Immunità

Universo del Corpo (1999)

Immunità

Lorenzo Bonomo
Antonella Afeltra

Si intende per immunità la condizione di difesa che viene messa in atto con meccanismi naturali o acquisiti nei confronti di sostanze estranee (antigeni), quali microbi, virus, macromolecole proteiche o polisaccaridiche ecc., che penetrano all'interno dell'organismo e contro le quali vengono prodotti anticorpi specifici. Talora, però, la reazione tra antigene e anticorpo è seguita da fenomeni patologici (anafilassi; v.); inoltre, particolari situazioni sono alla base di alcune malattie connesse con la comparsa di anticorpi rivolti contro le componenti stesse dell'organismo (malattie autoimmuni).

Risposta immunitaria

Il sistema immunitario ha il compito di proteggere l'organismo dall'azione nociva di batteri, virus, funghi o di strutture molecolari comunque estranee (antigeni). La prima difesa contro i microrganismi è fornita dalla cute e dalle mucose, le quali rappresentano una vera e propria barriera meccanica. Nel caso in cui questa venga superata, entrano in funzione i meccanismi interni di difesa, che sono deputati al riconoscimento e all'eliminazione dell'invasore e sono rappresentati dall'immunità naturale e dall'immunità acquisita. L'immunità naturale, o innata o nativa, entra in funzione nel momento in cui la sostanza estranea tenta di penetrare nell'organismo ed è un meccanismo di difesa aspecifico, che non fornisce la possibilità di mantenere il ricordo di tale incontro con le cellule del sistema immunitario. L'immunità naturale è affidata a due tipi di cellule: i macrofagi e i granulociti neutrofili, che raggiungono il microrganismo e lo fanno aderire alla loro superficie per poi inglobarlo e distruggerlo mediante sostanze dotate di attività enzimatica. Questo processo prende il nome di fagocitosi. L'immunità naturale si realizza anche attraverso l'intervento del sistema complementare, costituito da varie proteine plasmatiche (numerate da C1 a C9) che interagiscono tra loro, attivandosi progressivamente 'a cascata'. Il complemento interviene nell'infiammazione, nella rimozione dei complessi antigene-anticorpo, nella lisi di cellule e microrganismi. Con immunità acquisita, o specifica, si indica una risposta immunitaria attiva da parte di cellule - i linfociti - che hanno la capacità di riconoscere specificamente un agente estraneo e di reagire contro di esso essendo in grado, quindi, di distinguere tra strutture appartenenti all'organismo (self) e strutture estranee (non self), in modo che la risposta immunitaria venga condotta unicamente nei confronti di queste ultime. Il sistema immunitario di un individuo adulto è costituito da diversi miliardi di linfociti ai quali altri elementi cellulari (epiteliali, monociti-macrofagi ecc.), che vengono denominati APC (Antigen presenting cells), 'presentano' l'antigene che deve essere riconosciuto.

Si definisce, infine, immunità passiva l'immunità specifica nei riguardi di una sostanza, che viene ottenuta non dalla risposta diretta di un individuo a quell'antigene, bensì dall'inoculazione di cellule o di siero che sono stati ottenuti da un altro soggetto già immunizzato specificamente. I linfociti, oltre che nel sangue, risiedono negli organi linfoidi primari (timo e midollo osseo) e in quelli secondari (milza, linfonodi, tonsille, lamina propria e sottomucosa dell'apparato gastrointestinale, respiratorio e genitourinario). Negli organi linfoidi primari avviene lo sviluppo delle due classi di linfociti circolanti: le cellule T, che si differenziano nel timo e vengono pertanto dette T o timo-dipendenti, e i linfociti B, che maturano nel fegato embrionale e nel midollo osseo dei Mammiferi, nel microambiente della borsa di Fabrizio degli Uccelli (organo linfoide situato in prossimità della cloaca) e vengono denominati pertanto cellule B o borsa-dipendenti. I linfociti presentano sulla loro membrana strutture molecolari, definite marcatori, in base alle quali è possibile identificare numerosi gruppi di cellule con caratteristiche fisiche diverse; essi sono in grado di individuare un antigene, perché sono dotati di particolari recettori sulla loro superficie. Le strutture recettoriali responsabili del riconoscimento dell'antigene da parte delle cellule B sono le immunoglobuline (Ig), che una volta esposte sulla membrana cellulare fungono da recettori per antigeni solubili; quando vengono immesse nel torrente circolatorio, rappresentano gli anticorpi contro gli agenti patogeni. Sulla membrana dei linfociti T è presente una molecola con analoghe funzioni, il recettore per l'antigene dei linfociti T (TCR, T cell receptor), necessaria al riconoscimento specifico di antigeni di natura proteica che, dopo aver subito all'interno delle cellule monocito-macrofagiche (APC) un'elaborazione metabolica definita processazione, vengono esposti sulla membrana di queste ultime e, come si è detto, 'presentati' ai linfociti T. I linfociti T, una volta giunti a maturazione, migrano dal timo e vanno a colonizzare le cosiddette aree T-dipendenti degli organi linfoidi secondari (manicotti periarteriolari della milza, corticale dei linfonodi ecc.).

