Il Ruggiero: storia di una danza

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Luca Marconi e Cecilia Panti
SCE:13 Cover ebook Storia della civilta-55.jpg

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Dai primi anni del Seicento ha vasta popolarità in molte zone d’Italia una danza, detta Ruggiero, che da Napoli, probabile luogo d’origine, si irradia rapidamente in tutta la penisola e si radica così profondamente nelle tradizioni locali da appartenere ancor oggi al patrimonio musicale popolare di alcune regioni. Il Ruggiero, al pari di altre formule melodiche popolari, viene utilizzato da compositori, soprattutto di musica per strumenti a tastiera, come struttura di base sulla quale costruire variazioni. Le vicende del Ruggiero nella letteratura musicale del Seicento riflettono i complessi rapporti tra cultura di tradizione orale e civiltà della scrittura.

Le origini, le fonti

Dell’esistenza di una danza denominata Ruggiero riferiscono molte fonti letterarie fin dagli ultimi anni del Cinquecento. Le più antiche e più numerose sono napoletane. Già nel 1588 Giambattista Del Tufo scrive in un sonetto di “queste belle danze, ballate a nostra usanza, (...), Roggier, lo brando e passo e mezzo ancora, Ballo del Cavalier con la Signora”.

Anche Giambattista Basile ricorda il Ruggiero in una pagina del Cuntu de li cunti: “cominciarono con gran diletto a danzare, ballando il Ruggiero, la Villanella, il Conto dell’orco, la Sfessania (...) e chiusero con la Lucia Canazza”. Più tardi, il Ruggiero si ritrova anche a Bologna, in un’altra enumerazione di danze, le cui denominazioni diventano pretesto per i giochi di parole di cui si compone un sonetto di Zan Muzzina pubblicato nel 1664, intitolato La sua donna per cavargli denari, fa tutti i balli usati in Bologna.

Bartolomeo Bocchini

La sua donna per cavargli denari, fa tutti i balli usati in Bologna

La piva dissonante

La sua donna per cavargli denari, fa tutti i balli usati in Bologna 

Fa la mia cruda ognor la Bergamasca

e nel susiego un Spagnoletto imita,

forma Chiacone in dimenar la vita,

con inchini in Pavaniglia casca.

Si move à la Gagliarda, e ben che frasca,

e di Tor di Leon forse più ardita,

meco finge la Zoppa, e poi scaltrita;

un Passo, e Mezo mi hà la mano in tasca.

Ma da Ruggiero appassionato pesca;

e perché il Bal del Duca in me non trova,

un sonaglio sol fà la Moresca.

Sì che adirata il bel Pianton rinova,

la Corrente ribatte, e mi rinfresca

la vecchia frenesia con fuga nova.

in B. Bocchini, La piva dissonante, Bologna 1664

La musica del Ruggiero è composta da una formula melodica, spesso accompagnata da un basso, che può essere ricavata per sintesi dalle innumerevoli versioni esistenti.

Le fonti secentesche che riportano varianti del Ruggiero sono numerosissime, e di vario genere e provenienza. Alcune sono appunti abbozzati, a volte assai malamente, su quaderni di musica, sulle pagine dei quali verosimilmente i suonatori schizzavano sinteticamente i tratti principali dei brani che componevano il loro repertorio: è il caso, soprattutto, di alcuni manoscritti di area padana, sui quali si susseguono annotazioni di musiche da danza il cui elenco ricorda la lista di balli citati dal poeta bolognese Zan Muzzina.

Altre sono intavolature per chitarra spagnola. Nella prima metà del Seicento la chitarra spagnola ha un’enorme diffusione in Italia. La sua popolarità si deve specialmente all’estrema facilità delle tecniche esecutive, soprattutto a paragone di quelle richieste dal liuto, che ne rendevano agevole l’uso da parte di musicisti dilettanti.

La grande diffusione dell’esercizio pratico della musica da parte di dilettanti, anche colti e aristocratici, è una delle ragioni principali della fortuna secentesca della chitarra in Italia.

