Immigrazione. Espulsioni e respingimenti

Il Libro dell'anno del Diritto 2016

Immigrazione. Espulsioni e respingimenti

Paolo Morozzo della Rocca

Immigrazione
Espulsioni e respingimenti

Il diritto dell’immigrazione non ha conosciuto novità legislative di rilievo in materia di respingimento e di espulsione, dopo quelle costituite dal recepimento della “direttiva rimpatri” tramite il d.l. 23.7.2011, n. 89. La disciplina di detti istituti è però interessata da un significativo sforzo interpretativo, reso  necessario da sue aporie e contraddizioni, mentre sempre più incisiva risulta l’interpretazione autentica delle norme del diritto comunitario da parte della Corte di giustizia e l’affermazione della giurisdizione sui diritti inviolabili della persona dello straniero respinto od espulso da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.

La ricognizione

A fronte di ben pochi interventi normativi, va invece segnalata una grave condanna recentemente subita dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo dalla quale derivano, peraltro, significativi spunti ricostruttivi riguardo all’istituto del respingimento cosiddetto anticipato1.

Secondo il giudice di Strasburgo – per il quale le nozioni di espulsione e di respingimento appartengono ad un medesimo genus2 – le operazioni con le quali agenti dello Stato esercitino la pubblica autorità su cittadini stranieri in acque non territoriali, trasportandoli in un Paese terzo contro la loro volontà, si configurano come atti di allontanamento, richiedendo il rispetto delle garanzie imposte dalla CEDU.

In materia di espulsione chiarimenti utili sono stati offerti anche dal giudice italiano, mentre le importanti modifiche legislative intervenute nel 2011, proprio riguardo alle procedure di allontanamento dello straniero e alla disciplina penale dell’immigrazione irregolare, hanno avuto le loro prime applicazioni giurisprudenziali, dalle quali sembra confermata l’opinione circa l’inadeguatezza del d.l. 23.7.2011, n. 89, nel recepire la direttiva 2008/115/CE (cd. direttiva Rimpatri).

Non solo italiana, ma con sicuri effetti almeno indiretti sul nostro Paese, è la giurisprudenza sul diritto dello straniero richiedente asilo di non essere ricondotto al Paese di primo arrivo, competente in base al regolamento “Dublino II” (reg. 2003/343/CE)3 ad esaminare la sua domanda, quando si abbiano fondati motivi di ritenere che detto Paese non assicuri al richiedente gli standard di protezione assicurati dal diritto europeo. La giurisprudenza sul “rinvio indietro” dei dublinanti ha messo in evidenza la violazione dei doveri di protezione dei richiedenti asilo soprattutto da parte della Grecia, ma non ha mancato di coinvolgere anche l’Italia, colpevole di non avere approntato un adeguato sistema di accoglienza.

Il legislatore, dopo la pur discutibile riforma della disciplina delle procedure di trattenimento e di allontanamento dello straniero, tardivamente realizzata con il già richiamato d.l. n. 89/2011, non è ancora tornato ad occuparsi della materia, incisa nell’anno che si chiude solo in modo obliquo da un provvedimento di livello regolamentare riguardante, in realtà, la disciplina dell’accordo di integrazione, il cui inadempimento può comportare la perdita dell’autorizzazione al soggiorno e dunque l’espellibilità4. Sembra peraltro che, seppure riguardo ad un aspetto collaterale all’esecuzione del provvedimento di espulsione, il legislatore abbia invece mancato l’occasione di recepire pienamente la direttiva 2009/52/CE (riguardante le sanzioni da comminare ai datori di lavoro di stranieri irregolarmente soggiornanti), omettendo le misure indicate all’art. 6 della direttiva, finalizzate a facilitare la tutela del lavoratore straniero espulso riguardo alla riscossione dei crediti da lavoro5.