Durante il loro processo di differenziazione acquisiscono il TCR e altre molecole di superficie che fungono da marcatori di membrana identificati con la sigla CA (Cluster of differentiation, gruppi di antigeni di differenziazioni). Le due principali sottopopolazioni linfocitarie vengono definite CD4+ e CD8+, perché possiedono rispettivamente la molecola CD4, che è espressa da circa il 70% dei linfociti T maturi, e la molecola CD8, che è espressa dal rimanente 30%. I linfociti CD4+ svolgono una funzione fondamentale nella risposta immunitaria: una volta riconosciuto l'antigene espresso dalla APC, producono sostanze ad attività ormonale, come l'interleuchina-2 (IL-2) che, dopo essersi legata al suo recettore specifico (IL-2R), induce la proliferazione di altre cellule T, delle cellule CD4+ antigene-specifiche (espansione clonale), di cellule dotate di attività citotossica (NK, Natural killer), e regolano la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B. Pertanto le cellule CD4+ sono denominate T helper (Th), ovvero cellule che 'cooperano'. La maggior parte dei linfociti CD8+ ha funzione citotossica specifica (CTL, Cytotoxic T lymphocytes, linfociti T citotossici). In presenza dell'IL-2 secreta dalla cellula Th i precursori delle cellule citotossiche si differenziano in CTL in grado di lisare una cellula bersaglio ed è in tale modo che svolgono un'importante funzione di difesa nei confronti di cellule infettate da virus, cellule neoplastiche e nelle reazioni di rigetto di trapianto d'organo.

Con il termine di linfociti T suppressor (Ts) si indicano abitualmente quei linfociti T, per lo più CD8+, in grado di modulare o sopprimere la risposta immunitaria. Nei Mammiferi anche i linfociti B originano dal midollo osseo, la loro maturazione tuttavia avviene nel fegato e nel midollo durante la vita fetale, e unicamente nel midollo nel corso della vita adulta. Rappresentano la seconda popolazione di cellule immunocompetenti, poiché possiedono sulla loro superficie recettori specifici per tutti i possibili antigeni esogeni (immunoglobuline di membrana). Dopo aver incontrato l'antigene, il linfocita B si attiva, prolifera e si differenzia in plasmacellula, elemento in grado non soltanto di sintetizzare, ma anche di secernere le immunoglobuline o anticorpi solubili rivolti specificamente verso l'antigene riconosciuto dal recettore di superficie. Gli anticorpi sono molecole di natura proteica costituite da quattro catene polipeptidiche: due definite 'pesanti' e due 'leggere', unite tra loro da ponti disolfuro (-S-S-). Esistono 5 classi di Ig (IgG, IgA, IgM, IgD, IgE) che si differenziano per le loro catene pesanti (γ, α, μ, δ, ε) e per i due tipi di catene leggere (κ e λ). Sia le catene pesanti sia quelle leggere sono costituite da una parte costante (cioè identica in tutte le molecole di quella classe) e da una parte variabile (cioè diversa per ogni anticorpo). Quest'ultima contiene nella sua porzione terminale una regione 'ipervariabile' la quale rappresenta il sito di legame per l'antigene (v. anticorpo). Nel corso del differenziamento delle cellule B, i geni che codificano la sintesi dei diversi segmenti proteici degli anticorpi si combinano tra loro in modo casuale (riarrangiamento somatico) e da ciò derivano anticorpi con un numero enorme di differenti siti combinatori per l'antigene (pari a circa 109): è questo il meccanismo che permette di riconoscere tanti determinanti antigenici. Le immunoglobuline sieriche sono prevalentemente rappresentate da IgG, gli anticorpi della memoria immunitaria, delle quali esistono quattro sottoclassi (IgG1 - IgG4). Le IgM, costituite da una struttura pentamerica, sono più efficienti delle IgG nel fissare il complemento. Le IgA sono prevalenti a livello delle mucose e nelle secrezioni: hanno struttura monomerica o dimerica. Le IgD sono presenti soprattutto sulla superficie dei linfociti B, dove fungono, insieme alle IgM, da recettori per l'antigene, e in minima concentrazione nel siero. Le IgE sono gli anticorpi responsabili delle reazioni allergiche: si legano ai recettori presenti sulla superficie di alcune cellule essenziali per lo sviluppo di una malattia allergica (mastociti e basofili), inducendo il rilascio dei mediatori contenuti all'interno di queste ultime.