Il fiorire di pubblicazioni a stampa di intavolature per chitarra è testimonianza della grande popolarità di questo strumento in ambienti di dilettanti non specializzati.

Il sistema di intavolatura alfabetico, che identifica le note con le lettere dell’alfabeto e le posizioni necessarie per eseguirle con un disegno delle corde e delle posizioni delle dita, è l’equivalente secentesco dei moderni metodi chitarristici per dilettanti, e consente l’esecuzione della sequenza di accordi con cui accompagnare brani già noti all’esecutore, che può cantare la melodia o farla eseguire a un altro suonatore col flauto a becco, col violino o con un altro strumento monodico.

Non a caso molti libri d’intavolatura di brani celebri, tra i quali quasi sempre è incluso il Ruggiero, portano titoli quali Vero e facil modo d’imparare a sonare, et accordare da se medesimo la chitarra spagnola, che ne denunciano la destinazione e la funzione didattica. La presenza del Ruggiero tra i brani inclusi in queste antologie chitarristiche è indice dell’estrema popolarità di questa danza e della sua vasta diffusione orale.

Segno della grande popolarità del Ruggiero è anche la presenza della sua melodia in libri di laude, per accompagnare un testo sacro: la pratica di intonare testi di argomento devozionale su melodie di vasta diffusione permetteva di unirsi al coro dei fedeli, seguendo la trascrizione del solo testo poetico, anche a chi non sapesse leggere la musica.

Forme e distribuzione geografica

I Ruggiero secenteschi, benché non tutti identici tra loro, hanno parecchi tratti in comune, tanto da poter essere considerati varianti di un unico modello musicale. Il disegno del basso dove è presente è sempre chiaramente riconoscibile. La formula di base della melodia si ritrova, più o meno variata ma riconoscibile, in quasi tutte le versioni a noi pervenute. Un confronto tra alcune delle molte versioni esistenti del Ruggiero permette già a un primo sguardo di notare la sostanziale identità dei profili melodici. La prima frase del tema, in quasi tutte le varianti conosciute, si può ridurre a due formule fondamentali.

In generale, i profili melodici delle varianti conosciute sono accomunati da somiglianze spesso assai evidenti, ma a volte anche alquanto sottili. La musica per danza è caratterizzata dalla figurazione ritmica più che dalla riconoscibilità dell’andamento melodico: il numero degli accenti, la disposizione delle pause, dei ritornelli sono elementi fondamentali per i danzatori, poiché su di essi si basa la corretta esecuzione dei passi.

La struttura della danza Ruggiero può essere identificata, dal punto di vista ritmico, con le seguenti caratteristiche: tempo pari, attacco in levare, articolazione in 16 battute con cesura al centro. La linea del canto, purché si mantenga abbastanza riconoscibile da non indurre in confusione, può invece variare con una certa libertà. Come esistono molte e diverse ciaccone, o sarabande, salterelli, moresche, tarantelle, così esistono tanti Ruggiero, più o meno diversi tra loro, rispondenti tutti o quasi tutti a caratteristiche di scansione metrica comuni.

La struttura ritmica del Ruggiero è rigorosamente rispettata in pressoché tutte le versioni conosciute: inizio della prima frase in levare, tempo pari, scansione in otto battute ripetute o 16 battute con cesura a metà.

Non si conosce con certezza l’origine del nome Ruggiero o Rogiero legato a questa forma di danza. Si sa però che a Napoli (che è il luogo dove troviamo le più antiche attestazioni della sua esistenza) è attivo, dagli anni Ottanta circa del Cinquecento, un celebre cantore e suonatore chiamato Mastro Ruggiero o Rogiero.

L’origine della denominazione di una forma musicale e di danza legata al nome di un celebre esecutore sarebbe cosa tutt’altro che insolita, e frequentissima nel mondo della musica popolare di tradizione orale a cui il Ruggiero è verosimilmente legato.