La focalizzazione

Come è stato ora osservato, dall’estate del 2011 ad oggi le più rilevanti novità in materia di respingimento e di espulsione, a fronte del breve e certamente temporaneo silenzio legislativo, provengono dalla giurisprudenza europea e nazionale. Di grandissimo rilievo, in particolare, risulta la pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Hirsi ed altri contro l’Italia.

2.1 La sentenza Hirsi

Questa sentenza si riferisce ad una prassi gravemente illecita adottata dal governo italiano nel corso del 2009, consistente nell’intercettazione in alto mare di imbarcazioni di profughi, fatti salire su navi militari italiane senza essere identificati né informati sulla destinazione dell’imbarco e nemmeno sull’eventuale diritto di richiedere asilo (richiesta comunque impedita), quindi riconsegnati alle autorità libiche e da queste ultime sottoposti a maltrattamenti disumani e degradanti, nonché, in alcuni casi, espulsi verso Paesi di origine essi stessi, non meno della Libia, irrispettosi dei diritti umani, come nel caso dell’Eritrea e della Somalia; circostanze queste accertate dalla Corte nonostante l’inverosimile argomentare dell’Italia, all’epoca partner commerciale privilegiato della Libia, secondo cui il Governo di Tripoli era ormai divenuto affidabile nel suo impegno per la protezione dei diritti umani dei migranti e dei richiedenti asilo.

Per l’interprete l’interesse suscitato da questa importante decisione risiede in primo luogo nell’affermazione sulla giurisdizione della Corte europea, secondo cui, ove uno Stato eserciti un controllo effettivo ed esclusivo su determinati soggetti, anche al di fuori delle sue frontiere, si realizza il presupposto per l’azionabilità dei diritti contemplati nella Convenzione, non potendo il dichiarato scopo di salvataggio in mare consentire di eludere i principi giuridici europei in materia di espulsione o respingimento.

L’Italia è stata quindi condannata per la violazione di tre diverse disposizioni convenzionali: a) violazione del principio di non-refoulement di cui all’art. 3 della Convenzione, che vieta, in modo assoluto e inderogabile, l’espulsione o il rimpatrio verso un Paese ove esista il rischio di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, avendo riconsegnato i profughi raccolti in mare alla Libia e ritenendosi dimostrato che tale Paese, non ratificante la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951, sottoponeva i migranti, all’epoca dei fatti, a gravi maltrattamenti; b) violazione del divieto di espulsioni collettive, di cui all’art.4 del Protocollo n. 4, in quanto i ricorrenti sono stati riconsegnati senza nemmeno essere previamente identificati e senza esaminare la situazione individuale di ciascuno di essi; c) violazione del diritto ad un ricorso effettivo, di cui all’art.13 della Convenzione, data l’inutilità, oltre che l’impossibilità di fatto, di proporre un ricorso contro il respingimento già operato attraverso le autorità diplomatiche italiane in Libia6.

Peraltro, a poche settimane dalla sentenza Hirsi, una seconda condanna all’Italia ha dato occasione al Giudice di Strasburgo di sottolineare la preminenza dell’art. 3 della CEDU su eventuali esigenze di sicurezza dello Stato che proceda all’espulsione dello straniero, avendo l’Italia inutilmente giustificato l’espulsione di un cittadino tunisino, condannato per terrorismo internazionale, nonostante l’adozione da parte della Corte europea di un provvedimento provvisorio col quale era stato chiesto di sospendere detta espulsione7.

2.2 Allontanamento e restituzione dei “dublinanti”

Già alla fine del 2011 la Corte di Giustizia dell’Unione8, facendo proprie analoghe conclusioni della Corte europea dei diritti dell’uomo9, aveva affermato che nei riguardi dei Paesi membri dell’Unione Europea vige solo una presunzione semplice di appartenenza allo status di “Paese sicuro” per i richiedenti asilo. Sicché, ove sia dimostrato che in uno di tali Paesi esista il rischio che un richiedente asilo possa essere trattato in modo incompatibile con il rispetto dei diritti fondamentali, il Paese cui detto richiedente si sia rivolto successivamente al transito nel Paese astrattamente competente ha un vero e proprio obbligo di assumerne la protezione in deroga al reg. Dublino II. Diversamente opinando, il regolamento sarebbe da intendersi illegittimo perché in contrasto con la convenzione di Ginevra sui rifugiati che impedisce il reinvio del richiedente asilo in un Paese non sicuro; qualifica questa che non può essere data per scontata in ragione di un trattato internazionale ma va considerata caso per caso10.