Meccanismi effettori della risposta immunitaria e immunoregolazione

Dopo il riconoscimento dell'antigene da parte dei linfociti T e B, l'obiettivo da raggiungere è l'eliminazione dell'agente estraneo: ciò avviene attraverso il reclutamento di differenti tipi di cellule (macrofagi, granulociti, cellule NK, mastociti) e l'intervento di proteine solubili (anticorpi, frazioni del complemento, citochine). La risposta immunitaria rappresenta un evento molto complesso che prevede l'interazione tra cellule e la partecipazione di una cascata di sostanze, tanto attivanti quanto inibenti le varie componenti del sistema. Allo scopo di ottenere una rappresentazione più semplice e schematica, si preferisce distinguere un'immunità cellulare, che è caratterizzata dall'intervento dei linfociti T attivati, e un'immunità umorale, che viene realizzata dai linfociti B attivati e dagli anticorpi da essi prodotti. L'immunità cellulare, o cellulo-mediata, si attua attraverso la produzione di molecole solubili (citochine) da parte dei linfociti T CD4+ attivati, l'azione citotossica dei linfociti T CD8+ e delle cellule NK, la formazione di cellule T che sono dotate di memoria immunologica (T memoria). Le citochine costituiscono potenti fattori di controllo sulle cellule del sistema immunitario. Le loro molteplici azioni possono essere riassunte in: differenziazione dei linfociti B in cellule produttrici di anticorpi; attivazione delle cellule dell'immunità naturale (macrofagi, granulociti, mastociti, cellule NK), che vengono richiamate laddove si sta svolgendo una risposta immunitaria; attivazione dei linfociti CD8+; infine, regolazione e soppressione della risposta immune specifica. In effetti, i linfociti T CD4+ possono essere distinti in due diversi tipi di cloni (denominati rispettivamente Th1 e Th2) proprio in base alla produzione di due differenti set di citochine e alla loro attività cooperante nella produzione di anticorpi: i linfociti Th1 producono IL-2, TNF-β (Tumor necrosis factor-β) e IFN-γ (interferone-γ), e sono i principali effettori dell'immunità cellulo-mediata contro i microrganismi intracellulari e di quel tipo di risposte da tempo note come ipersensibilità ritardata (il cui prototipo è rappresentato dalla reazione tubercolinica); i linfociti Th2 producono IL-4 (interleuchina-4), IL-5 (interleuchina-5), IL-6 (interleuchina-6), inducono secrezione di IgE e inoltre, grazie al pannello di citochine da essi prodotto, risultano coinvolti sia nelle reazioni allergiche sia nelle risposte antiparassitarie.

L'immunità umorale è legata ai linfociti B attivati che si differenziano in plasmacellule, elementi cellulari deputati alla sintesi di anticorpi. Il primo incontro con l'antigene induce una produzione anticorpale specifica (risposta primaria) dopo una fase di latenza di circa una settimana: gli anticorpi cominciano a comparire nel siero e ad aumentare progressivamente, con andamento esponenziale; segue una fase stazionaria e infine una fase di graduale diminuzione delle Ig. I primi anticorpi a comparire nel siero sono le IgM; ha luogo poi la produzione di anticorpi IgG, molecole provviste di alta specificità nei confronti dell'antigene. Alcuni linfociti B divengono 'cellule della memoria', che sono in grado di assicurare una più rapida risposta anticorpale a un nuovo incontro con lo stesso antigene (risposta secondaria). Il successivo controllo della risposta anticorpale avviene a opera delle cellule Th e Ts, di cui sono già state esposte le caratteristiche fondamentali, e della fitta rete di citochine attivanti o inibenti. La risposta immune nei riguardi di agenti patogeni e di qualsiasi antigene estraneo deve autolimitarsi e quindi spegnersi, al fine di evitare l'espansione dei cloni specifici; pertanto l'attivazione del sistema immunitario deve essere seguita da una serie di meccanismi di controllo (immunoregolazione), che hanno lo scopo di impedire tanto le risposte nei riguardi del self quanto la cronicizzazione di risposte specifiche nei riguardi del non self. La mancata produzione di anticorpi diretti contro antigeni delle strutture cellulari e di quelle tessutali dell'organismo rappresenta il fenomeno della tolleranza immunologica (v. oltre).

