Imperatore

Dizionario di Storia (2010)

imperatore


Nome assunto dai sovrani successori di Augusto nel governo di Roma e più volte ripreso per designare la somma autorità politica. Col nome di i. fu indicato originariamente in Roma antica chi era investito di una suprema autorità di comando. Quindi, in senso specifico, fu il termine col quale era acclamato dai soldati dopo una vittoria il generale fornito di . Il titolo di i. sarebbe stato conferito già a Scipione l’Africano; divenne consuetudinario dal principio del 2° sec. a.C., e fu portato anche da Pompeo e da Cesare. Ottaviano nel 38 a.C. lo adottò al posto del prenome, mentre il titolo, nell’antico senso delle acclamazioni militari, da allora in poi venne ripetuto dopo il nome, accompagnato dall’avverbio numerale indicante quante volte quell’i. avesse ricevuto l’acclamazione imperatoria. Più in generale, il termine poté essere usato per designare, prima nella lingua popolare, e dall’età di Traiano anche nella lingua letteraria, il capo dell’impero romano il cui potere, sin dall’età di Augusto, poggiava costituzionalmente sull’imperium proconsulare, che gli conferiva il comando militare, e sulla potestà tribunizia, la quale assicurava al principe l’inviolabilità e il diritto di intercessione contro i senatoconsulti e le leggi. La nomina dell’i. romano doveva essere riconosciuta dal senato e dal popolo per mezzo di una legge, secondo altri attraverso due leggi diverse de imperio e de tribunicia potestate. La designazione avveniva di solito da parte del predecessore: da Adriano in poi mediante il conferimento del titolo di Caesar e talora con la coreggenza (la quale tendeva ad annullare l’influenza del senato). L’i. aveva il comando supremo dell’esercito, il diritto di pace e di guerra; nel campo legislativo, mediante l’emanazione di costituzioni, aveva una giurisdizione propria e superiore; esercitava per mezzo di funzionari di propria nomina l’amministrazione pubblica; era arbitro nel campo finanziario; era infine, in quanto pontefice massimo, capo religioso. Godeva inoltre di speciali privilegi: il diritto di raccomandazione di candidati alle magistrature, di aggregazione dei propri protetti all’ordine senatorio. Era oggetto, specie nelle province, di un culto religioso, che aveva però carattere sostanzialmente politico. Nei primi tre secoli dell’impero, la titolatura ufficiale dell’i. comprendeva di norma i seguenti elementi: imperator, Caesar, Augustus, tribunicia potestate (col numero ordinale), pontifex maximus, consul, pater patriae, proconsul (dopo Traiano), e inoltre i cognomina ex virtute, ovvero le denominazioni onorifiche ottenute in seguito di vittorie (Germanicus, Dacicus ecc.). Le insegne erano la sella curule, la toga orlata di porpora, la corona d’alloro e più tardi il diadema. La guardia imperiale era affidata alle coorti pretorie e poi a corpi speciali, come i germani, o gli equites singulares. La residenza romana dell’i. era sul Palatino. Il titolo imperiale, cessato in Occidente dopo il 476 d. C., continuò con gli i. di Bisanzio, in riferimento al basileus bizantino, finché nell’800 fu ripreso da Carlomagno (anche per il fatto che a Bisanzio in quel tempo regnava, cosa inammissibile nel diritto romano e barbarico, un’imperatrice, Irene) a designare la funzione religiosa, accanto al pontefice, di capo e difensore della cristianità; qualità, questa, non necessariamente collegata a un’ampia sovranità territoriale, ma condizionata dalla consacrazione papale. Molto più tardi, l’assunzione del titolo imperiale da parte di Carlomagno fu definita translatio imperii, trasferimento, cioè, compiuto dal pontefice, della dignità imperiale dall’Oriente all’Occidente. Con la renovatio imperii di Ottone I, il titolo di imperator si unì alla corona di Germania e d’Italia, ma, per il carattere di universalità dell’Impero, aspetto politico della Respublica christiana (come la Chiesa ne era l’aspetto spirituale), esso tese a imporsi, anche per le suggestioni del diritto romano, come quello di effettivo dominus mundi. Contro questa pretesa, svolta dalla pubblicistica imperiale soprattutto al tempo degli Svevi, reagirono i sovrani: non reguli provinciarum, ma, in virtù del postulato rex in regno suo est imperator, principi con completa pienezza di potere. Con l’indebolirsi del potere politico imperiale di fronte al sorgere della nuova realtà degli stati nazionali, tra 18° e 19° sec. l’i., svuotato ormai d’ogni idealità universale, finì col ridursi a un monarca tedesco, eletto dai sette elettori imperiali secondo le regole sancite dalla Bolla d’oro. Per rompere la tradizione della regalità, e nel ricordo dei fasti militari dell’antico impero romano, Napoleone assunse nel 1804 il titolo di i., mentre costrinse Francesco II a rinunciare (1806) al titolo di i. del Sacro romano impero per quello di i. ereditario d’Austria. Intanto già all’inizio del sec. 18°, il titolo di zar di Pietro il Grande era stato tradotto in quello di imperatore. Così i sovrani dei grandi stati orientali, Cina e Giappone, nella nostra terminologia occidentale, furono detti imperatori. Su questa linea di maggior rilievo nei confronti del titolo regale e di eredità di tradizioni imperiali, si pose il titolo di i. del Messico, assunto da Massimiliano d’Asburgo, quello di i. del Brasile, assunto da Pedro di Braganza, o quello di i. di Germania, o Kaiser (Caesar già nel Medioevo equivaleva a imperator), assunto da Guglielmo I re di Prussia nel 1871. Altri sovrani si fregiarono del titolo imperiale solo in relazione ai possessi coloniali: il sovrano britannico ebbe titolo di i. delle Indie nel 1876, il re d’Italia quello di i. d’Etiopia nel 1936. Finiti gli imperi nazionali e coloniali, il titolo di i. continua a essere traduzione del titolo del sovrano del Giappone (mikado).

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