Immortalita

Enciclopedia Dantesca (1970)

immortalità (immortalitade)


Indica la " perennità della vita " e D. ne ragiona in Cv II VIII, dedicandovi la seconda metà del capitolo, quasi a concludere il discorso sulla viva Beatrice beata (§ 7). Al § 14 per essa sanza impedimento andiamo a la felicitade di quella immortalitade, indica più propriamente la beatitudine del vivere eterno, nel suo attuarsi al di là della morte e, cristianamente, nell'altra vita migliore (§§ 16 e 11). Al § 7 però che de la immortalità de l'anima è qui toccalo, farò una digressione, indica la " incorruttibilità " dell'anima in quanto in noi... parte... perpetuale (§ 8) e parte immortale (§ 13; immortale al § 15) destinata a non morire. Al § 13 vedemo continua esperienza de la nostra immortalitade ne le divinazioni de' nostri sogni, e 15, l'i. dell'anima s'identifica con quella dell'uomo.

D. ne fonda la dimostrazione sul consensus philosophorum e insieme sul consensus omnium gentium (§§ 8-9), sul desiderio d'i. innato nell'uomo (§ 10), argomento che fa tutt'uno con il precedente, e, secondo un tipico procedimento argomentativo scolastico, D. mostra gl'impossibilitia che seguirebbero se tali argomenti non fossero validi: tutti gli uomini si sarebbero ingannati (§ 10); se fossero vani speranza d'i. e desiderio naturale, l'uomo che è l'animale più perfetto perché dotato di ragione sarebbe il più imperfetto perché ingannato proprio dalla ragione (§ 11) e la natura, che ha posto nell'uomo la speranza d'i., avrebbe agito contro sé stessa (§ 12). D. fa quindi ricorso al classico argomento della divinatio per somnium, giustificato non in base alla capacità dell'anima di staccarsi dal corpo, ma in base alla ‛ proporzione ' che deve sussistere tra il ‛ rivelante ' e l'anima sulla quale esso agisce (§ 13). Tuttavia, poiché questi argomenti non offrono la ‛ certezza ' ma lasciano sussistere un margine di dubbio, D. fa ricorso all'argomento dell'autorità della rivelazione di Cristo (§§ 14-15).

In Pd VII, infine, si afferma che l'anima è immortale perché creata direttamente da Dio almeno nella sua facoltà più nobile che è l'intelletto (vv. 39-44), e ciò che è creato da Dio è incorruttibile (vv. 64-72).

Un'estesa esposizione del problema è in B. Nardi (L'immortalità dell'anima, in D. e la cultura medievale, Bari 1949², 284-308), che indica, fra l'altro, in Cicerone la fonte principale degli argomenti di cui ai §§ 8-10 (secondo le indicazioni di D.), e nella tradizione stoica, neoplatonica e avicennistica la fonte dell'argomento tratto dalla divinazione; traccia quindi il quadro culturale dal quale D. ha potuto ricavare i singoli riferimenti occorrenti nel testo del Convivio; infine, trova i precedenti del riconoscimento del limite proprio degli argomenti di ragione addotti a dimostrare l'i. in una tradizione che va da Lattanzio (Div. inst. VII 8) ad Agostino (Trin. XIII 8) a Bonaventura (In Eccl. cap. III, pars II, quaestiones, in Opera, ediz. Quaracchi, VI 36) a Duns Scoto (Opus Oxon. IV, d. 43, q. 2, nr. 23, limitatamente all'argomento fondato sul desiderio naturale).