Napoli sembra peraltro, a giudicare dalla distribuzione geografica dei Ruggiero, il principale centro d’irradiazione di questa danza.

Il napoletano Sigismondo D’India a Palermo scrive, nel 1609, una “musica sopra il basso dell’aria di Ruggiero di Napoli”; fuori d’Italia, il Ruggiero è certamente conosciuto in Spagna: la nazione che più di ogni altra ha, nel Seicento, rapporti diretti e costanti con Napoli. Calderón de la Barca cita questa danza nel dramma El Pintor de su deshondra.

Giuseppe Pitrè

I suonatori

Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, vol. I

Uno o più sonatori di violino, di violoncello, o di friscalettu (zufolo), o di chitarra, nelle ore pomeridiane delle domeniche o delle grandi feste locali e generali, chiamati o spontaneamente, si mettono a sonare in una stanza a pianterreno, sullo spianato di una casa, in una piazzuola, in un cortile. Uomini e donne, per lo più giovani, della casa o del vicinato, accorrono a ballare dove la fasola, la napulitana (Sant’Agata di Militello), lu diavulicchiu  (Siculiana), la tarantella o la puliciusa (Cefalù); dove lu tarascuni, la ’ngrisina, lu ’lannisi (l’olandese?), la satariata; dove la capona, lu chiovu o lu chiuviddu (Menfi), lu trasi-e-nesci, la virdulidda, lu lupulù (Ragalmuto, Menfi) la pituta, la papariana, la ruggera, lu maniettu (minuettu, minuetto) cu lu suspiru e qualche altro ballo (...). Una sonata si paga un baiocco (cent. 4) o un soldo; ma che sonate, Dio mio! Appena i ballerini han preso l’aire che il pezzo è strozzato, e buona notte (...). Il seguente canto è dei ballerini contro questi furbi di ciechi, che ad ogni sonata esigono il prezzo dovuto, vuotando le scarselle altrui e riempiendo le proprie per tutta una settimana:

Pr’ogni sonata chi l’orvu vi sona,

Pronti vi l’addumanna li du’ grana;

Fa un cadduzzeddu tantu di fasola,

E almenu cci mittissi bona gana!

Cu la ruggera la testa vi stona,

La smenna tutta la papariana:

Ma la sacchetta si l’addubba bona,

L’accoddu si lu fa pi na simana!

G. Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Palermo, 1887-1888

Le variazioni sopra Ruggiero

L’enorme popolarità del Ruggiero, la semplicità della sua struttura armonica, la cantabilità della linea di basso hanno spinto molti compositori, in tutto l’arco del Seicento, a cimentarsi nell’arte della variazione della sua formula melodica, mantenendo fissa la struttura del basso a garantire la riconoscibilità del brano.

Si apre qui la seconda parte della vicenda del Ruggiero. Da una parte esso resterà, nelle attestazioni manoscritte, nelle attestazioni a stampa e nella tradizione orale (in alcune zone d’Italia fino ai giorni nostri), una danza riconoscibile a partire dalla struttura metrica e da una sostanziale affinità melodica delle versioni conosciute.

Parallelamente a questa vicenda, corre quella delle variazioni sopra Ruggiero, che sfruttano la struttura simmetrica e quadripartita del basso, nel formarsi di una nuova sensibilità tonale, per costruire elaborate strutture melodiche su successioni armoniche ripetute sempre uguali a se stesse.

Spesso nelle variazioni, nelle partite, nei capricci sopra Ruggiero scritti da compositori di musica destinata a essere ascoltata in casa, o in chiesa, o comunque in occasioni non legate al ballo, il rapporto con la forma musicale della danza Ruggiero si fa vago e sfumato.

È possibile tuttavia, quasi sempre, individuare come idea nascosta, come percorso ideale la formula melodica originaria, più o meno infarcita di fioriture, ampliata o ristretta, nelle libere elaborazioni costruite sullo schema del basso.