I giudici nazionali, incluso quello italiano11, sembrano avere recepito le indicazioni delle due corti europee, individuando le gravi lacune di sistema e le violazioni ai diritti fondamentali cui sono stati sottoposti i richiedenti asilo in Grecia. Ma la Corte europea dei diritti dell’uomo, sulla base dell’art.39 del suo regolamento interno, ha anche ordinato agli Stati membri di sospendere il trasferimento dei richiedenti asilo “dublinanti” verso l’Italia in ragione, soprattutto, della mancata capacità di accoglienza del nostro paese nelle strutture della rete SPAR e dei ripetuti episodi di maltrattamento e di abbandono materiale successivi alla presentazione della domanda di protezione12, mentre gravi perplessità sono sorte, in passato, a causa dell’espulsione verso la Tunisia – Paese sino al 2011 certamente non rispettosi dei diritti umani – di richiedenti asilo sospettati di affiliazioni sovversive. Al momento taluni timori riguardano il sistema di protezione di Malta, senza però l’intervento di rilevanti prese di posizioni istituzionali né, almeno da parte del giudice italiano, di pronunce giurisdizionali di inaffidabilità13.

2.3 Sui limiti del trattenimento ai fini dell’allontanamento

Come è noto, per effetto del d.l. n. 89/2011, che ha modificato l’art. 14 t.u. imm., lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione può essere trattenuto sino al tempo massimo consentito dalla direttiva Rimpatri, pari a diciotto mesi, in regime di detenzione amministrativa. Ma la stessa direttiva, al suo art. 15, riferisce al trattenimento dello straniero alcune condizioni di legittimità. In particolare è stata rilevata l’illegittimità del trattenimento che manchi ormai di una prospettiva ragionevole di effettivo allontanamento, determinando così l’impossibilità di una sua proroga ben prima dei diciotto mesi previsti come limite massimo dalla legge14. È stata poi determinata la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda risarcitoria del cittadino extracomunitario che assuma essere stato trattenuto in condizione di privazione della libertà personale all’esito di una richiesta di proroga del trattenimento non accolta dal giudice competente, in quanto «l’Amministrazione che chiede la proroga del trattenimento in atto e che dopo lo spirare del termine di legge per la sua concessione da parte del giudice ordinario continui a trattenere lo straniero nel Centro “sine titulo” non esercita alcun potere ma, soltanto compie attività materiale di privazione della libertà della persona non espressiva di alcun momento autoritativo»15.

2.4 Sulla traduzione in lingua dei provvedimenti di espulsione

L’art. 13, co. 7, t.u. imm. dispone che il decreto di espulsione, il provvedimento di trattenimento ai fini del successivo allontanamento, «nonché ogni altro atto concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, sono comunicati all’interessato unitamente all’indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola». La norma è integrata dall’art. 3, co. 3 del regolamento di attuazione (d.P.R. 31.8.1999, n. 394) ove è affermato che «se lo straniero non comprende la lingua italiana, il provvedimento deve essere accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati, nella lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile per indisponibilità di personale idoneo alla traduzione del provvedimento in tale lingua, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dall’interessato».

La norma regolamentare stabilisce quindi un principio di equivalenza tra l’impossibilità di traduzione e l’indisponibilità di personale idoneo alla traduzione nella lingua dell’espellendo cui ha fatto seguito in giurisprudenza l’opinione che l’attestazione di indisponibilità di traduttore nella lingua conosciuta dall’espellendo fosse condizione necessaria e sufficiente per poter procedere alla traduzione in una delle lingue “veicolari”16. Di recente, però, il Supremo Collegio, mutando radicalmente avviso, ha ritenuto di dover disapplicare in questa sua parte l’art. 3 del regolamento, perché elusivo della norma di legge17.