Risposta immunitaria alle infezioni

Quando un agente patogeno (virus, batterio, fungo, protozoo, elminta o parassita esterno) tenta di penetrare nell'organismo ospite, vengono messi in moto tutti i meccanismi di difesa. L'agente esogeno deve dapprima superare le barriere esterne, quindi la prima linea di difesa operata dall'immunità naturale che interviene rapidamente ma non sempre efficacemente, data la scarsa specificità dei suoi mezzi. I patogeni in grado di sfuggire si replicano e si diffondono nell'organismo. I virus si moltiplicano solo all'interno delle cellule nelle quali penetrano dopo aver agganciato i loro recettori specifici; i batteri possono avere crescita intracellulare (per es. il bacillo della tubercolosi) o extracellulare (per es. stafilococchi, streptococchi). Inizia così una vera e propria battaglia tra l'agente esterno e il sistema immunitario dell'ospite. Entra in azione l'immunità specifica capace di sviluppare una memoria verso quell'antigene. Per i patogeni intracellulari è necessaria una risposta da parte dei linfociti T: in particolare i CD8 citotossici per i virus, i CD4 helper e le loro citochine per i batteri. Per i patogeni extracellulari vengono utilizzati gli anticorpi e le cellule B, che sono in grado di riconoscere gli antigeni specifici. Gli anticorpi, inoltre, sono capaci di attivare altri sistemi di difesa, quali la fagocitosi e la lisi mediata dal complemento. Se la risposta immunitaria riesce a debellare l'invasore, si avrà la guarigione; inoltre, per alcune infezioni (morbillo, rosolia, difterite, tifo, pertosse ecc.) si acquisirà un'immunità perenne, mentre per altre si acquisirà un'immunità la cui efficacia è variabile (tossina del tetano, vibrione del colera, stafilococchi ecc.) o parziale (ameba, tripanosoma, toxoplasma ecc.); in altri casi, invece, non si acquisisce immunità (acari, pidocchi). Alcuni patogeni riescono a mettere in atto strategie per eludere il riconoscimento da parte dei linfociti: l'esempio più classico è quello del virus dell'influenza, verso il quale l'immunità acquisita durante un determinato anno non vale per l'anno successivo, perché il virus è in grado di mutare i propri antigeni di superficie o di ricombinare parte del suo patrimonio genetico con altri virus animali ('variazione' o 'diversità antigenica'). Deve essere considerata inoltre la possibilità che la risposta immunitaria non sia stata tanto efficace da distruggere il patogeno, il quale permane così all'interno dell'ospite, inducendo una reazione immunitaria che si prolunga nel tempo e che comporta la riattivazione continua di tutti i meccanismi finora esaminati (intervento dei macrofagi, delle cellule T, delle citochine, del complemento, cooperazione T-B, produzione di anticorpi). In conseguenza di ciò, la malattia si cronicizza ovvero si verifica un danno d'organo: in questo modo il processo infettivo può divenire presupposto di un processo immunopatologico.

Immunodeficienze primitive e secondarie

Le immunodeficienze rappresentano un gruppo eterogeneo di malattie che possono interessare la componente cellulare o umorale del sistema immunitario, il sistema monocitario-macrofagico e quello complementare. Possono essere congenite (immunodeficienze primitive) oppure acquisite (immunodeficienze secondarie); si manifestano con processi infettivi recidivanti, di origine batterica, virale e fungina, e comportano una maggiore predisposizione per patologie neoplastiche.

a) Immunodeficienze primitive. Si distinguono in: immunodeficienze combinate, immunodeficienze primitive con prevalente difetto anticorpale, immunodeficienze con predominante difetto dell'immunità cellulo-mediata, immunodeficienze associate ad altre anomalie congenite, deficit delle funzioni fagocitarie, deficit delle frazioni del complemento. Le immunodeficienze combinate rappresentano un gruppo di malattie caratterizzate da deficit dei linfociti sia T sia B. I criteri per la diagnosi includono: esordio nell'infanzia con infezioni gravissime, potenzialmente letali; anomalie dell'immunità cellulo-mediata e umorale; linfopenia riguardante soprattutto i linfociti T. Tra le varie forme si ricordano:

1) le SCID (Severe combined immunodeficiency), in cui si distingue una forma con mancanza dei linfociti sia T sia B, e una forma, la cui ereditarietà è legata al cromosoma X, con numero normale o aumentato di cellule B e assenza di T;

2) il deficit dell'enzima purinucleoside fosforilasi, che si manifesta con un deficit numerico e funzionale delle cellule T, mentre il numero dei linfociti B è generalmente normale;

3) l'immunodeficienza da difettosa espressione di molecole dell'MHC (Major histocompatibility complex) di classe I o di classe II (gli antigeni di classe I sono essenziali per il riconoscimento da parte dei linfociti citotossici di cellule infettate da virus, mentre quelli di classe II sono coinvolti nei meccanismi di presentazione dell'antigene da parte delle cellule accessorie ai linfociti Th: la mancata o difettosa espressione degli antigeni di istocompatibilità si traduce in un quadro di grave immunodeficit).