Il percorso di elaborazione delle variazioni sopra Ruggiero, da un’estrema somiglianza con la formula originale fino a costruzioni apparentemente assai distanti da essa, può essere seguito per gradi, in un ordine non strettamente cronologico, attraverso una lettura consapevole delle composizioni di diversi autori.

Alcuni fogli di musica, opera di un anonimo organista e compositore della prima metà del Seicento, sono stati utilizzati nel duomo di Collina, in provincia di Forlì, per fasciare le pareti dell’organo. Ciò ha consentito ai fogli manoscritti, che altrimenti con tutta probabilità sarebbero andati perduti, di essere conservati fino ai giorni nostri. Uno dei brani contenuti nel manoscritto di Collina è un Ruggiero che conserva inalterate, seppur ampiamente diminuite, le caratteristiche fondamentali della danza; inoltre, di essa mantiene anche la struttura metrica, la suddivisione in due parti di 4 battute ripetute, per 16 battute complessive.

Un Ruggiero composto da Ercole Pasquini e quello contenuto nel Libro primo d’intavolatura per chitarrone di J. Kapsberger sono entrambi, al pari di quello del manoscritto di Collina, in 16 battute; l’andamento melodico, seppur sorretto da successioni di accordi e impreziosito da cadenze sconosciute ai modelli di Ruggiero più popolari, conserva la struttura originaria della danza.

Il Capriccio sopra Ruggiero di Bernardo

Ancor più vicino alla danza tradizionale di quanto non lo siano altre elaborazioni colte, pur più antiche, è il Capriccio sopra Ruggierodi Bernardo Storace, pubblicato nel 1664.

Evidentemente il Ruggiero ha avuto una vita propria nella tradizione orale, a prescindere dalle elaborazioni colte a opera di compositori affermati: il messinese Storace può, ancora nel 1664, comporre un capriccio sopra un Ruggiero il cui disegno melodico, evidentemente, gli arriva dalla diretta conoscenza della danza popolare più che dalla conoscenza di altre variazioni a opera di compositori colti.

Il capriccio di Storace assomiglia di più alle rare versioni manoscritte da musico di strada a noi pervenute di quanto non assomigli alle altre variazioni a opera di compositori colti. E va ricordato come ancora nel 1826 Giacomo Meyerbeer abbia trascritto, per averlo ascoltato durante un soggiorno in Sicilia, un “Ruggieri”, danza che, come annota accanto al pentagramma, “si esegue soltanto sulle montagne”.

Il Ruggiero trascritto da Meyerbeer non è, certo, così simile al capriccio composto da Bernardo Storace più di un secolo e mezzo prima da far pensare a possibili relazioni dirette tra i due modelli; si tratta però, comunque, di una variante della danza Ruggiero assai simile a quelle dei manoscritti secenteschi, con attacco in levare, in 16 battute con cesura al centro.

Meyerbeer trascrive il suo Ruggiero su due pentagrammi. Quello inferiore è lasciato in bianco, ma si suppone fosse destinato ad accogliere la formula di basso, forse eseguita da un bassetto a tre corde, una sorta di piccolo contrabbasso popolare: è verosimile che egli avesse ascoltato questa danza da una coppia di orbi che la eseguivano con violino e bassetto.

Sulle montagne della Sicilia dove va ad ascoltarlo Meyerbeer nell’Ottocento, lontano dai processi di trasformazione della musica colta, il Ruggiero mantiene la forma primitiva di musica da danza, simile a quella che avrebbe forse potuto annotare su un quadernaccio di appunti, un paio di secoli prima, uno dei predecessori degli orbi ascoltati dal musicista tedesco.

Anche in Sicilia, e ancora a fine Ottocento, è stata raccolta un’ottava, simile a quelle secentesche di Del Tufo e di Zan Muzzina, in cui sono enumerati i balli eseguiti dagli orbi. Uno di essi è il Ruggiero.

Ulteriori elaborazioni della formula melodica

Il Ruggiero contenuto nella raccolta di canzoni di Tarquinio Merula del 1636 ha un andamento melodico assai simile a quello originario, anche se il numero complessivo delle battute viene qui esteso a 19.