Secondo la Cassazione, il cui pensiero pare condivisibile, «la moltiplicazione esponenziale delle espulsioni, la formazione di flussi stabili di immigrati per nazionalità od etnie, la diffusione delle procedure di informatizzazione di tutte le comunicazioni dell’Amministrazione, la prevalente invariabilità e ricorrenza delle ipotesi espulsive» rendono possibile la traduzione anche in mancanza della presenza fisica di un traduttore, poiché in genere i testi sono standardizzati, «in essi infatti occorrendo solo indicare le generalità dell’espellendo, le date di rilievo e quale delle tre ipotesi autorizzanti l’espulsione viene adottata».

Il Supremo Collegio ritiene perciò che l’impossibilità, ai fini di legge, della traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’espellendo, con conseguente facoltà di procedere all’uso della lingua «veicolare», si realizza solo se sia verificata «la indisponibilità di un testo predisposto nella stessa lingua o la inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta e venga quindi attestato che non sia reperibile nell’immediato un traduttore». Circostanze queste che non potranno essere ragionevolmente allegate nel caso, ad esempio, dell’espulsione di un cinese nella zona di Prato o di Firenze, o di un indiano nella zona di Parma, a causa della consolidata presenza di tali comunità linguistiche in quelle province d’Italia.

Peraltro, il recente orientamento della Cassazione parrebbe supportato dal pur ambiguo testo dell’art. 12, par. 2, dir. 2008/115/CE, ove è imposto agli Stati membri (sebbene solo su richiesta dell’interessato ed anche solo in forma orale) di tradurre almeno i principali elementi delle decisioni connesse al rimpatrio, incluse comunque le modalità di impugnazione disponibili, «in una lingua comprensibile per il cittadino di un paese terzo o che si può ragionevolmente supporre tale», non potendosi dare per scontato che detto cittadino comprenda una delle lingue veicolari indicate all’art.13, co. 7 t.u. imm. Poiché la norma comunitaria è contenuta in una direttiva già scaduta – nonché inesattamente attuata – che pare dotata di efficacia self executiving, se ne dovrebbe altresì dedurre che l’art. 13, co. 7, t.u. imm. debba essere comunque integrato dalla disposizione comunitaria recante l’obbligo d’uso sintetico in una lingua conosciuta o presumibilimente conosciuta dall’interessato, anche se non coincidente con una delle tre lingue veicolari.

2.5 L’espulsione da inadempimento dell’accordo di integrazione

Sebbene l’art. 4 bis t.u. imm. disponga espressamente che «la perdita integrale dei crediti determina la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato», ciò non ha impedito alla dottrina di segnalarne il vizio di incostituzionalità per violazione della riserva di legge relativa in materia di condizione giuridica dello straniero di cui all’art. 10, co. 2, Cost., in quanto il legislatore non ha indicato alcun criterio idoneo ad orientare la regolamentazione secondaria in ordine ai comportamenti cui consegue la perdita totale dei crediti; il che farebbe dell’art. 4 bis una norma rimessa alla discrezionalità politica del Ministero dell’interno18. È stata inoltre ipotizzata l’incostituzionalità della norma anche per violazione dell’art. 13 Cost., che pone una riserva di legge assoluta per i casi di restrizione della libertà personale, tra i quali è certamente da ricondurre l’espulsione dello straniero19.