Le immunodeficienze primitive con prevalente difetto anticorpale comprendono:

1) l'agammaglobulinemia legata al sesso o sindrome di Bruton, causata dal blocco di maturazione della cellula pre-B con incapacità a trasformarsi in linfocita B maturo e quindi a produrre anticorpi;

2) la sindrome da iper-IgM, rara forma caratterizzata da notevole aumento dei livelli di IgM con deficit di IgG e IgA;

3) il deficit delle sottoclassi delle IgG; 4) il deficit selettivo di IgM e deficit di catene leggere;

5) il deficit selettivo di IgA, che è la forma più frequente delle immunodeficienze primitive, trasmessa come carattere autosomico dominante o recessivo e dovuta a un blocco differenziativo dei linfociti B in plasmacellule IgA-secernenti; 6) l'immunodeficienza comune variabile, già definita agammaglobulinemia acquisita, sostenuta da meccanismi patogenetici diversi (linfociti B normali dal punto di vista numerico, ma incapaci di differenziarsi in plasmacellule; in alcuni casi linfociti T ridotti di numero e incapaci di svolgere attività helper nei riguardi delle cellule B; in altri casi ancora autoanticorpi contro i linfociti B);

7) l'ipogammaglobulinemia transitoria dell'infanzia, dovuta a un rallentato processo di maturazione dell'anticorpopoiesi, e la cui patogenesi sembra essere legata a un ritardo nella differenziazione dei linfociti Th che sono anche numericamente ridotti. Riguardo alle immunodeficienze con predominante difetto dell'immunità cellulo-mediata sono state recentemente segnalate forme di immunodeficienza da deficit primitivo di linfociti CD4, di linfociti CD7, di IL-2, da deficit di produzione di varie citochine da parte dei linfociti T, da deficit di trasduzione del segnale che deve essere generato nei linfociti T in risposta alla stimolazione antigenica.

Le immunodeficienze associate ad altre anomalie congenite comprendono:

1) la sindrome di Wiskott-Aldrich, trasmessa con carattere recessivo legato al sesso e caratterizzata da piastrinopenia che si manifesta già alla nascita con petecchie e gravi emorragie e, successivamente, da eczema e infezioni ricorrenti (polmoniti, meningiti, sepsi);

2) l'atassia-teleangiectasia, sindrome a trasmissione autosomica recessiva contraddistinta da atassia cerebellare progressiva (le manifestazioni si evidenziano con l'inizio della deambulazione), teleangiectasie a carico di congiuntiva e cute, infezioni ricorrenti, cui possono associarsi ipogonadismo, ridotta tolleranza al glucosio e ritardo della crescita;

3) la sindrome di Di George, secondaria a danni subiti dal feto entro il terzo mese di gestazione con conseguente alterato sviluppo della terza e quarta tasca branchiale e caratterizzata da ipoplasia del timo e delle paratiroidi e da un anomalo sviluppo facciale (micrognatismo, ipertelorismo, alterazioni delle labbra ecc.) e del cuore (destro-posizione dell'aorta, pervietà interatriali, interventricolari e tetralogia di Fallot). Si conoscono varie forme di deficit delle funzioni fagocitarie, dovute ad alterazioni intrinseche delle cellule che sono deputate alla fagocitosi (granulociti e monociti) per carenze di enzimi o di molecole essenziali nelle diverse fasi del processo di eliminazione dei microrganismi dai quali derivano gravi deficit nella difesa dalle infezioni batteriche. I deficit delle frazioni del complemento sono rari. La trasmissione avviene per lo più con modalità autosomica recessiva. La carenza di frazioni del complemento provoca manifestazioni cliniche diverse. Infatti tale sistema esplica una funzione essenziale nella difesa dalle infezioni batteriche, nella rimozione degli immunocomplessi, oltre ad avere un ruolo regolatorio sul sistema immunitario. Pertanto il deficit delle sue componenti può indurre una maggiore suscettibilità alle infezioni, ma può associarsi anche a malattie autoimmuni. Il deficit di C1 inibitore è causa dell'edema angioneurotico ereditario. b) Immunodeficienze secondarie. Si sviluppano in conseguenza di varie condizioni morbose, quali carenze nutrizionali, neoplasie, terapie citostatiche, radianti o immunosoppressive, diabete mellito, infezioni, tra le quali esempi paradigmatici sono la malaria e quella da virus HIV. Quest'ultimo determina quella gravissima sindrome da immunodeficienza acquisita nota con il nome di AIDS. Le sindromi da immunodeficienza associate, o secondarie ad altra patologia, si manifestano con deficit isolati dell'immunità cellulare o di quella umorale, oppure con deficit combinati. Le conseguenze cliniche dipendono dal grado di compromissione del sistema immunitario. L'evoluzione della immunodeficienza è strettamente legata alle possibilità di controllo sulla malattia che ne è responsabile.