Il processo di elaborazione della struttura di base appare, nel brano di Merula, più sviluppato che altrove: la forma a tre voci concertanti offre l’estro al compositore per variazioni di carattere contrappuntistico. Il rapporto con la forma di danza resta tuttavia abbastanza evidente nell’incipit e nella ripresa in levare dopo la conclusione della prima frase a battuta 4, 8, 15.

Un Ruggiero attribuito a Girolamo Frescobaldi in 16 battute è molto ornato, e non è facilmente riconducibile a un antecedente preciso; tuttavia l’inizio sul Si corda di recita, l’ascesa al Re superiore con elaborata cadenza in Sol sono perfettamente corrispondenti all’“idea” melodica di Ruggiero. L’attacco in levare alle battute 4, 9, 10, 12 potrebbe essere una citazione dell’attacco della seconda frase della danza.

Le “Dodici partite sopra Ruggiero” dal libro primo di Toccate d’intavolatura di cimbalo et organo di Frescobaldi potrebbero rappresentare in qualche modo la continuazione del lavoro di arricchimento dell’ornamentazione iniziato nell’altro Ruggiero a lui attribuito. Qui pure le misure sono 16, la nota d’attacco è un Si, la quale raggiunge il Re superiore dopo un veloce Do di passaggio. Dopo la cadenza sospesa sull’ottava misura, anche qui un attacco in levare della voce superiore, che verrà poi ripreso, una seconda sopra, alla misura 11.

Il basso di Ruggiero con altre melodie

Il basso di Ruggiero, nel corso del Seicento, acquista anche vita autonoma come ostinato sul quale eseguire variazioni di temi diversi: è il caso ad esempio delle Variazioni sulla melodia di Fra Jacopino sopra l’aria di Ruggiero di Frescobaldi, in cui il compositore accoppia la formula di basso del Ruggiero a un’altra melodia celebre nel Seicento: Fra’ Jacopino, le cui note d’inizio, famose ancora ai giorni nostri, sono oggi meglio conosciute sotto il nome di un altro frate.

In altri casi, alla formula di basso vengono sovrapposte melodie per cantar ottave, quali, dello stesso Frescobaldi, Ti lascio anima mia sopra l’aria di Ruggieri e le due ottave di Sigismondo d’India Vostro fui vostro son e sarò vostro, musica sopra il Basso dell’Aria di Ruggiero di Napoli e Dove potrò mai gir tanto lontano, musica a due voci sopra l’aria del Ruggiero.

La tradizione orale

La forma coreutico-musicale del Ruggiero, quando viene elaborata in composizioni non destinate alla danza, può perdere alcune delle sue caratteristiche strutturali, mantenendo però una riconoscibilità più o meno evidente mediante l’impiego di frammenti significanti della formula melodica su un basso ostinato che si mantiene comunque invariato.

D’altra parte il Ruggiero in Italia continua a esistere anche come danza, eseguita da suonatori di diversi livello ed estrazione, e, in quanto tale, solo sporadicamente approda alla pagina scritta. Questa danza, a fianco delle sue elaborazioni scritte, continua a esistere fino a epoche relativamente recenti, quando sarà trascritta da Meyerbeer sulle montagne siciliane e da Gaspare Ungarelli sull’Appennino tosco-emiliano.

Ancora oggi sull’Appennino, nei pressi di Bologna, il Ruggiero viene danzato e suonato da violinisti che usano tecniche non troppo dissimili da quelle secentesche, in una versione che probabilmente alle montagne del bolognese ritorna dopo essere stata elaborata da compositori avvezzi alle pratiche della diminuzione: rigorosamente scandito in 16 battute, ma con un andamento melodico assai più ornato e distribuito in un registro più ampio di quanto non si possa leggere sui fogli manoscritti dagli antenati degli attuali suonatori.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Appennino tosco-emiliano

Girolamo frescobaldi

Giambattista basile

Bartolomeo bocchini

Sigismondo d’india