I profili problematici

Il 2012 non ha conosciuto interventi normativi che abbiano inciso significativamente sugli istituti dell’espulsione e del respingimento. Al netto delle occasioni mancate – che in particolare riguardano la modesta opera di recepimento della direttiva 2009/52/CE – non poteva forse essere altrimenti dopo l’apparente terremoto disciplinare costituito dalla tardiva recezione della direttiva Rimpatri attraverso il d.l. n. 89/2011, i cui primi effetti di sistema si sono però resi evidenti nella giurisprudenza del 2012 ed ancor più, presumibilmente, lo saranno nei mesi a venire. Protagoniste assolute sono state le corti – in primo luogo quelle di Strasburgo e del Lussemburgo, ma anche il nostro Supremo Collegio – sia per le ovvie necessità di applicazione delle nuove discipline in materia di rimpatrio che per il consolidarsi di un diritto europeo dei diritti fondamentali, il quale risulta particolarmente toccato nei suoi principi dalle procedure di allontanamento del cittadino straniero.

Note

1 C. eur. dir. uomo, 23.2.2012, Hirsi Jamaa e altri c. Italia.

2 Il legislatore italiano distingue due figure, ampliando quella del respingimento, forse con l’obiettivo di diminuire le garanzie procedurali per il destinatario del provvedimento. Cfr. Cherchi, R., Il respingimento dello straniero, in Stran., 2011, 3, 75 ss.

3 Su cui Carlier, J.Y., Stranger in the Night of Law, in Rev. Faculté Droit Univ. Liège, 2011, 251 ss.

4 Il regolamento, emanato con d.P.R. 14.9.2011, n. 179, è entrato in vigore il 10.3.2012.

5 Sul punto cfr. Cannella, G.-Favilli C., La direttiva sulle sanzioni per l’impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare: contenuto ed effetti nell’ordinamento italiano, in Dir. imm. citt., 2011, 37 ss.

6 Cfr. il commento di Gabrielli, C., Il rispetto dei diritti nella gestione delle politiche migratorie secondo la sentenza Hirsi della Corte europea dei diritti umani, in Stran., 2012, 185 ss.; Di Pascale, A., La sentenza Hirsi e altri c. Italia: una condanna senza appello della politica dei respingimenti, in Dir. imm. citt., 2012, 2, 85 ss.

7 C. eur. dir uomo, 27.3.2012, Mannai c. Italia.

8 C. giust. 21.12.2011, cause riunite C-411/10 e C-493/10, in Dir. imm. citt., 2011, 4, 105 ss.

9 C. eur. dir. uomo, 21.1.2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia, in Dir. imm. citt., 2012, 2, 111 ss.

10 Cfr. Adinolfi, A., Riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria: verso un sistema comune europeo?, in Riv. dir. int., 2009, 679 s.

11 TAR Lazio, Roma, 7.5.2012, n. 4106; TAR Lazio, Roma, 15.2.2012, n. 1551.

12 In tal senso C. eur. dir. uomo, 28.6.2011, D.H. c. Finlandia; e 6.1.2012, Nasib Halimi c. Austria. Una breve ricognizione sul punto in Balboni, M.-Contartese C., Diritto europeo. Rassegna di giurisprudenza, in Dir. imm. citt., 2011, 4, 96 ss.

13 In senso contrario, anzi, cfr. TAR Lazio, Roma, 22.5.2012, n. 4609.

14 Cfr., Trib. Bologna 1.2.2012, in Dir. imm. citt., 2011, 4, 148 ss.; Trib. Torino, 21.2.2012, in Dir. imm. citt., 2012, 1, 156 s.

15 Cass., S.U., 13.6.2012, n. 9596.

16 Cass., 27.7.2010, n. 17572, in Giust. civ. Mass. 2010, 7-8, 1074

17 Cass. 8.3.2012, n.3678, in Dir. imm. Citt., 2012, 1, 152 ss.

18 In argomento, cfr. Morozzo della Rocca, P., Entra in vigore l’accordo (stonato) di integrazione, in Stran., 2011, 3, 11

19 Così Zorzella, N., L’accordo di integrazione: ultimo colpo di coda di un governo cattivo?, in Dir. imm. citt., 2011, 4, 58.

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