Autoimmunità

Come si è detto, il sistema immunitario ha il compito di riconoscere antigeni estranei all'organismo e di eliminarli. Peraltro, strutture potenzialmente antigeniche sono presenti anche nelle cellule, a livello dei nuclei, del citoplasma e delle membrane cellulari o possono essere secrete in circolo: verso questi antigeni, definiti autoantigeni, vengono prodotti autoanticorpi, cioè anticorpi diretti contro molecole autologhe. Un sistema immunitario ben funzionante ha la capacità di distinguere tra antigeni self e non self così da rispondere solo agli antigeni esogeni. Ciò significa che esso ha dovuto sviluppare una sorta di tolleranza, una non-responsività alle complesse strutture cellulari e tessutali dell'organismo. Questa proprietà viene acquisita attraverso due meccanismi: un linfocita T o B immaturo incontra antigeni autologhi a livello degli organi linfoidi primari, li riconosce e va incontro a morte programmata (apoptosi); questo processo di eliminazione fisica dei cloni (delezione clonale) è chiamato tolleranza centrale; i linfociti autoreattivi che riescono a sfuggire al processo potranno essere inattivati successivamente quando incontreranno l'antigene nei tessuti periferici (tolleranza periferica). Si verifica cioè un'inattivazione funzionale linfocitaria (anergia clonale) che ne impedisce la risposta in occasione di un successivo incontro con lo stesso antigene. Fin dagli inizi del Novecento P. Ehrlich ipotizzava una risposta immunitaria verso gli antigeni autologhi proponendo il concetto di horror autotoxicus.

Cinquant'anni dopo, M. Burnet formulava la teoria secondo la quale i cloni di linfociti capaci di riconoscere e reagire contro antigeni self (linfociti autoreattivi) erano 'proibiti' e perciò dovevano essere eliminati durante lo sviluppo dell'embrione, in quanto nel periodo postnatale sarebbero stati potenzialmente autoaggressivi. In realtà, la presenza di linfociti autoreattivi non è necessariamente sinonimo di malattia autoimmune: l'esistenza di cellule T in grado di riconoscere antigeni self e di linfociti B che sintetizzano piccole quantità di autoanticorpi, per lo più di classe IgM, verso differenti autoantigeni (DNA, tireoglobulina, miosina, collagene ecc.) è stata dimostrata sia nell'animale da esperimento, sia nel soggetto normale: si tratta di anticorpi a basso titolo, polispecifici in quanto reagiscono con più autoantigeni, definiti autoanticorpi naturali. La produzione di anticorpi verso antigeni self è un evento abbastanza frequente in seguito a malattie virali, parassitarie o dopo vaccinazioni ecc. Pertanto la risposta autoimmunitaria può rappresentare un evento fisiologico e in tal caso non si sviluppa una malattia autoimmune perché i linfociti autoreattivi vengono continuamente sorvegliati dai meccanismi di controllo; può divenire autoimmunità patologica quando vengono elusi i meccanismi di controllo: ciò permetterà l'innesco e il mantenimento di una risposta autoimmune con produzione di abnormi quantità di autoanticorpi, per lo più di classe IgG, con effetto patogeno. Pertanto la malattia autoimmune è caratterizzata dalla sintesi incontrollata di Ig che perdura nel tempo. Soltanto così si potranno determinare tutte quelle alterazioni anatomofunzionali che si riscontrano nel corso delle diverse malattie a patogenesi autoimmunitaria.

La patogenicità di un autoanticorpo è dimostrata dalla possibilità di trasferire la malattia a un soggetto sano. Ciò è documentato sia in modelli animali sia nell'uomo: per es. le madri che sono affette da alcune malattie autoimmuni possono trasmettere i propri autoanticorpi IgG (classe di Ig in grado di attraversare la placenta) al neonato, che presenterà la malattia nelle prime settimane di vita. L'effetto patogeno degli autoanticorpi si realizza attraverso vari meccanismi: danno diretto sulle cellule; deposito di immunocomplessi a livello degli organi; citotossicità anticorpo-mediata (cioè indotta nei confronti di cellule rivestite da autoanticorpi); inibizione funzionale di molecole circolanti, quali fattori della coagulazione, immunoglobuline; stimolazione di recettori ormonali (come nel morbo di Basedow); blocco di recettori colinergici (miastenia grave) ecc. Un meccanismo molto importante nella patogenesi del danno che si verifica nelle malattie non organo-specifiche è la formazione di immunocomplessi circolanti, rappresentati dall'antigene self legato allo specifico anticorpo; le manifestazioni cliniche sono dovute alla loro successiva deposizione in organi o tessuti dove inducono una reazione infiammatoria. La presenza e il titolo degli autoanticorpi spesso sono correlati con l'attività di malattia: per es. nella nefropatia lupica vi è una correlazione significativa tra presenza di anticorpi anti-DNA nativo e gravità delle lesioni.

