato un vero e proprio interesse legittimo, di nuovo conio, alla giusta formazione della platea dei concorrenti in gara. Non solo: qui l’attribuzione anticipata dell’interesse a ricorrere non coinvolge anche la legittimazione al ricorso, cioè la qualità di titolare dell’azione davanti al giudice amministrativo; e comunque postula l’avvenuta presentazione di una domanda di partecipazione alla gara, fatto che è di radicamento individuale e differenziato rispetto all’estraneo alla vicenda amministrativa».

12 In questo senso De Nictolis, R., Il nuovo codice dei contratti pubblici, in www.giustiziaamministrativa.it, 28.4.2016, 74.

13 Diversamente invece per l’aggiudicatario, che avrebbe gravato l’ammissione del ricorrente principale solo con il ricorrente incidentale, versando il relativo contributo unificato, per paralizzare l’azione del ricorrente principale. Sul punto v. Ferrari, G., op. cit.

14 Termine che poco si concilia con quello, parimenti di 30 giorni, per impugnare gli atti della procedura di gara, e dunque anche l’atto in relazione al quale è stato chiesto il “parere di precontenzioso” ai sensi dell’art. 211, co. 1, d.lgs. n. 50/2016. Ne consegue che gli interessati finiranno per agire dinanzi al giudice amministrativo prima ancora di ricever il parere, che ove non soddisfacente dovrà essere parimenti impugnato se la sentenza del giudice di primo grado non pervenga prima.

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