Una malattia autoimmune deve soddisfare i seguenti criteri: l'evidenza di una reazione immunitaria verso autoantigeni; la riproducibilità nell'animale da esperimento mediante inoculazione dell'antigene specifico (le lesioni sono analoghe a quelle presenti nella patologia umana); la trasferibilità nell'animale da esperimento mediante iniezione di siero contenente autoanticorpi o di cellule autoreattive. Le patologie per le quali si è dimostrata o prospettata una patogenesi autoimmunitaria vengono abitualmente distinte in organo- e non organo-specifiche. Nelle prime la risposta immunitaria è rivolta verso antigeni cellulari di un determinato organo: un classico esempio è la tiroidite di Hashimoto, nella quale si giunge a un progressiva distruzione ghiandolare in quanto il 'bersaglio' è rappresentato dagli antigeni tiroidei. Nelle seconde, dal momento che la risposta immunitaria è rivolta verso costituenti self diffusamente distribuiti, le lesioni autommuni si verificano in numerosi organi e apparati; si realizza pertanto una malattia multisistemica, il cui esempio più tipico è rappresentato dal lupus eritematoso sistemico (v. connettivo). Caratteri comuni a tutte sono la familiarità, la maggior frequenza nel sesso femminile, l'insorgenza apparentemente spontanea, la presenza di ipergammaglobulinemia, il decorso cronico, contraddistinto da esacerbazioni e remissioni. È anche possibile che manifestazioni cliniche di una forma si associno a manifestazioni di un'altra malattia autoimmune (sindromi da sovrapposizione).

Malattie allergiche

Comprendono un gruppo di affezioni con diversa espressività clinica, causate da un'abnorme reattività dell'organismo nei confronti di sostanze estranee, che sono invece innocue per i soggetti normali. Tali sostanze, definite allergeni, sono di varia natura: inalanti, alimenti, veleni di insetti, farmaci, agenti chimici. Possono essere molecole di grosse dimensioni, in grado di evocare una risposta immunitaria, o molecole più piccole (apteni), capaci di suscitarla solo dopo essersi legati a proteine dell'organismo (come avviene, per es., per alcuni farmaci). Presupposto fondamentale per lo sviluppo delle allergopatie è la suscettibilità genetica dell'individuo, vale a dire la predisposizione all'atopia, cioè all'abnorme reattività immunologica che induce produzione di anticorpi della classe IgE (reagine) dopo l'esposizione a sostanze ambientali. Un bambino con entrambi i genitori atopici ha probabilità sei volte maggiori di sviluppare allergie rispetto a un bambino senza storia familiare di atopia. Le IgE vanno a fissarsi sulla superficie di cellule dotate di recettori specifici per questi anticorpi: le mastcellule, presenti in vari tessuti (polmone, endoteli, connettivi e sottocutaneo), i basofili, gli eosinofili. Nel loro citoplasma sono contenuti granuli ricchi di sostanze (istamina, serotonina, leucotrieni, prostaglandine, citochine ecc.) che, rilasciate dalla cellula, sono in grado di indurre vasodilatazione con aumento della permeabilità, contrazione della muscolatura liscia, ipersecrezione. Nell'individuo atopico la prima esposizione all'allergene provoca la formazione delle IgE e la loro fissazione alle cellule: una successiva esposizione fa sì che, nel soggetto sensibilizzato, l'antigene si complessi a due molecole degli anticorpi già fissati alla cellula, con formazione di un ponte. Ciò innesca una serie di eventi sulla membrana cellulare che stimolano la degranulazione e, quindi, la liberazione dei mediatori, sostanze responsabili delle manifestazioni allergiche che si verificano subito dopo il contatto con l'allergene (reazione di tipo immediato). Le manifestazioni cliniche possono essere locali o generalizzate, in rapporto alle diverse modalità di ingresso dell'antigene. Inoltre variano con l'età: il neonato presenta più frequentemente allergia alimentare (latte, uova); l'eczema è una manifestazione atopica della prima infanzia, che scompare verso i 4-5 anni; molti di questi bambini sono predisposti a forme di allergie respiratorie che si sviluppano nell'adolescenza o anche in età adulta. Le principali malattie allergiche IgE-mediate sono la rinite, l'asma bronchiale, la dermatite atopica, l'orticaria, l'allergia alimentare e l'anafilassi sistemica (v. allergia).

Malattie immunoproliferative

Si tratta di un gruppo di forme morbose (mieloma multiplo, macroglobulinemia di Waldenström, crioglobulinemie, malattia delle catene pesanti), caratterizzate dalla proliferazione neoplastica di cellule della linea B linfocitaria secernenti Ig. Si realizza, pertanto, l'espansione di un clone cellulare che produce immunoglobuline tutte uguali tra loro, definite monoclonali. Le cellule proliferanti sono come 'congelate' in una fase della loro maturazione; in tale fase possono moltiplicarsi ma non differenziarsi verso un maggior grado di maturità; pertanto, la patologia neoplastica sarà diversa a seconda dello stadio in cui è avvenuto il congelamento della cellula B nel corso della sua differenziazione: la proliferazione plasmacellulare determina il mieloma, la proliferazione di una plasmacellula immatura induce la malattia di Waldenström, la proliferazione di un linfocita B, con IgM e IgD di membrana, la leucemia linfoide cronica. Il termine gammapatia monoclonale indica la presenza di un'alterazione delle proteine sieriche e/o urinarie (che contraddistingue molte di queste forme morbose), la quale viene documentata sul tracciato elettroforetico da una banda anomala omogenea, o componente M (monoclonale o mielomatosa), chiamata anche paraproteina. La banda è costituita dall'immunoglobulina monoclonale prodotta dalle cellule plasmocitoidi, caratterizzata da uno stesso isotipo, una stessa sottoclasse e uno stesso tipo di catena leggera (κ o λ). Esistono, peraltro, forme che sono contrassegnate dalla presenza in circolo di frammenti di immunoglobuline (malattia delle catene pesanti) oppure forme in cui la proliferazione di un clone cellulare non si accompagna a secrezione di Ig (mieloma e macroglobulinemia non secernente).

Nelle patologie che si presentano contraddistinte dalla presenza di una proteina monoclonale in circolo, lo studio sia della componente M sia delle plasmacellule midollari dimostra che queste contengono nel loro citoplasma immunoglobuline della stessa classe e stessa catena leggera della proteina sierica. La principale forma di gammapatia monoclonale è il mieloma, che colpisce prevalentemente soggetti anziani e la cui eziologia è ignota. È caratterizzato da proliferazione di plasmacellule monoclonali e conseguente infiltrazione midollare, presenza di paraproteina sierica (componente M) e/o urinaria (proteinuria di Bence-Jones), lesioni ossee. L'invasione midollare del clone di cellule proliferanti induce sia la progressiva insufficienza midollare (anemia, granulocitopenia, piastrinopenia), sia le erosioni della corticale ossea con conseguenti fratture patologiche. Le plasmacellule secernono un'immunoglobulina monoclonale, a volte con eccesso di catene leggere (o di tipo κ o di tipo λ). Poiché è stato calcolato che è necessaria una massa tumorale pari a circa 1011 cellule perché si abbiano le prime manifestazioni, si ritiene che la malattia inizi verosimilmente molti anni prima dell'esordio clinico. Il tracciato elettroforetico delle proteine sieriche è fondamentale per la diagnostica delle gammapatie: dimostra la presenza di una banda omogenea (componente M) che all'immagine densitometrica si traduce in un picco a base stretta la cui concentrazione a volte può superare quella dell'albumina (aspetto a 'orecchie d'asino').

L'elettroforesi delle urine permette di distinguere le proteinurie selettive costituite da albumina, da quelle non selettive nelle quali si riscontrano diverse frazioni sieroproteiche, filtrate in conseguenza del danno renale che può verificarsi in queste malattie. La proteinuria di Bence-Jones è dovuta alla precipitazione di catene leggere, evidenziabili sotto forma di una banda omogenea in una zona del tracciato che varia dalle alfa2 alle gammaglobuline. Al tracciato elettroforetico si fa seguire il dosaggio delle immunoglobuline e l'immunoelettroforesi, indagini che permettono rispettivamente di valutare la quantità dell'immunoglobulina prodotta in eccesso (in ordine di frequenza IgG, IgA, IgM, IgD, IgE) e di individuare la catena leggera (κ o λ) che la caratterizza. Tecniche più recenti dotate di maggiore sensibilità sono l'immunofissazione e l'immunoblotting. Grazie a queste metodiche è stato possibile mettere in evidenza paraproteinemie in assenza di neoplasie plasmacellulari. In tal caso la gammapatia può comparire da sola o essere associata a malattie linfoproliferative (leucemia linfoide cronica e linfomi), tumori solidi, malattie autoimmuni. Queste forme vengono definite gammapatie di significato indeterminato (MGUS, Monoclonal gammopathies of undetermined significance): in alcuni casi rimangono asintomatiche e quindi hanno evoluzione benigna, in altri, invece, progrediscono verso una malattia immunoproliferativa. La frequenza di queste forme aumenta con l'avanzare dell'età: si calcola sia pari a circa il 10% per fasce al di sopra degli 80 anni. All'elettroforesi sierica compare una banda omogenea monoclonale, di concentrazione inferiore a quella che si presenta in corso di mieloma (IgG ⟨3,5g/100 ml, IgA ⟨2g/100 ml), con livelli stabili nel tempo. Inoltre, nella maggior parte dei casi, le altre classi immunoglobuliniche sono normalmente rappresentate.

Bibliografia

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